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2 Al centro delle molteplici casse toscane: il ruolo della Depositeria generale

3.3 Sindaci e Soprassindaci: controllori delle finanze per conto del Granduca

Un altro aspetto da mettere a verifica riguarda i meccanismi di controllo sulla contabilità delle magistrature fiscali e finanziarie. Anche in questo caso, il giudizio tradizionale che troviamo nella letteratura è particolarmente severo. Prendiamo ancora una volta come esempio alcune considerazioni di Enrico Stumpo: «lo stesso controllo sulla contabilità pubblica era legato a fattori casuali. Non esistendo una Camera dei Conti, dove depositare, per gli ufficiali, al termine del proprio mandato tutte le scritture contabili, il controllo veniva effettuato, scegliendo alcuni uffici ogni anno o su indicazione del granduca, dall’ufficio dei Soprassindaci»118. L’analisi di Stumpo, pertanto, metteva in primo luogo in

risalto la mancanza di sistematicità nella verifica dei conti pubblici da parte delle autorità statali, carenza decisamente grave in un sistema connotato da una pluralità di casse per certi

116 Cfr. G. Baker, Sallustio Bandini. Con una nuova edizione del “Discorso sopra la Maremma di Siena, Olschki, Firenze, 1978. Per l’impatto dell’opera di Sallustio Bandini sulle politiche economiche rivolte a migliorare la condizione della Maremma cfr. F. Diaz, I Lorena in Toscana. La Reggenza, Utet, Torino, 1988, pp. 75-82. Per un’interpretazione della riflessione del Bandini come vera e propria apertura di una discussione economica nel Granducato cfr. T. Wahnbaek, Luxury and public happiness. Political economy in the Italian Enlightenment, Oxford Clarendon, Oxford, 2004, p. 96 e ss.

117J.-C. Waquet, Le Grand-Duché de Toscane, cit., p. 418.

versi indipendenti l’una dalle altre: l’inferenza conseguente a un quadro così delineato era abbastanza inevitabilmente quella di un sistema finanziario che sfuggiva alla direzione e al controllo dell’autorità governativa centrale. Alla luce di contributi più recenti nella letteratura sul tema119 e della natura di alcuni documenti che si possono reperire nell’archivio degli uffici

dei Soprassindaci e dei Sindaci – le magistrature preposte al controllo della contabilità delle casse – riteniamo che sia opportuno rivedere profondamente queste tesi.

L’Ufficio dei Soprassindaci era anch’esso una creatura dell’inizio del principato: creato da Cosimo I nel 1549, «il réunissait, à la fin du règen de Jean-Gaston, quatre “ragionieri” assistés par douze “aiuti” et dirigés par quatre “soprassindaci” dont un surnuméraire. Il coexistait avec un “Ufficio dei Sindaci del Monte” dont l’origine était plus ancienne et dont le personnel se composait, à la fin de l’époque médicéenne, de duex “sindaci” et de quelques “aiuti”»120. Questi due organismi assumevano funzioni per certi versi analoghe a una moderna

Corte dei Conti, avendo come compito primario quello di condurre un’accurata ispezione delle casse pubbliche. Nello specifico, i Sindaci erano incaricati di rivedere i conti di «tutti i camerlinghi sì della città come dello Stato che pagano il reliquato dell’entrate alla generale Depositeria»121. Erano, inoltre, sottomessi al loro controllo i libri del Monte del Sale e

dell’Opera del Duomo. I Soprassindaci, invece, avevano il compito di ispezionare la Depositeria generale stessa e una parte dei centri di spesa che dipendevano da essa: per esempio, la Banca militare, le Fortezze, la Casa Reale. Al tempo stesso controllavano altre casse, come lo Scrittoio delle Possessioni, che non entravano nella rete di casse legate alla Depositeria122. Questi controllori delle finanze erano investiti di una notevole autorità ed erano

direttamente sottoposti alle valutazioni del Granduca: il loro compito, infatti, terminava con una relazione sulle proprie operazioni indirizzata al sovrano, in attesa che quest’ultimo rispondesse con le proprie determinazioni. Il loro intervento era suddiviso in molteplici operazioni: in primo luogo, essi svolgevano un ricontrollo aritmetico della contabilità delle diverse casse pubbliche, a partire dalla revisione dei calcoli, la sistemazione dei conti e l’ispezione della liquidità effettiva presente dentro le casse. Molti storici hanno guardato con interesse alla documentazione relativa alle ispezioni di Sindaci e Soprassindaci, sia nell’ottica

