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CONCETTI FONDAMENTALI E GESTIONE DELLA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA Con un approfondimento sul caso di Ansaldo STS

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

CONCETTI FONDAMENTALI E GESTIONE DELLA

RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA

Con un approfondimento sul caso di Ansaldo STS

RELATORE:

Prof. Marco Giannini

CANDIDATO:

Alessandro Rizzo

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Indice:

Introduzione 4

Capitolo 1 - IL CONCETTO DI RSI NEL TEMPO

8

1.1 Teoria dello stockholder e piramide delle responsabilità 8

1.2 Teoria degli stakeholder e Business ethics 11

1.3 Sostenibilità e Libro Verde 15

1.4 Porter e la teoria del valore condiviso 19

Capitolo 2 - STRUMENTI DI APPLICAZIONE DELLA RSI

26

2.1 Il codice etico 27

2.2 Il bilancio sociale 30

2.2.1 La misurazione delle performance sociali 35

2.3 ISO 26000 38

2.4 Criticità e limiti della RSI 45

2.5 Approccio RSI: incentivi e benefici 48

2.6 RSI e performance economiche 51

Capitolo 3 - ASPETTI SPECIFICI DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE

E RELATIVI STRUMENTI

53

3.1 RSI e SSL (salute e sicurezza sul lavoro) 53

3.1.1 La sicurezza sul lavoro 55

3.1.2 Il Dlgs n.81/2008 56

3.2 Sistema di gestione della sicurezza sul lavoro 60

3.2.1 Linee guida UNI-INAIL 62

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3.3 Certificazione SA8000 68

3.4 Procedure ambientali (dlgs 152/2006) 72

3.5 I sistemi di gestione ambientale 73

3.5.1 La norma UNI EN ISO 14001 75

3.5.2 Il regolamento EMAS 80

3.5.3 Benefici e costi dei sistemi di gestione ambientale 84

3.6 Certificazioni ambientali di prodotto (cenni) 86

Capitolo 4 - DIFFUSIONE DELLA RSI IN ITALIA,

IL CASO ANSALDO STS

88

4.1 Mercato e strategia 94

4.2 Corporate governance 95

4.3 Codice etico 96

4.4 L’impegno per la sostenibilità 98

4.5 Analisi di materialità e stakeholder engagement 100

4.6 Performance sociali 104

4.7 Performance ambientali 107

4.8 Valore economico generato e distribuito 109

4.9 Comunicazione e coinvolgimento delle comunità 110

4.10 Obiettivi per il futuro 111

Conclusioni 112

Bibliografia 115

Sitografia 117

(4)

4

Introduzione

Il venir meno della fiducia in una crescita economica fine a se stessa, che non considera effetti negativi quali l’inquinamento e il cambiamento climatico, l’impoverimento delle risorse naturali, lo sfruttamento e la precarizzazione del lavoro, la divaricazione crescente fra aree ricche e aree sempre più povere, ha portato a considerare non più ammissibile la creazione di ricchezza da parte delle aziende ignorando il contesto socio-ambientale in cui sono inserite. Alla luce dei profondi mutamenti che caratterizzano l’attuale contesto economico, politico e sociale in cui le organizzazioni si trovano a operare, parlare oggi di Responsabilità Sociale d’Impresa significa affrontare un tema di rilevanza cruciale.

Se infatti, fino a cinquant'anni fa, era convinzione diffusa fra gli imprenditori che «the business of business is business», per richiamare la famosa espressione dell’economista Friedman (1970), secondo il quale, in altri termini, il fine unico dell'impresa sarebbe la creazione di valore per i suoi azionisti, oggi, l'imperativo del “profitto ad ogni costo”, a prescindere dai connessi effetti sociali e ambientali, si sta rivelando miope rispetto ai cambiamenti che attendono la società e le imprese. Oggi più che mai, le aziende sono giudicate sulla base dei loro comportamenti etici, sociali e ambientali, oltre che economici. Per questo motivo, molti manager, soprattutto di grandi aziende, hanno imboccato volontariamente la strada della responsabilità sociale, allargando i fini strategici dell'impresa a considerazioni di tipo ambientale e sociale e includendo negli obiettivi aziendali la soddisfazione di tutti gli interlocutori. Questi modelli di gestione innovativi sono stati accompagnati dall'adozione di nuove strategie di comunicazione, meno superficiali, più legate alla capacità di aprire un dialogo vero con i soggetti portatori di interessi allo scopo di soddisfare i bisogni e le attese di etica, socialità, solidarietà, rispetto dell’ambiente.

Le organizzazioni economiche di ogni tipo, in virtù della funzione centrale che rivestono nella società, hanno un ruolo importante nel mantenimento di uno sviluppo sostenibile, cioè nella capacità di soddisfare i bisogni della generazione attuale senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Sempre più spesso ci si interroga su come possano le aziende contribuire ad un sano sviluppo dell’economia e della società mettendo in atto migliori politiche di gestione volte alla

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5

tutela dell’ambiente e al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Sviluppo sostenibile e gestione responsabile sono ad oggi obiettivi di fondo di una sana gestione aziendale, che impongono alle imprese di rivedere le proprie azioni e i rapporti con gli innumerevoli stakeholder. L’insieme delle preoccupazioni di natura etica, circa il rapporto con la società e l’ambiente, viene identificato nella letteratura con il nome di “Responsabilità Sociale d’Impresa” (RSI o Corporate Social Responsibility, CSR). Si tratta di un concetto sul quale le aziende sono sempre più chiamate a riporre la loro attenzione e a sviluppare una propria politica in merito. Presupposto di fondo della RSI è il concetto di accountability, ovvero la capacità di rendicontare e comunicare in modo completo e trasparente il proprio impegno sociale alla vasta platea di stakeholder. In quest’ottica diventa fondamentale la misurazione delle performance anche in ambiti diversi da quelli tipicamente economico-finanziari. Con la consapevolezza quindi che l’attività d’impresa produce risultati che la contabilità tradizionale non riesce ad evidenziare, diventa importante misurare e rendicontare sistematicamente le performance sociali e ambientali congiuntamente a quelle tradizionali di tipo economico-finanziario.

Pertanto, lo scopo di questo elaborato è valorizzare il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa, non come mero strumento di filantropia aziendale ma come risorsa di valore per l’azienda e come un investimento capace di produrre benefici sia per l’impresa che per la comunità. In quest’ottica verrà sostenuta l’importanza della misurazione delle performance socio-ambientali e della loro rendicontazione all’esterno. L’idea di fondo è che le aziende sono oggi sistemi sempre più complessi capaci di produrre dinamiche complesse che non sempre possono essere riassunte dal bilancio economico-finanziario.

Nel primo capitolo si presenta il concetto di Responsabilità Sociale di Impresa, il suo sviluppo nella letteratura a partire dalla metà del secolo scorso, fino ad arrivare agli studi più recenti, il Libro Verde della Commissione Europea e la teoria del valore condiviso di Porter. Nel secondo capitolo, vengono illustrati i principali strumenti di applicazione e di comunicazione della RSI a livello generale a disposizione delle organizzazioni. Sono trattate quindi alcune delle principali critiche che vengono rivolte al concetto di RSI, pertanto in quali termini deve, nelle imprese, costruirsi l’impegno per la sostenibilità per non scadere in azioni strumentali di mera comunicazione esterna

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6

di breve periodo (vedi il cd greenwashing). Vengono poi esposti i fattori che hanno portato negli ultimi anni sempre più imprese ad avvicinarsi ad una strategia di RSI e i numerosi benefici, talvolta aventi una correlazione economica positiva, connessi all’implementazione di una strategia di questo tipo.

