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I rituali e il sacro. Un'analisi delle societa contemporanee a partire da Emile Durkheim

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE

I rituali e il sacro. Un'analisi delle società

contemporanee a partire da Émile Durkheim

RELATORE

Prof. Fabio Dei

CANDIDATO

Francesco Orsolini

CORRELATORE

Prof. Giovanni Paoletti

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Indice

Ringraziamenti...3

Introduzione...4

Sacro e rituali ne Le forme elementari della vita religiosa...8

1.1. Definizione durkheimiana di religione...9

1.2. Caratteristiche delle cose sacre e profane...11

1.3. Le origini del sacro: società e rappresentazioni collettive...16

1.4 I rituali...24

1.4.2 I culti negativi...27

1.4.3 I culti positivi e la funzione sociale del rito...30

1.4.4 Il Rituale come pratica performativa...36

I rituali della politica...43

2.1 Rito pubblico e politica, idee generali...44

2.2 Sacralità del potere, sacralizzazione della politica...54

2.3 Gli Stati totalitari...61

2.3.1 Il Fascismo...62

2.3.2 Il Nazismo...71

2.4. Rituali e Rivoluzione...78

2.4.1 La Rivoluzione francese...80

I rituali nelle società contemporanee...88

3.1 Erving Goffman e i rituali di interazione quotidiana...91

3.1.2 Self e sacro in Erving Goffman...94

3.1.3 I rituali d’interazione...96

3.2. Sport e rituali...101

3.2.1 Atleti sportivi e rituali d’interazione...102

3.2.2 I rituali delle tifoserie...104

3.3 Rituali e consumo...110

3.3.1 Daniel Miller: Lo shopping e il rituale del sacrificio...111

Conclusione...122

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Ringraziamenti

Per la stesura di questa tesi devo ringraziare innanzitutto i miei genitori e i miei nonni, senza di loro non sarei riuscito a concludere gli studi, per il sostegno morale ed economico, la fiducia riposta in me e gli stimoli che hanno saputo sempre tirarmi fuori. Ringrazio poi i miei amici, quelli di sempre e quelli conosciuti durante gli studi che hanno sempre saputo essere presenti nei vari momenti di sfiducia che possono accompagnare un percorso universitario, così come lo hanno fatto nei momenti più gratificanti. Grazie a loro ho trovato stimoli, momenti di confronto che hanno accresciuto la mia voglia di conoscere e momenti rilassanti anch’essi importanti per la realizzazione personale. Ringrazio poi ogni compagno e collega che mi ha aiutato nel reperire materiale bibliografico, che mi ha concesso un confronto formativo o un consiglio stilistico. Tra tutti vorrei ringraziare particolarmente Luca, Alessandro, Andrea, Marco e Raffaele, ognuno a modo suo ha saputo starmi vicino, stimolarmi e tirare fuori il meglio di me.

Ringrazio il professor Dei che si è dimostrato paziente durante la scelta dell’argomento, e presente anche in un momento dove la comunicazione sociale è venuta meno per ovvi motivi.

Ringrazio infine Carolina, che grazie alle nostre affinità intellettive è riuscita a tirare fuori definitivamente le mie passioni e a stimolarmi a una ricerca sempre più completa e approfondita dei temi a me cari.

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Introduzione

L’idea di una ricerca sui rituali contemporanei si è delineata nel corso degli studi ed è determinata dall’interesse interdisciplinare. L’amore per la filosofia ne è il filo conduttore. Nel mio percorso formativo ho imparato ad apprezzare la filosofia come fosse una lente attraverso la quale analizzare i fenomeni attuali e quelli del passato. La filosofia è stata la base grazie alla quale i successivi interessi sono diventati passioni e ambiti di analisi fondamentali per la mia formazione.

Lo scheletro dell’indagine deriva invece dall’antropologia, dalla voglia di confrontare i comportamenti dell’essere umano in varie epoche, che inizialmente si presentano sempre come incomparabili. È nata da questo interesse la passione per l’antropologia. L’arcaico, il diverso e il lontano mi hanno affascinato poiché è da qui che ho iniziato a pormi domande sulla nostra società. Da qui è nato un amore per il diverso, inteso come quel differente da sé che spinge a domandarsi sempre sulle azioni e i comportamenti sia individuali che sociali, e grazie al quale ci si può formare ed evolvere, ci si può comprendere ed aiutarsi.

Come può l’uomo d’oggi essere confrontato con i membri di società lontane come quelle totemiche? La domanda, che si pone come una sfida, è stata quella che ha mosso tutta la ricerca. Meccanismi così differenti e lontani mi hanno tanto affascinato da ritrovare quella curiosità per pratiche andate perdute. L’attrazione nel cercare di capire i moventi e le cause di azioni per l’uomo occidentale d’oggi così obsolete hanno condotto la ricerca verso lo studio dei rituali e delle religioni più arcaiche.

L’ultimo interesse, quello per la sociologia, deriva invece da una necessità personale: analizzare la società contemporanea e i suoi meccanismi più occulti. L’indagine sociologica è stata l’ultima grande passione che ha portato la tesi sul versante contemporaneo. Unendo tutte queste passioni sono arrivato all’idea di

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studiare e mettere a confronto i rituali tradizionali con quelli dei giorni nostri, trovando un notevole riscontro bibliografico. Molti sono gli autori che si sono cimentati in tali studi, sia in ambito politico che in ambito sociologico e così si è andata a delineare la struttura della tesi.

