Negli ultimi 25 anni la ricerca sullo Stato nell’Europa moderna è stata nettamente influenzata dalla chiave interpretativa fornita da John Brewer per la Gran Bretagna, nel suo The Sinews of Power pubblicato nel 1989: il “Fiscal-Military State”49. Come vedremo, la
fortuna di questa concettualizzazione ha rapidamente varcato i confini dello Stato britannico e l’orizzonte temporale scelto da Brewer ed è stata utilizzata come categoria utile a penetrare lo studio degli Stati europei per buona parte dell’Età Moderna. Tale successo è stato profondamente legato al potenziale di una formula capce di valorizzare e mettere a sistema il lavoro di ricerca svolto in precedenza da decine di studiosi circa la centralità della guerra e delle funzioni militari, da un lato, e, dall’altro, della capacità di mobilitare risorse attraverso la fiscalità nei processi di formazione e consolidamento dello Stato in Età Moderna. Prima di entrare nel merito delle argomentazioni di Brewer ci sembra, pertanto, utile soffermarsi su due questioni storiografiche fondamentali, alle quali ha guardato lo stesso storico britannico: il dibattito pluridecennale sulla “Military Revolution” e la “Financial Revolution” in Età Moderna, con particolare riferimento all’Inghilterra stessa.
1.2.1 Il dibattito sulla “Military Revolution”
Abbiamo visto come la guerra (e il modo di fare la guerra) sia stato uno degli aspetti sui quali si è maggiormente concentrata la storiografia per interpretare la parabola dello Stato in Età Moderna. Le cronache del tempo sono piene di riferimenti a una presenza costante dell’attività bellica: gli anni di completa pace erano in estrema minoranza, gli eserciti
49 J. Brewer, The Sinews of Power. War, Money and the English State, 1688-1783, Unwin Hyman, Cambridge, 1989.
diventavano sempre più numerosi e impegnati in conflitti di scala crescente. Come affermato nel Seicento dal cortigiano, soldato e poeta Fulvio Testi rivolgendosi al condottiero Montecuccoli «questo è il secolo de’ soldati»50. In un articolo interessato soprattutto a
ricostruire le capacità fiscali e l’impatto economico dello Stato in tra il 1500 e il 1800, Nicola Gennaioli e Hans-Joachim Voth hanno fornito una serie di dati interessanti sull’espansione della guerra nell’Europa moderna51. In primo luogo, possiamo vedere l’intensificazione delle
conflitti bellici e l’aumento della loro durata, superiore anche ai periodi storici successivi come si può riscontrare dalla lettura della Tabella 152.
Risulta, infatti, che tra il 1500 e il 1700 almeno una guerra tra grandi potenze è stata presente nel 95% degli anni. A questo venivano affiancati dai due studiosi i dati sulla capacità fiscale degli Stati tra il XVI secolo e la fine del XVIII secolo, che segnalavano un trend al rialzo nelle risorse estratte dai propri territori attraverso la tassazione. La Figura 153 mette in
evidenza come Francia e Gran Bretagna avessero conosciuto una decuplicazione della
50 F. Testi, Lettere, vol. III, a cura di M. L. Doglio, Laterza, Bari, 1967, lettera a Francesco Montecuccoli del gennaio 1641. La citazione è riportata in G. Parker, La Rivoluzione Militare. Le innovazioni militari e il sorgere dell’Occidente, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 11; per il Settecento Ibidem: «Anche nel XVIII secolo vi furono solo dodici anni nel corso dei quali il continente fu completamente in pace».
51 N. Gennaioli, H-.J. Voth, State capacity and Military Conflict, in «Review of Economic Studies», 82, 2015, pp. 1409-1448.
52 Pubblicata in N. Gennaioli, H-.J. Voth, State capacity and Military conflict, cit., p. 1411; la fonte dei dati è C. Tilly, Coercion, Capital and European States, cit.
53 Pubblicata in N. Gennaioli, H-.J. Voth, State capacity and Military conflict, cit., p. 1412; in questo caso la fonte dei dati è soprattutto l’European State Fianance Database.
pressione fiscale nel periodo preso in esame, registrando peraltro gli aumenti più sensibili proprio nei periodi di guerra54.
