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‹‹In realtà, secondo Durkheim, posto che il popolo è portato a sacralizzare mediante il rito la società alla quale appartiene, ogni società stabile è caratterizzata dalla legittimazione della politica. Il rituale, da parte sua, svolge una funzione di primo piano, nell’alimentare e nell’esprimere questo consenso sociale››72

Non è l’unico, l’antropologo David Kertzer, a riprende gli studi dell’ultimo Émile Durkheim sul sacro e i rituali per riportarli nell’ambito politico; altri studiosi nel campo sociologico si sono approcciati all’universo politico riprendendo le idee elaborate dal sociologo di Épinal:

‹‹Nel campo degli studi sociologici dei fenomeni politici i neodurkheimiani hanno sottolineato l'esistenza di una sfera ‹‹religiosa›› nella pratica politica ed evidenziato l’importanza dello studio del rituale non come semplice orpello esteriore a determinati contenuti cognitivi ma come forma costitutiva nella formazione dell’identità e dell'appartenenza››73

Vedremo allora che è di fondamentale importanza approfondire lo studio delle pratiche rituali pubbliche e politiche, poiché è anche in questo campo che il rituale riesce ad organizzare le comunità e a creare un mondo di simboli che muove alla vita politica e al consenso che legittima il governo.

Ogni sistema politico se ne serve per la propria legittimazione, per consacrare il proprio potere, oppure per delegittimare un potere vigente. Il rituale investe di potere, legittima al governo, persone o partiti74 che prima non ne avevano. Il

consenso popolare, come vedremo, nella storia molte volte non è arrivato da una

72 Kertzer, D. I., Ritual, Politics and Power , New Haven, 1988, trad It. Di V.Giacopini, Riti e

simboli del potere, Editori Laterza, Roma-Bari, 1989. p. 55.

73 Fele, G., “Un grande partito non si celebra, discute”. Alcune considerazioni su rito e politica, in Rassegna Italia di Sociologia, Fascicolo 4, Ottobre-Dicembre 1999, il Mulino, p. 498.

74 Prenderemo qua l’argomento ancora in termini generalizzanti, approfondiremo più avanti specifici sistemi politici come la monarchia o ancora più minuziosamente i totalitarismi.

attenta analisi razionale ma da uno stato di sovreccitazione determinato dai rituali e dalle simbologie che vengono associate e con cui il potere, o coloro che vogliono destabilizzare il potere75, si rappresentano.

Tutte le caratteristiche introdotte ne Les formes da Émile Durkheim si possono ritrovare nei rituali politici: l’aspetto performativo e formale per quanto riguarda la creazione di un potere e la sua legittimazione; il suo essere strumento di coesione, per le masse popolari o per gli affiliati di un partito politico; inoltre si possono ritrovare lo stato di effervescenza collettiva e il ricorso alla simbologia che dal rituale emerge.

Dobbiamo però prima fare un approfondimento, il rituale come pratica politica non è un semplice strumento con il quale si cerca di conservare un determinato potere politico, ma è usato anche da quelli che vogliono sfidare il potere costituito, delegittimarlo, rovesciarlo: il rituale è uno strumento per la battaglia politica. Nelle comunità australiane studiate dal sociologo francese, il rituale serviva a riconfermare sempre la coesione sociale: abbiamo visto che era usato, per esempio, anche durante le crisi, come lutti o gravi perdite per riaffermare la società. Nella politica però i rituali possono essere strumento di cambiamento repentino come nelle rivoluzioni. Tramite pratiche rituali si cerca di destabilizzare l’avversario politico. La stessa campagna elettorale delle democrazie contemporanee può essere paragonata a un rituale, poiché è considerata una messa in scena rituale del proprio self politico76.

Il rituale viene usato ampiamente nella vita politica e dal potere. Non è il potere che si limita a rispecchiarsi nelle pratiche rituali, è proprio tramite lo strumento rituale che il potere si determina, si afferma, è tale pratica che gli dona legittimità. Senza rituale nessuno potrebbe essere investito di potere, nessuno

75 Approfondiremo alla fine del capitolo anche la pratica rituale usata come strumento nella rivoluzione e non solamente per legittimare o dar vita ad un potere.

