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Capitolo 2 STRUMENTI DI APPLICAZIONE DELLA RS

2.4 Criticità e limiti della RS

Nel corso del tempo, la teoria e la pratica della responsabilità sociale d’impresa sono state oggetto di numerose critiche. Un primo giudizio critico si fonda sull’idea che l’impresa non dovrebbe avere alcuna responsabilità al di fuori della massimizzazione del profitto a vantaggio degli azionisti. Questa tesi, in realtà, è già stata affrontata quando, nell’occuparci dell’evoluzione storica del concetto di RSI, si è messo in evidenza, da un lato l’approccio alla creazione di valore per gli azionisti, dall’altro, quello della creazione di valore per tutti gli stakeholder. Nel capitolo 1 si è visto, infatti, come l’economista Milton Friedman, neghi ogni legittimità alla pretesa che le imprese debbano farsi carico di oneri sociali arrivando addirittura ad intravedere nella dottrina della RSI una grave minaccia al sistema capitalistico, così scrive: «Poche tendenze possono scardinare in maniera così totale i fondamenti stessi della nostra società libera, come l’accettazione, da parte dei dirigenti delle imprese, di una responsabilità sociale diversa dalla pura e semplice responsabilità di guadagnare la maggior quantità possibile di danaro per i loro azionisti»47. Tale argomentazione trarrebbe fondamento dall’idea che l’obiettivo della massimizzazione del profitto a vantaggio dei proprietari coincida con quello della massimizzazione del benessere sociale. L’autore sembra così sostenere la concezione secondo la quale l’attività imprenditoriale produce ricchezza per tutti, cioè per la società nel suo complesso, rifacendosi alla “mano invisibile”48 di Smith.

Le maggiori critiche, soprattutto in anni recenti, puntano sul fatto che la RSI rappresenterebbe per molte imprese unicamente una copertura di facciata, dietro la quale celare comportamenti irresponsabili che continuano immutati, ci troveremmo di fronte quindi a casi di utilizzo strumentale della RSI. Così, il riconoscimento dei potenziali vantaggi49 che la RSI può portare non solo alla società, ma anche alle stesse imprese, ha spinto gli autori più scettici ad indagare sulle reali intenzioni di coloro che difendono l’azienda come attore dotato di responsabilità nei confronti della società e ad affermare che, in molti casi, l’adeguamento a determinati canoni di responsabilità sociale viene attuato dalle imprese per pura convenienza opportunistica, senza reale

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Friedman, M., Capitalism and Freedom, op.cit.

48 Fondamentalmente secondo tale teoria nel libero mercato la ricerca egoistica del proprio interesse

gioverebbe alla soddisfazione dei bisogni dell'intera società consentendo di raggiungere una situazione di equilibrio fra domanda e offerta.

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convincimento morale, essendo magari pronti a cambiare strategie e tattiche aziendali quando esse non siano più ritenute convenienti. Come sostiene Gallino, «la RSI rappresenterebbe, ad esempio, un tramite per le aziende attraverso il quale far valere i propri interessi, utilizzando l’attuazione o la promessa di migliorie in campo sociale, etico o ambientale come mezzo di scambio»50. Vi sono imprese, infatti, che assolvono la responsabilità sociale solo perché obbligate dalle pressioni sociali esercitate nel contesto in cui operano o perché vedono nella RSI un importante strumento di marketing.

Quando le imprese allora si caratterizzano per un autentico orientamento alla RSI ? Nel momento in cui questo diviene un tratto essenziale della strategia d’impresa, quando se ne avverte la piena integrazione nel sistema di governo andando ad informare i comportamenti degli organi di vertice e poi, fluendo a cascata a tutti i livelli organizzativi in modo da caratterizzare l’espletamento dei processi operativi aziendali che ciclicamente si ripetono (approvvigionamento, produzione, distribuzione, vendita, …). Si può dire che la vera RSI è un orientamento strategico che porta le imprese a incorporare l’etica e la sostenibilità nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate, secondo un percorso strutturato, condiviso, coerente, tracciabile e comunicabile. Non può per questi motivi ridursi ad essere una sola filosofia d'impresa da assumere in breve tempo, da applicarsi temporaneamente, senza esser frutto di un disegno strategico alle spalle.