119 Cfr. soprattutto J.-C. Waquet, Le Grand-Duché de Toscane sous les derniers Médicis, cit. 120 Ibidem, p. 422.

121 Memoria storica su Sindaci e Soprassindaci, 1738, in ASFi, Misc. Finanze, A, f. 142 122 Cfr. J.-C. Waquet, Le Grand-Duché de Toscane sous les derniers Médicis, cit., pp. 423 e ss.

di seguire lo sviluppo di una magistratura e della sua relativa entrata, sia con l’obiettivo di ricostruire un bilancio generale credibile dello Stato123

Abbiamo preso in esame il caso di alcune revisioni dei Sindaci sulla Depositeria generale fra la fine del XVII e i primi decenni del XVIII secolo124. Si tratta, senza dubbio, di

un materiale parziale: non abbiamo la pretesa di utilizzarlo per restituire a pieno i meccanismi di funzionamento dell’operato dei Sindaci e dei Soprassindaci. Tuttavia, questa filza presa in esame ci sembra particolarmente significativa, in quanto, da un alto, ci fornisce una serie – frammentaria, ma su un arco temporale lungo – di controlli effettuati sulla cassa della Depositeria generale (e abbiamo detto quanto questa cassa avesse acquisito sempre più centralità nel corso del principato mediceo); dall’altro, consente di prendere visione della precisione con cui veniva condotta non soltanto la verifica sul ristretto generale di entrate e uscite di una magistratura, ma anche sulla contabilità personale dei cassieri medesimi, aspetto che non ci sembra adeguatamente valorizzato nella letteratura. Cominciando dall’anno 1682, i rendiconti della Depositeria generale che vengono presi in esame riguardano il Bilancio della cassa della Depositeria generale a cura di Giovanni Battista Ubaldini cassiere della detta Depositeria così come il Bilancio di debitori e creditori del quaderno di cassa della Depositeria generale di S.A.R. tenuto dal sig. Giovanni Battista Ubaldini cassiera in detta Depositeria125. Da queste annotazioni notiamo come l’operato degli stessi cassieri finiva sotto

la lente degli impiegati delle magistrature del controllo contabile: fra i debitori della cassa risultava anche lo stesso Giovanni Battista Ubaldini, per quanto per una cifra tutto sommato contenuta126. Infatti, uno dei compiti dei Sindaci era quello di verificare il corretto operato dei

“computisti” e dei cassieri, senza dubbio con l’obiettivo di correggere i conti riguardanti le casse pubbliche, ma anche in relazione all’esigenza di saldare le situazioni creditorie o debitorie rimaste in sospeso. Nel 1721 il Bilancio fatto al sig. Orazio Maria Mancini cassiere di Depositeria generale in occasione di revisione fattasi da noi soprassindaci di S.A.R. questo

123 Da notare come lo stesso Stumpo si serve di questa documentazione: per ricavare un quadro delle entrate ordinarie del Granducato relative agli anni 1625-1650, si serve dei rendiconti dei Sindaci contenuti in ASFi, Sindaci e Soprassindaci, ff. 369-758, Bilanci delle entrate del Granducato, 1555-1834; cfr. E. Stumpo, Finanze e ragion di Stato nella prima Età moderna, cit., pp. 223-226.

124 Ci riferiamo ai documenti prodotti dall’Ufficio dei Sindaci e riuniti nella filza intitolata Depositeria generale in ASFi, Sindaci e Soprassindaci, f. 548. All’interno di questa si possono trovare alcuni frammenti della revisione dei conti della Depositeria generale per gli anni 1630, 1682, 1698, 1721, 1739, 1769.