Nel capitolo 3, nell’ambito dei diversi aspetti della responsabilità sociale ci si soffermerà in modo particolare su due temi, prima la salute e sicurezza sul lavoro e poi l’ambiente, rispetto ai quali vengono presentati gli strumenti tecnici che possono essere adoperati nel concreto per dimostrare e certificare l’impegno in tali campi. La scelta di porre un’attenzione particolare ai temi della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro e nel territorio circostante in cui le imprese operano è dettata dalla grande preoccupazione e sensibilità del mondo del lavoro e delle comunità territoriali su questi temi (vedi ad esempio il caso ILVA di Taranto). La ricerca del profitto ad ogni costo e a breve termine, gli effetti delle politiche di deregulation attuate dagli stati per sostenere sviluppo e competitività delle imprese o per attrarre capitali hanno prodotto effetti negativi o talvolta disastrosi suscitando le proteste dei lavoratori e dei cittadini. Per quanto riguarda l’ambiente, invece, è evidente come presso l’opinione pubblica sia crescente la sensibilità e la preoccupazione di fronte al cambiamento climatico in atto, allo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali, all’inquinamento ambientale e alla deturpazione del paesaggio. Si tratta di fenomeni che necessariamente sono riconducibili ad un certo tipo di sviluppo ormai non più sostenibile e rispetto a cui però le organizzazioni (assieme a nuove politiche pubbliche) possono fare molto per invertire la tendenza. L’impegno nel campo della sostenibilità ambientale richiede cioè di ripensare la strategia, di investire in nuove tecnologie di riduzione dell’impatto ambientale dei processi produttivi, per realizzare prodotti di qualità, ecocompatibili da cui si possano cogliere vantaggi in termini di reputazione e apertura a nuovi mercati.

Infine, dopo aver presentato alcuni dati di un rapporto sull’impegno sociale delle imprese in Italia, nel quarto capitolo si dà conto di una specifica e storica realtà aziendale, quella di Ansaldo STS, operante nel settore del trasporto ferroviario, presa in considerazione quale esempio ammirevole di impresa profit che si impegna nell'ambito della RSI, per mostrare come operativamente un’azienda si orienta e si collega alla responsabilità sociale e sviluppa un piano di azione coerente. L'adozione di un modello di business sostenibile fa emergere un orientamento strategico che segna quest'azienda e

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7

che la porta ad agire ponendo estrema attenzione all'adeguata conciliazione tra gli aspetti economici, ambientali e sociali dei quali vengono riportate le principali performance ottenute nel corso del 2017. Le azioni di sostenibilità intraprese da Ansaldo STS spaziano su molte tematiche, dalla salvaguardia dell’ambiente al rispetto delle condizioni di lavoro, alla gestione dei rapporti con i fornitori, fino al legame dell’azienda ai territori in cui realizza le opere.

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8

Capitolo 1 - IL CONCETTO DI RSI NEL TEMPO

Che cos’è la Responsabilità Sociale d’Impresa (nella letteratura anglosassone Corporate Social Responsibility - CSR)? Trovare una definizione accettata all'unanimità, univoca ed esaustiva, dopo anni di intense ricerche, non è compito semplice; comunemente si afferma che un'impresa è socialmente responsabile se è consapevole dell'influenza che esercita nella società e mette quindi in atto comportamenti adeguati per rispondere alle attese di rispetto dell’ambiente, di sicurezza e benessere dei lavoratori, dei consumatori e in generale dell’intera collettività. I presupposti sociali, economici e culturali del concetto sono stati ampiamente esaminati negli anni e il ricco insieme di contributi di ricerca teorica ed empirica hanno reso questo argomento un complesso campo di indagine e di riflessione, in continuo aggiornamento.

La maggior parte della letteratura accademica e manageriale è stata prodotta nel XX secolo, in particolare negli Stati Uniti, via via che emergono le idee sui doveri delle imprese verso la società. L’analisi che segue, senza la pretesa di ripercorrere in modo completo e approfondito tutti i contributi sul tema, è un breve excursus storico finalizzato ad inquadrare il concetto di Responsabilità sociale d’impresa (d’ora in avanti RSI) e il suo sviluppo nel tempo attraverso i pensieri più significativi su cui poi si fondano tutti i successivi dibattiti. Un particolare approfondimento verrà dedicato agli studi più recenti.

1.1 Teoria dello stockholder e piramide delle responsabilità

Tra gli anni ’30 e gli anni ’50 iniziano a fiorire negli Stati Uniti scuole di pensiero che attribuiscono ai manager obblighi sociali che vanno al di là della mera realizzazione di un profitto legata alla produzione di beni o alla fornitura di servizi. Bowen parla di responsabilità sociale come il «dovere degli uomini d’affari di

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9

perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni, di seguire quelle linee di azione che sono desiderabili in funzione degli obiettivi e dei valori riconosciuti dalla società»1. Tuttavia, da queste parole si capisce che la riflessione non è ancora matura, perché il riferimento è solo ad una responsabilità personale del dirigente e non a quella dell’impresa stessa. Già in questo primo approccio comunque sono presenti i germi di ciò che diventerà questo concetto, proprio perché si comincia ad intravedere un nuovo modo di concepire l’impresa, non più solo come un’organizzazione richiusa su se stessa e votata esclusivamente al profitto, ma come un’entità capace di incidere, più o meno direttamente, su numerosi altri aspetti della realtà in cui si inserisce.

Il decennio 1960-1970 vede delinearsi due posizioni contrapposte: quella di Friedman, fautore della massimizzazione del profitto quale unico dovere dei businessman e dell’impresa, e quella di Davis, Freederick e McGuire che riconoscono responsabilità più ampie oltre a quelle economico-legali senza però indicare chiaramente quali esse siano. Friedman, premio Nobel dell’economia, è autore della teoria dello stockholder che sostiene che la funzione sociale dell’impresa è unicamente quella di massimizzare il profitto degli azionisti2 e pertanto il management deve agire nell’esclusivo interesse di tali soggetti. Egli infatti scrive: «ha guadagnato sempre più terreno nell’opinione pubblica l’idea che i dirigenti delle aziende abbiano una responsabilità sociale che va ben oltre la mera responsabilità e abilità funzionale della difesa degli interessi dei loro azionisti (…). L’imprenditore ha una ed una sola responsabilità sociale: quella di usare le risorse a sua disposizione e di impegnarsi in attività dirette ad accrescere i profitti sempre con l’ovvio presupposto del rispetto delle regole del gioco, vale a dire dell’obbligo ad impegnarsi in un’aperta e libera competizione, senza inganno e senza frode»3. In sostanza Friedman ritiene che, nelle sue funzioni di dirigente aziendale, il manager è l’agente4

degli azionisti che possiedono l’impresa e la sua responsabilità primaria è nei loro confronti, di conseguenza ha una sola e unica responsabilità sociale, massimizzare gli utili a vantaggio degli azionisti.

1

Bowen, H.R., Social Responsibilities of the Businessman, Harper & Row, New York, 1953

2 Friedman, M., Capitalism and Freedom, University of Chicago Press, Chicago, 1962 3

Friedman, M., The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, in New York Times Magazine, 1970

4 Secondo il punto di vista dei teorici dell’agenzia i manager, in quanto agenti degli azionisti, hanno una

responsabilità particolare (fiduciaria) nei loro confronti: il dovere morale e legale di agire esclusivamente nei loro interessi. La teoria dell’agenzia rappresenta una delle più acclamate e utilizzate posizioni teoriche per criticare e contestare le pratiche di responsabilità sociale dell’impresa.

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10

Nel 1963, in reazione alla teoria dello stockholder proposta da Friedman e riconoscendo l’importanza di una molteplicità di soggetti nello sviluppo dell’attività di impresa, lo Stanford Research Institute teorizza per la prima volta il concetto di

stakeholder, ossia di quel soggetto avente un interesse diretto nella vita dell’impresa,

quale l’azionista, il dipendente, il cliente o il fornitore.