La scelta dell’autore di riferimento è venuta, in verità, quasi da sé. Lo stesso interesse è emerso nella lettura de Le forme elementari della vita religiosa. La voglia di Émile Durkheim di trovare una teoria universale, in cui anche i rituali arcaici si potessero leggere in chiave sociologica prima che religiosa, e grazie alla quale certe azioni d’oggi potevano essere iscritte nell’ambito rituale ha eliminato i dubbi sulla scelta.

Tutto l’elaborato è condizionato da questi anni di studi. Il ragionamento filosofico, il fascino per il diverso grazie al quale ci si apre a sé stessi e alla propria società e da cui inizia un’indagine critica che sradica tutte le certezze sociali a cui siamo abituati.

I capitoli della tesi rispecchiano allora tutta la formazione e gli interessi personali. Nel primo capitolo l’indagine verte sulle pratiche rituali delle società totemiche e, grazie allo studio di Durkheim, abbiamo posto le basi per una tale indagine anche nelle società moderne e contemporanee. Nel secondo capitolo lo studio si focalizza sulla politica nelle società secolarizzate più vicine a noi per arrivare alla nostra società dei consumi nel terzo capitolo.

Dopo aver introdotto i motivi personali che hanno spinto alla necessità di tale studio, possiamo ora presentare la ricerca e i punti principali dai quali si svilupperà tutta la tesi.

La ricerca ha intenzione di dimostrare quanto, anche al giorno d’oggi, uno studio sui comportamenti rituali sia importante e pertinente. Spesso si è pensato che le pratiche rituali siano azioni che si compiono in ambito religioso, per venerare gli esseri sacri. Appoggiandoci a numerosi studiosi che sostengono il contrario, vorremmo mettere in luce quest’importanza del rituale come azione sociale che ha

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effetti sulle comunità e sull’individuo, sul mondo di intendere la socialità e sulle leggi che regolamentano questa.

L’elaborato inizia con la presentazione dell’autore di riferimento: Émile Dukrheim. Tale scelta è stata fatta per vari motivi. Innanzitutto negli scritti di Durkheim abbiamo ritrovato l’interdisciplinarità che ha spinto alla scelta dell’argomento, poi, dato non meno importante, la voglia di trovare un sistema universale per analizzare i fatti religiosi, ovvero un ambito che è antico quanto l’uomo. Da questo primo studio dovranno emergere le principali idee del sociologo sui rituali e la nozione di sacro. Da qui si arriverà a comprendere come le pratiche rituali siano, prima di tutto, pratiche sociali ed il sacro un loro prodotto. Sarà questo il punto di partenza degli altri capitoli. Il nodo da sciogliere per lo studio dei rituali nelle società contemporanee era proprio trovare quella teoria che Durkheim, nel suo ultimo lavoro, Le forme elementari della vita religiosa, fa emergere: i rituali non sono una pratica appannaggio della religione ma sono una pratica sociale, che si può ritrovare, allora, anche nelle società secolarizzate, e in ambiti diversi da quello religioso come ad esempio quello politico. Ed è dalla politica che inizia quel salto temporale che il sociologo francese ha solamente presupposto, e di cui ha posto le basi per numerosi studiosi successivi. Quello che a questo punto interessava era seguire due linee parallele che porteranno allo sviluppo della tesi. Da una parte lo studio dei rituali come pratiche sociali nelle società moderne e contemporanee partendo dalle teorie elaborate da Durkheim; vorremmo, quindi, far emergere l’idea che lo studio dei rituali è sempre cosa attuale e sociale, non primitiva e religiosa. Dall’altro mettere in luce l’eredità durkheimiana di tutti quei numerosi studiosi che ne hanno preso spunto, chi più esplicitamente e chi meno, e dimostrare quanto sia stato importante per gli studi di scienze sociali tale autore. Nella politica il focus si concentrerà su alcuni sistemi che più fanno uso di rituali, come gli Stati totalitari o le rivoluzioni, ma in ogni ambito politico si potranno applicare le teorie esposte dal sociologo di Épinal.

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Nell’ultimo capitolo dell’elaborato si cerca di portare avanti gli studi nelle società contemporanee. Qua abbiamo incontrato la necessità di fare una scelta e sviscerare i tanti ambiti in cui sono applicabili le teorie rituali, per mostrarne solo alcuni. Il rituale verrà preso sotto analisi prima esplicando gli studi di Erving Goffman, sociologo che, esplicitamente, si richiama a Durkheim per teorizzare una microritualità quotidiana. La società contemporanea non lascia più spazio ai grandi rituali che sono soliti delle tribù primitive, ma con gli studi di Goffman vediamo che le teorie durkheimiane non andranno perse nemmeno nella microsociologia, richiamandosi anche ad altri scritti di Durkheim, l’autore proporrà una nuova prospettiva della vita rituale nel mondo quotidiano.

Successivamente analizzeremo lo sport e lo shopping, con vari autori di riferimento. In questa ricerca prettamente contemporanea emergeranno le caratteristiche descritte ne Les Formes che Durkheim aveva anticipato essere universali e sociali.

Alla fine dell’indagine speriamo che emergeranno le due linee guida esposte, auspicandoci di suscitare l’interesse del lettore all’approfondimento dei rituali nel mondo contemporaneo e del pensiero di Émile Durkheim.

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I

Sacro e rituali ne Le forme elementari della vita

religiosa

Abbiamo deciso di iniziare la nostra tesi analizzando il pensiero del filosofo e sociologo francese Émile Durkheim con l’intento di approfondire il suo pensiero riguardo i fenomeni religiosi. Alla fine del capitolo avremo trattato il concetto del sacro e le pratiche rituali per mostrare che la riflessione del sociologo può essere espansa e analizzata nella società contemporanea a partire da questi concetti chiave.

