• Non ci sono risultati.

I culti positivi e la funzione sociale del rito

1.4 I rituali

1.4.3 I culti positivi e la funzione sociale del rito

Introduciamo ora il rito positivo. Questi rituali presuppongono che il fedele sia uscito dalla vita profana, quotidiana, difatti sono allestiti luoghi e tempi appositi definiti sacri. Per via che una pratica sociale sia definita come “rito” è necessario anche che tutto il clan vi partecipi. Tra le caratteristiche presentate da Durkheim ci sono la grande densità di corpi e l’effervescenza collettiva che la densità provoca. L’aspetto che ci interessa qui mettere in luce è quello della riunione di tutti i fedeli che porta a rafforzare l’idea di società e di conseguenza rafforzare anche la loro anima, che è la parte sociale dell’individuo.

Anima e società, sono soggette al deterioramento poiché nella vita profana perdono la loro importanza.

Il primo rituale che presenta Durkheim è il sacrificio. Il sacrificio nelle società totemiche sembra in realtà inesistente poiché le due fasi principali, comunione e

oblazione sono separate e non ben definibili. Durkheim però analizza la cerimonia dell’intichiuma, un rito che viene compiuto dai clan totemici rivolto al Totem, in cui sembra che il risultato finale debba garantire la prosperità della specie totemica. In questa cerimonia vi sono più fasi e rituali e viene svolto durante il periodo di rinascita della natura poiché, guardando le primizie, i clan notarono che esse manifestavano un’energia superiore. Il sociologo arriva alla conclusione che tra questi rituali si può trovare un primo esempio di rito sacrificale.

Durkheim nello studio del rituale riprende le idee di Robertson Smith. In accordo con l’antropologo scozzese spiega che il sacrificio è un pasto, più precisamente un pasto consumato in comune tra i fedeli e l’essere sacro. Questo pasto conferisce un grado di parentela tra i commensali, cosicché saranno uniti da un vincolo sacro. Il solo fatto di riunirsi insieme e consumare un pasto sacro fa sì che i fedeli sentano rinata l’idea di sacralità. Non solo, ciò che i commensali consumano è una parte di un essere sacro e così mangiandola ridanno vigore alla loro parte sacra, l’anima. Il mondo sacro deve sempre essere riaffermato poiché durante i periodi profani, quotidiani, rischia di finire nell’oblio. Robertson Smith però si ferma al momento della comunione, esso infatti è ricoperto di dubbi sull’oblazione e si pone la domanda sul significato dell’offerta a un essere che ha come caratteristica principale il provvedere al sostentamento della comunità. Durkheim invece continua la sua riflessione e capisce l’importanza del secondo momento rituale.

Come abbiamo già visto l’essere sacro è il simbolo della comunità, l’offerta che il fedele offre ad esso simboleggia l’aiuto del membro alla comunità. L’essere sacro, come appunto la società, vive solo nella mente del fedele, e quindi ha bisogno che il pensiero che l’individuo ha di esso sia vivificato per non scomparire. Tutte le rappresentazioni collettive vengono interiorizzate dagli individui, ma è solo durante le cerimonie collettive, mentre il gruppo è riunito, che possono esprimere la loro forza, senza questi raggruppamenti periodici perderebbero il loro potere. Così, come gli umani hanno bisogno delle rappresentazioni collettive, poiché le arti, le scienze,

il linguaggio elaborati socialmente vengono in aiuto agli esseri umani, le rappresentazioni hanno bisogno di essere vivide in ogni individuo per continuare ad agire e il solo modo per riaffermarle è riprodurre lo stato in cui esse sono nate: l’aggregazione sociale.

Superando allora Robertson Smith il sociologo di Épinal vede nel sacrificio la funzione aggregativa del rituale. La forza sociale, le rappresentazioni collettive e i loro simboli, ovvero gli esseri sacri, sono possibili solo perché la comunità ha istituito dei riti, e a questi riti si sente obbligata poiché il sacro si è esteriorizzato e ha una forte influenza su di essa. Come spiegato sopra, anche se il rito sembra avere una funzione strumentale, ovvero quella di aiutare la specie totemica a perpetuarsi e non perire, questo è solo un simbolo poiché ciò che si perpetua e non perisce è la società e le forze che mette in azione sull’individuo. Allora il singolo uomo riceve il meglio dalla società e si sente più forte durante i rituali, si sente di poter agire meglio, ma anche la società riceve forza dagli individui poiché, ridestando le loro rappresentazioni collettive, ricreano l’idea sociale che andrebbe persa durante la vita quotidiana di routine.