Particolarmente illuminante, perché fondamento dei successivi approfondimenti sul tema, alla fine degli anni ’70 è il pensiero di A.B. Carroll5

che crea una sorta di piramide delle responsabilità che le imprese dovrebbero considerare nella definizione dei propri comportamenti e nel perseguimento dei propri obiettivi. Alla base della piramide vengono poste le responsabilità di tipo economico, ineludibili, consistenti nella creazione di valore per coloro che hanno investito nell’impresa - è indispensabile remunerare gli azionisti se l’impresa vuole sopravvivere – e nell’offerta efficiente di beni e servizi per il mercato; subito dopo troviamo le responsabilità legali relative al rispetto delle normative. Al gradino superiore si collocano invece le responsabilità etiche legate ai valori e al senso di equità, giustizia e imparzialità dell’impresa, declinabili in modo diverso a seconda del contesto nel quale l’impresa opera e riguardanti tutte quelle attività e pratiche che la società si aspetta o che proibisce, anche se non sono state ancora codificate in leggi. Infine, al vertice della piramide abbiamo le responsabilità di natura filantropica (o discrezionale) che possono trovare manifestazione in elargizioni, investimenti nella comunità e si fondano sull’idea che l’azienda è equiparata a qualsiasi altro cittadino ed è perciò chiamata ad impegnarsi attivamente nel fornire un contributo per il miglioramento della qualità della vita collettiva. Se le responsabilità etiche sono oggetto generalmente di attese e aspettative che si formano nella comunità di riferimento, invece, quelle filantropiche sono dipendenti dalle scelte volontarie delle singole imprese, senza che vi siano aspettative a riguardo. L’autore del modello sottolinea che i quattro livelli non devono essere considerati reciprocamente esclusivi, anzi le diverse responsabilità devono essere adempiute simultaneamente.

5

Carroll, A.B., A Three-Dimensional Conceptual Model of Corporate Performance, in Academy of Management Review, 1979

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11 Figura 1, Piramide di Carroll, fonte: A.B. CARROLL, The Pyramid of Corporate Social Responsibility:

Toward the Moral, Business Horizons, 1991

1.2 Teoria degli stakeholder e Business ethics

Dal contributo di Carroll, si sviluppano negli anni successivi nuovi filoni di ricerca che costituiranno il fondamento dell’attuale dibattito. In particolare la Teoria degli stakeholder, opera dell’americano R.E. Freeman, risalente ai primi anni ’80 che nel testo Strategic management. A Stakeholder Approach identica gli stakeholder come «gruppi o soggetti che sono influenzati o possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi d'impresa»6. Con Freeman tutti i “portatori di interessi” acquisiscono dignità, diventando soggetti attivi che si relazionano con l’impresa e influiscono sul suo agire. Freeman, dopo aver definito cosa si deve intendere per stakeholder, sottolinea che un’organizzazione nello svolgimento delle proprie funzioni è tenuta a rispondere a tutti gli stakeholder, e quindi alle diverse categorie di soggetti coinvolti, e non solo agli “stockholder/shareholder”, termini con i quali si identificano esclusivamente gli azionisti. Egli suggerisce che l’impresa debba tenere in considerazione le diverse esigenze di tutte le parti coinvolte per poter meglio coordinare l’attività imprenditoriale; la gestione di queste relazioni diviene un’opzione strategica per il management dell’organizzazione stessa che, solo considerando i differenti stakeholder, potrà perfettamente svilupparsi nel proprio contesto storico-sociale di riferimento.

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12

E’ possibile distinguere7

tra stakeholder primari, che sono tutti quei soggetti da cui dipende la sopravvivenza stessa dell’impresa (gli azionisti o shareholder in primis, ma anche i dipendenti, i clienti e i fornitori) in grado di esercitare una pressione maggiore e più diretta sull’attività aziendale, e secondari, tutti coloro che, in senso più ampio, possono influenzare o essere influenzati dall’attività dell’organizzazione (vi rientrano quindi le istituzioni, la comunità locale, le associazioni di impresa, i sindacati...), non indispensabili ma capaci di incidere sul clima sociale delle relazioni aziendali. Più di recente il ruolo degli stakeholder è stato ulteriormente esteso, fino a comprendere anche quei soggetti solo potenzialmente interessati dall’operato dell’azienda, vale a dire le generazioni future. Secondo tale teoria tutti questi portatori di interesse acquisiscono un ruolo attivo nel processo di creazione di valore da parte dell’impresa e non si limitano a subire le conseguenze dell’operato dell’impresa stessa.

Possiamo quindi dire che la teoria degli stakeholder integra gli obiettivi aziendali con le diverse istanze provenienti dai diversi interlocutori sociali, portando le imprese ad assumere decisioni che rispecchiano le aspettative degli stessi, questo perché ogni stakeholder contribuisce, anche se in modalità diverse al successo aziendale: chi attraverso l’apporto di risorse finanziarie, chi fornendo le proprie conoscenze e competenze professionali, ecc, ; in tal modo, ognuno di loro sviluppa una pretesa a ricevere un’adeguata remunerazione del proprio investimento. Dunque, con questa teoria, alla massimizzazione del profitto, si affianca il concetto di creazione del valore che coinvolge e considera tutti i gruppi di soggetti che entrano in contatto con l’impresa, sviluppando così una maggiore sensibilità nei confronti delle loro esigenze ed aspettative.

7

Clarkson, M.B.E., A Stakeholder Framework for Analysing and evaluating Corporate Social Performance, in Academy of Management Review, 1995

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13 Figura 2, La relazione impresa-stakeholder

Parallelo al pensiero di Freeman, è il filone di studi che si sviluppa sempre negli Stati Uniti e prende il nome di Business ethics (in Italia Etica degli affari). Esso, a differenza dei precedenti, si concentra sul versante morale, ponendo al centro i valori etici che devono fondare i comportamenti delle imprese. In Italia il contributo più consistente a questa disciplina è stato quello fornito da Lorenzo Sacconi che definisce l’etica degli affari come «lo studio dell’insieme dei principi, dei valori e delle norme etiche che regolano (o dovrebbero regolare) le attività economiche più variamente intese»8. Etica e responsabilità sociale d’impresa sono due concetti strettamente interconnessi tra loro. Rusconi definisce la RSI un “dover essere” che inevitabilmente rimanda a norme etiche9. Molti degli interrogativi che sono stati sollevati nell’ambito della letteratura sull’etica degli affari hanno riguardato a chi debbano essere ascritte le responsabilità morali. A tal proposito, sempre Sacconi distingue tre livelli di applicazione dell’etica applicata al mondo dell’economia10

: il livello macro, in cui l’etica viene applicata per valutare moralmente il comportamento delle principali istituzioni economiche della società (stato e mercato), al fine di creare un migliore sistema economico; quello meso, nel quale sono le imprese ad essere oggetto di

8 Sacconi, L., Etica degli affari, in Sacconi, L. (a cura di), Guida critica alla responsabilità sociale e al governo dell’impresa, Bancaria Editrice, Roma, 2005, p. 257

9

Rusconi, G., Il bilancio sociale: economia, etica e responsabilità dell’impresa, Ediesse, Roma, 2006

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14

valutazione morale; infine, il livello micro, che esamina la condotta dei singoli manager nelle organizzazioni economiche.