Nel 1895 Durkheim tenne un corso sulla religione a Bordeaux ed è in tale oc-casione che si manifestano i primi interessi per la disciplina. Probabilmente dopo le letture di Roberson Smith, il sociologo intuisce l’importanza di studiare la religione come fenomeno sociale, purtroppo non possiamo saperne molto di più perché il cor-so è andato perduto. Quattro anni dopo, nel 1899, uscirà su “L'Année Sociologi-que”, la rivista di cui esso stesso è fondatore, l’articolo Per una definizione dei fe-nomeni religiosi1, in cui però il concetto di sacro non è ancora ben maturato. Sarà

nell’ultimo scritto, Le forme elementari della vita religiosa2, che Durkheim arriverà

a trattare ampiamente la religione e il concetto del sacro, cruciale per la sua sociolo-gia della religione. Dobbiamo allora concentrarci sul suo capolavoro, edito nel 19123. Nel trattato Durkheim analizza la religione «più primitiva e più semplice che

1 Durkheim, É., De la définition des phénomènes religieux, in «Année sociologique», vol. II, 1897-98, pp. 128; trad. it. E. Pace, Per una definizione dei fenomeni religiosi, Armando Editore, Roma 2006.

2 Durkheim, É., Les formes élémentaires de la vie religieuse, Paris, 1912, Rosati M (a cura di), Le

forme elementari della vita religiosa, Mimesis, Milano-Udine, 2013.

3 Lo sviluppo del pensiero sulla religione di Émile Durkheim è in realtà più complesso, tuttavia non è questo il luogo dove parlarne esaustivamente, abbiamo cercato di introdurre approssimati-vamente le tappe principali che portano alle forme elementari, il testo di riferimento per questa trattazione, per un approfondimento cfr. Paoletti (2017).

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sia oggi conosciuta»4, il totemismo. Il sociologo arriva alla scelta della religione da

studiare con la una metodologia rigorosa che si riscontrerà in tutta l’opera, mettendo in evidenza gli errori di chi prima di lui ha pensato che animismo e naturismo potes-sero essere le religioni più semplici e primitive di tutte5, e successivamente

analiz-zando il totemismo stesso.

I fedeli del totemismo, sviluppatosi soprattutto in Australia, possiedono anche la struttura sociale più semplice da studiare. Le tribù della popolazione sono divise in Clan, i cui membri sono uniti da un legame di parentela non sanguigna, che è de-finita dalla discendenza comune da una determinata specie di cose sacre: il Totem. Questo rappresenta sia l’entità più sacra sia l’emblema del clan stesso (vedremo più avanti l’importanza di tale associazione). L’altra cosa che differenzia il clan è il si-stema di discendenza che adotta6.

Il sociologo spiega subito, nell’introduzione, perché è interessato a tale studio. Come vedremo nello svilupparsi del presente capitolo, Durkheim considera la reli-gione come un fatto sociale, anzi il più arcaico dei fatti sociali, e quindi un fatto per-manente che ci aiuterà a comprendere meglio l’uomo, «e più in particolare l’uomo di oggi»7.

1.1. Definizione durkheimiana di religione

La prima cosa che ci sembra giusto affrontare è il concetto che Durkheim ha di religione per arrivare alla definizione completa che esporrà alla fine del Capitolo I

4 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit., p. 53.

5 Per chi vuole approfondire i motivi di questa confutazione rimandiamo alle forme elementari della vita religiosa, in questo luogo non riteniamo importante esaminare approfonditamente que-sta parte.

6 Non è qui che servirà approfondire i vari sistemi di discendenza dei clan, rimandiamo a Le

for-me elefor-mentari della vita religiosa chiunque sia interessato. Per chi vuole approfondire

ulterior-mente la questione dei sistemi di discendenza consigliamo: Durkheim, É., Hubert, H., Mauss, M., Le origini dei poteri magici, Bollati Boringhieri, Torino, 2013.

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del Libro I.

Il sociologo decide di procedere con metodo, cosi come in tutta l’opera, spo-gliando prima la definizione di religione dalle caratteristiche che le erano state fin ora assegnate. Le teorie precedenti che attribuivano come oggetto principale del si-stema religioso il concetto di divinità oppure quello di soprannaturale sono per Dur-kheim inesatte. Se si vuole affermare che la religione sia una disciplina che implica un’entità divina, allora si dovrebbe escludere il Buddhismo da questa (arrivati alla definizione si vedrà come una simile concezione sia incompatibile col pensiero di Durkheim). Inoltre esistono tutta una serie di pratiche rituali, sia nelle religioni co-siddette primitive sia in quelle avanzate, che non riguardano le divinità, quindi «non può essere definita in funzione esclusiva di questa»8. Anche il soprannaturale è da

escludere per Durkheim, la nozione infatti presuppone una conoscenza di cosa sia “naturale” ma nei popoli primitivi non esisteva qualcosa di naturale e qualcosa di soprannaturale. Escluso anche il secondo concetto bisogna trovare ora la definizione base della religione.

Per riuscire ad indicare cosa sia la religione occorre trattarla non come un fe-nomeno indiviso, ma come «un tutto formato da parti»9, vi sono dei fenomeni

ele-mentari che compongono la religione: le credenze e i riti, le prime sono rappresenta-zioni, i secondi azioni determinate. Queste azioni si rivolgono ad un oggetto la cui natura particolare si esprime nella credenza: il Sacro e il suo rapporto con il profa-no.

