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Cronaca di un convegno

Nel documento Cronache Economiche. N.005-006, Anno 1977 (pagine 40-45)

SCOPI, SIGNIFICATO, LIMITI DEL CONVEGNO

Nel dare un sintetico rendiconto del Convegno tenutosi presso la Camera di commercio torinese dal 27 al 29 mag-gio sui problemi del risanamento, non si può certo ignorare il clima e il mo-mento storico-culturale in cui l'inizia-tiva congiunta dell'ANCSA (Associazione nazionale centri storicoartistici -Sezione interregionale Piemonte-Valle d'Aosta) e del Comune di Torino è maturata. Momento di necessario rilan-cio dell'attività urbanistica, di allarga-mento della responsabilità e dell'impe-gno politico-amministrativo per fron-teggiare i riflessi più drammatici della crisi economica generale sul settore edi-lizio e sulla condizione urbana ed abi-tativa, nel tentativo di rimontare un ri-tardo ed una eredità politico-culturale che caratterizzano negativamente la si-tuazione della nostra Regione. In que-sto quadro, un Convegno sui problemi del centro storico e del risanamento og-gi a Torino non poteva — non dove-va — tradursi in una sterile riproposi-zione dell'ormai esausto dibattito cul-turale che da anni si trascina nel no-stro Paese sui temi dei centri storici, senza apprezzabili sbocchi operativi, in una vana rincorsa di tesi e proposte troppo frequentemente sconfitte sul pia-no attuativo. Dopo anni di assenze, di isolamenti accademici e di latitanze am-ministrative, di dialoghi a distanza e in tavoli separati, di contributi spesso an-che qualificati ma generalmente episo-dici, personali o comunque scarsamente socializzati, era ed è necessario « aprire la vertenza » del risanamento, del cen-tro storico, del recupero e del riuso del patrimonio edilizio preesistente, coin-volgendo tutte le parti in causa, dagli amministratori ai tecnici, agli operatori economici e culturali, alle forze sociali, in un confronto diretto.

Scopo del Convegno, come ha precisato il presidente della Sezione interregio-nale dell'ANCSA, R. Gambino, aprendo il dibattito, era appunto di offrire una prima occasione di confronto, aperto a tutte le forze e le istituzioni politiche

sociali e culturali comunque interessa-te, sui problemi del risanamento del cen-tro storico di Torino, nel quadro di una rinnovata politica urbanistica a scala urbana, metropolitana e regionale. Diranno gli sviluppi successivi, che già si cominciano a intravedere, quanto lo scopo sia stato raggiunto, quanto il ten-tativo di coinvolgimento delle parti so-ciali e in particolare degli amministra-tori locali (presenti al Convegno in mi-sura certo inusitata, ma anche certamen-te inadeguata alle responsabilità di cui sono investiti) sia andato a segno, quan-to sia staquan-to evitaquan-to il rischio, sempre in agguato, di ripiegare il dibattito sui mo-duli ripetitivi delle analisi generiche e superficiali o sulla sterile contrapposi-zione di tesi preconcette.

Resta, ci sembra, a caratterizzare il Con-vegno di Torino, il duplice tentativo di portare il dibattito sul terreno specifico della realtà locale e dei connessi pro-blemi d'intervento operativo,. senza smarrire né il senso delle sue connes-sioni con la realtà del territorio urba-no e regionale, né il senso della com-plessità delle implicazioni e dei valori in gioco: il tentativo, cioè, di scendere nello specifico e nel concreto senza di-menticare la dimensione regionale e la

dimensione politico-culturale dei

pro-blemi.

Le esperienze presentate da vari Comu-ni del Piemonte e della Val d'Aosta alla Mostra documentaria, allestita a latere a cura degli Assessorati alla casa e all'ur-banistica di Torino, dell'ANCSA e della Camera di commercio di Torino, i con-tributi al dibattito degli amministratori di vari Comuni (Aosta, Collegno, Asti,

Ivrea...) e lo stesso intervento

dell'as-sessore regionale hanno dato sufficiente testimonianza non soltanto dell'esisten-za di problemi analoghi e comuni, ma anche della constatazione che la soluzio-ne dei problemi di Torino passa attraver-so le altre città della Regione e che, vice-versa, i problemi delle altre città si risol-vono anche e prima di tutto a Torino. Analogamente i contributi critici più impegnati da parte di Istituti universi-tari e di ricerca e degli operatori tecni-ci e culturali si sono più volte saldati a quelli degli operatori economici e de-gli Enti interessati ai problemi

dell'in-tervento nel porre continuamente in ri-lievo le implicazioni di carattere gene-rale di ogni ipotesi di azione diretta di risanamento e nel sollecitare un più responsabile approccio ai grandi temi di fondo — della programmazione eco-nomica, delle riforme istituzionali, delle scelte culturali, della elaborazione del-le decisioni — proprio a partire dai pro-blemi contingenti, dagli stimoli della realtà sociale, storicizzandone e quali-ficandone il significato.