Se pensiamo al fatto che molte imprese fanno sempre maggiore ricorso a strategie decisionali miopi e speculative, all’utilizzo di forme di retribuzione e incentivazione legate a risultati di breve periodo, per non parlare dell’estensione progressiva dei conflitti di interesse, è difficile negare che in queste aziende si presenta un grave deficit morale ed etico. Questo anche perché, va detto, le regole degli affari non sempre coincidono con quelle della morale, anzi spesso le contraddicono. Sul tema quindi esistono posizioni contrapposte: quelle di chi, da un lato, mette in discussione l’etica degli affari e, dall’altro, quelle degli autori che sostengono che l’etica dovrebbe rappresentare un importante criterio di guida nelle decisioni e nei comportamenti individuali e aziendali. Se, da una parte, l’etica sembra essere una delle soluzioni ai comportamenti irresponsabili ed antisociali adottati dalle imprese, dall’altro vi è però il rischio che la business ethics rimanga solamente un discorso di facciata. Come si vedrà meglio nel capitolo successivo, il fatto che un’impresa si doti ad esempio di un codice etico, non garantisce di per sé l’effettiva diffusione di principi etici all’interno dell’organizzazione aziendale, a maggior ragione dal momento in cui il mancato rispetto dei codici etici non è giuridicamente sanzionabile. L’argomento dunque non è esente da problematiche.

Una delle posizioni più critiche sull’etica degli affari è quella di Rossi. Egli sostiene che «fino a prova del contrario, l’etica riguarda la coscienza individuale, e non si vede dunque come il mondo degli affari abbia o possa avere nei comportamenti che lo caratterizzano priorità istituzionali di valore etico, a meno che per etica non si intenda, come abbiamo visto più volte accadere nella storia, il mero conseguimento del profitto. Ovviamente, ai principi e ai valori generali dell’etica si può (e si dovrebbe ispirare), sul piano individuale, chi opera negli affari. Ma questa banale constatazione, portata alle estreme conseguenze, rende l’espressione “etica degli affari” vacua»11. L’autore

sostiene che «alla comunità degli affari servono norme e sanzioni giuridiche, non valutazioni morali» in quanto solo «la certezza del diritto e dell’applicazione delle sue

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15

sanzioni costituisce la garanzia di una conduzione corretta degli affari»12. Si tratta di una posizione condivisibile, anche se appare difficile sostituire il diritto all’etica.

1.3 Sostenibilità e Libro Verde

A partire dagli anni ’90, il dibattito sulla RSI viene legato ad un nuovo concetto che stava acquisendo sempre più rilevanza ovvero la sostenibilità, quando viene presa coscienza in modo particolare degli effetti negativi che il modello di produzione di stampo capitalistico produce sull’ambiente in termini di distruzione delle risorse naturali. La definizione più diffusa di sostenibilità, è quella introdotta dal rapporto ONU redatto dalla Commissione Brundtland nel 1987. In tale Rapporto, infatti, la sostenibilità è definita come “la capacità di soddisfare le esigenze delle generazioni attuali senza

compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”13.

L’elemento centrale di tale definizione è la necessità di assicurare una equità di tipo intergenerazionale. A riguardo, il rapporto aggiunge che lo sviluppo è sostenibile se tiene conto degli effetti sociali e ambientali, oltre che di quelli meramente economici, identificando così una triplice dimensione della sostenibilità oggi riconosciuta come

Triple Bottom Line14. Le tre dimensioni, inscindibili, della sostenibilità sono le seguenti: -sostenibilità ambientale: intesa come capacità di mantenere qualità e riproducibilità delle risorse naturali;

-sostenibilità sociale: intesa come capacità di garantire condizioni di benessere umano (sicurezza, salute, istruzione, democrazia, partecipazione, giustizia) equamente distribuite per classi e genere;

-sostenibilità economica: intesa come capacità di generare reddito e lavoro per il sostentamento della popolazione.

La figura ci mostra come lo sviluppo sostenibile di un’azienda venga raggiunto perseguendo contemporaneamente i tre valori fondamentali, valore economico, valore ambientale e valore sociale. In questo contesto, le politiche di RSI assumono così il ruolo di strumenti per raggiungere l’equilibrio tra le tre dimensioni.

12 Ivi 13

Rapporto di Brundtland, Our Common Future, WCED, Nazioni Unite, 1987

14

Si tornerà sull’argomento nel capitolo successivo a proposito di Bilancio sociale e misurazione delle performance economiche, sociali ed ambientali

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16 Figura 3, Le dimensioni della sostenibilità

Tra i diversi contributi del nuovo millennio, questa volta in ambito europeo, uno dei più importanti, che si colloca nel solco del concetto di sostenibilità appena illustrato, sul quale riflettere, è certamente dato dal Libro Verde intitolato “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” (2001), documento scritto dalla Commissione Europea in cui si precisa cosa si deve intendere per RSI:

“Il concetto di responsabilità sociale delle imprese significa essenzialmente che esse decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e rendere più pulito l’ambiente. […]

L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.

[…]

Essendo esse stesse confrontate, nel quadro della mondializzazione, e in particolare del mercato interno, alle sfide poste da un ambiente in trasformazione, le imprese sono sempre più consapevoli del fatto che la responsabilità sociale può rivestire un valore economico diretto. Anche se la loro responsabilità principale è quella di generare profitti, le imprese possono al tempo stesso contribuire ad obiettivi sociali e alla tutela dell’ambiente, integrando la responsabilità sociale come investimento

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17

strategico nel quadro della propria strategia commerciale, nei loro strumenti di gestione e nelle loro operazioni.”15

Da queste parole, si può comprendere come le imprese devono rendersi protagoniste di una trasformazione, che implica un nuovo paradigma economico-culturale, all’interno di una società (anch’essa in trasformazione), dove la crescita economica deve procedere congiuntamente al benessere, alla coesione sociale, al rispetto e alla tutela dell’ambiente circostante. La responsabilità sociale non va ritenuta come un sostituto della legislazione, bensì intesa come un contributo spontaneo delle imprese allo sviluppo della società; le caratteristiche principali della RSI si ritrovano, pertanto, sempre secondo la Commissione europea, nell’andare al di là delle normative adottando volontariamente e liberamente comportamenti, pratiche socialmente responsabili e nel tener conto delle ripercussioni economiche, sociali ed ambientali dell’operato dell’azienda. Così facendo, l’impresa esce dai suoi confini tradizionali per affermarsi come attore sociale e non più esclusivamente come attore economico, offrendo il proprio apporto al benessere della collettività. Dunque, nasce la consapevolezza che il valore creato da un’impresa non può più solamente misurarsi sulla base di criteri economici tesi alla massimizzazione del profitto, ma necessita di un’integrazione con gli aspetti ambientali e sociali.

Dopo dieci anni la Commissione europea con la Comunicazione del 25 ottobre 2011 riesamina la nozione espressa nel Libro Verde ritenendo che affrontare il tema della responsabilità sociale delle imprese è nell’interesse delle imprese nonché nell’interesse dell’intera società. Si scrive infatti: “Facendo fronte alle proprie

responsabilità sociali le imprese creano nel lungo termine fiducia tra i lavoratori, i consumi e i cittadini quale base per modelli di imprenditoria sostenibile. Elevati livelli di fiducia contribuiscono a loro volta a determinare un contesto in cui le imprese possono innovare e crescere”16

. I benefici per le imprese, mediante un approccio

strategico alla RSI, si possono rivelare, viene poi scritto, in termini di gestione del

15

Commissione della Comunità Europea, Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la

responsabilità sociale delle imprese”, COM (2001)366, luglio 2001

16 Commissione delle Comunità Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni. Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-2014 in materia di responsabilità sociale delle imprese, COM(2011) 681,

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rischio, riduzione dei costi, accesso al capitale, relazioni con i clienti, gestione delle risorse umane e capacità di innovazione, sviluppo di nuovi mercati e creazione di nuove opportunità di crescita.