76 Nel prossimo capitolo approfondiremo i rituali e il self concentrandoci sulla figura di Erving Goffman, per tanto ora accenneremo solamente alla questione del self e la politica.

sarebbe legittimato a governare, ‹‹L’azione rituale ha una qualità formale››77, in cui

il simbolo del potere si incarna, si rappresenta con determinate figure, siano esse singoli uomini oppure fazioni politiche.

Da sempre i grandi Re medievali furono investiti di sacralità grazie ai rituali d’incoronazione o ai riti d’unzione praticati dai capi della Chiesa, e i partiti unici degli stati totalitari si sono serviti dei rituali per creare quell’insieme di miti che hanno consacrato il loro potere.

Quando c’è passaggio di potere vediamo che questo è più forte, più legittimo se avviene tramite una pratica rituale che lo regolarizza, che dà il diritto di governare al Re, al partito, o al capo dell’organizzazione. Per la persona che va al potere è una vera ridefinizione dell’identità che avviene tramite un rito di passaggio. L’attore del rituale ne esce con una nuova identità, solo dopo la fine della pratica ha la possibilità e il consenso ad esercitare un potere.

Il rituale è uno strumento formale per il potere. Come visto nel precedente capitolo, questa caratteristica era già stata adottata da Durkheim nello studio della società totemica. Come per quelle società, nella politica secolarizzata non vi può essere potere senza una simbologia che il rituale fa emergere, e tramite la quale ogni volta il potere si ricrea.

Sia nei grandi riti di massa, sia nelle cerimonie e nei rituali dei partiti o delle organizzazioni, troviamo l’importanza di tale strumento politico. Senza un rituale che unisce sotto un insieme di simboli una congrega, gli adepti di un partito, oppure i cittadini di uno Stato nazione, il potere sarebbe difficile da esercitare. Tramite questo strumento la riaffermazione del potere legittima il leader e il suo operato, lo fa diventare un simbolo.

Possiamo portare l’esempio del grande congresso organizzato da Silvio Berlusconi per riaffermare la propria leadership all’interno di Forza Italia e ricevere

consenso politico, come scrive Navarini nel suo articolo78 dedicato proprio a

quell’evento:

‹‹Al leader di Forza Italia non serviva una delle tante ‹‹cerimonie virtuali›› efficaci solo sul piano comunicativo mass-mediatico, ma un imponente rito aggregativo in grado di riaffermare la propria leadership, consolidare l’apparato organizzativo e rinvigorire le pratiche di opposizione a un Governo di centro-sinistra […]. In breve per Berlusconi era diventato indispensabile di celebrare in modo ‹‹particolare›› – con forme spettacolari- la propria posizione di leader di un classico partito di massa […].››79

Non riporteremo i dettagli dell’intera struttura rituale con la quale si è svolto il congresso, tuttavia qui il simbolo del capo è riaffermato, così come tutti i simboli dell’opposizione contro il quale gli adepti del partito devono scagliarsi.

Un altro esempio significativo per sottolineare l’importanza della simbologia e del rituale come strumento di riaffermazione politica è la cerimonia per rinnovare la tessera del partito comunista sovietico del 1973. Riprendiamo l’esempio dal testo di Kertzer:

‹‹il partito comunista sovietico, per rinvigorire e ampliare le file dei suoi militanti, emise delle nuove tessere di partito. Per enfatizzare il significato di quei semplici pezzi di carta, si organizzò una solenne cerimonia, nel corso della quale la vecchia tessera, che raffigurava Lenin, venne ufficialmente sostituita con l’immagine di Breznev.››80

78 Navarini, G., Il congresso di Forza Italia: descrizione di una performance rituale, in Rassegna

Italiana di Sociologia, Fascicolo 4, ottobre-dicembre 1999, il Mulino, pp. 531-565.

79 Ivi, pp. 536-537.

La cerimonia solenne riesce a dare valore al nuovo simbolo, crea la sua forza simbolica, e il simbolo diventa importante per l’organizzazione.

La vita politica, la vita delle organizzazioni così come dei grandi partiti dipende dai simboli. Tramite essi comunicano e dimostrano la loro grandezza, per mezzo di essi i membri si sentono uniti sotto un’unica identità e creano una comunità coesa.

Le società australiane descritte da Émile Durkheim si auto veneravano nel totem che diventava il simbolo della vita comunitaria ipostatizzata, le rappresentazioni collettive scaturite dal rituale diventavano poi simboli da venerare nei riti che ogni volta le ricreavano e fortificavano.