Ogni religione, dalla più semplice, come quella studiata dal sociologo, alla più complessa, presuppone quindi una bipartizione del mondo in due generi opposti, sa-cro e profano. Tale bipartizione, essendo universale, sta alla base di tutte le religioni e ne costituisce quindi una delle forme elementari. Andiamo però a trovare l’altro elemento fondamentale per definire la religione.

Anche la magia invero è costituita da credenze e riti. La domanda che si pone

8 Ivi, p. 87. 9 Ivi, p. 88.

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Durkheim è sele due discipline debbano essere accostate. La sua risposta è negativa in quanto vi è un qualcosa che le differenzia nettamente: il fatto che «le credenze propriamente religiose sono sempre comuni a una collettività determinata»10.

Que-sta collettività viene denominata Chiesa, ecco quindi tutti gli elementi che portano il sociologo alla definizione definitiva di religione:

‹‹un sistema solidale di credenze e pratiche relative a cose sacre, cioè sepa-rate, interdette, le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata Chiesa, tutti quelli che vi aderiscono››11.

Una volta arrivati alla presente spiegazione dobbiamo procedere e analizzare le credenze e i riti. Seguiremo qui la linea presa dall’autore parlando prima delle credenze, quindi del sacro e del profano e successivamente dei rituali. Tuttavia ci sembra utile chiarire che le due trattazioni non possono definirsi come nettamente scindibili, infatti molti concetti si intrecciano e si avrà un quadro completo solo alla fine del capitolo, quando si saranno presentate sia le credenze sia i riti.

1.2. Caratteristiche delle cose sacre e profane

La prima problematica a cui ci si trova davanti è cosa definisce le cose come sacre o profane. In primis dobbiamo notare che il carattere sacro di un determinato ente non è intrinseco, non vi sono cose sacre in sé. Non si può nemmeno attribuire al sacro un carattere gerarchico, non sono le cose più importanti ad essere sacre. Può essere sacro un animale che non ha niente di superiore ad un altro che però non è considerato tale. Il mondo delle cose sacre è infinitamente variabile, come lo defi-nisce Durkheim, poiché il sacro non risiede nella cosa ma è un carattere

sopraggiun-10 Ivi, p. 46. 11 Ivi, p. 99.

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to, così da poter risiedere in qualsiasi ente.

Quindi «per definire il sacro di fronte al profano non resta che la loro eteroge-neità»12 . La distinzione che fa il sociologo è netta, il sacro ed il profano non sono

due facce della stessa medaglia, ma due mondi completamente distinti. Le cose che appartengono ad uno e quelle che appartengono all’altro hanno natura differente. Il sociologo di Épinal chiarisce bene questo punto quando spiega che si può passare da un mondo all’altro, ma a determinate condizioni. Il passaggio può avvenire solo dopo un cambiamento radicale di stato, una metamorfosi, che è regolato da alcuni rituali, come quelli d’iniziazione; se un essere profano entra in contatto con un esse-re sacro rischia la malattia o la morte, per questo è necessario cambiaesse-re il proprio stato ed abbandonare il mondo profano tramite un rituale prima di entrarvi in contat-to.

La non impermeabilità dei due mondi rende ancora più difficile il loro rappor-to, poiché rende la separazione dinamica (cfr. Paoletti 2017). Vediamo qui già un ac-cenno al rapporto che c’è tra sacro e profano, la possibilità di passaggio tra i due mondi mette in luce una determinata relazione tra i due, la loro eterogeneità non si traduce in indifferenza. Ma ciò che completa la relazione è il loro antagonismo, i due mondi sono «ostili e gelosamente rivali l’uno dell’altro»13. L’ostilità risalta

quando si analizza tutto il sistema di interdetti che riguarda il contatto tra i due mon-di, le cose profane non possono venire a contatto con quelle sacre e gli interdetti servono proprio per impedire tale contatto e difendere le cose sacre.

Andiamo ora ad approfondire cosa sia il Totem e il suo grado di sacralità per poter svelare le altre caratteristiche del sacro e poi capirne l’origine, che è il punto cruciale da cui si snoderà tutto il resto dello studio. Il totem è l’animale (o pianta o ente in generale) sacro da cui discende il clan e di cui il clan porta il nome: «Ma il totem non è soltanto un nome; è un emblema, un vero e proprio blasone»14. È infatti

in rapporto al totem che si stabilisce la sacralità delle cose (i membri del clan sono

12 Ivi, p. 90. 13 Ivi, p. 91. 14 Ivi, p. 167.

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sacri, per esempio, perché sono parenti del totem). La maggior parte degli interdetti riguardano questo, per un clan che come totem ha un animale ne è per esempio vie-tata la consumazione alimentare, mentre nei rituali, dopo che i membri sono passati quindi dal mondo profano a quello del sacro, si consuma la carne dell’animale (ma approfondiremo dopo tali pratiche). Molte delle pratiche religiose si riferiscono al totem, ed è a questo che è rivolta la credenza collettiva del clan. Vediamo anche che questo è rappresentato come immagine in molti oggetti o alle volte anche sul corpo dei membri del clan durante i rituali.

Vi è però, tra questi, un particolare oggetto, denominato churinga, che è la rap-presentazione del totem, ed è considerata cosa eminentemente sacra, più sacra del totem stesso e quindi la cosa più sacra per il clan:

‹‹Ogni churinga, quale che sia lo scopo per cui è adoperato, figura tra le cose più eminentemente sacre, e non ve n’è alcuna che lo superi per dignità religiosa››15.