La Commissione propone quindi una nuova definizione di RSI come

"responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società" e ancora “Per soddisfare pienamente la loro responsabilità sociale, le imprese devono avere in atto un processo per integrare le questioni sociali, ambientali, etiche, i diritti umani e le sollecitazioni dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di base in stretta collaborazione con i rispettivi interlocutori, con l'obiettivo di:

– fare tutto il possibile per creare un valore condiviso tra i loro proprietari /azionisti e gli altri soggetti interessati e la società in generale;

– identificare, prevenire e mitigare i loro possibili effetti avversi.”

Si comprende come venga sottolineata, in misura maggiore rispetto alla definizione contenuta nel Libro Verde, la tensione dell’impresa a soddisfare sempre più le aspettative degli innumerevoli stakeholder interni ed esterni al fine di favorire la cooperazione per la creazione ed un’equa distribuzione del valore e per contenere effetti negativi sugli stakeholder stessi.

Dalle definizioni proposte dalla Commissione europea, sostanzialmente si possono individuare tre elementi attorno ai quali ruota e si sviluppa il concetto di RSI:

 la volontarietà delle iniziative: non esiste alcun vincolo normativo che impone alle imprese di impegnarsi in modo trasparente e responsabile nell’adozione di iniziative e comportamenti non richiesti giuridicamente;

 l’approccio Triple Bottom Line, con cui si sottolinea l’importanza della triplice

dimensione della sostenibilità;

 il coinvolgimento di tutti gli stakeholder rilevanti per l’impresa: la RSI è concepita come un insieme di politiche e programmi che vengono integrati in tutte le operazioni economiche e processi decisionali, coinvolgendo i soggetti che a vario titolo sono interessati all’attività dell’impresa.

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1.4 Porter e la teoria del valore condiviso

Nel 2006 l’economista statunitense Michael Porter (insieme a Mark Kramer) pubblica, sulla rivista Harvard Business Review, l’articolo “Strategy and Society. The

Link between Competitive advantage and Corporate Social Responsibility”. In questo

lavoro, l’autore pur riconoscendo che molte aziende si stanno impegnando per migliorare l’impatto ambientale e sociale delle loro attività, osserva che gli approcci utilizzati risultano spesso frammentati e scollegati dalla strategia di business con la conseguente perdita di opportunità migliori. Scrive, infatti, «Se invece le imprese analizzassero le opportunità che hanno a disposizione nell’ambito della responsabilità sociale, basandosi sugli stessi schemi che governano le scelte legate al loro core business, scoprirebbero che la RSI può essere molto più di un costo, di una costrizione o di un gesto caritatevole; può essere una fonte di opportunità, di innovazione e di vantaggio competitivo»17. Un altro comportamento che osserva Porter nelle imprese riguarda il fatto che l’attenzione alla RSI spesso non viene riconosciuta in maniera volontaria ma a causa di scandali che colpendo alcune grandi aziende fanno salire l’interesse verso la tematica; le conseguenze sono rappresentate da reazioni difensive a breve termine da parte delle organizzazioni, che hanno l’unico scopo di mitigare la disapprovazione dell’opinione pubblica ma non creano nessun beneficio strategico per il business.

Questa visione della RSI, è quindi ben lontana da quella di Porter, il quale ritiene che aziende e società sono interdipendenti tra di loro e che questa relazione non avvenga come un “gioco a somma zero” ma che rappresenti, per le aziende, una fonte di opportunità per la creazione di un vantaggio competitivo, mentre, per la società, una fonte di grande progresso sociale. L’autore spiega come «Le grandi imprese di successo hanno bisogno di una società sana (…) allo stesso tempo, una società sana ha bisogno di imprese di successo»18. E ancora, «La dipendenza reciproca che intercorre fra le aziende e la società implica che le decisioni di business e le politiche sociali debbano seguire entrambe il principio del valore condiviso. Ovvero, le scelte fatte devono arrecare

17

Porter, M.E, Kramer, M.R., Strategy and Society. The Link between Competitive advantage and

Corporate Social Responsibility, Harvard Business Review, Dicembre 2006 18 Ivi

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beneficio a entrambe le parti»19. Istruzione, sanità, prodotti sicuri, condizioni di lavoro favorevoli, pari opportunità, utilizzo efficiente delle materie prime, rispetto delle risorse naturali del territorio, un buon governo sono tutti indici di una società sana da cui il business di un’azienda non può che trarre benefici.

Secondo la prima forma di interdipendenza, in cui è l’azienda a influenzare la società, Porter propone un modello (legami interno-esterno) per «identificare tutti gli effetti, positivi e negativi, che le aziende hanno sulla società, determinare quelli che meritano un loro intervento e individuare un modo efficace per intervenire»20. Secondo l’autore la relazione tra impresa e società viene così rappresentata: le imprese, per avviare il loro processo produttivo, assorbono risorse economiche, sociali e ambientali dal territorio in cui operano. Alla fine di questo processo l’azienda restituisce valore economico, sociale e ambientale al territorio. Il processo infine ricomincia con un nuovo prelievo di risorse. Se l’azienda, con il proprio processo produttivo, restituisce al territorio più risorse di quelle che ha prelevato allora avrà creato un cosiddetto valore aggiunto. Questo valore andrà a beneficio del territorio e delle aziende che avranno così a disposizione maggiori risorse per un nuovo processo produttivo. L’analisi delle risorse assorbite e del valore aggiunto generato permette alle imprese di identificare i propri impatti sul territorio e individuare le aree d’intervento che presentano maggior valore strategico e maggior beneficio per impresa e società.

Questo modello non è altro che una rivisitazione della catena del valore che Porter aveva già elaborato nel 1985 ma che, applicata alla RSI, si trasforma in catena

del valore sociale. Innanzitutto, è bene quindi ricordare brevemente cosa esprime la

catena del valore21. Essa descrive (vedi fig.) la struttura di una organizzazione attraverso le operazioni o processi che l’azienda svolge e che generano un valore. I processi vengono suddivisi in primari e di supporto, i primi sono quelli che contribuiscono in maniera diretta alla creazione dei prodotti o dei servizi, mentre i secondi non contribuiscono in maniera diretta ma sono necessari per il funzionamento dei primi. I processi primari si distinguono in: logistica in entrata e in uscita (attività di gestione dei flussi di beni materiali verso l’interno e verso l’esterno dell’organizzazione), attività

19 Ivi 20

Ivi

21

Porter, M.E., The Competitive Advantage: Creating and Sustaining Superior Performance, Free Press, New York, 1985

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operative (produzione di beni e servizi), marketing e vendite (attività di promozione dell’output aziendale e gestione delle vendite), servizi e assistenza clienti (attività di supporto post vendita). I processi di supporto si distinguono in: approvvigionamenti (acquisto delle risorse necessarie al funzionamento dell’organizzazione), gestione risorse umane (selezione, addestramento, formazione, sviluppo, sistemi premianti, ecc), sviluppo tecnologie (le attività di ricerca e sviluppo finalizzate al miglioramento di prodotti e processi), attività infrastrutturali (ad esempio i processi di pianificazione, contabilità, finanziamento, affari legali, governance).

Figura 4, La catena del valore, Porter (1985)

Ritornando al pensiero di Porter espresso nell’articolo del 2006, ciò che interessa ai fini del presente elaborato, come detto in precedenza, è la catena del valore applicata alla RSI che permette di identificare gli impatti (positivi o negativi) sulla società da parte dei processi aziendali primari e di supporto. Ciò può essere spiegato schematicamente dalla tabella che segue.

