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2.4. Rituali e Rivoluzione

2.4.1 La Rivoluzione francese

All’inizio del XVIII secolo, con l’avvento dell’Illuminismo, si andava creando anche l’idea che la vita sociale, lo Stato e la politica dovessero intervenire nella vita dei cittadini per portarli alla felicità terrena. Tali concezioni si scontravano con il modello di vita ecclesiastico che predicava la felicità come una meta ultraterrena.

La Rivoluzione francese poggia i suoi intenti nelle opinioni degli intellettuali illuministi: bisogna creare uno Stato che diventi un’entità morale grazie al quale si può raggiungere felicità del paese e dei suoi cittadini; per questo non c’è più spazio per una monarchia opprimente. L’idea di cambiamento e le promesse di una vita migliore creano subito quello stampo religioso che vedremo essere significativo nella Rivoluzione. Molti sono gli studiosi, tra cui lo stesso Émile Durkheim, che hanno trattato la Rivoluzione francese come un culto. Dobbiamo cercare allora di mettere in evidenza ciò che ha portato alla liturgia rivoluzionaria e come poi questo si è sviluppato, prestando particolare attenzione alle numerose feste che hanno creato solidarietà e una nuova coscienza collettiva, sacralizzando la Patria e i nuovi diritti inalienabili del cittadino su quali si doveva fondare la Francia. Fin da subito si instaura l’interesse per i rituali e le celebrazioni che portano con sé la consacrazione della società e di nuovi simboli che la rappresentano. Nella Rivoluzione francese andremo nuovamente ad analizzare il meccanismo del rituale, cercando di mettere in risalto gli aspetti coesivi e performativi.

Uno degli aspetti però più pregnanti del rituale rivoluzionario è, secondo noi, la spettacolarizzazione della rottura col passato. La pratica rituale viene usata dai rivoluzionari per infondere nella coscienza una linea demarcativa forte, che separa il presente da un passato che finisce, una comunità nuova da quella precedente. La violenta spettacolarizzazione viene rappresentata dal rituale della ghigliottina. Durante la decapitazione degli oppositori c’è la voglia di dimostrare la rottura, un passaggio di stato che porterà alla nuova Francia. Ma, secondo noi, è con la decapitazione di Luigi XVI, che la simbologia diventa ancora più importante: come

visto in precedenza il Re rappresenta anche il corpo collettivo133, rappresenta la

società stessa. Proprio quella società va a sgretolarsi durante il rituale della decapitazione e, contemporaneamente, nel rito si sta già creando una nuova coesione sociale insieme a una nuova costellazione di simboli che si andranno a sostituire a quello del monarca. L’effervescenza collettiva che ha luogo nel rituale cresce a dismisura, il popolo presente percepisce la fine dell’era precedente, e mentre questo accade sente una nuova unione, la società francese rinasce grazie alla forza simbolica del rito.

Abbiamo visto che non esiste società senza un sentimento di solidarietà che ne faccia da matrice. Soprattutto per una nuova comunità c’è bisogno di creare un sentimento di coesione sociale tale da determinare la sua esistenza. Anche la nuova società nata dalla Rivoluzione riesce a plasmare un forte sentimento di solidarietà tramite la pratica rituale.

Il rituale che più dimostra questa caratteristica è quello del giuramento civico. Il cittadino francese può diventare tale solamente dopo un rituale in cui giura fedeltà agli ideali della Dichiarazione dei diritti. La nuova comunità affida la sua solidarietà al rituale, per mezzo di questo il nuovo membro comunitario sente di appartenere alla comunità e la comunità si riafferma nella pratica. Mathiez spiega che l’unico modo per essere cittadino francese era prestare il giuramento, altrimenti si era tagliati fuori:

‹‹La Costituzione del 1791 stabilisce che, per essere cittadini attivi, è necessario prestare il giuramento civico, vale a dire di aderire nella maniera più solenne alla nuova istituzione politica, alla Costituzione, della quale la Dichiarazione dei Diritti è parte dogmatica. Coloro che si rifiutano di giurare sul credo politico sono quindi tagliati fuori dalla comunità , colpiti da una scomunica civile››.134

133 Cfr Kantorowicz ( 1957).

In questa pratica sociale possiamo scorgere il significato religioso che si è imposto negli uomini della rivoluzione. Come un battesimo, è solo il giuramento, quindi un rituale di passaggio, che dà la possibilità di diventare un nuovo membro della società.