È intorno ai churinga che si concentrano la maggior parte delle pratiche rituali. La sacralità dei churinga viene indicata dalla parola stessa, essa è un aggettivo che significa per l’appunto “sacro” e viene usato per designare anche gli atti rituali, quando viene usato come sostantivo esso indica «la cosa che ha come caratteristica quella di essere sacra»16. Abbiamo allora un altro attributo del sacro, che Durkheim

non esplicita, cioè che «le immagini delle cose sacre sono più sacre delle cose stes-se»17.

Le proprietà del churinga sono perciò molteplici: il solo contatto può guarire ferite e malattie e conferire poteri straordinari agli uomini ed inoltre tutto il clan di-pende da esso, il clan riserva un grande riguardo per esso poiché la perdita sarebbe

15 Ivi, p. 174 16 Ivi, p. 175.

17 Paoletti, G., Il sacro in Durkheim e le sue definizioni, in «SocietàMutamentoPolitica», Vol 8, No. 16, 2017, pp. 93-117, p. 102.

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un evento disastroso

Ma il churinga mostra anche altre caratteristiche del sacro, ovvero la sua con-tagiosità18. Il sociologo difatti scrive che il luogo in cui quest’oggetto è riposto

di-venta un luogo sacro, regolamentato da interdetti:

‹‹Il carattere sacro dei churinga è tale che si comunica al luogo in cui sono così raccolti: le donne, i non iniziati non possono avvicinarvisi. Soltan-to una volta che l’iniziazione sia stata completata i giovani vi possono acce-dere››19.

Fino ad ora abbiamo visto che gli interdetti riguardavano il complesso rappor-to tra sacro e profano, ma questi possono anche non riguardare il profano e concen-trarsi solo sul sacro. In certi suoi aspetti infatti il sacro è ambiguo in quanto esistono due tipologie di sacro. Durkheim ne tratta nel libro III, quello dedicato ai rituali. Sull’ambiguità ritorneremo nella nostra trattazione dei rituali, ma cercheremo qui intanto di introdurre l’argomento, poiché tale ambiguità è una caratteristica specifi-ca del sacro. Le due tipologie vengono denominate dal sociologo di Épinal, sacro fasto e sacro nefasto e sono regolati da un sistema di interdetti determinato, anche se non ampio come quello che riguarda sacro e profano.

Tuttavia qui non si può parlare di due mondi differenti o di natura differente come per sacro e profano: le due tipologie di sacro sono due aspetti della stessa cosa, il loro genere è il solito e tutte e due sono nello stesso rapporto con le cose profane. Quello che emerge da questa primo studio sul totemismo potrebbe far con-fondere inducendo a pensare che esistano tanti totemismi, ognuno diverso con il suo sistema di interdetti e il suo mondo sacro, ma vi deve essere tra questi una cosa in comune, che cercheremo ora di presentare.

Le cose sacre, non essendo sacre intrinsecamente, hanno un universo

infinita-18 La contagiosità del sacro è presentata da Durkheim nel libro III, troviamo quindi qui difficoltà ad esprimerla esaustivamente senza prima aver introdotto l’origine del sacro e i rituali, verrà qui accennata e poi ripresa successivamente.

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mente variabile, esse possono essere i churinga come l’animale totemico e i membri del clan, quindi ci deve essere un principio comune a tutte, che le investe e dona ad esse sacralità, infatti «il loro carattere religioso non può derivare da alcuno degli at-tributi particolari che le distinguono le une dalle altre»20.

Il culto totemico si rivolge proprio a questo principio, tutti i fedeli credono e sentono l’esistenza di una forza anonima e impersonale, come la definisce Dur-kheim, a cui i vari enti partecipano, tra i quali loro stessi. Questa forza viene chia-mata “mana”. Il mana è eterno, sopravvive agli enti che nascono e periscono secon-do il ciclo naturale. Il totemismo allora non è un insieme di religioni che asecon-dorano cose differenti, ma la religione i cui adepti adorano la forza anonima e impersonale che anima l’universo, ciò che cambia è la rappresentazione che se ne fanno.

Possiamo vedere quindi ora, introdotto il concetto di mana, cosa sia effettiva-mente il totem. Il totem non è altro che la rappresentazione sensibile, materiale della forza anonima e impersonale ed è per questo che il totem diventa l’oggetto del cul-to. Tutti i membri del clan partecipano a tale forza, sia gli esseri umani sia la specie totemica sia gli altri enti del clan, motivo per cui vi è legame di parentela tra essi.

Il termine “forza” usato dal sociologo non è casuale, egli spiega che questa agisce proprio come una forza. Questa è sia fisica, abbiamo visto precedentemente i danni che può comportare l’entrare in contatto con gli esseri sacri senza essere usciti dal mondo profano, ma è anche e soprattutto una forza morale. Il membro del clan si sente obbligato moralmente a seguire le pratiche rituali, poiché egli ha sia timore sia rispetto verso gli esseri sacri,

‹‹egli ha il sentimento di obbedire a una specie di imperativo, di adempiere ad un dovere. Egli non ha verso gli esseri sacri solamente del timore, ma del rispetto››.21

Il totem allora è un principio morale: è il principio della morale del clan che

20 Ivi, p. 247. 21 Ivi, p. 249.

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tutti i membri si sentono in dovere di rispettare e fa sentire tutti legati

Abbiamo deciso di procedere in questo luogo separando le caratteristiche del sacro dalla sua origine. Durkheim le espone intrecciandole ma dato l’importanza dell’origine del sacro per lo sviluppo di tutto il nostro trattato, questa parte è stata isolata e se ne tratterà ora per far emergere le questioni principali.