Impatti dei processi aziendali sulla società

Attività primarie

Logistica interna Esternalità legate ai trasporti ad es. gas serra, traffico

Attività operative Emissioni e rifiuti, impatto ecologico, utilizzo dell’energia e dell’aria, sicurezza dei lavoratori Logistica esterna Utilizzo e smaltimento degli imballaggi,

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22 Marketing e vendite Pubblicità ingannevoli o rivolte ai bambini,

discriminazioni di prezzo, privacy Servizio post-vendita Smaltimento prodotti obsoleti Attività di supporto

Acquisti Pratiche inerenti la corruzione, il lavoro

minorile, impiego di risorse naturali Sviluppo tecnologico Rapporti con le università, sicurezza dei

prodotti, conservazione materie prime, riciclaggio

Gestione risorse umane Istruzione e formazione, condizioni di lavoro sicure, diversità e discriminazione, benefit, politiche retributive e licenziamenti

Infrastruttura aziendale Reporting finanziario, pratiche di governance, trasparenza

Allo stesso tempo le imprese rappresentano la più grande fonte della società per la creazione di ricchezza, posti di lavoro e innovazione, tutti fattori che incidono sulla qualità della vita e sul benessere sociale; sarà quindi fondamentale, sostengono gli autori, che governo, ONG e gli altri membri della società valorizzino il contributo delle aziende creando un contesto competitivo favorevole alla loro produttività. In base a questa seconda interazione (legame esterno-interno), in cui è la società a creare valore per le aziende, Porter suddivide lo scenario competitivo in quattro grandi aree22:

 Qualità e quantità degli input disponibili come risorse umane, università e istituti di ricerca, infrastrutture, sistema amministrativo, risorse naturali, servizi di accesso al capitale;

 Contesto strategico e competitivo, quindi tutela della proprietà intellettuale, trasparenza, concorrenza leale, applicazione della legge;

 Condizioni della domanda come ad esempio i diritti dei consumatori o standard per la qualità dei prodotti e la sicurezza;

 Settori industriali correlati e di supporto come la disponibilità di fornitori sul territorio, aziende che svolgono attività correlate, la presenza di distretti produttivi.

Dunque, da una parte, nella catena del valore sociale si evidenziano gli impatti delle operazioni aziendali sulla società e sull’ambiente, dall’altra, lo scenario competitivo mostra gli aspetti di condizionamento della società sulle imprese sul lungo

22

Si tratta del modello del diamante teorizzato da Porter nell’articolo The Competitive Advantage of Nations, (1990) che mostra i fattori da cui dipende il successo delle imprese.

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periodo in termini di produttività e competitività e conseguentemente sul benessere della società stessa. Una volta identificati i punti di intersezione tra impresa e società, è necessario per le aziende individuare i problemi sociali che si intersecano con la propria area di business e sui quali si può intervenire, individuazione che deve avvenire in base «all’opportunità di creare valore condiviso, ovvero un beneficio rilevante per la società che rivesta un valore anche per l’impresa»23. Quindi dovrà essere definita l’agenda

sociale e il piano d’azione con cui si intendono affrontare i bisogni sociali e allo stesso tempo sviluppare il proprio business. A tal proposito, gli autori parlano di due tipi di RSI: la RSI reattiva, basata sulla mitigazione degli effetti prodotti dalle attività della catena del valore, che porta vantaggi solo temporanei e la RSI strategica, basata sulla considerazione dei problemi sociali come una fonte di innovazione e un’opportunità di investimento, che permette di ottenere la massima creazione di valore condiviso. Infine, si dovranno sperimentare delle modifiche alla catena del valore.

In questo lavoro, sembra che gli autori ritengano il valore condiviso un principio guida della RSI, «come la ricerca e sviluppo, ovvero un investimento di lungo termine sulla competitività futura dell’impresa»24

, non hanno fatto ancora il passo successivo, cioè il riconoscimento del concetto di valore condiviso come indipendente dalla RSI, poiché credono che quest’ultima assumerà, seppur con le problematiche accennate all’inizio del paragrafo, un valore sempre più importante per il successo competitivo.

Gli autori riscontrano, anche a seguito della grave crisi finanziaria del 2008 a livello internazionale, che sempre più spesso le aziende sono ritenute come una delle cause principali di problemi sociali, ambientali ed economici, con tutto ciò che questo comporta in termini di riduzione della reputazione e legittimazione sociale. L’atteggiamento dell’opinione pubblica porta le istituzioni e i governi a perdere fiducia nell’operato delle imprese con la conseguente scelta di adottare politiche che limitano la loro libertà, soffocando competitività e crescita. Questo accade in particolare perché la maggior parte delle aziende continuano ad avere una visione della creazione di valore ristretta e superata, in cui la responsabilità sociale rimane una condizione periferica e non centrale.

23

Porter, M.E, Kramer, M.R., Strategy and Society. The Link between Competitive advantage and

Corporate Social Responsibility, op. cit. 24 Ivi

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A partire da queste considerazioni, riprendendo il concetto di valore condiviso, Porter e Kramer, in un articolo del 2011, “Creating Shared Value”, sostengono la necessità per le imprese di adeguarsi ai bisogni della società moderna e sviluppare una nuova concezione di capitalismo dove l’obiettivo non è generare profitto in quanto tale ma creare valore condiviso, in un’ottica dove business e società non rappresentano due forze in antitesi fra loro. Essi definiscono il valore condiviso come «l’insieme delle politiche e delle pratiche operative che rafforzano la competitività di un’azienda migliorando nello stesso tempo le condizioni economiche e sociali delle comunità in cui opera»25. Secondo questa visione, progresso sociale e progresso economico sono strettamente interconnessi e creare valore condiviso significherebbe proprio individuare e migliorare questa connessione. Porter e Kramer individuano, a questo punto, tre approcci per la creazione di valore condiviso:

1. Riconcepire prodotti e mercati. Salute, alimentazione, sicurezza finanziaria, rispetto dell’ambiente, sono alcuni dei più grandi bisogni della società moderna che le aziende sono chiamate a soddisfare con i loro prodotti. Per far ciò è necessario in primo luogo una costante esplorazione dei bisogni sociali dei clienti per favorire opportunità di differenziazione o riposizionamento, in secondo luogo è fondamentale capire quali e quanti benefici o danni sociali derivano dai propri prodotti.

2. Ridefinire la produttività nella catena del valore. La catena del valore, come visto, è quella che influenza maggiormente le esternalità delle aziende e che porta quindi a numerose problematiche sociali. Quando un’impresa svolge un’attività che genera danni ambientali o sociali, i cui costi vengono scaricati sui cittadini, si parla di esternalità negative. Le esternalità, oltre a produrre costi a carico della collettività, nel medio-lungo termine si ripercuotono anche sull’impresa generando costi interni. Il valore condiviso in questo caso si crea, secondo gli autori, quando l’azienda ridefinisce o inventa nuovi modi di operare che vanno, allo stesso tempo, a favore dell’efficienza operativa e del progresso sociale. Alcuni tra i principali aspetti su cui è possibile intervenire riguardano l’uso dell’energia (utilizzo di tecnologie superiori, riciclaggio), la logistica (ridurre le distanze, razionalizzare i movimenti delle merci), l’utilizzo delle risorse (riduzione del consumo di acqua, riduzione degli scarti, riciclaggio), gli acquisti

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(assistenza ai fornitori in termini di conoscenze, buone prassi, accesso al credito), distribuzione (internet), la produttività dei dipendenti (sicurezza sul lavoro, formazione, salari dignitosi), la localizzazione (acquisti da produttori locali, costruzione di fabbriche più vicine ai fornitori). Questi sono alcuni degli interventi che le imprese possono mettere in campo, che seppur implicanti un aumento dei costi nel breve termine, offrono l’opportunità di ripagarli con un incremento della produttività nel lungo periodo.