Il giuramento spesso veniva compiuto durante feste e celebrazioni così da portare l’effervescenza collettiva ad un grado più elevato e sentire maggiormente la solidarietà sociale che deriva dalla grande densità corporea. Il rituale del giuramento civico fu di origine sociale, nessuno lo aveva imposto ma si era semplicemente affermato, poiché un’adesione rituale a una nuova comunità la ridefinisce e rinvigorisce ogni volta. Grazie al giuramento i nuovi cittadini accettano l’adorazione dei simboli: la patria, la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza e la Dichiarazione dei diritti. Accettano di entrare in una nuova comunità sociale che si è scelta come entità lo Stato.

Il sentimento di coesione non si creò solamente nel giuramento civico. Numerose sono le feste che la rivoluzione istituì, tra le quali molte furono celebrate per commemorare le giornate della Rivoluzione e i suoi caduti. Fu durante queste feste che il popolo francese prese coscienza della nuova Francia e della fine della Monarchia.

È la festa, allora, la grande protagonista della Rivoluzione ed è per questo che bisogna approfondire come le feste rivoluzionarie sono stati importanti per la ridefinizione del tempo, per la coesione sociale e per il nuovo immaginario collettivo che ha portato ad un iniziale successo della Rivoluzione.

La Rivoluzione portò con sé una grande modifica temporale nella Francia dell’epoca. Fu attuata una vera e propria rivisitazione del calendario annuale. I mesi e i giorni presero un nuovo nome e furono suddivisi diversamente rispetto a quelli precedenti. L’intento degli uomini della rivoluzione era staccarsi completamente dal passato monarchico. Oltre a questa rivisitazione nominativa, tutto il complesso festivo fu rinnovato così da creare una nuova suddivisione tra tempo sacro e profano. Durante il tempo sacro la comunità doveva celebrarsi e rinnovarsi ed è per

tal motivo che non mancarono mai i riferimenti alle imprese rivoluzionarie nelle nuove feste istituite.

La festa divenne un rituale di primaria importanza. Fu usata per creare un nuovo spirito collettivo che animasse il popolo nel ricordo della rivoluzione e che formasse uno strappo netto col passato. L’idea che ogni gesto compiuto nella rivoluzione andasse commemorato si instaurò nella coscienza francese poiché doveva nascere una comunità nuova, fondata su quegli ideali rivoluzionari. Nuovi valori, nuove credenze, nuovi eroi , che si andarono a sostituire a quelli precedenti, riuscirono ad imporsi grazie alle nuove feste rivoluzionarie. Proprio la creazione di questi nuovi ideali collettivi portano alla creazione di un nuovo uomo, libero cittadino francese e non più suddito della monarchia : ‹‹A new calendar, new images, and new kinds of processions worked to create a new man by laying a new social foundation for his existence››135

Vediamo che è ripreso anche qua il fine che Durkheim attribuisce alle pratiche rituali. Durante le celebrazioni rituali si crea un immaginario collettivo che cambierà anche quello individuale e rafforzerà la solidarietà interna della comunità. Oltre alla solidarietà sociale le celebrazioni rituali che si svolgevano durante le feste rivoluzionarie andarono a consacrare una nuova simbologia. Fu adottata per la prima volta la bandiera tricolore, che sventolava, dopo il 1794, ad ogni festa nazionale per rimarcare il grande amore per la nuova patria repubblicana. Inoltre furono costruiti altari della patria e piantati gli alberi della libertà. Questi simboli sarebbero rimasti insignificanti o forse nemmeno mai esistiti se non fossero diventati un centro focale dei rituali francesi durante il periodo rivoluzionario. Un grande corpo sociale incanala tutto il suo immaginario collettivo in simboli materiali: l’amore per la patria, per la libertà, l’unione comunitaria e le idee di una società nuova vengono simboleggiati dai più disparati oggetti materiali che durante i rituali rianimano lo spirito sociale. Tra i grandi simboli della Rivoluzione però forse

135Hunt, L., The sacred and the French Revolution, J. Alexander, J. (Ed.), Durkheimian Sociology: Cultural Studies (pp. 25-43). Cambridge University Press, Cambridge, p.30.

nessuno come la Dichiarazione dei diritti è riuscito ad animare il popolo. In ogni festa in cui veniva letta, la Dichiarazione esaltava l’effervescenza collettiva che consacrava sempre più gli ideali che portarono alla Rivoluzione.