Gennaioli e Voth sottolineavano come anche altri periodi della storia Europea e di altre regioni del mondo, come la Cina, erano stati caratterizzati da un’elevata conflittualità fra potenze rivali, tuttavia soltanto nell’Europa moderna si era prodotto un impatto tanto forte sulla costruzione dello Stato. La tesi riportata nell’articolo sosteneva che le ragioni di questa differenza risiedessero proprio nella Rivoluzione militare europea, principale fattore della formazione dello Stato: «our answer to this puzzle is that aggressive state building was shaped
54 Si noti la grande divergenza tra le traiettorie di Gran Bretagna e Francia da un lato e di Polonia e Impero Ottomano dall’altro. La Spagna e la Prussia seguono, invece, traiettorie specifiche sulla base del diverso protagonismo assunto nello scacchiere internazionale nel corso dei secoli: la prima risulta possedere una maggiore capacità fiscale delle rivali nel XVI secolo, per poi attraversare le difficoltà del XVII secolo e riprendere un trend positivo dopo la Guerra di Successione spagnola; la seconda, al contrario, conosce un aumento esponenziale della propria capacità fiscale nel periodo di consolidamento e ascesa internazionale dello Stato Prussiano.
by the interaction beetween European political starting conditions and changes in military technology, the so-called ‘Military Revolution’»55.
Il concetto di “Military Revolution” è stato proposto per la prima volta da Michael Roberts durante la lezione inaugurale tenuta alla Queen’s University di Belfast nel gennaio 195556. La sua fortuna è stata tale da restare al centro del dibattito storiografico per almeno
mezzo secolo e da estendere la sua influenza ben oltre l’ambito specialistico della storia militare. Lo studio della formazione dello Stato, della strutturazione dei sistemi fiscali, della vita quotidiana delle società europee del periodo ha dovuto confrontarsi con questo paradigma. In altre parole, ha introdotto la novità fondamentale dell’impatto trasformativo sull’intera società da parte dei cambiamenti nel modo di fare la guerra. Prendendo a prestito le parole di Clifford Rogers, tale concetto ha compiuto una vera e propria rivoluzione storiografica: «the active and wide-ranging debate over the Military Revolution has brought the explanatory value of military history to the attention of the historical community as a whole»57. La tesi di Roberts si basava sull’individuazione di una cronologia ben precisa, il
secolo tra il 1560 e il 1660, nella quale si verificarono cambiamenti nell’arte militare a partire dalla tattica, cambiamenti forieri di ampie conseguenze. La rivoluzione militare «was in essence the result of just one more attempt to solve the perennial problem of tatctics – the problem of how to combine missile weapons with close action; how to unite hitting power, mobility and defensive strenght»58. In particolare, veniva esaltata la portata rivoluzionaria
delle soluzioni offerte dalle riforme di Maurizio di Orange-Nassau e di Gustavo Adolfo di Svezia, che prevederono un ritorno alle formazioni lineari in luogo delle strutture a quadrato dei tercios spagnoli o della fanteria svizzera: se il condottiero olandese aveva impiegato queste nuove formazioni a scopo soprattutto difensivo, Gustavo Adolfo raggiunse un fondamentale vantaggio tattico sul campo di battaglia utilizzandole anche per le azioni offensive. Questa innovazione, assieme alla sostituzione della lancia e della picca con l’arco e
55 N. Gennaioli, H-.J. Voth, State capacity and Military conflict, cit., p. 1411.
56 M. Roberts, The Military Revolution, 1560-1660, Belfast, 1956; ristampato con modifiche in M. Roberts, Essays in Swedish history, Londra, 1967, pp 195-225; tale articolo è presente anche nella raccolta edita da Clifford Rogers che nel 1995 prova a ricostruire il pluridecennale dibattito scaturito a seguito della lezione inaugurale di Roberts, cfr. C. J. Rogers (a cura di), The Military Revolution Debate. Readings on the Military Transformation of Early Modern Europe, Westview Press, Boulder, 1995, pp. 13-35.