Anche nella politica è di fondamentale importanza creare un centro simbolico. Che sia una bandiera, un’effige o anche un leader o un martire, il simbolo crea un centro di appartenenza. Il totem durkheimiano è un simbolo che rappresenta la società stessa, il sociologo francese, ne Les Formes, più volte ha paragonato il totem alla bandiera: ‹‹è [il totem] anche il simbolo di questa società determinata che si chiama clan. Ne è la bandiera››81. L’uso di una simbologia facilita la

rappresentazione umana di concetti collettivi che sarebbero altrimenti astratti.

L’efficacia del rituale dipende proprio dai simboli, più riescono ad incanalare l’attenzione e l’emozione degli attori più si delineeranno i confini col mondo esterno:

‹‹I rituali più efficaci hanno una sorta di qualità emotiva condizionante […]. Nell’intensità del rituale, gli individui indirizzano la loro attenzione solo a un limitato insieme di simboli. Quanto maggiore è il loro coinvolgimento emotivo, tanto più il resto dell’universo viene dimenticato e tanto più i simboli incorporati nei rituali divengono autorevoli››82

81 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit., p. 266, Corsivo nostro. 82 Kertzer, D. I., Riti e simboli del potere, op. cit., p. 136.

L’importanza dei simboli dipende anche dal fatto che ‹‹le organizzazioni possono essere rappresentate solo simbolicamente››83. Questa simbologia riesce a

penetrare nell’identità individuale, facendo sì che l’individuo senta il bisogno di esprimere la sua identità tramite quest’appartenenza, sfoggiando quindi i simboli.

Che si tratti del forte patriottismo di chi usa la bandiera per dimostrare l’attaccamento alla patria, o delle spille di un partito o della divisa richiesta nelle cerimonie nazionali, sempre però la conclusione è questa: ogni organizzazione politica, dalla più piccola alla più grande ed importante, usa i simboli per rappresentarsi e creare una comunità unita.

Seguendo gli studi durkheimiani sul rituale vediamo che un’altra delle caratteristiche ampiamente esposta dal sociologo è presente anche nei rituali pubblici e politici. Il rito è usato come strumento per la coesione sociale, è attraverso il rituale che la comunità riesce sempre a riaffermare la propria unità ed è in questo modo che si creano i sentimenti di condivisione e coesione sociale, altrimenti inesistenti durante il periodo profano, quotidiano.

Nei rituali politici avviene la solita cosa. La simbologia, come accennato sopra, riunisce una comunità sotto un simbolo, questa comunità è un qualcosa di coeso e unito, altrimenti l’organizzazione politica si scioglierebbe, disgregherebbe. Lo spirito di nazionalismo viene creato ed estremizzato durante i raduni di massa:

‹‹was a strong exponent of the value of public gatherings, ceremonies and emblems in promoting the integration of the nation››.84

Di nuovo entra in gioco il corpo85 e la grande densità che un rituale può

comportare. L’individuo, il corpo di un essere umano, è inserito in una moltitudine di corpi che agiscono all’unisono e hanno un centro focale, che sia il capo di stato o

83 Ivi, op. cit., p. 27.

84 Mitchell, M. M., Émile Durkheim and the Philosophy of Nationalism, in Political Science

Quarterly, Vol. 46, No. 1 (Mar., 1931), pp. 87-106, p. 99.

85 In questa istanza verrà solo accennato dopo faremo un piccolo approfondimento seguendo gli studi di Kantorowicz.

del partito, il Re o la patria, tutti stanno acclamando e venerando lo stesso simbolo. Così si crea un corpo collettivo, un corpo nuovo che non è più la somma di molti ma è un’unità che riesce a ridefinire le varie identità singolari e riunirle sotto un’unica identità: può essere quella nazionale, o quella del partito, poco cambia, nelle menti individuali è ormai chiaro il far parte di un qualcosa di più grande, ‹‹Il rituale è dunque una forma d’azione che trasforma corpi individuali in un grande corpo collettivo››86

Studiato in campo politico questo effetto della pratica rituale è molto importante poiché la ridefinizione dell’appartenenza interna rafforza anche l’antagonismo con l’esterno. Per questo il rituale è lo scenario della battaglia politica, poiché più si crea consenso per il proprio simbolo, per il proprio partito, più nello stesso tempo si indebolisce l’avversario, l’esterno, l’altro: coloro i quali non si riconoscono sotto l’identità di una comunità. Questo può implicare scenari differenti, dalla tragica fine delle comunità ebraiche nel Nazismo o degli oppositori d’ideale nello Stalinismo, sino alle campagne elettorali nella democrazia contemporanea.