3. Facilitare lo sviluppo di cluster locali. «Il successo di tutte le imprese è influenzato dalle aziende di supporto e dalla infrastruttura che le circonda»26. Con il temine cluster si intende una concentrazione geografica di imprese, fornitori e istituzioni che ha la possibilità di influenzare notevolmente la produttività e l’innovazione. La vicinanza di tutti gli elementi di cui ha bisogno un’azienda è fondamentale per una migliore efficienza logistica, una collaborazione più agevole, una maggiore trasparenza e fiducia ma anche per una condivisione dei costi e delle competenze.

Questi tre approcci a disposizione delle aziende per creare valore condiviso sono positivamente collegati l’uno con l’altro e rappresentano una sorta di best practice da adottare. Porter e Kramer spiegano, a questo punto, che la CSV (Creating Shared Value) supera la RSI nel guidare gli investimenti e le scelte strategiche in quanto «i programmi di RSI si focalizzano principalmente sulla reputazione e hanno solo un collegamento limitato con il business, il che rende difficile giustificarli e mantenerli nel lungo termine. Per contro, la CSV è funzionale alla profittabilità e alla posizione competitiva dell’azienda. Sfrutta le risorse specifiche e l’expertise specifico dell’azienda per creare valore economico attraverso la creazione di valore sociale»27. Dunque, la CSV si proporrebbe come soluzione al fallimento della RSI.

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Capitolo 2 - STRUMENTI DI APPLICAZIONE DELLA RSI

Le imprese che decidono di perseguire una strategia di Responsabilità Sociale, possono intraprendere questo cammino avvalendosi dei diversi strumenti che sono stati teorizzati allo scopo proprio di facilitare l’implementazione, nella cultura prima e nella prassi operativa dopo, delle politiche e delle azioni di impegno sociale e la relativa comunicazione all’esterno. Si tratta di tutta una serie di strumenti che svolgono una funzione di guida e di stimolo per monitorare il proprio impegno in altri campi, sociale ed ambientale, uscendo da una logica di creazione di valore solamente economico - che come visto rimane comunque fondamentale per la sopravvivenza delle organizzazioni - , per riflettere sul raggiungimento degli obiettivi prefissati e ripensare se necessario la strategia, per identificare i punti di forza e di debolezza e per misurare il grado di soddisfazione delle aspettative degli stakeholder. E’ una combinazione di mezzi diversi, che non necessariamente devono utilizzarsi tutti insieme, ma a seconda delle esigenze organizzativo-gestionali e delle risorse a disposizione, umane ed economiche, possono fare da impulso all’adozione di pratiche di responsabilità sociale. Come si avrà modo di vedere in seguito, l’investimento che le imprese effettuano nella introduzione e gestione di tali strumenti non si esaurisce nella sola “gestione” della RSI ma genera dei ritorni economici e soprattutto reputazionali da cui può originarsi un circuito virtuoso di realizzazione di risultati finanziari e socio-ambientali sempre più elevati.

Quando si parla di strumenti di responsabilità sociale, il riferimento che poi viene fatto è al termine accountability. Tale concetto, oramai, investe tutte le aree della gestione aziendale e non più la sola dimensione economico-finanziaria ed evoca il processo attraverso il quale si deve dar conto delle attività svolte e delle risorse utilizzate al complesso degli stakeholder. Un’organizzazione si dice che è accountable se spiega periodicamente e comunica in modo trasparente e completo alle parti interessate quanto è stato fatto nel corso delle proprie attività e quali sono i risultati raggiunti, ciò per rendere tangibile, verificabile l’impegno profuso.

Le iniziative e le modalità per la comunicazione della responsabilità sociale d’impresa sono molteplici e negli ultimi anni hanno conosciuto un notevole sviluppo sia dal punto di vista quantitativo che sotto il profilo metodologico. Tutte le proposte

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risultano adatte, anche se con finalità diverse, a far conoscere le pratiche e l’impegno sociale a tutti i soggetti interessati, stimolando il dialogo tra quest’ultimi e l’impresa. L’informativa sociale ed ambientale è costituita spesso, in assenza di una piena regolamentazione condivisa, da modelli e standard elaborati in ambito internazionale e nazionale indicanti le fasi da seguire per abbracciare le logiche di responsabilità sociale e le informazioni soprattutto qualitative ma anche quantitative che devono essere riportate nei documenti di sintesi rivolti all’esterno.

Di seguito si cercherà quindi di dare una descrizione dei principali strumenti esistenti, i più diffusi nelle imprese, con un particolare approfondimento per quelli approntati per la gestione delle tematiche ambientali e di salute e sicurezza sul lavoro.

2.1 Il codice etico

Il Codice Etico (o di condotta) può definirsi come «la "Carta Costituzionale" dell'impresa, una “carta dei diritti e dei doveri morali” che definisce le responsabilità di ogni partecipante all'organizzazione, enunciando i principi etici e le norme di condotta mediante le quali si dà attuazione ai principi orientando i comportamenti individuali»28. Alcuni principi generali che comunemente si riscontrano nel Codice Etico delle aziende sono: equità ed eguaglianza, trasparenza, onestà, diligenza, imparzialità, riservatezza, tutela della persona, tutela ambientale. Costituisce una dichiarazione di valori di cui un'organizzazione si dota e si impegna a rispettare, a cui ispirarsi nelle politiche strategiche e gestionali.

Costituisce poi un mezzo a disposizione delle imprese per prevenire comportamenti irresponsabili o illeciti perseguibili penalmente – il codice etico è un documento integrante del Modello di organizzazione e gestione29 redatto ai sensi del Dlgs 231/2001 - da parte di chi opera in nome e per conto dell'azienda, perché introduce una definizione chiara ed esplicita delle responsabilità etiche e sociali dei propri dirigenti, dipendenti e spesso anche fornitori verso i diversi gruppi di stakeholder. Rappresenta quindi uno strumento in grado di sostenere la reputazione dell'impresa, in

28

Sacconi, L., de Colle, S., Il Codice etico come strumento di gestione delle relazioni con gli stakeholder, in Sacconi, L. (a cura di), op. cit., p. 611

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Esso si compone di un insieme di regole e di procedure organizzative volte a prevenire la commissione dei reati in azienda e la sua approvazione è causa di esclusione o limitazione della responsabilità dell’ente.

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modo da creare fiducia, credibilità verso l'esterno e rendere migliore il rapporto con gli stakeholder.

Il Codice etico contiene i principi che definiscono l’insieme dei diritti e dei doveri nei confronti di ciascuna categoria di stakeholder; è un documento d’indirizzo la cui «funzione fondamentale è di stabilire le norme comportamentali che regolino sia i comportamenti dei dipendenti tra di loro e verso l’impresa, sia le relazioni tra i membri dell’impresa e gli stakeholder esterni»30

. Vi è tuttavia, un’altra funzione legata alle finalità etiche, ed è quella, come sostiene ancora Sacconi di «legittimazione morale dell’impresa, ovvero il sostegno della sua reputazione agli occhi degli stakeholder. Il codice etico esprime infatti i doveri fiduciari tra l’impresa – e in particolare chi la dirige ai vari livelli – e i vari stakeholder dell’impresa: rappresenta quindi la “carta costituzionale” che vincola la discrezionalità di chi è in posizione di governo nell’impresa, e definisce i confini di un legittimo esercizio dell’autorità»31

. Ecco che quindi il codice etico diviene anche uno “strumento di governance”, di gestione strategica dell’impresa.