57 C. J. Rogers, The Military Revolution in History and Historiography, in Ib. (a cura di), The Military Revolution Debate, cit., p. 3.
il moschetto, consentì di raggiungere il maggior grado possibile di sfruttamento di tutte le armi a disposizione e, questione tutt’altro che irrilevante per le gerarchie sociali, mise in secondo piano la cavalleria pesante della nobiltà, perno della guerra medievale: adesso il più abile dei cavalieri della nobiltà feudale non poteva niente contro alcuni colpi ben assestati di moschetto sparati dall’ultimo dei soldati a piedi. Tale ricostruzione presumeva il primato della tattica: erano le innovazioni in questo campo a innescare, secondo Roberts, trasformazioni su larga scala. Per il nuovo assetto delle truppe di fanteria erano necessari più ufficiali, un maggior grado di pratica nelle armi e nell’addestramento. Da questo derivavano altri quattro pilastri della Rivoluzione militare: in primo luogo, la formazione di eserciti di dimensioni sempre maggiori e, soprattutto, permanenti per ragioni legate ad esigenze finanziarie e alla logica militare, non a particolari disegni politici; l’adozione di strategie di guerra più ambiziose e più complesse, ideate per far funzionare questi eserciti più numerosi e, al tempo stesso, fattori di pressione sulla dimensione degli eserciti medesimi; l’aumento dell’autorità dello Stato e l’incremento dell’impatto sociale della guerra59. Le conseguenze istituzionali e
sociali della guerra non erano affatto secondarie nell’argomentazione di Roberts, il quale affermava come «only the state, now, could supply the administrative, technical and financial resources required for the large-scale hostilities. And the state was concerned to make its military monopoly absolute. It declared its hostility to irregular and private armies, to ambigous and semi-piratical naval ventures»60. Allo stesso tempo, la maggiore capacità
distruttiva, i maggiori costi economici e il cresciuto sforzo amministrativo legato alla guerra provocarono un peso più forte e problemi praticamente quotidiani alla popolazione civile.
Roberts si era occupato prevalentemente della Svezia ai tempi del Re Gustavo Adolfo (1611-1632), protagonista dell’invasione svedese degli Stati tedeschi nel corso della Guerra dei Trent’Anni: questo condizionava le sue scelte cronologiche e geografiche nell’individuazione della nuova categoria. Proprio sulla periodizzazione da lui scelta si sono concentrate le prime opere che hanno rivisto la tesi della Rivoluzione militare. Geoffrey Parker, nel suo articolo The ‘Military Revolution, 1560-1660’ - A Myth?, contestava la scelta di Roberts di individuare lo scenario della Guerra dei Trent’Anni e le riforme nella tattica introdotte da Gustavo Adolfo come il teatro e la causa princiaple della trasformazione
59 Cfr. M. Roberts, The Military Revolution, cit., pp. 13-29; cfr. anche G. Parker, La Rivoluzione Militare, cit., pp. 11-12.
rivoluzionaria61. L’arco cronologico decisivo per Parker doveva essere esteso tra il 1530 e il
1710: l’aver anticipato di 30 anni l’inizio della rivoluzione militare non era un aspetto secondario, poiché includeva le campagne militari dell’Impero spagnolo nel XVI secolo. Più tardi, nella postfazione della sua monografia sulla Rivoluzione militare (1990), affermerà: «prima di iniziare a lavorare alla mia dissertazione avevo letto e apprezzato l’articolo fondamentale di Michael Roberts e, studiando tra il 1965 e il 1968 l’armata spagnola delle Fiandre per la mia tesi di dottorato, mi ero messo a cercare conferme del suo modello di un esercito arretrato, ottenebrato e inefficace. Non ne trovai»62. L’esercito spagnolo a quel tempo
era, secondo Parker, una forza dalla impressionante efficienza militare, capace di operare su più contesti e su una scala molto più ampia di quanto fosse solamente immaginabile in precedenza. In altre parole, l’impennata numerica del personale impiegato nell’attività bellica si era verificata prima delle riforme nella tattica portate avanti da Maurizio di Nassau e, in seguito, da Gustavo Adolfo: Parker rintracciava prima del 1560 diversi esempi di eserciti stanziali, composti da professionisti, organizzati efficientemente e con una maggiore diffusione delle armi da fuoco63. Le leve della trasformazione erano dunque da ricercare
altrove: in questo caso, veniva riconosciuto un ruolo fondamentale agli sviluppi intercorsi nell’architettura militare difensiva, in particolare nella nuova tipologia di fortificazioni che prese piede nella penisola italiana, la trace italienne. Il XV secolo aveva registrato un graduale e sempre più incalzante aumento della potenza di fuoco, grazie ai miglioramenti dell’artiglieria da assedio: le alte ma relativamente sottili mura medievali, ottime per respingere attacchi degli eserciti feudali composti prevalentemente da cavalieri con armatura pesante, offrivano scarsa resistenza contro una buona batteria di bombarde e cannoni64. Dal
punto di vista strategico, nella Prima Età Moderna registriamo un insolito vantaggio dell’attacco sulla difesa, tradizionalmente avvantaggiata nella guerra medievale. Questo squilibrio esercitò una forte pressione per la ricerca di soluzioni nell’architettura militare difensiva, in particolare negli Stati italiani, risultati completamente impotenti contro la calata
61 G. Parker, The ‘Military Revolution, 1560-1660’ - A Myth, in «Journal of Modern History», XLVII, 1976, pp. 195-314; tale articolo è presente anche nella raccolta già citata C.J. Rogers (a cura di), The Military Revolution Debate, cit., pp. 37-54.