1.3. Le origini del sacro: società e rappresentazioni collettive

Siamo arrivati dunque al momento in cui dobbiamo esprimere l’origine del sa-cro in termini durkheimiani. Questo ci servirà come base per studiare poi i fatti con il metodo analogo, però nel mondo contemporaneo e lasciare da parte le società au-straliane, i clan e il totemismo. Per spiegare in maniera esaustiva il sistema delle credenze totemiche bisogna riuscire a chiarire il concetto di mana, questa forza ano-nima e impersonale che aano-nima l’universo, e soprattutto far capire le modalità in cui viene concepita la sua esistenza e la sua origine.

Durkheim si occupa dell’origine delle credenze totemiche nel libro secondo, lo fa in tre capitoli (dal quinto al settimo) ma è solo nel settimo che svela le sue idee più profonde. Si può dire che questo capitolo sia il cardine di tutte Les formes (cfr. Paoletti 2017). L’idea di forza non è una sensazione che deriva dalle cose, ma le è esterna (come può, per esempio, un bruco o un serpente suscitare l’idea di una forza così grande?), guardando le rappresentazioni figurative di essa vediamo che il totem ne è la rappresentazione massima, l’emblema (Churinga) rappresenta questa forza, studiarlo servirà per arrivare alla conclusione. Difatti il totem non rappresenta sola-mente il mana.

È fin dalle prime pagine del capitolo che viene presentato un accostamento im-portante: quello tra Dio (la credenza totemica a cui è rivolto il culto, quindi il mana) e il clan. L’associazione è possibile tramite il simbolismo totemico, il Totem non rappresenta solamente il mana, la forza anonima e impersonale, ma rappresenta

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an-che il clan stesso e così si sviluppa la domanda an-che farà svolgere il seguito della trattazione di Durkheim:

‹‹se esso è dunque, nel contempo, il simbolo del dio e della società, ciò non vuol forse dire che il dio e la società fanno tutt’uno (n’est-ce pas que le dieu et la sociètè ne font qu’un)?››.22

Questo è un passaggio fondamentale poiché è da questo principio che si svi-lupperà un grande dibattito intorno alla sociologia della religione di Émile Dur-kheim23.

La società viene ipostatizzata, trasfigurata e assume simbolicamente il ruolo di una forza che governa l’universo a cui i fedeli sottostanno e vi partecipano, si sento-no guidati e governati, rafforzati poiché parte di essa. Durkheim afferma che la so-cietà «è di fronte ai suoi membri ciò che un dio è di fronte ai suoi fedeli»24, ciò che

il fedele vede in Dio è un essere superiore a cui è obbligato ad obbedire, a seguire i modi di agire che esso ha prescritto.

L’obbligazione, come ad esempio il non mangiare la carne del totem, è però coercitiva solo come segno esteriore, come approfondisce il sociologo nella nota 3 di pagina 26825, lo snodo complicato per l’autore è cercare di far capire il carattere

di questa obbedienza. Il fedele non si sottomette al suo dio in maniera coercitiva, esso lo fa solo poiché il dio è investito di rispetto e si riconosce in lui un’autorità morale.

La rappresentazione collettiva che il fedele australiano si fa del Dio è di una forza così spirituale e investita di rispetto che non si può fare a meno di seguire le sue prescrizioni. Dio arriva ai suoi scopi tramite gli individui, con le loro azioni, con

22 Ivi, p. 266.

23 Non è in questo luogo che possiamo approfondire dettagliatamente tale dibattito, abbiamo deci-so di seguire una linea, quella che condividiamo anche noi, in cui Dio e deci-società non deci-sono un semplice simbolismo uno dell’altro ma in cui l’accostamento è molto più stretto

24 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit., p. 266. 25 Ivi, p. 268

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i riti, gli individui fanno il volere di dio. Quando parliamo della società sembra che queste caratteristiche siano perfettamente adattabili. La società non viene percepita solo come una forza fisica esterna, ma anche come una forza morale che dà dentro ci spinge ad agire in un determinato modo, investita di tanto rispetto da non porci nemmeno il dubbio di agire in altro modo:

‹‹Tuttavia, se la società non ottenesse queste concessioni e questi sacrifici che in virtù di una costrizione materiale, essa non potrebbe risvegliare in noi che l’idea di una forza fisica a cui dobbiamo cedere per necessità, e non l’idea di una potenza morale del genere di quelle adorate dalle varie religio-ni. Ma in realtà, il dominio che essa esercita sulle coscienze deriva meno dalla supremazia fisica di cui ha il privilegio che dall’autorità morale di cui è investita. Se ci sottomettiamo ai suoi ordini, non è semplicemente perché essa dispone dei mezzi per vincere le nostre resistenze; è, soprattutto, perché essa è oggetto di autentico rispetto››.26

Questo rispetto viene giustificato dal sociologo di Épinal mettendo in luce il modo in cui i precetti morali vengono elaborati. È lo stato emozionale che qui gioca un ruolo fondamentale. Le rappresentazioni sociali sono rappresentazioni che sono elaborate in comune e quindi sotto uno stato di “effervescenza collettiva”, un parti-colare stato emotivo che si ritrova negli individui durante i rituali e le aggregazioni sociali27, che li trascina e crea stati emotivi molto forti. Queste rappresentazioni

al-lora saranno molto più potenti rispetto a quelle individuali elaborate nella sede pri-vata della monotonia quotidiana, poiché è un coro di voci che forma un tutt’uno e non una semplice addizione di voci e così diventa più forte dei singoli individui:

‹‹[…] essa comanda, al contrario, gli atti che la realizzano, e ciò, non già per mezzo di coercizione materiale o della prospettiva di una coercizione di quel genere, ma semplicemente in virtù della diffusione dell’energia mentale in

26 Ivi, p. 267.

27 Ci sarà modo più avanti di approfondire tale stato emozionale, verrà qui intanto spiegato a gran-di linee ma è nella trattazione dei rituali che verrà spiegato esaustivamente.

