7 FONTE BATTESIMALE
24. PALA DEI SANTI GERVASIO E PROTASIO Datazione:
Autore: G. Santacroce (?) Materiale: Tavola Tecnica: Tempera Misura: cm 140 x 78
Collocazione: parete absidale Restauri: 1919- 1920 /1982 - 1998
La pala presenta i due santi martiri milanesi in figura intera, l’uno a fianco dell’altro. A sinistra vi è Gervasio con calzamaglia rossa, speroni ai piedi e indossa un abito arancio coperto da mantello verde carico, mentre con la mano sinistra regge una palma con appese delle monete a memoria dell’antica rinuncia dei propri beni per farsi discepolo di Cristo. Egli accosta la mano destra al petto come segno di “assicurazione dell’intatta sua fede e della sua lealtà” (Crico 1833). Alla nostra destra vi è Protasio che tiene nella mano sinistra la spada con la punta conficcata in terra, oggetto che allude al suo martirio, mentre ha nella destra il tradizionale attributo della foglia di palma. Egli indossa gambali verdi, veste grigio-verde con bordino dorato chiusa in vita da un cordino giallo e coperta da un mantello rosso; con la testa leggermente inclinata sembra accettare quel volere divino che lo vedrà martire assieme al fratello. Sullo sfondo, tra le gambe dei due martiri, si intravede un alberello presso cui sta un piccolo cervo che richiama al Salmo 41.
L’iconografia così presentata é poco consueta, almeno in area veneta, dove si è solitiaccompagnare i due santi alla Vergine Maria o San’ Ambrogio, o per lo più si rappresentano nella scena del loro martirio (Possamai 2008). Non vi sono esempi di immagini dove i martiri siano rappresentati da soli in figura stante, senza alcun altro santo. Tale esempio può trarre origine da antiche raffigurazioni di area veneto- bizantina dove si rappresentavano, a mo di icona, santi disposti frontalmente a figura intera; per l’esecuzione ciò fa pensare ad una scuola veneziana conservatrice operante tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.
Le prime notizie su di un immagine votiva dedicata ai patroni si hanno a partire da fine Cinquecento quando è ricordato un paliotto applicato all’altare ligneo con i due santi e la Madonna. Tale manufatto, secondo le parole del rev. Lorenzo Crico (1833) è di esecuzione muranese, fatta per mano “d’un Vivarini, intagliatore” e probabilmente fratello del pittore autore del tavola con i santi Gervasio e Protasio. La pala è di certo eseguita nell’ambito veneziano della prima metà del Cinquecento ma è menzionata presso la pieve di Santrovaso solo a partire dal 1625 quando fu vista in occasione della visita pastorale (cfr. Pavan 1997). Tale dato ha fatto pensare che l’opera fosse non realizzata per questa chiesa ma probabilmente per un'altra pieve con la quale condivideva il culto per i due santi milanesi. È probabile che l’opera vi giunse “trafugata in tempi molto antichi” come riporta Zangrando e qui collocata per impreziosire l’altare maggiore ad inizio Seicento.
La lettera di Crico, datata 30 ottobre 1830 facente parte delle Lettere sulle belle arti
trevigiane (1833), ha anche il merito di essere il primo testo a descrivere, con
minuzia e partecipazione, la pala che oggi appare, ai più, di indubbia anima belliniana. Dalla descrizione del prelato molti trassero l’attribuzione dell’opera a uno dei Vivarini (senza precisarne il nome) e, sulla sua scia, mostrarono ulteriori compiacimenti estetici Zangrando (1919) che la ritiene “prezioso esempio d’arte veneta” e Chimenton (1937) ripropone commenti simili a Crico citandone direttamente frasi della sua lettera. Grande spazio alla pala cinquecentesca è dato da Fapanni (1862) che ebbe modo di parlare anche dell’antica cornice a matassa che racchiudeva il quadro, realizzata con il legno di quell’altare di cui parla Crico e celebra la tavola per la sua semplicità e la “purezza di stile ammirabile” (Idem 1863) Chimenton (1937) fornisce ulteriori dati per ricostruire le vicende della pala dei Santi Gervasio e Protasio. Egli parla di come già a fine Ottocento si erano disposti interventi di restauro per evitare lo staccarsi del colore dal supporto; era stato nominato il pittore Gaetano Pasetti come restauratore, ma il progetto non andò in portò per la mancanza di soldi e fu rinviato agli anni Venti del Novecento. L’occasione si presentò allo scoppiare della prima guerra mondiale quando fu disposta la salvaguardia dei beni che si trovavano nei pressi del fronte italiano. La pala fu asportata dalla chiesa nel 1917, portata a Roma, ivi restaurata per poi fare ritorno già nel luglio del 1920. La commissione che la esaminò ebbe modo di
attribuirla ad Antonio Vivarini, dato questo che non collima con un’altra affermazione fatta dagli esperti romani: l’esecuzione dell’opera nel 1540. La data è altresì confermata direttamente da Chimenton che disse di averla vista sulla pala; io stesso ho avuto modo di verificarla attraverso la lettura di antica foto degli anni Trenta conservata presso gli archivi della soprintendenza ai beni artistici in Venezia. Nonostante questo importante dato che riporta Chimenton, alcuni scrittori ebbero modo di riproporre l’antica attribuzione ad Antonio Vivarini che, stando alla data riportata, il 1540, era già morto da circa mezzo secolo come pure già morti erano gli altri Vivarini suoi discepoli. Su questa scia si pone Bortoletto (1985) che per confermare l’attribuzione ad uno dei maestri di Murano anticipa la datazione della pala a fine XV secolo, Demattè (1992) celebra grandi elogi come Pavan (1997) pur confermando la paternità ad uno dei Vivarini. Tenendo fede alla data del 1540, oggi resa invisibile da una grossa pennellata appostagli sopra durante l’ultimo restauro (1982 – 1998), l’opera non può essere dunque compiuta dai Vivarini; rileggendo alcune documenti dell’archivio vescovile e soprattutto la visita pastorale del 1930 salta all’occhio il nome di Bissolo, come autore della pala di Santrovaso.