Certo, il tentativo di conciliare le esi-genze di specificità e di concretezza con l'irrinunciabile complessità dei proble-mi ha pesato sull'organizzazione del Convegno allungando la lista dei con-tributi e soffocando lo spazio per il di-battito libero.

Nonostante la durata del Convegno (quattro mezze giornate tutte molto in-tense), il dibattito ha cosi spesso sol-tanto sfiorato le questioni più impor-tanti, e negato adeguato sviluppo a pro-blemi di specifico interesse. Sono li-miti che potranno meglio chiarirsi in seguito e che rappresentano forse il prezzo da pagare per l'avvio di un di-scorso « d'apertura »; limiti comunque da misurarsi alla luce degli sviluppi suc-cessivi, quali gli incontri su temi più specifici e settoriali, che hanno avuto luogo sempre alla Camera di commercio di Torino nelle settimane successive al Convegno (il primo dedicato, la sera del 1° giugno, al ruolo degli IACP e delle Cooperative nel risanamento; il secon-do, la sera del 9 giugno, ai problemi delle categorie economiche presenti nel centro, dai commercianti agli artigiani).

LE D O M A N D E EMERGENTI

L'aggancio con la realtà locale — il « taglio » del dibattito — ha preso le mosse da alcune relazioni, della prima giornata, che hanno posto le « doman-de » su cui orientare il dibattito. Fon-damentale quella del maggior interlocu-tore, l'assessore all'urbanistica di Tori-no, R. Radicioni, che, nel delineare i problemi del risanamento di Torino nel

quadro della riorganizzazione urbana e territoriale, ha preso lo spunto proprio dalle rivendicazioni popolari e dai con-flitti per le abitazioni del centro e delle aree di degrado, nonché dalle istanze dei lavoratori travagliati dalla crisi del settore edilizio e dai fermenti del mon-do imprenditoriale che sollecitano sboc-chi produttivi alla drammatica crisi in atto. Richiamati il significato contingen-te e i limiti del « programma

straordi-nario » predisposto dal Comune di

To-rino per alcuni primi interventi urgenti di risanamento (per complessivi 1000 al-loggi in 4 anni), l'assessore ha indicato l'esigenza di una riflessione comune sui problemi nodali del risanamento, alla luce di linee d'indirizzo e di orienta-mento già esplicitati dal Comune e dal-la Regione in ordine aldal-la politica ur-bana e territoriale.

Una riflessione, quindi, orientata da al-cune scelte fondamentali: perché certo il problema del divario tra i costi di recupero delle abitazioni degradate (200.000 vani a Torino) e la capacità di spesa dell'utenza « insolvibile », o il problema della « deterziarizzazione » del centro di Torino (in funzione di riequilibrio urbano e territoriale) si pongono in termini tanto più ardui quanto meno si acceda ad ipotesi che presuppongono la conservazione o, al limite, l'accentuazione della rendita ur-bana; o ad ipotesi che accettino, per le aree centrali ( e / o per tutte quelle degradate) una discriminazione di ruoli, di standards, di condizioni di vita, o più semplicemente di status sociali, ri-spetto al contesto urbano.

Nascono di qui interrogativi e proble-mi che trovano riscontro nell'esperienza di altri Comuni (richiamati da R. De

Vecchi, di Aosta, e da G. Platone, di

Asti): la necessità e la difficoltà di ri-condurre gli interventi urgenti, i più im-mediati fatti gestionali, in una logica unitaria, in una programmazione coor-dinata e consapevole; la necessità e la difficoltà di investire nel risanamento e nel centro storico lo strumento più incisivo finora messo a disposizione del-l'operatore pubblico, quello del Piano di zona ex L. 167 e 865, con tutti i suoi limiti (rigidità dei meccanismi di esproprio, difficoltà applicative in