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essa presente››.28

Le rappresentazioni collettive influenzano anche la teoria della conoscenza se-condo Durkheim (‹‹In Durkheim’s view, the sacred/profane dichotomy affects the nature of knowledge››29).

Qui c’è una ripresa delle famose teorie kantiane su tale tema, solamente che il sociologo pensa che le conoscenze date dalle esperienze, e quindi elaborate a poste-riori, derivino dal mondo profano ovvero dal mondo individuale dell’essere umano. In questi momenti ogni individuo può elaborare conoscenze a seconda del suo vis-suto, della sua esperienza personale. Ma sono le rappresentazioni collettive che gli forniranno quelle conoscenze a priori definite da Kant. Il linguaggio e la morale, per riportare alcuni esempi dell’autore, sono concetti che l’individuo trova già preconfe-zionati alla sua nascita a seconda della società in cui viene alla luce.

Abbiamo visto che sia la società sia la divinità (o essere sacro quando non vi è divinità nella religione) hanno la caratteristica comune di essere delle autorità mora-li investite di rispetto, che guidano le coscienze in virtù della loro forza spirituale ed emotiva, ma non è il solo effetto che hanno sulle coscienze.

Torniamo nello spazio della religione, vediamo che l’azione morale, gli obbli-ghi e i sacrifici che ci porta a compiere non sono gli unici modi in cui su di noi agi-sce un dio, esso ci conforta e ci fa sentire investiti da una forza nuova, il fedele dopo aver agito secondo il volere di dio è «un uomo che può di più». Così la società agi-sce sui membri al solito modo. Il componente della società che agiagi-sce in comune agli altri viene innalzato dalla forza collettiva, le emozioni sono di una tale intensità che esso si sente superiore e migliore. La forza collettiva della società infatti non è solo una forza esteriore, ma essa penetra negli individui e quando viene ridestata dall’azione sociale innalza questi così da farli sentire più forti. È per tal motivo che

28 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit. p. 268.

29 D’Orsi, L., Dei, F. , What is a rite? Émile Durkheim, a hundred years later, Open Information Science, Vol. 2 (1), pp. 115-126, 2018, p. 118.

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durante i rituali gli uomini percepiscono l’effervescenza, si sentono rafforzati dal loro dio che è simbolo della forza sociale che dà dentro li innalza.

L’influenza e la forza sociale sull’individuo non agiscono, infine, solamente durante le azioni collettive. Anche durante la vita quotidiana, nelle azioni svolte nel-la sfera individuale, si fa attenzione al giudizio sociale. Un nel-lavoro ben svolto, il compiere rigorosamente il proprio dovere o il sentirsi stimati in generale dal punto di vista sociale, dà la sensazione di accrescimento morale, l’individuo si sente me-glio con se stesso poiché «l’idea che la società ha di lui accresce l’idea che egli ha di se stesso» 30. Questo è quello che accade anche al fedele che si sente sempre

os-servato dal suo dio e di conseguenza sarà spinto ad agire nel modo migliore in ogni circostanza.

La società è quindi sempre duplice, sia benevola che imperativa, sia un qual-cosa che ci domina sia che ci accresce e aiuta, e soprattutto è sia esterna che imma-nente all’individuo, è una coscienza morale che si radica in noi ma è qualcosa d’altro da noi. Per capire bene questo ultimo punto dobbiamo ampliare la ricerca con un excursus su altri scritti durkheimiani.

In un saggio del 1898 intitolato Rappresentazioni individuali e rappresenta-zioni collettive31 e pubblicato nella “Revue de metaphysique et de morale”,

Dur-kheim esporrà ampiamente la sua idea: i fatti sociali sono sia esteriori che interiori all’individuo, poiché scaturiscono dall’esterno, dalle relazioni tra i membri della so-cietà e poi si radicano all’interno come qualcosa di diverso dall’individuo stesso. Questo è il motivo per cui la forza sociale è superiore: il fatto che non derivi da un agglomerato di rappresentazioni individuali ma sia una realtà sui generis, qualcosa di completamente diverso che viene interiorizzato dall’individuo percependone così la grande forza.

30 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit., p. 271.

31 Durkheim, É., Représentations individuelles et représentations collectives, in «Revue de métaphysique et de morale, 6, pp. 273-302, Paris, 1898, Rappresentazioni individuali e

rappresentazioni collettive, in Id., Le regole del metodo sociologico, Sociologia e filosofia,

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Queste rappresentazioni sono differenti da quelle individuali poiché la loro ca-rica emotiva è più elevata, così l’individuo sente dentro di esso due esseri completa-mente diversi e alle volte antagonisti. Durkheim porta come esempio la religione, una delle rappresentazioni collettive che più mostra il fatto che da esse siamo anche governanti, per esporre meglio il perché le rappresentazioni collettive non possono essere elaborate dagli individui e poi estese all’universo sociale. Difatti, spiega il sociologo, nessun individuo elaborerebbe qualcosa che poi dovrebbe subire o a cui dovrebbe sottostare. Le rappresentazioni collettive sono nate e possono nascere solo nei momenti di vita collettiva e poi da questi penetrano nell’individuo. Questa è ap-punto la vita sociale e questo ne dimostra la duplicità, qualcosa che è fuori di noi e anzi penetra in noi dal di fuori, ma che poi permane dentro di noi e ci muove, ci fa sentire emozioni e ci conforta da dentro la nostra coscienza e per mezzo di questa raggiunge i suoi scopi. È in due saggi usciti dopo Le forme elementari della vita re-ligiosa che Durkheim parla dell’Homo duplex e del dualismo della natura umana che ha in sé due esseri differenti32.

