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CROCEFISSO PROCESSIONALE

7 FONTE BATTESIMALE

43. CROCEFISSO PROCESSIONALE

Datazione: Fine XVII – Inizio XVIII secolo Autore: Manifattura Veneta Materiale: Legno

Tecnica: pittura, doratura, scultura Misura: cm 232 x 115

Iscrizione: INRI su cartiglio

Collocazione: Navata, parete destra Restauro: in corso presso Nuova Alleanza

La croce, in legno laccato, ha i bracci terminanti con volute e con un disegno floreale realizzato ad intaglio, al loro incrocio vi sono posti dei raggi dorati. Il braccio verticale, che riporta il titolo INRI entro un cartiglio, oggi è rovinato nella sua parte alta mentre un tempo, come si vede da alcune foto antiche, era arricchito da un piccolo bassorilievo ligneo che rappresentava un pellicano, allusivo al sacrificio di Cristo sulla Croce. Il corpo di Gesù, realizzato a tutto tondo, è in legno scolpito e dipinto con colori a tempera; per la fattura e la qualità è avvicinabile ad altri crocifissi lignei, probabilmente di manifattura locale, conservanti in alcune chiese trevigiane (si veda ad esempio Postioma e S. Elena in Monigo) i quali sono scolpiti seguendo un simile modello consolidatosi tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo.

Un’opera simile viene nominata già nel 1625, nell’occasione della visita pastorale, dal vescovo Giustiniani che richiese una croce di 5 piedi (circa due metri) per le processioni. Tale manufatto fu notato successivamente a fine Seicento nel 1688 in occasione della visita del mons. Sanudo e successivamente impiegata in una processione nel 1717 quando visitò la pieve il vescovo Morosini. Non vi è la certezza che la croce qui in esame sia effettivamente quella vista dai due alti prelati, ma da quel momento in poi troviamo costantemente nominata più volte una crose granda per le processioni tra i beni della chiesa .

Il corpo del Cristo, nonostante l’incuria negli anni addietro, risulta molto curato nella resa della tensione dei muscoli delle braccia. L’autore ignoto prestò cura sia nella resa delle costole e della ferita che gli squarciò il costato che nel dare l’idea dell’abbandono del corpo tanto da porlo in posizione assimetrica, piegato verso destra. Notevole attenzione è dedicata all’intaglio dei capelli e della barba. Gli occhi chiusi rivelano il momento della morte, il volto appare sereno e la bocca è appena socchiusa, sul capo vi è posta una corona verde di racemi con spine molto grandi che si conficcano in testa, macchiando di sangue la faccia di Gesù; sopra la testa vi è applicata un’aureola realizzata in ferro battuto.

Così la descrive il restauratore Netto in una relazione preliminare al restauro nel gennaio del 2013: “Crocifisso in legno policromo e dorato del XVII secolo, croce originale in legno laccato e dorato. Il Cristo passo è posto su croce astile in legno laccato con decori scolpiti e dorati alle estremità. Scultura di buona qualità, con posizione asimmetrica delle braccia che sottolinea l’abbandono esamine del corpo su di un fianco. La scultura è composta dall’unione di più pezzi di legno”.

Il crocifisso, ancora in uso per la processione del Venerdì Santo, non ha avuto alcun interesse da parte della critica antica e contemporanea.

BIBLIOGRAFIA:

A.C.TV, Visitationum 21 maggio 1625, b. 13; Idem, 22 giugno 1688, b. 23; Idem, 22 aprile 1717, b. 24; A. P. Santrovaso, Catalogo Fotografico delle cose di interesse artistico, 2008, p. 4 ; A.P. Santrovaso, A. Netto; relazione preliminare al restauro del crocefisso del XVII secolo, gennaio 2013.

44. ALTARE CON CORNICE MARMOREA A CORNU

EPISTOLAE (Detto della Madonna del Rosario)

Datazione: 1778

Autore : Manifattura Veneta Materiale: Marmo di Carrarra Tecnica: Scultura

Misure: - Mostra cm 300 x 213,5 x 28 - Altare cm 100 x 180 x 67 - Tabernacolo cm 42 x 36 x 20,2 Collocazione: Cappella di destra

Restauro: 1997

L’altare, realizzato in marmo di Carrara, si erge su di una base trapezioidale modanata. Il paliotto, a pannello piano, ha il fronte descritto da una cornice modanata con clipeo centrale. Entro a questo vi è realizzata, in rilievo, una sorta di piatto ovale con base conica entro cui sono poste alcune rose, caratterizzate da un attento intaglio e sopra cui si erge una croce greca. Sopra il paliotto poggia la mensa d’altare marmorea con pietra d’Istria e incavo centrale, su di una mensola si trova il tabernacolo animato da volute e con fronte sagomato, foglie di palma che corrono ai due lati e chiuso da una porticina in ottone. La cornice marmorea ripete la stessa architettura dell’altare a cornu evangelii, con lesene sfalsate che reggono un arco a tutto sesto chiuso, in alto, da una coppia di teste di cherubini. La porzione centrale che ancor oggi ospita l’ottocentesca tela di Carrer, risulta più curata proponendo alla base, non un semplice lastra liscia come nell’altare di San Valentino, ma una specchiatura rettangolare con cornice modanata che corre dietro al tabernacolo. Inoltre la pala è ulteriormente incorniciata da dei tasselli marmorei che le corro a lato. Sopra all’arco si imposta un architrave e un fastigio su piani sfalsati terminanti, in cima, con i medesimi oggetti: due urne e un vaso con fiori. L’altare, anticamente in legno è dedicato alla Madonna del Rosario già dal Seicento. Le fonti storiche e documentarie sono le medesime dell’altare di San Valentino e che danno scarne

notizie sulla cornice marmorea: da Fapanni, a Zangrando, a Bortoletto i quali ne lodano la sola pregevole fattura marmorea.

Tra le decorazioni che impreziosivano questo altare vi erano due putti realizzati a tutto tondo e posti sull’architrave in corrispondenza delle lesene frontali; oggi sono perduti causa un furto avvenuto nella pieve il 20 ottobre del 2007 (Possamai 2007 , Bon 2007). È ipotizzabile che ve ne fossero due simili anche nell’altare in cornu

evangelii ma non ne è rimasta memoria.

Le due opere, avvicinate alla bottega di Marchiori (Possamai 2010), poggiavano sedute, quella a destra portava al petto le mani in segno di contrizione, l’altra le univa in segno di preghiera. L’intaglio risultava curato nella realizzazione dei riccioli, delle ali spiegate e del perizoma, ricco di pieghe, che copriva le nudità; il volto era ben caratterizzato e il corpo lisciato con cura. La fattura di queste due opere, simili per accuratezza e posa agli angeli dell’altare maggiore, fa pensare tutt’oggi ad un imitatore di Marchiori, forse delle sua bottega, che ne riprose la composizione. BIBLIOGRAFIA:

A.C.TV., Visitationum 2 febbraio 1778, b 46; B.C.TV., F.S. Fapanni, 1862, ms 1361; A.C.TV.,L. Zangrando, 1919, v. II a.v. parrocchia di S. Trovaso; G. Pavan, 1997, p.10 D. Bortoletto, 1985, p. 19; E. Possamai , in “Comunità Parrocchiale di Santrovaso”, ottobre 2007; R. Bon, San Trovaso, rubati gli angeli del ‘700, in “La Tribuna di TREVISO , 21 ottobre 2007, E. Possamai, 2010, p.21