con-testi edificati e di proprietà frazionata, inapplicabilità dei tradizionali criteri di assegnazione, difficoltà di coinvolgimen-to di commercianti ed artigiani, incer-tezze nelle possibilità di « convenziona-mento » dell'intervento privato, scarsi-tà e rigidiscarsi-tà dei finanziamenti e delle agevolazioni statali e regionali, ecc.). Problemi e interrogativi resi più diffi-cili dalla fluidità del quadro giuridico ed istituzionale che, se da un lato sem-bra aprire nuove prospettive, soprattut-to dopo la L. 2 8 / 1 / 7 7 n° 10 sull'edifi-cabilità dei suoli, sugli indirizzi d'inter-vento per il recupero del patrimonio im-mobiliare degradato (A. Favetto), dal-l'altro impone certamente, come osserva

G. Picco, un significativo ripensamento

critico per l'avvio di una urbanistica « operativa » e non più soltanto « vin-colistica ». Si tratta infatti non soltanto di salvaguardare e tutelare (come anche la soprintendente ai beni ambientale,

M. G. Cerri, riconosce) ma di

reinven-tare la fisionomia stessa della città.

LE DIMENSIONI DEL PROBLEMA

In effetti, un approccio al problema del centro storico che muova dai problemi reali, dalle domande inevase e dalla stes-sa esperienza amministrativa, conduce subito alla contestazione della possibi-lità stessa di definire spazialmente il campo d'intervento, ritagliandolo dalla realtà contestuale. Lo ricordava R.

Go-betti aprendo la seconda giornata di

di-battito, in nome di una concezione di storicità integrale del territorio che ri-fiuta aree privilegiate dalla storia e dal-la cultura contemporanea. E tuttavia, proprio in un'ottica di considerazione unitaria del territorio, la qualità speci-fica delle preesistenze sembra imporre verifiche particolari nelle ipotesi d'inter-vento: la « priorità indilazionabile di scelte teoriche sulle vocazioni dei tes-suti storici », cui richiamava A.

Caval-lari Murat (sulla scorta di una

presti-giosa e paziente ricerca storica e medologica non certo limitata ai rioni to-rinesi). E tutti i contributi successivi, in

tema di analisi e pianificazione, hanno in qualche modo continuamente ripro-posto il nodo dell'unità-specificità dei problemi del centro, nei suoi rapporti con la città e il territorio.

Lo stesso conflitto tra valori economici e valori socio-culturali, che sembra do-minare le ipotesi d'intervento, rischie-rebbe di restare in gran parte indeci-frabile, qualora si fraintendesse il ruolo specifico svolto dal centro nell'econo-mia del territorio. Un ruolo in cambia-mento, come ha ricordato G. Dematteis, dal momento che il centro storico (cioè la « località centrale » storica della cit-tà) sta perdendo la sua centralità « fun-zionale » soprattutto nei confronti delle grandi imprese private, per l'azione di numerosi fattori (quali i costi crescen-ti della concentrazione — ivi compresa la vulnerabilità e la conflittualità azien-dale — e della congestione, la diminu-zione dell'accessibilità relativa, lo svi-luppo delle comunicazioni infraziendali e interaziendali e della mobilità perso-nale, la modificazione delle « indivisi-bilità » funzionali, e, in generale, l'ac-quisizione di maggior libertà e flessibi-lità localizzativa da parte delle imprese) pur mantenendo un tipo di centralità le-gato essenzialmente alla rendita fondia-ria. Si prospetta, quindi, non soltanto la necessità (ben motivata dalle distor-sioni e dagli squilibri che l'iperpolariz-zazione del centro torinese continua a determinare sull'intero assetto metropo-litano e regionale) ma anche la possibi-lità di modificare sensibilmente il ruolo del centro nel contesto urbano e terri-toriale, « normalizzandone » le funzioni con un'azione combinata che agisca sia sull'apparato degli uffici pubblici e del-le innumerevoli attività indotte, supe-randone l'inerzia al decentramento, sia sui trasporti e le infrastrutture, per crea-re o rafforzacrea-re località « centrali » pe-riferiche, a scala comprensoriale e re-gionale, verso cui orientare la riloca-lizzazione del terziario, sia ancora sul controllo della rendita fondiaria, per stroncare i privilegi « ereditari » del centro storico. È questa, certamente, la condizione perché possa attuarsi una efficace salvaguardia socio-culturale del centro storico, perché anche quell'impe-gno e quella responsabilità

politico-cul-turale che si richiede in primo luogo agli amministratori in direzione dei beni culturali (G. Vigliano) diano i loro frutti.