Durkheim, fin da questo primo rito presentato, mostra l’approccio che avrà per tutti i seguenti rituali, ovvero quello di studiarli nel campo laico e sociale. Riportiamo una parte direttamente dal testo de Les formes, poiché ci sembra chiarificatrice sia del suo approccio sia delle sue idee:

‹‹Se, come abbiamo cercato di stabilire, il principio sacro non è altro che la società ipostatizzata e trasfigurata, la vita rituale deve poter essere interpretata in termini laici e sociali. E infatti, come quest’ultima, anche la vita sociale si muove in un circolo. Da una parte, l’individuo riceve dalla società il meglio di se stesso, tutto ciò che gli dà una fisionomia e un posto particolare tra gli altri esseri, la sua cultura intellettuale e morale. Si tolgano all’uomo il linguaggio, le scienze, le arti, le credenze della morale, e egli cadrà al livello dell’animalità. Gli attributi caratteristici della natura umana ci provengono quindi dalla società. Ma d’altra parte, la società non esiste e non vive che negli e mediante gli individui. Si lasci che l’idea di società si estingua negli spiriti individuali, che le credenze, le tradizioni, le aspirazioni

della collettività cessino di essere sentite e condivise dai singoli, e la società morirà››.52

Ritorneremo dopo sul culto del sacrificio, in questa parte ci concentriamo sulla funzione sociale, quella che costantemente ricrea l’idea sociale e aggrega i membri portandoli a sentirsi più uniti e più forti. Una doppia funzione quindi sia psicologica sia sociale quella del rito visto in questi termini. La prima porta l’individuo a sentirsi migliore poiché è rafforzato il suo principio sociale, sacro, l’anima, il secondo, l’aspetto sociale, porta a una nuova vita l’idea della società che si era affievolita e indebolita durante la routine quotidiana, profana. Ciò che crea allora il rituale è una solidarietà interna della comunità, ricreando l’idea della società crea solidarietà tra i membri poiché essi si sentono uniti sotto la solita forza morale, sotto il solito totem che la simboleggia.53

Non solo il sacrificio viene studiato in questi termini dal sociologo nel suo te- sto, tutti i rituali vengono abbondantemente presentanti e Durkheim mostra che in tutti possiamo ritrovare questa funzione principale, così faremo anche noi per arri- vare alla fine dello studio a rafforzare quest’idea della funzione sociale del rito per superare le società strettamente religiose e studiare quelle secolarizzate.

Durkheim nel capitolo successivo introduce un’altra tipologia di rituale, quello mimetico o imitativo54. Anche questo facente parte di una fase dell’Intichiuma. Du-

rante la cerimonia i membri del clan si pitturano il corpo per imitare l’aspetto este- riore della specie totemica e ne emulano i comportamenti, i versi e le urla. Di nuovo

52 Ivi, p. 374.

53 Avremo modo più avanti di approfondire il concetto di solidarietà in Durkheim. La solidarietà che si crea nelle società totemiche è differente da quella delle società contemporanee. Per spiegare meglio i concetti di solidarietà in Durkheim crediamo sia meglio aspettare di presentare anche la solidarietà che si crea nelle società contemporanee per metterle a confronto, non entreremo qui nello specifico.

54 Il rito verrà introdotto qui ma poi ripreso nel paragrafo successivo più ampiamente quindi non ci soffermeremo su tutte le caratteristiche ma metteremo in luce solo quelle essenziali per la sua funzione sociale e aggregativa.

nella pratica rituale sembra che preoccupi la prosperità e la riproduzione del Totem. La nuova generazione della specie è fondamentale per tenere vivo il clan, infatti i membri condividono la natura di questo e una sua scomparsa significherebbe la scomparsa del clan.

Ciò che colpisce però è che finito il rituale tutto il clan è convinto di aver dav- vero conseguito il risultato senza aspettare i dati esteriori, senza aspettare la nuova generazione totemica. Il rituale arriva sicuramente al risultato. Il sociologo spiega che vengono applicati qua due principi, dei quali esso è interessato soprattutto a uno: ‹‹il simile produce il simile››55. Gli studi a cui si riferisce Durkheim per questi

principi sono oltre a quelli di Frazer, quelli di due membri dell’Annèe Sociologique, Hubert e Mauss, quest’ultimo suo nipote e adepto. Il solo fatto che tutto il clan imita l’animale totemico lo porta a riprodursi, è come se il gruppo stesso lo ricreasse, come se la riproduzione dipendesse dal clan e non dalla natura, non è un aiuto come negli altri rituali, qui è proprio il clan a riprodurre la specie totemica.

Ma come sempre quello che ci interessa è vedere la funzione che sta dietro all’aspetto religioso. Quello che fanno i membri del clan è agire tutti insieme all’unisono: tutti compiono i soliti gesti, le solite grida, e cosi diventano un’unità.