Numerose furono quindi le feste che si andarono ad inserire nel calendario francese, come detto in precedenza molte fra queste avevano lo scopo di commemorare giornate importanti per la Rivoluzione. Le feste commemorative richiamavano alla memoria proprio le gesta eroiche della rivoluzione o i suoi martiri. È la celebrazione rituale della rivoluzione a mantenere vivo e acceso il ricordo di essa, nella coscienza collettiva del popolo, che per sempre deve ricordare le sue conquiste ed insegnare alle nuove generazioni la grandezza di tali imprese . In alcune di queste feste il rito commemorativo ricordava il rito mimetico descritto da Durkheim ne Les Formes. Come spiega Mona Ozouf :

‹‹Inoltre mediante la ripetizione, si riesce a far rivivere l’atmosfera sacra e fausta dei tempi mitici. Contemplando, recitando, o meglio ancora mimando le gloriose giornate, che furono l’infanzia della rivoluzione, si compie un atto di fede nella trasmettibilità dell’eroismo››136

Questo aspetto ricorda proprio quei riti descritti in precedenza analizzati da Durkheim nella società totemica australiana. Mimare la specie totemica ricrea la società poiché si ricrea lo spirito collettivo e il senso di unità. Così il popolo francese aveva bisogno di mimare le azioni svolte nella Rivoluzione per ricreare quell’effervescenza collettiva che li portò al ribaltamento del potere costituito

L’introduzione di un nuovo culto viene agevolato, oltre che dalla ridefinizione del tempo anche da quella degli spazi sacri in cui la nuova società celebra le sue feste e i suoi rituali. Fu importante quindi la scelta di spazi simbolici per creare nell’immaginario collettivo l’idea di un nuovo ordine sociale che sradica quello precedente. Gli spazi privilegiati per le festività rivoluzionarie furono quelli ampi e

136 Ozouf, M., La Fête révolutionnaire 1789–1799, Paris, 1976, trad. it di F. Cataldi Villari, La

aperti. Questa scelta non è casuale ed è determinata da più fattori. Come spiegato anche da Mona Ozouf nel capitolo dedicato alla festa e lo spazio nella Rivoluzione francese, in quel determinato periodo storico servivano degli spazi incontaminati, qualcosa che non richiamasse ad altri culti precedenti come le chiese:

‹‹ lo spazio aperto infine presenta l’enorme vantaggio di essere uno spazio senza memoria, può quindi pienamente evidenziare l’ingresso in un mondo nuovo››.137

L’idea dello spazio aperto è inoltre il simbolo della libertà. Celebrare un rituale in un luogo chiuso rischia di influenzare le rappresentazioni collettive e di instillare nella coscienza una gerarchia, inesistente negli spazi aperti dove il popolo è unito sul solito piano. Libertà e uguaglianza, non a caso due tra i tre capisaldi della Rivoluzione, sono simboleggiati alla perfezione da una distesa erbosa.

L’importanza del luogo rimane comunque legata ai simboli che vi sono rappresentati. Ogni spazio dedicato alle cerimonie rivoluzionarie non poteva rimanere spoglio di quei simboli che si erano consacrati nella Rivoluzione. Spesso l’altare della patria capeggiava la festa, proprio da questo veniva letta la Dichiarazione dei diritti. Ma non solo gli altari della patria, anche gli alberi della libertà e le coccarde tricolore erano sempre presenti durante la festa e ne rappresentavano un centro simbolico importante.

Lo schema della rivoluzione francese quindi segue quello già elaborato per gli altri esempi. L’importanza del rituale come collante sociale e come produttore di simboli sacri emerge analizzando l’andamento rivoluzionario: il divenire un culto e non solamente un’azione politica. Ma nella rivoluzione è ancora più marcato il sentimento ostile verso i precedenti ideali. Durante il rituale c’è bisogno di una drammatizzazione del passaggio di stato. L’azione stessa drammatizzata diventa

performativa e va a rafforzare la coscienza collettiva, l’idea di Repubblica e di patria, l’idea che la monarchia è finita ed è iniziata una nuova era, in cui sono presenti nuove cose sacre , una nuova comunità.