È tuttavia una condizione difficile da raggiungere proprio in conseguenza del-l'intensità e complessità dei processi di concentrazione fin qui consumati. Co-me risulta da un'indagine promossa dal-la Regione, illustrata da M. Ceppi, l'ipo-tesi di una drastica « deterziarizzazio-ne » e despecializzaziodeterziarizzazio-ne del centro, in funzione del massimo possibile recupe-ro residenziale — a patto di recuperare gli standard abitativi e di servizi sociali in termini omogenei al resto della città, e coi vincoli determinati dalle peculia-rità del tessuto — presenta costi e ri-schi elevati. Al mantenimento di un li-vello insediativo pressoché pari a quello attuale (circa 70.000 abitanti) corrispon-derebbe infatti specularmente l'allonta-namento di circa 1 / 3 degli attuali ad-detti alle attività del centro: e si può osservare anche che, in carenza di effi-caci controlli e misure di carattere ge-nerale, la riqualificazione abitativa e la stessa logica del decentramento tenrebbero a penalizzare le attività più de-boli e più « povere » (quelle cioè meno capaci di sostenere i costi del decentra-mento e / o della riqualificazione) inne-scando fenomeni di espulsione selettiva e dunque di ulteriore specializzazione economica, secondo i consueti meccani-smi di crescita metropolitana.

Sono queste considerazioni che confe-riscono ai problemi del centro storico (in quanto area oggi « specialissima » rispetto alla città e alla regione) una ri-levanza e una complessità particolari, nella più vasta problematica del degra-do edilizio ed abitativo. Problematica che a sua volta si allarga ben al di là del centro storico, nelle degradate bar-riere operaie, nei centri della prima cin-tura catcin-turati dalla crescita metropoli-tana, nelle stesse anonime periferie del-la prima espansione, e che certo richie-de — come ricordava G. Rabino richie- del-l'IRES — analisi sistematiche per evi-tare l'episodicità e la casualità degli in-terventi. Ma questa è anche l'ipotesi — come affermano V. Comoli

Mandrac-ci e P. Tosoni, e come sembra indicare

il dibattito di Torino — che deve

orien-tare non solo l'analisi socio-economica e la pianificazione a largo raggio, ma an-che l'analisi specifica del tessuto storico e la lettura critica del patrimonio edi-lizio del centro, perché attraverso una diversa interpretazione della sua strut-tura, della sua morfologia, delle sue va-lenze, possa realizzarsi una contestazio-ne scientifica e quindi socialmente effi-cace della « città ineguale », ponendo le basi razionali per strategie alterna-tive.

In questo senso deve e può essere recu-perato criticamente anche il lavoro di analisi e di pianificazione sviluppato dal Comune di Torino (illustrato da A.

Scri-bani) a partire dagli anni '60,

appro-dato, prima del « programma straordi-nario », all'adozione della Variante 17 di salvaguardia e alla predisposizione di 6 Piani Particolareggiati. La prospet-tiva dei piani esecutivi è ormai domi-nata, come ha ricordato G. Abbate, dai programmi d'attuazione: strumento non certo sostitutivo, ma innovativo e inte-grativo.

I PROBLEMI D'INTERVENTO

Il dibattito sui problemi operativi è sta-to apersta-to dalla presentazione di un pri-mo intervento esecutivo avviato dal Co-mune di Torino nel quadro del « pro-gramma straordinario » (il risanamento di un edificio nel cuore del centro sto-rico in v. S. Massimo — ex-« Imcentro »): un intervento certo assai mo-desto — circa 90 alloggi, per circa 300 abitanti — di cui però l'assessore G.

Sa-lerno ha sottolineato il significato

esem-plare, di avvio concreto della politica di risanamento.

Proprio di qui, dal confronto, che an-che la Mostra documentaria metteva sot-to gli occhi di tutti (la situazione di Torino a questo riguardo non è certo migliore degli altri Comuni, anzi), tra il pochissimo che si sta facendo e il mol-tissimo che si dovrebbe fare, ha preso le mosse il dibattito. Tra le tesi che si sono scontrate merita segnalare:

— quella secondo cui l'innesco di una politica di recupero del centro sta nel-l'allentamento della « tensione abitati-va » sul centro stesso, collegando orga-nicamente il risanamento del vecchio alle nuove edificazioni economico-popo-lari (A. Bastianini);