Ciò che si riproduce può essere il totem ma solo come simbolo, poiché finito il rito una cosa è sicuramente riprodotta: la società. Il legame sociale, la parentela che unisce tutto il clan viene ravvivata, i membri del clan rafforzano la consapevolezza di essere appartenenti alla solita comunità e ad avere il solito Totem poiché tutti lo emulano, così da salvare l’idea della società poiché: ‹‹Essa esiste in quanto è credu- ta e tutte queste dimostrazioni collettive hanno l’effetto di mantenere vive le creden- ze su cui essa riposa››.56

I rituali analizzati presentano però tutti un aspetto, seppur simbolico e solo ap- parente, strumentale, come se il fine vero e ultimo fosse quello della riproduzione della specie totemica. Per continuare l’indagine sulla funzione sociale del rito abbia-

55 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit. p. 420. 56 Ivi, p. 422.

mo bisogno di una tipologia rituale in cui non esista neppure l’aspetto simbolico del fine utilitaristico. Proprio seguendo la disamina durkheimiana dobbiamo presentare i rituali commemorativi, in cui, come vedremo, l’unico fine è quello di rendere lode all’essere sacro e alla storia mitica di tutto il clan. Se si esclude l'Intichiuma del clan del Serpente nero57, la grande maggioranza di questi rituali viene svolto solo per far

tornare presente il passato e le gesta dell’antenato mitico così da ravvivare la forza collettiva che le gesta eroiche e il passato collettivo risvegliano nei membri del clan. L’unico fine presente nei riti commemorativi è quello morale, sociale, e ciò lo rende un rito importante negli studi del sociologo di Épinal, è grazie a questi che può affermare che ‹‹Tutto ci riconduce quindi alla stessa idea: i riti sono, innanzitut- to, i mezzi con cui il gruppo sociale si riafferma periodicamente››58. È la carica

emotiva della memoria qui che innalza i sentimenti umani e dall’individualismo profano li eleva alla vita sociale che da sempre, anche nel passato non vissuto dai membri attuali del clan, è più forte e così si riesce a riaffermare.

Fino ad ora tutte le emozioni e le sensazioni provate dai fedeli nei rituali pre- sentati sono molto intense, lo stato di effervescenza collettiva a cui porta il rituale è ciò che li accomuna, lo stato psico-fisico del fedele che lo pratica è sostanzialmente diverso dallo stato che vige nella vita quotidiana e profana. Tuttavia Durkheim, at- tento indagatore di tutta la cultura totemica e sempre preciso nella sua stesura, fa notare che i rituali presentati vengono accomunati dalla tipologia di forte emozione provata: la gioia. Ma per far valere una teoria tutti i riti devono presentare la solita finalità sociale e quindi non possiamo tralasciarne alcuni, fedeli all’esposizione de Les Formes presenteremo ora quei rituali che vengono praticati durante periodi ne- fasti, i riti piaculari, per dimostrare che anche questi hanno la solita funzione socia- le. Possiamo portare alcuni esempi dei rituali che si compiono dopo un lutto all’interno del clan, che oltre a tutta una serie di culti negativi di astensione, com- porta anche una pratica attiva di tutta la comunità totemica.

57 Questo rituale è sì commemorativo ma alla fine si pensa che i serpenti neri si siano moltiplicati. 58 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit., p. 452.

Nella pratica di questi rituali vengono esteriorizzate, dai membri del clan, tutta una serie di emozioni nefaste, unite a grida e gesti di disperazione. Tutto il clan sembra provare le stesse emozioni dei parenti più prossimi al defunto. Quello che però asserisce Durkheim è che tra le emozioni realmente provate e quelle esternate non vi è alcuna relazione. Ciò che fa il fedele durante il rituale è mettere in pratica un obbligo che sente derivargli da tutto il gruppo, e quindi di natura sociale, così da non poter agire altrimenti. Come mai sente questo obbligo? La risposta è ancora una volta di natura sociale. Quando avviene la perdita di un membro del clan tutto il clan si sente indebolito, un’anima è spirata via e non può più supportare il clan. I membri sono portati a unirsi per dimostrarsi che la vita sociale del clan non è intac- cata dalla perdita e così nelle loro coscienze ravvivano l’idea di società. Anche nel dolore e nei momenti peggiori è l’aggregazione sociale che porta all’effervescenza collettiva che stacca l’uomo dalla sua quotidianità profana e lo riporta nel dominio sacro, sociale, rafforzando l’idea che se ne fa e la sua anima.

Vediamo che questo rituale funziona anche con altri avvenimenti negativi come la perdita del churinga per esempio, in tutti i casi la risposta del clan all’even- to funesto è sempre quello di una pratica svolta tutti insieme, un rituale che risvegli le forze collettive. Ciò che spinge alla pratica rituale gli individui è la società stessa poiché ‹‹Per sopravvivere la società deve rinverdire quello che gli individui hanno dato mostra di credere, di pensare di stimare. Il rituale serve per riaffermare i valori e gli orientamenti di valore su cui la società chiama degli individui a concordare e sottoscrivere››.59