L’identità politica viene creata nei rituali, poiché viene ridefinita dalla nuova unità che si crea. Si fa parte di una comunità nuova e quindi la nostra identità è definita anche da questa appartenenza: l’identità politica viene creata: ‹‹gli stati tentano di creare identità politiche e in che modo i membri della comunità politica provano un sentimento di appartenenza››87.

Il doppio significato della pratica rituale è forse nella politica ancora più importante, esso infatti definisce i confini sia in orizzontale che in verticale. Se da una parte un gruppo unito crea dei confini con ciò che è diverso da esso, dall’altra lo stesso gruppo riconoscerà una gerarchia in cui il capo rappresenta il centro simbolico, e come detto sopra, avrà la legittimità di governare quella comunità.

86 Navarini, G., Dinamiche simboliche nei rituali civili e politici (2007), In A.N. Terrin (a cura di),

Riti religiosi e riti secolari (pp. 37-60), Edizioni Messaggero, Padova, 2007, p. 46.

87 Berezin, M., I rituali pubblici e la rappresentazione dell’identità politica, in Rassegna Italiana

È allora durante il rituale che si definisce sia il potere di governare sia la comunità su cui bisogna governare.

Troviamo differenze tra le pratiche politiche e quelle delle comunità totemiche. In alcuni dei rituali pubblici viene meno l’obbligatorietà e la dimensione del sacro, mentre in altri emergono anche questi aspetti. Tuttavia l’importanza del rituale come strumento coesivo di identità non definite naturalmente, in una nuova comunità politica è sembrata a noi molto rilevante.

L’esistenza della società dipende in gran parte dalla solidarietà che si crea tra i suoi membri. La religione è stata fondamentale per molti secoli nella creazione di ciò, come abbiamo visto nelle società totemiche studiate da Durkheim.

Il rituale è quindi alla base della solidarietà: ‹‹La solidarietà è dunque considerata come un’esigenza propria della società; il rito a sua volta, è visto come un elemento indispensabile alla creazione della solidarietà stessa››88. Senza rito, che

può essere considerato il medium che riesce a legare l’individuo alla società creando coesione sociale, la politica non avrebbe una comunità su cui governare.

Tante sono le differenze di grado della ritualità politica. Gli stati totalitari univano un’ingente massa sotto di loro, mentre piccole organizzazioni politiche solo pochi adepti, ma il rituale è in entrambi i casi di vitale importanza per creare coesione.

Portando avanti sempre lo studio appoggiandosi alle idee di Émile Durkheim vediamo che la coesione e la creazione dei simboli hanno a che fare con l’effervescenza collettiva. Durante le pratiche rituali i simboli e la densità di corpi trasportano gli individui in uno stato emozionale molto potente. Questo stato è ampiamente descritto da Durkheim ne Le forme elementari della vita religiosa, ed è ciò che trasporta gli uomini al di fuori della regolarità quotidiana, del mondo profano, usando la terminologia durkheimiana. Associato all’ambito politico, questa forte emozione che suscita il rituale diviene però uno strumento assai potente, ‹‹I

rituali politici pubblici creano comunità di sentimento”››89. Numerosi sono gli studi

avvenuti nel ‘900 sulla psicologia delle masse90, queste se trasportate emotivamente

non applicheranno più tutte le loro facoltà critiche e le categorie cognitive, ma si limiteranno a creare confini tra loro e gli altri, tra chi la pensa come loro e chi invece no. Gli scenari dei riti di massa si possono studiare soprattutto negli stati totalitari sorti nella prima metà del XX secolo. L’attaccamento alla patria, il vero e proprio culto della patria, ha portato numerosi cittadini a riconoscere come nemici i connazionali che non si conformavano alla politica dominante, oppure gli stranieri.