Su questo filone attributivo si è mosso Manzato (1981) che, tratteggiando un profilo dei pittori attivi nel contado trevigiano nella prima metà del XVI secolo, ha modo di parlare del Bissolo e di analizzare per primo, sotto questo nome, la tavola dei Santi Gervasio e Protasio. Egli la inserisce nel suo corpus di pitture trevigiane ma anticipandone l’esecuzione agli anni Trenta del Cinquecento, pur riportando i numerosi dati da Chimenton (1937). Sulla scia di Manzato si pone Lisiero (2005) e Possamai (2010) che, pur dubitando sull’attribuzione, riporta il nome di Bissolo fornendo una puntuale descrizione e collegando l’opera all’agiografia dei due Santi, manifestando apprezzamenti per la non consueta iconografia proposta dal pittore, unico esempio nell’arte veneta (Idem, 2008).
Negli ultimi anni, a seguito del restauro e di alcune giornate studio dedicate alla chiesa, ai suoi beni artistici e ai suoi santi patroni, alcuni studiosi tra cui la restauratrice Nahabel, Manzato e Gabriella Delfini hanno potuto avvicinare l’attribuzione della pala a Gerolamo Santacroce. Tale affermazione trova un primo interessamento nello studio di Possamai (2008a) che, in nota, cita alcune delucidazioni avute proprio di Manzato per avvicinare la pala a Gerolamo
Santacroce. Egli pone un primo confronto con la pala di Santa Bona, Sebastiano e
Rocco per la chiesa di Santa Bona di Treviso, oggi presso il museo diocesano, dove il
santo Sebastiano è somigliante a San Protasio. Con quest’opera la tavola di Santrovaso condivide la pennellata, la resa delle pieghe e dei panneggi dei due santi che risultano similari a quelli indossati da Santa Bona.
Il pittore, diversamente da Bissolo, è ancora attivo nel 1540 è lascia, a quella data, opere notevoli come l’Annunciazione di Minneapolis. Il soggetto è conosciuto dalla famiglia Santacroce da Giovanni, che realizza nel 1543 due tavole con Gervasio e Protasio, già all’Accademia di Bergamo (Heinemann 1959). La pala di Santrovaso è avvicinabile per la stesura del colore e per l’attenzione alla resa dei volti e dei particolari ad alcune opere di Girolamo come alcune Madonne tra santi, il ritratto di
giovane uomo di New York ma soprattutto il San Marco in trono tra quattro santi
(già presso l’oratorio di San Martino a Burano) dove il San Paolo imita le vesti e il profilo con volto reclinato di san Protasio.
Stando alla ampia descrizione fornitaci da Crico (1833) e confrontandola con il quadro originale, l’opera risulta alterata nei colori, infatti, le vesti dei due santi, un tempo rosa e celeste secondo la descrizione del prelato, oggi appaiono arancione e grigio forse a causa di un non puntuale restauro che eliminò, come già riferito, anche l’indicazione della data. Dell’opera qui in esame esiste una copia, in deposito presso la sagrestia, realizzata tra il 1997 e il 1998 dal pittore Liberale Caltana che su commissione del parroco e per sua espressa volontà, come testimoniato dalla moglie, realizzò tale copia per colmare il vuoto dato dall’assenza del quadro che, alla riapertura della chiesa nel 1997, si trovava ancora in restauro. Quest’ultimo stando ai documenti dell’archivio parrocchiale, durò circa 16 anni (1982 – 1998). Tale periodo si protrasse ulteriormente per procedere alle analisi nell’abside volte a preservare l’integrità della pala restaurata; terminate le ultime operazione l’opera fece ritorno nel 2005 (Lisiero 2005).
BIBLIOGRAFIA:
A.C.TV, Visitationu, 21 maggio 1625, b. 13; L. Crico, 1833, pp. 153-154; B.C.TV., F.S. Fapanni, ms 1361, 1862, f. 249; F. S. Fapanni, 1863, p. XXVIII ; A.C.TV., L.Zangrando, Memorie storiche, pro manoscritto 1919, v. I, a.v. Ecclesia S. Gervasii et Protasii super Terraleum, A.C.TV., Parrocchia di Santrovaso, cartella n. 218/a, b.5, elenco delle cose d’arte; C. Chimenton in “Avvenire d’Italia”, 1
luglio 1937; F. Heinemann, 1959, p.119 ; E. Manzato, 1981, pp. 118-119; D. Bortoletto; 1985, p. 19; E. De Mattè, 1992, pp. 83-84; G. Pavan, 1997, p.5; E. Lisiero, in “La Tribuna di Treviso, 17 giugno 2005; A.P.Santrovaso, chiesa vecchia, Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, alcuni cenni storici e artistici (depliant informativo) giugno 2007; E. Possamai, 2008, cap.IV n.17, tesi di Laurea 2009; A.P. Santrovaso, Catalogo Fotografico delle cose di interesse artistico, 2008, p. 2 ; E. Possamai, 2008, p. 19; E. Possami, 2010, p. 18