62 G. Parker, La Rivoluzione Militare, cit., p. 283.
63 Cfr. G. Parker, The ‘Military Revolution, 1560-1660 – A Myth?, cit. pp. 39-41.
64 In maniera molto interessante, Parker descrive questo fattore come risolutivo della caduta del Regno di Granada di fronte all’avanzata dei Re Cattolici di Spagna, dopo aver resistito per più di sette secoli; cfr. Ibidem, p. 43.
degli eserciti di Carlo VIII di Francia nel 1494. Nei primi decenni del XVI secolo gli architetti militari italiani svilupparono e diffusero una nuova tipologia di fortificazioni – appunto, la trace italienne – che prevedeva mura più basse e più spesse, puntellate da bastioni a pianta quadrilaterale e in grado di resistere meglio alla potenza di fuoco dell’artiglieria del tempo: «it was a development wich revolutionized the difensive-offensive pattern of warfare, because it became soon clear that a town protected by the trace italienne could not be captured by the traditional methods of battery and assault. It had to be encircled and starved into surrender»65.
La difesa, così, acquisì di nuovo un vantaggio strategico sull’attacco; divennero, inoltre, necessari più uomini e una maggiore efficienza logistica ed organizzativa per vincere la guerra d’assedio. Un aumento esponenziale66 come indicato da Roberts, ma reso possibile da
altri fattori: «it cannot stem, as he thought, from the tactical and strategic innovations of Maurice de Nassau and Gustavus Adolphus: first, because these modifications were not so new; second, and more important, because the rapid and sustained growth in army size predated them»67. Il cambiamento cruciale fu, invece, rappresentato dal calo in termini sia
assoluti sia relativi del peso specifico della cavalleria sull’esercito totale: il costo unitario per armare un picchiere era comparabile con la sua paga di una settimana, mentre solo i proprietari più facoltosi potevano sostenere i costi elevati per equipaggiare sé stessi come cavalieri e i propri cavalli come montatura. Se la cavalleria era storicamente rimasta una formazione militare numericamente limitata, ora gli eserciti della Prima Età Moderna potevano innalzare drasticamente il numero dei propri effettivi, essendo composti, a differenza degli eserciti medioevali, prevalentemente da unità di fanteria. Nella sua trattazione, Parker individuava anche quattro fattori estrinseci, totalmente scollegati dall’arte della guerra in sé, che resero possibile l’aumento esponenziale del numero di soldati arruolati e mobilitati: in primo luogo, la capacità dei governi di organizzare e controllare forze crescenti68; elementari miglioramenti tecnologici e infrastrutturali, a partire dalla capacità di
produzione su larga scala di cibo per il vettovagliamento delle truppe fino agli sviluppi di fine XVII secolo nella costruzione e nella manutenzione di strade permanenti per il passaggio
65 G. Parker, The ‘Military Revolution, 1560-1660 – A Myth?, cit. p. 42.
66 «Between 1530 and 1710 there was a ten-fold increase both in the total numers of armed forces paid by the major European states and in the total numbers involved in the major European battles», Ibidem, p. 43. 67 Ibidem, p. 43.