125 Ibidem, c. 3.

126 125 scudi, mentre nella lista dei debitori spicca Andrea Ginori con due voci di debito, rispettivamente di 20.350 ducati in quanto maggiordomo della Casa Reale e di 4,815 ducati per conto della Guardia reale

dì 10 marzo 1721127 illustrava la situazione del cassiere in partita doppia fra “Dare” e “Avere”:

ne risultava che il cassiere restava creditore di 141 ducati nei confronti della stessa Depositeria generale e che tale somma andava saldata a beneficio del Mancini. Il bilancio era redatto da Niccolò dei Medici, Ragioniere dei Soprassindaci di S.A.R., e da Giuseppe Donati, Aiuto del Ragioniere dei Soprassindaci di S.A.R., ma al tempo stesso conteneva in calce l’approvazione dello stesso Orazio Mancini. Vi era, pertanto, una collaborazione stretta e necessaria tra il cassiere della principale cassa del molteplice sistema del Granducato, che metteva a disposizione i propri quaderni e libri contabili, e i Soprassindaci che per conto del sovrano effettuavano una revisione dei conti. Nel 1758 sarà, invece, direttamente il tesoriere della Depositeria generale, Domenico Martin, a richiedere al Granduca una revisione dei propri conti. Il momento era particolarmente propizio: Martin, «trovandosi presentemente con poco poco denaro in cassa talmente che ne è facilissima la contazione e desiderando all’incontro per quiete sua e della sua numerosa famiglia vedere una volta il saldo finale, supplica umilmente la somma clemenza di V.M.I. di ordinare ai sindaci suddetti che, fattasi una revisione straordinaria per tutto il dì 15 del corrente aprile, gli faccino all’incontro il domandato saldo»128. Leggiamo nelle parole del cassiere una certa volontà di sistemare i

propri conti e di potersi vedere riconosciuto quanto gli spettava, o quanto meno di sanare qualsiasi esborso rimasto in sospeso. Anche in questo caso i Sindaci effettuarono insieme al Martin la “contazione” del denaro effettivo ritrovato nella cassa della Depositeria generale e per la verifica della correttezza di ogni minuta operazione procedettero facendo ricorso a un confronto incrociato fra la documentazione contabile, le ricevute di pagamento e i ristretti generali di entrata ed uscita rintracciabili nell’amministrazione delle varie magistrature coinvolte. Il reperimento del materiale contabile su un arco temporale di diversi anni era certamente un’operazione che chiamava in causa un numero elevato di figure: Francesco Maria Berti in Livorno, che doveva ancora corrispondere alla Depositeria 85.114 lire toscane, Gaetano Prini in Pisa, anch’egli in difetto di 12.127 lire toscane, diversi camerlenghi di molteplici amministrazioni per comprendere le cause delle mancanze riscontrate nei cosiddetti “cartocci” di pagamento129. Si delinea una fitta rete di indagini e di ispezioni che conferma

ancora una volta l’importante autorità che sorreggeva l’operato di Sindaci e Soprassindaci.

127ASFi, Sindaci e Soprassindaci, f. 548, c. 69.

128Ibidem, “Revisione Depositeria generale dal 1744 al 1758, cc. n. nn. 129Cfr. Ibidem

Questo particolare caso si concludeva con un riscontro positivo e, ancora una volta, il riconoscimento di quanto dovuto al cassiere: scrivevano i Sindaci nella loro relazione dell’anno successivo al sovrano che Martin «fece di conto in quest’uffizio ogni anno» e che «nella contazione del denaro effettivo trovatosi in quella cassa vi sono comprese 2.073 l. 12 s. 8 d. di sopravanzo per di esse opera della di lui proprietà»; proponevano, pertanto, al Granduca che «ordinasse al Computista della Depositeria generale che facesse un mandato mediante il quale esso Martin si riprendesse la detta somma di 2.073 l. 12 s. 8 d. e la ponesse in uscita di conto nuovo et in debito alla cassa di conto vecchio»130. Una vicenda che trovò per

certi versi un finale positivo. Non sempre, però, questo esito era scontato. La relazione sui debitori e creditori della cassa della Depositeria generale del 1721 ci indica come le figure amministrative che si trovavano a maneggiare denaro potevano decidere di fare credito a sé stessi, spesso scritturando regolarmente tali operazioni, ma lanciandosi attraverso queste risorse in traffici legati ai propri interessi o in vere e proprie attività speculative. È il caso di Zanobi Paoli, direttore della Zecca ai tempi di Gian Gastone Medici: egli in diversi casi fece credito a società nelle quali aveva interessi e alle quali prestava così in maniera generosa il denaro del sovrano131. Altre volte, a causa di errori o di operazioni avventurose, la revisione di

Sindaci e Soprassindaci faceva emergere dei “vuoti di cassa” che venivano puntualmente segnalati al Granduca132: se, da un lato, era considerata un’eccezione alla normale gestione

non commerciare con le risorse provenienti dalla propria cassa, dall’altro, non era affatto prevista l’impunità per chi si rendeva colpevole della dissipazione del denaro delle casse pubbliche. Diverse disposizioni di legge prevedevano di punire severamente il crimine di “peculatu”133.