— quella secondo cui il necessario « ef-fetto moltiplicatore » per coprire la di-mensione reale del problema deve es-sere ricercato nell'« uso sociale » della rendita urbana liberata nelle abitazioni svuotate del centro, controllata e impe-gnata per finanziare il divario altrimen-ti insanabile tra costo del risanamento e capacità di spesa degli utenti attuali (o comunque di quelli cui si vuol con-sentire di alloggiare nel centro): anco-ra Bastianini-,

— quella secondo cui, in generale, l'ade-guamento quali-quantitativo dell'offerta abitativa alla domanda sociale insoddi-sfatta richiede un radicale rinnovamen-to degli istituti e della politica crediti-zia, finanziaria, fiscale; e, in partico-lare per il risanamento in Torino, la mobilitazione di risorse private a fini pubblici può essere efficacemente cana-lizzata da un'Agenzia pubblica (basata sulla Finanziaria regionale) che possa svolgere un'azione di supporto finanzia-rio e tecnico alla realizzazione dei pro-grammi urbanistico-abitaiivi (B. Gatti)', — quella secondo cui la politica del ri-sanamento va correttamente ricondotta ad una più generale « politica della casa », all'interno della quale — tenen-do conto del quadro economico, poli-tico, sociale ed occupazionale del pae-se — il risanamento può svolgere un ruolo grandissimo, ma non risolutivo

(B. Garzena). Anche nell'elaborazione

della politica locale del risanamento oc-corre rifarsi alla problematica generale della casa, che richiede « strategie mi-ste », articolate e differenziate a più li-velli;

— quella secondo cui i fallimenti fi-nora registrati ci impongono di abban-donare i progetti di interventi profon-di, concentrati, episodici od esemplari — strada praticabile soltanto con costi sociali insostenibili o a patto di

sepa-rare artificialmente i problemi del de-grado edilizio da quelli dell'utenza « po-vera » — per tentare una più larga e consapevole « gestione del degrado », anche attraverso criteri di restauro e re-cupero (piccolo restauro, restauro leg-gero, manutenzione straordinaria) meno" costosi e traumatici e più generalizza-bili, che consentano un progressivo e generale miglioramento degli standard abitativi oggi inaccettabili (L. Mazza). Nel dibattito si è inserita la voce dei costruttori, la cui disponibilità all'ope-razione di risanamento è certamente di più difficile verifica qualora si abban-doni ogni ipotesi di recupero della ren-dita e il problema si sposti in direzione di un recupero « diffuso » del degrado edilizio; la voce degli 1ACP, che ri-vendicano un uso e una programmazio-ne diversa delle risorse sia pubbliche che private, sostenendo che non si trat-ta di spendere « di più » che in passa-to, ma di spendere meglio (Sulotto ha portato l'esempio dell'intervento IACP sulle case di v. Biglieri a Torino) e an-cora la voce degli inquilini (SUNIA), delle Cooperative, dei quartieri

(Coor-dinamento quartieri), degli artigiani (Colomberotto) e dei commercianti (Lo faro).

Tesi ed ipotesi spesso contrapposte, del-le quali il dibattito non ha fornito, né poteva e voleva fornire, una composi-zione risolutiva. Anche perché, come ha osservato il moderatore B. Secchi, l'analisi è ancora spesso troppo sche-matica e superficiale: cosi per l'argo-mento della « grande dimensione » del risanamento, che ha dominato buona parte del dibattito, utilizzato a volte in chiave « terroristica » (il problema è troppo grande, quindi...), a volte in chia-ve « filantropica » (occorre una politica assistenziale...), mentre presenta, in po-sitivo, il significato di un'occasione sto-rica di rilancio produttivo ed occupa-zionale; cosi anche per la questione del-l'uso delle risorse private a fini pub-blici, che richiede un'analisi da una par-te del comportamento dei diversi ope-ratori nella fase attuale, dall'altra del comportamento della pubblica ammini-strazione, con special riguardo al « con-venzionamento ».

Su quest'ultimo punto, di particolare interesse l'intervento di Santilli, che ha sostenuto la tesi secondo cui la legge 2 8 / 1 / 7 7 n° 10, soprattutto con l'intro-duzione dei « programmi d'attuazione », ha notevolmente arricchito il potere re-golamentare del Comune, ponendo le basi per una concezione del « conven-zionamento » dell'intervento privato as-sai più ampia e profonda di quella già dalla stessa legge introdotta in connes-sione con l'istituto della « concessio-ne ». In questa concezioconcessio-ne, che certa-mente impone il ripensamento della

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