Tutti i simboli sociali che erano centrali nelle feste rituali appartenevano a un mondo sacro, il mondo che doveva creare e simboleggiare la coscienza collettiva del nuovo popolo di Francia, un popolo repubblicano e non dei sudditi del monarca. La rivoluzione francese precede cronologicamente gli altri esempi portati ed infatti sia Hitler sia Mussolini si sono ispirati ed hanno preso in prestito alcuni simboli poi trasfigurati.

Gli esempi riportati, come già spiegato, sono quelli che più mettono luce sul meccanismo che abbiamo cercato di studiare. Il lavoro di Émile Durkheim è stato quello di dimostrare l’aspetto sociale della religione; per noi, e per gli studiosi su cui ci siamo appoggiati, questo aspetto sociale si ripercuote sui molteplici ambiti della socialità, compreso quello politico.

Nella politica vi abbiamo trovato numerose differenze di grado e abbiamo deciso di riportare più approfonditamente solo gli esempi che potevano aiutare alla chiarezza dei meccanismi analizzati. Tuttavia questo aspetto rituale della vita politica abbraccia anche altri sistemi, come per esempio l’odierna democrazia, rimanendo però più nascosto e frazionato. La vita politica nazista, fascista o rivoluzionaria era una vita rituale in senso forte e totale, al contrario della vita politica dei giorni nostri in cui solo in alcune situazione emerge una pratica rituale. L’intento del capitolo era mettere in risalto i meccanismi del rituale come strumento politico e quindi , di conseguenza, sia analizzare la possibilità di trovare simboli consacrati come nella religione sia studiarne l’aspetto coesivo. L’altro studio che si intreccia con quello principale è quello dell’opera ultima di Durkheim nella misura in cui per noi può rappresentare uno degli studi di sociologia della religione più illuminante e totalizzante. Abbiamo cercato di trasportare la sua analisi de Le forme elementari della vita religiosa, in un contesto differente per avvalorare le sue tesi e

dimostrare che possono essere applicate anche a società differenti da quelle totemiche, seppur con intensità e modalità a volte differenti.

Concluso questo capitolo dobbiamo ora fare un ulteriore passo avanti, lasciare l’analisi politica e concentrarci sull’odierna società dei consumi, ritrovare l’aspetto rituale che descrive Durkheim ed analizzarlo nei vari ambiti dell’esistenza consumistica, individuale e sociale..

III

I rituali nelle società contemporanee

Dopo l’argomentazione delle teorie durkheimiane sulla sociologia della religione, nel secondo capitolo abbiamo cercato di applicare queste al mondo della politica. Abbiamo messo in luce le caratteristiche dei processi rituali all’interno del mondo politico e cercato di evidenziare una possibile divisione del mondo in sacro e profano in tali contesti. A questo punto abbiamo deciso di cambiare campo d’indagine, di passare dalla politica alla società contemporanea e ad alcune delle sue sfaccettature.

Inizieremo con un analisi del pensiero di Erving Goffman. Esso tenta di applicare alla microsociologia quello che Durkheim ha teorizzato analizzando la società su un livello macroscopico. Le pratiche d’interazione quotidiana mettono in luce alcune caratteristiche dei rituali delle società totemiche studiate dal sociologo francese ne Les formes. Queste società sono cioè a solidarietà meccanica138 ove

l’individuo e le sue interazioni quotidiane hanno un ruolo meno importante, mentre quelle studiate da Goffman, le società contemporanee occidentali, si basano sulla solidarietà organica. Per quanto concerne invece la trattazione del sacro, vediamo che questo aspetto emerge nelle società analizzate da Goffman con alcune differenze da quello durkheimiano che verranno messe in luce: la quotidianità questa volta presenta aspetti sacri, mentre in Durkheim quotidiano aveva il significato di profano. Dopo l’analisi microsociologica di Goffman cercheremo altri

138 I concetti di solidarietà organica e solidarietà meccanica sono stati introdotti da Durkheim in un altro suo scritto. Nel primo capitolo non ci siamo soffermati su questa distinzione per approfondire ora i due concetti, più comprensibili se comparati l’uno all’altro e dopo aver trattato il concetto di religione e morale per Durkheim. Chiunque voglia approfondire i due concetti rimandiamo a :Durkheim, É., De la division du travail social, Paris, 1893, trad. it. di F. Namer, La divisione del lavoro sociale, Edizioni di Comunità, Milano, 1999

ambiti per ritrovare le pratiche rituali nel mondo contemporaneo. L’autore di riferimento rimarrà, come in tutta la trattazione, Émile Durkheim. Lo sport e lo shopping saranno gli altri campi d’indagine, cercheremo di comparare il pensiero di altri studiosi a quello del sociologo mettendo in evidenza le analogie e l’eredità di quest’ultimo, ripreso spesso quando si studiano le varie pratiche rituali.