Ci siamo limitati a ricostruire alcuni casi di revisione dei conti da parte dei Sindaci e dei Soprassindaci sulla sola cassa della Depositeria generale. Tuttavia, ne ricaviamo un’immagine che esalta la capacità di controllo sulla molteplicità delle casse pubbliche del Granducato: questa supervisione capillare veniva effettuata da figure tecniche, capaci di districarsi nella complessa documentazione contabile delle varie amministrazioni fiscali facenti capo a

130ASFi, Sindaci e Soprassindaci, f. 548, “Revisione Depositeria generale dal 1744 al 1758, cc. n. nn.

131Cfr. J.-C. Waquet, La corruzione. Morale e potere a Firenze nel XVII e XVIII secolo, Mondadori, Milano, 1986, p. 93 e ss.

132Waquet ha ricostruito i “vuoti di cassa” lasciati dai contabili del Granduca sul lungo arco temporale che va dal 1618 al 1759, cfr. J.-C. Waquet, Le Grand-Duché de Toscane, cit., pp. 456-458.

molteplici casse pubbliche, ma operanti in nome e per conto del sovrano. Le loro relazioni erano rivolte esclusivamente al Granduca e le loro risoluzioni erano subordinate all’approvazione di quest’ultimo. La frammentazione delle casse pubbliche e la mancanza di una vera e propria tesoreria centrale erano due caratteristiche delle finanze pubbliche toscane. Questo, però, non ci deve portare a concludere frettolosamente che il sistema nel suo complesso risultasse indistricabile, fatalmente condizionato in negativo dalla dispersione delle risorse pubbliche e dall’impossibilità di esercitare un controllo complessivo sull’amministrazione finanziaria. Oltre al crescente ruolo che era stato ritagliato per la cassa della Depositeria generale e, di conseguenza, per la figura del Depositario generale, ci sembra interessante considerare la funzione sistemica che veniva esercitata dai Sindaci e Soprassindaci per conto del potere politico e dell’autorità centrale. La verifica sui conti era uno strumento che finiva nelle mani del Sovrano, consentendo due operazioni fondamentali: in primo luogo, come abbiamo visto, la correzione dei calcoli e il saldo delle situazioni rimaste in sospeso; inoltre, e per niente in subordine, la valutazione delle informazioni da parte delle strutture politiche di governo, che potevano analizzare i dati dei ristretti di entrata ed uscita delle varie magistrature opportunamente revisionati dai fidati controllori finanziari. Le cronache politiche di antico regime sottolineano spesso – sia nelle testimonianze coeve che nelle ricostruzioni storiografiche – l’importanza centrale della raccolta delle informazioni dal proprio territorio nell’ottica di assumere decisioni e programmare interventi. Possiamo dire che i Medici, con l’istituzione dei Soprassindaci e le nuove disposizioni per l’antica magistratura dei Sindaci, avevano dotato il proprio apparato amministrativo di uno strumento interessante per rispondere anche a questa esigenza.

In conclusione, il maggior peso politico del depositario generale e la funzione di controllo della liquidità esercitata dagli uffici dei Sindaci e dei Soprassindaci non rappresentano certo un radicale cambio di paradigma nell’evoluzione del principato mediceo. Ci forniscono, tuttavia, degli elementi su cui riflettere e che caratterizzarono l’intera parabola delle finanze toscane: a partire proprio dalla presenza di figure tecniche al centro dell’amministrazione con funzioni strategiche per coniugare gli obiettivi del sovrano e dei propri ministri con la concreta attività dei molteplici funzionari che maneggiavano denari pubblici, possiamo apprezzare degli strumenti di governo e indirizzo finanziario che fornivano una vasta gamma di informazioni e garantivano possibilità di intervento al potere

politico. Le testimonianze prese in esame confermano la necessità di una rivisitazione profonda delle tesi interpretative schiacciate sulla valutazione estremamente inefficiente, quando non illogica e irrazionale, dell’amministrazione fiscale medicea o sulla sua sudditanza totale agli interessi dei soggetti privati più potenti.

CAPITOLO IV

GLI ULTIMI MEDICI TRA DECADENZA, STABILITÀ E