La grande emozione può anche modellare l’idea politica, nella lotta per il consenso è fondamentale suscitare forti emozioni. Gli esseri umani infatti nelle loro scelte politiche sono più inclini a seguire le emozioni che non la ragione, e quindi è preferibile per il potere veicolare lo stato emotivo piuttosto che provare a persuadere con discorsi razionali:

‹‹L’emozione è il perno intorno al quale ruota il rituale politico.

È un mezzo di educazione politica che ha la capacità di creare nuove identità. L’emozione può far sembrare ciò che è difficile e innaturale facile e naturale. L’emozione è l’antitesi dell’organizzazione politica moderna, eccetto quando è rigidamente codificata

nel lato «nazione» della diade stato-nazione. L’emozione è nonrazionale, ma non è irrazionale. L’emozione annienta le identità precedenti. Fonde sé e altro, soggetto e oggetto››.91

Questa caratteristica è propria di ogni epoca, le differenze sono numerose per quanto riguarda l’intensità. Come accennato sopra uno stato totalitario muove molto più lo stato emotivo che le odierne campagne elettorali, ma anche in queste troviamo la ricerca di colpire le emozioni per creare consenso.

89 Berezin, M., I rituali pubblici e la rappresentazione dell'identità politica, in Rassegna Italiana

di Sociologia, No. 3, Luglio-Settembre, 1998, il Mulino, p. 378.

90 Non è questo il luogo in cui approfondire tali studi, richiamiamo soprattutto a quelli di Sigmund Freud e Gustave Le Bon.

91 Berezin, M, I rituali pubblici e la rappresentazione dell'identità politica, in Rassegna Italiana

L’effervescenza collettiva crea una differenza di status tra la vita quotidiana e la pratica rituale. Durante il rituale gli attori si distaccano dall’ordinario, e questo ha una ripercussione sul tempo e sullo spazio delle feste e le cerimonie rituali annesse, proprio come nelle società totemiche. Dobbiamo osservare che il tempo e lo spazio in cui vengono praticati i rituali pubblici non sono ordinari. Le grandi piazze in cui vengono allestiti monumenti sono privilegiate ed addobbate appositamente per l’evento, la sede del partito adornata di bandiere e simboli è preferibile ad altri luoghi.

Il tempo a sua volta è ben regolato. È nei giorni festivi che si commemorano i rituali pubblici, come il 25 aprile italiano o il 14 luglio francese. La commemorazione della tradizione, delle imprese politiche ridisegna il calendario. Il giorno di festa, con le varie celebrazioni dedicate, viene visto come giorno differente dalla quotidiana monotonia. L’idea della ridefinizione del tempo e dello spazio è molto cara agli argomenti che approfondiremo successivamente, negli stati totalitari e nella Rivoluzione francese, infatti troviamo un occhio di riguardo verso il rinnovamento delle feste pubbliche, del calendario e l’allestimento delle piazze per radunare i fedeli.

Fino ad ora abbiamo però solo accennato che il rituale non è solamente uno strumento conservatore. Negli studi di Durkheim abbiamo visto che la società si ipostatizza e afferma ogni volta, ma nella politica troviamo una caratteristica importante della pratica rituale: può diventare uno strumento per la delegittimazione del potere. Nel rituale politico si apre uno scenario di battaglia che lo fa diventare un grande strumento innovatore. Tramite questo i rivoluzionari sono riusciti a ribaltare il potere92, si è criticato un operato sbagliato del governo e si è dato voce a

chi non veniva rappresentato da esso:

‹‹Quando i popoli sono oppressi dalle forze preponderanti di un superiore potere militare e quando, soprattutto, non dispongono di meccanismi

92 Al rito come strumento per delegittimare e creare un potere differente da quello costituito dedicheremo l’ultimo paragrafo qua lo introdurremo senza approfondirlo.

tradizionali per organizzarsi politicamente su vasta scala, il rito può costituire per essi la base della resistenza e della rivolta››93

Abbiamo visto così che in tutti i sistemi politici la pratica rituale rimane uno strumento fondamentale per l’esercizio del governo, del potere, e lo è anche per l’organizzazione di una ribellione mirata a delegittimare il potere. Successivamente verranno approfonditi questi concetti con esempi specifici. Ora dobbiamo riprendere il concetto di sacro tanto elaborato da Durkheim per ritrovarlo nella politica.