Partiremo analizzando un pensiero di Durkheim sull’individualismo139,

tralasciato volutamente nel primo capitolo, per riallacciarci poi al pensiero di Erving Goffman. Nel saggio L’individualismo e gli intellettuali140, scritto nel 1898, il

sociologo francese prova a postulare dei concetti per un nuovo culto che possa ricreare una solidarietà sociale: il culto dell’individuo. L’individualismo di cui parla Durkheim non è legato all’utilitarismo, ne è, piuttosto, il suo contrario. L’essere umano, nelle società moderne fondate sulla solidarietà organica, deve perseguire una morale universale, una morale che sia comune a tutti gli individui. La differenza con le società fondate su una solidarietà meccanica sta nel concetto di individuo, quasi inesistente in quest’ultime, un concetto che esiste solo nella sfera profana, economica, utilitarista appunto. Il nuovo individualismo durkheimiano deve trascendere l’aspetto profano dell’individuo, il suo utile personale, economico e contingente per fondarsi sulla morale universale che mira al raggiungimento della pienezza etica umana in ogni persona, ed è per questo motivo che può essere considerata come sacra:

‹‹il culto di cui è contemporaneamente oggetto e agente non si riferisce all’essere particolare che è e che porta il suo nome ma alla persona umana ovunque essa sia in qualunque forma essa si incarni››141

139 L’introduzione a questo saggio di Durkheim sarà breve poiché non è l’unico che riprende Goffman e poiché le nozioni principali che abbiamo ripreso dal sociologo francese riguardano la produzione successiva e soprattutto l’ultimo suo testo, Le forme elementari della vita

religiosa.

140 Durkheim, É., L'individualisme et les intellectuels, in «Revue bleue», t. X, 1898, pp. 7-13; trad. it. S. Veca, L’individualismo e gli intellettuali, in La scienza sociale e l’azione, Milano, Il Saggiatore 1996, pp. 281-296.

Solo percorrendo la via morale può esistere una comunità coesa edificata su un prototipo di persona umana moralmente giusta che trascenda l’io personale:

‹‹In definitiva, un individualismo così inteso è la glorificazione, non dell’io, ma dell’individuo in generale››142

Durkheim non avrebbe mai potuto difendere un individualismo utilitario senza morale, poiché questo nel suo pensiero porterebbe alla fine della solidarietà sociale. È per questi aspetti che l’individualismo diventa un culto, che mira al raggiungimento dell’individuo universalmente giusto che trascenda i suoi bisogni utilitari, quei bisogni che nel tardo Durkheim de Les formes coincidono con il mondo profano. L’individualismo così inteso rimane allora un culto sociale, è la società a definire delle norme morali, ed è la società che le definisce per difendere sé stessa e la solidarietà interna, come precisa l’autore stesso:

‹‹in verità la religione dell’individuo è di istituzione sociale, come tutte le religioni conosciute. È la società che ci assegna questo ideale, come unico fine che possa attualmente riunire la volontà.››143

In questo saggio troviamo un’ulteriore conferma delle idee durkheimiane sulla religione come fatto principalmente sociale e sulla possibilità di ritrovare in ogni epoca aspetti religiosi.

Abbiamo ripreso brevemente queste precoci teorie del sociologo francese poiché sarà proprio sul culto dell’individuo e sulla sacralità della persona che Goffman fonderà alcuni aspetti della sua microsociologia. Il self morale, ciò che viene messo in scena e creato nei rituali dell’interazione quotidiana è la parte

142 Ibidem. 143 Ivi, p. 287.

individuale che viene appunto creata e difesa dai rituali, come nel Durkheim de Les formes la società viene creata e difesa dai rituali collettivi. La società goffmaniana pone delle norme di interazione che gli individui devono seguire per salvare il