68 «It is interesting to note theat the major waves of administrative reform in western Europe in the 1530s and 1580s and at the end of the seventeenth century coincided with major phases of increase in army size», Ibidem, p. 45.
militare; infine, un certo livello di ricchezza nella società e la capacità di mobilitare questa ricchezza per le esigenze finanziarie della guerra attraverso un sistema efficace e permanente di tassazione69. Venne, così, delineato un modello che differiva da quello di Roberts per la
periodizzazione e la diversa rilevanza riconosciuta ai vari fattori in gioco, ma che non ne metteva in discussione la tesi di fondo: la Prima Età Moderna conobbe un incredibile incremento nella numerosità degli eserciti e nel costo sostenuto dagli Stati per finanziarli, con un impatto rilevante sull’organizzazione amministrativa, sulla capacità fiscale e sulla pressione dello Stato. Da notare, infine, come Parker spiegava la scelta del termine cronologico ad quem della sua Rivoluzione militare: dopo il 1710 non si verificarono più, secondo le sue ricerche, incrementi significati nel numero di uomini complessivamente mobilitati per la guerra, né di quelli impiegati nelle principali battaglie del secolo. Solo con le guerre continentali scaturite dalla Rivoluzione Francese si tornò a una crescita sensibile: «in the eighteenth century, as in the fifteenth, it seems that the military power of the various European states had reached a threshold. Further economic, political, technological and financial advances would be required before this new threshold could be crossed in the 1790s»70. È un’affermazione che può far storcere il naso agli studiosi del XVIII secolo,
caratterizzato non solo da un’intensa attività bellica sui teatri di guerra del continente europeo, ma anche da una progressivo allargamento su scala globale del conflitto tra le principali potenze71.
La “Military Revolution” si è dimostrata una categoria interpretativa molto longeva per la storiografia contemporanea e ha aperto un dibattito intenso tra gli studiosi, con progressive modifiche al paradigma e posizioni più critiche72. Molto sommariamente, ricordiamo la
raccolta di saggi edita da Michael Duffy, pubblicata nel 1980, che in diversi contributi ha enfatizzato la connessione tra i problemi amministrativi e logistici posti dalla necessità di costruire un maggior numero di fortezze e di navi da guerra, di arruolare ed equipaggiare più truppe, e l’emersione dello Stato moderno, fino alla sua piena affermazione nel XVIII e XIX
69 Per la trattazione di questi fattori, cfr. Ibidem, pp. 43-49.
70 G. Parker, The ‘Military Revolution, 1560-1660 – A Myth?, cit., p. 48.
71 Si pensi in particolare alla portata geografica del conflitto conosciuto come Guerra dei Sette Anni (1756- 1763). A questo proposito cfr. M. Füssel, La Guerra dei Sette anni, Il Mulino, Bologna, 2013.
72 Per una sintetica, ma esauriente ricostruzione del dibattito storiografico sulla rivoluzione militare cfr. C.J. Rogers, The Military Revolution in History and Historiography, in Ib. (a cura di), The Military RevolutionDebate, cit., pp. 1-10.
secolo73. Più recentemente, a metà degli anni ‘80, le critiche hanno messo profondamente in
discussione la basi fondanti di questa chiave interpretativa: per esempio, il lavoro di David Parrott rappresenta un punto di partenza imprescindibile per rinnovare lo studio dei complessi fenomeni chiamati in causa dalla “Rivoluzione militare”74. Parrott metteva in guardia circa i
rischi insiti nel procedere da argomentazioni basate sulle riforme della tattica militare, perché dobbiamo essere consapevoli dello iato fra la teoria della guerra e come si combatterono concretamente le battaglie nella storia. Più che enfatizzare i fattori tattici e tecnologici, suggeriva di volgere lo sguardo all’influenza di fattori politici e logistici per spiegare l’incremento nel numero di soldati, nonché di considerare come la guerra fosse anche una questione di affari e di interessi, che in alcuni casi contrastavano anziché aiutare la formazione dello Stato centralizzato75. Thompson, invece, in un articolo sulla Spagna del XVI
e XVII secolo arrivava a due conclusioni rilevanti: in primo luogo, il grosso dell’aumento della spesa militare poteva essere attribuito al numero di persone impiegate nell’attività bellica, mentre erano molto meno importanti i cambiamenti legati all’adozione e alla diffusione delle armi da fuoco e della trace italienne. Inoltre, la pressione fiscale della guerra dell’Età Moderna non portò necessariamente a un ciclo di coercizione-estrazione76 in grado di
potenziare lo Stato centrale e l’efficienza del suo apparato burocratico; anzi, almeno nella Spagna del Cinque-Seicento, «the state, unable to develop a fiscal system capable of maintaining the necesary levels of military spending demanded by its strategic position, was driven to self-destructive financial expedients involving compromises with local power centers and the devolution and privatization of coercitive-extractive and military- administrative functions wich left the state with great theoretical authority but limited effective power»77. Tuttavia, anche queste critiche non hanno esaurito la fortuna del