Se la RSI viene concepita come uno fra i tanti strumenti operativi a disposizione dell'impresa per raggiungere una migliore posizione competitiva, per giunta da adottare come risposta ad una crescente pressione ambientale e istituzionale, senza una forte convinzione alla base, rischia di tramutarsi in una mera routine organizzativa. Bisogna quindi escludere dal campo della RSI tutte quelle attività che servono solo a pubblicizzare l’immagine dell’impresa e a generare unicamente visibilità, ma sono del tutto svincolate dal core business aziendale; infatti, l’approccio superficiale alla RSI si limita a sedurre con discorsi accattivanti, improntati alla responsabilità, pone enfasi alle

50 Gallino, L., L’impresa irresponsabile, Einaudi, Torino, 2005. Nel testo, l’autore ritiene «irresponsabile

un’impresa che al di là degli elementari obblighi di legge suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica e privata, né all’opinione pubblica, in merito alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle sue attività».

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iniziative filantropiche, senza però attivare reali politiche di controllo degli effetti delle proprie azioni o di rispetto nei confronti dei diversi stakeholder. Un’impresa che fa beneficenza, per generare ammirazione nel pubblico ma che poi non adotta per esempio misure di sicurezza all’interno del suo stabilimento, non è etica né responsabile, i suoi comportamenti mascherano una realtà aziendale scorretta. Così, un’impresa che fa comunicazione esterna esaltando le sue performance ambientali solo per un ritorno d’immagine e senza applicare realmente politiche di rispetto dell’ambiente, non si può definire etica; anzi, il rischio è quello di fare un passo falso e cadere nella trappola del cosiddetto “greenwashing”.

Che cosa denota il “greenwashing”? Con questo termine si indicano quelle pratiche adottate dalle organizzazioni interessate ad acquisire una reputazione «verde», ossia ecologica, senza che vi corrisponda un modo di operare sostanzialmente diverso da quello degli altri concorrenti rispetto ai quali esse si vogliono differenziare. L’obiettivo di simili azioni consiste nel distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media dall’impatto ambientale negativo di alcune attività produttive. Il “greenwashing”, dunque, è quella strategia comunicativa che punta primariamente con un marketing ecologico di facciata a una modifica della reputazione aziendale senza però incidere realmente sulla sostenibilità ambientale dei processi produttivi adottati o dei prodotti realizzati. Anche se impropriamente, questa terminologia nata negli anni ’90, viene oggi utilizzata anche con riferimento ad altri aspetti della sostenibilità e della responsabilità sociale d’impresa, come il rispetto dei diritti dei lavoratori o la tutela dei consumatori.

Risulta quindi fondamentale prestare attenzione alla veridicità dei messaggi veicolati all’esterno, tanto più in una fase in cui la sensibilità verso le tematiche ambientali cresce fra i consumatori, i quali hanno a disposizione molteplici fonti informative per smascherare comportamenti fraudolenti da parte delle imprese. Occorre poi tener conto che il greenwashing genera sfiducia nei consumatori, danneggiando sia la credibilità della singola azienda che ha commesso l’errore ma facendo anche crescere il sospetto nei confronti delle altre imprese collegate o operanti nel medesimo settore.

A fronte dei pericoli accennati che il greenwashing può produrre per la credibilità delle imprese, è indispensabile che dietro la comunicazione ambientale ci

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siano valori, strategie e pratiche concrete e la diffusione di tali aspetti avvenga in maniera chiara e trasparente, dimostrabile con dati, certificazioni riconosciute da soggetti indipendenti.

Allo stesso modo, il Cause-related marketing deve essere attentamente valutato per qualificare l’impresa come responsabile nonostante questo strumento possa essere parte della strategia e rientrare nelle pratiche adottate da un'impresa. Quando si parla di Cause-related marketing, si fa riferimento all’insieme delle attività di marketing e comunicazione collegate a una causa di rilevanza sociale, da perseguire attraverso una partnership con un'organizzazione non profit51, finalizzate a modificare atteggiamenti e comportamenti di individui e gruppi sociali nei confronti dell’impresa e dei beni che produce. Se tale strumento venisse adottato con modalità estemporanee e limitate nel tempo, per rispondere ad una crisi d’immagine, certamente non sarebbe possibile giudicarlo come parte integrante della strategia aziendale in quanto slegato, estraneo all’identità e alla cultura aziendale.

Dunque, sulla base delle considerazioni fatte, è possibile dire che la RSI non può scadere a strumento utilizzabile in chiave meramente funzionale o trattata come una nuova funzione a prevalente carattere tecnico, bensì deve essere un modo innovativo di concepire l'impresa, dove i valori e i principi etici diventano le fondamenta, divengono parte del Dna aziendale e guidano il management nello sviluppo di strutture, processi e politiche che cambiano realmente il volto dell’impresa e il rapporto con gli stakeholder.