Un buon Codice etico, a parere di Sacconi, deve contenere tutte le iniziative e le attività necessarie affinché l’impresa supporti la conoscenza e la diffusione del codice stesso in modo da favorire la condivisione dei valori e monitorare l’effettiva attuazione e gestione del codice stesso. Tra queste attività32 rientrano i programmi di Formazione etica, la nomina di un responsabile, Ethics Officer, la creazione di un Comitato etico con il compito di supervisionare ed eventualmente sanzionare, la creazione di meccanismi di segnalazione (Whistleblowing) sia interni che esterni, i processi di Internal Ethical

Auditing che ampliano l’attività di audit di tipo finanziario e istituiscono procedure di

controllo interno sull’effettiva implementazione del Codice ed infine le attività di

Reporting (bilancio sociale, social and ethical accountability, bilancio di sostenibilità,

ecc.) «con i quali l’impresa comunica periodicamente all’esterno una misurazione dell’impatto sociale, ambientale ed economico delle proprie attività e una valutazione dei risultati ottenuti in relazione agli impegni assunti con il codice etico»33.

30

Sacconi, L., de Colle, S., Il Codice etico come strumento di gestione delle relazioni con gli stakeholder, in Sacconi, L. (a cura di), op. cit., p. 612

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In sintesi, fermo restando i diversi contesti organizzativi-aziendali, la struttura del Codice etico viene sviluppata di solito su cinque livelli:

 i principi etici e sociali che guidano la missione aziendale e ne indicano il modo più corretto per la sua realizzazione;

 le norme etiche per le relazioni dell’impresa con i vari stakeholder;

 gli standard etici di comportamento quali legittimità morale, equità ed eguaglianza, tutela della persona, trasparenza, imparzialità, tutela dell’ambiente e della salute;

 le sanzioni interne per la violazione delle norme del codice;

 gli strumenti e gli organi deputati al controllo dell'applicazione del codice: solitamente l’attuazione dei principi è affidata ad un comitato etico che ha il compito di diffondere la conoscenza e la comprensione del documento in azienda, monitorarne l’effettiva attivazione, ricevere segnalazioni in merito a violazioni, effettuare indagini e comminare sanzioni.

A questo punto, una considerazione sull’utilità di questo strumento a supporto della RSI è d’obbligo; la mera presenza di un documento che elenca i valori cui la gestione aziendale si ispira, non è sufficiente a garantire che l’organizzazione metta in atto nel concreto dei comportamenti coerenti con i valori stilati nel codice etico. Ecco che la sua comunicazione, il veicolare la conoscenza del codice all’interno e all’esterno diviene un elemento centrale affinché i suoi principi e contenuti possano diventare determinanti ed effettivamente operanti nelle decisioni e nei comportamenti dell'impresa, contribuendo a creare un clima di fiducia e chiarezza sugli impegni assunti dall’azienda e le aspettative che le parti interessate possono ragionevolmente nutrire nei suoi confronti.

Non è sufficiente disporre di un codice etico per garantire che i comportamenti dei soggetti che guidano l’azienda siano etici. Da questo punto di vista, estremamente rilevanti sono i comportamenti degli attori chiave34, Amministratore Delegato e Consiglio di Amministrazione, top e middle management, in quanto rappresentano la principale linea di difesa contro le condotte che violano la legge e l’etica aziendale; il

34

Cfr, Associazione Italiana Internal Auditors; Price Waterhouse Coopers, La gestione del rischio

aziendale. Erm - Enterprise risk management: un modello di riferimento e alcune tecniche applicative, Il

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30

modo in cui essi agiscono nell’adempiere ai compiti che sono chiamati a svolgere, costituisce un esempio, un modello comportamentale di riferimento per tutta l’organizzazione. L’integrità degli organi di vertice è una condizione del comportamento etico in tutti gli aspetti dell’attività aziendale, i messaggi che trasmettono sono assorbiti nella cultura aziendale e nella prassi operativa. Rivestono poi particolare importanza i canali di comunicazione dal basso verso l’alto, dove i dipendenti si sentono a loro agio nel segnalare informazioni ai livelli superiori.

2.2 Il bilancio sociale

Il Bilancio Sociale è uno strumento fondamentale di rendicontazione, di gestione, di controllo e di comunicazione a disposizione delle aziende che intendono adottare un comportamento socialmente responsabile. Con la redazione del Bilancio sociale, l’azienda si impegna a rendere conto agli stakeholder del complesso delle attività poste in essere. In letteratura, il Bilancio sociale viene spesso definito anche come bilancio di sostenibilità, recependo il concetto di sostenibilità del già citato rapporto ONU redatto dalla Commissione Brundtland nel 1987. Il concetto è stato declinato, come visto, nella triplice dimensione economica, ambientale e sociale, caratterizzando così la stesura nella prassi di molti bilanci definiti appunto di sostenibilità.

Secondo Vermiglio, il bilancio sociale è «un mezzo che concorre ad accrescere un bene immateriale di primaria importanza: la reputazione, dalla quale nascono consenso, fiducia, legittimazione. Agli stakeholder e a quanti hanno interesse a conoscerlo è utile perché consente loro di formarsi un giudizio complessivo sul comportamento dell’azienda e dei suoi attori chiave. In linea generale si può dire che concorre a promuovere e potenziare il dialogo con le parti sociali, contribuisce al miglioramento dei rapporti esistenti, fa crescere il senso di responsabilità sociale all’interno dell’azienda»35

. Il bilancio sociale, perciò, è uno strumento strategico con il quale l’impresa rende volontariamente conto a tutti i suoi stakeholder del proprio

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31

operato, «permettendo all’azienda di essere “accountable” rispetto al contratto sociale che ha stipulato con tutta la platea degli stakeholder, sia attivi che passivi»36.

Il bilancio sociale è anche uno strumento di comunicazione per l’impresa in quanto si pone come obiettivo primario la corretta rappresentazione dei valori, delle strategie e dello scambio quali-quantitativo con i principali stakeholder e degli effetti che l’attività dell’impresa produce sull’ambiente e sulla collettività. È inoltre uno strumento di gestione utilizzato per monitorare le performance di sostenibilità dell’impresa in campo economico, sociale ed ambientale e per fissare gli obiettivi di miglioramento, definiti anche attraverso l’ascolto delle esigenze degli stakeholder. Attraverso la redazione di un bilancio sociale, infatti, le imprese dovrebbero essere stimolate ad ascoltare i propri interlocutori e ad orientare i processi decisionali in ragione delle loro aspettative legittime, in un progressivo processo di coinvolgimento partecipativo, finalizzato a rafforzare fra l’altro il consenso e la legittimazione sociale.

Il bilancio sociale, viene redatto di norma alla fine di ogni esercizio e sottoscritto dall’organo di governo che si assume la responsabilità delle informazioni prodotte e divulgate. «Si tratta, di un documento al tempo stesso consuntivo, con il rendiconto dei risultati raggiunti nell’ultimo esercizio confrontabili con quelli precedenti e con gli obiettivi formulati, e con un forte orientamento al futuro, (…) con l’inserimento di una descrizione dei principali rischi e fattori che potrebbero influenzare il futuro, e di indicazioni sulle linee programmatiche»37.

La rendicontazione e comunicazione da parte di un’impresa delle proprie performance sociali e ambientali all’interno di un Bilancio sociale possiamo dire essere guidata dal rispetto di alcuni principi ispiratori:

• responsabilità verso il territorio: il Bilancio sociale deve descrivere il legame dell’impresa con il territorio, il valore creato, i rapporti con gli enti e le istituzioni locali; • attenzione a tutte le categorie di stakeholder e inclusione delle loro aspettative: gli stakeholder interni ed esterni, la rilevazione delle loro aspettative e la loro soddisfazione sono elementi fondamentali per il successo dell’impresa, per questo il Bilancio sociale

36

Hinna, L., Bilancio di missione e di ricaduta sociale, in Sacconi, L. (a cura di), op. cit., p.679

37

Gruppo di studio per il bilancio sociale (GBS), Standard, Principi di redazione del bilancio sociale, Giuffrè Editore, Milano, 2013, p.12

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