Da sempre l’uomo ha sentito in sé due parti, eterogenee tra loro, queste sono il corpo e l’anima. Il primo è il simbolo del mondo naturale, della malattia, del lavoro, e soprattutto del mondo profano, mentre la seconda è stata da sempre rappresenta-zione del mondo sacro. Ma cosa significa tale bipartirappresenta-zione? L’anima in verità è da sempre stata ritenuta come entità sacra, non è certo Durkheim ad averla considerata come tale per primo. Ma è proprio partendo da questo assunto di sacralità dell’ani-ma che il sociologo arriva alla conclusione del perché da sempre ci siano queste teo-rie. L’anima riguarda le rappresentazioni elaborate nella collettività che si sono inte-riorizzate nell’individuo e si riferiscono «al mondo ideale al quale attribuiamo una superiorità morale»33, è la parte sociale interiorizzata nell’uomo. Siccome deriva

32 I saggi in questione sono:Durkheim, É., Le problème religieux et la dualité de la nature

hu-maine, in Bulletin de la Société française de philosophie, No. 13, 1913, pp. 63-100. Durkheim,

É., Le dualisme de la nature humaine et ses conditions sociales, in «Scientia», vol. XV, n. 1, 1914, pp. 206-221, trad. it. G. Paoletti, Il dualismo della natura umana e le sue condizioni

so-ciali, ETS, Pisa, 2009.

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dalle rappresentazioni collettive essa è sacra come tutte le cose che vengono elabo-rate dalla società solo che è in noi poiché, come più volte ripetuto sopra, questa non rimane solo un qualcosa di esterno. Essa è quindi opposta al corpo che invece è in-dividuale, qualcosa anzi di eminentemente individuale che non si può mai conside-rare come collettivo e così profano. L’australiano dei clan partecipa allora al “mana” e così viene considerato sacro anche se a un livello inferiore rispetto al totem, poi-ché solo una parte di lui è sacra. L’ organizzazione interiore della società nell’indivi-duo è anche ciò che ha portato ad uno studio errato della religione, durante i rituali infatti, emergendo lo stato emotivo collettivo, l’uomo sente di potere di più così da avere forza attiva sull’universo materiale e cosi di poterlo modificare.

Chi ha studiato la religione come un sistema attuato per plasmare e avere una forza sul mondo non ha compreso il substrato emotivo che permeava i rituali e che rappresentava ciò che effettivamente era la religione, per riportare le parole del so-ciologo,

‹‹Il sent qu’elles sont supérieures acelles dont il dispose ordinairement, mais en même temps il a l’impressionqu’il participe de cette supériorité. Il peut davantage. Sans doute, il se représente le plus souvent d’une manière illusoire le sens dans lequel s’exerce cepouvoir exceptionnel. Nous croyons a tort qu'il nous permet de dominer lemonde, de lui imposer nos volontés, de le rendre docile à nos désirs››.34

Il fatto che nel rituale si compiono azioni che dovranno avere effetto sull’uni-verso35 è un effetto della religione ma non il motivo per cui si compiono. Non è

l’unica critica che propone Durkheim agli studiosi della religione, infatti teorizzan-do l’origine sociale e l’esistenza della forza collettiva che innalza l’individuo, non si può affermare che la religione sia falsa, poiché «non vi sono quindi, al fondo, reli-gioni false»36Di fatto quella forza che essi si rappresentano esiste davvero, può

esse-34 Durkheim, É., Le problème religieux et la dualité de la nature humaine, op. cit., p. 70. 35 Vedremo inoltre più avanti che questo non è lo scopo del rituale.

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re falso il sistema di rappresentazione ma non il suo substrato.

Lasciamo da parte le critiche durkheimiane ai predecessori e torniamo ora alla dicotomia sacro e profano. Questa allora è presente già nell’uomo, il sacro corri-sponde alle rappresentazioni collettive, l’anima che esse formano radicandosi e indi-vidualizzandosi nell’essere umano specifico, mentre il profano è rappresentato dalla vita quotidiana, dalle sensazioni individuali.

Questa realtà complessa non poteva essere colta da individui così semplici come gli australiani dei clan totemici, essi sentivano questa forza solo come esterna, poiché la vita individuale era veramente ridotta e quindi la forza collettiva emergeva più assiduamente. Ed è così che nacque la religione. Gli australiani percepirono solo l’esteriorità della forza e non poterono che rappresentarsela come un oggetto sensi-bile, così la religione divenne un sistema di simboli che rappresentava la forza col-lettiva, la società.

Allora, arrivati a questo punto, possiamo esplicare l’ultima caratteristica del sacro, per la nostra trattazione la più importante e per questo motivo non inserita tra le altre nel paragrafo precedente, ovvero quella che «il sacro eccede la religione» (cfr. Paoletti 2017), poiché è la società stessa che consacra le cose, «per sua natura la società è unicamente atta a ispirare quei sentimenti che, quando si riferiscono a qualcosa al di fuori di se stessi fanno di questo qualcosa un dio»37. Ne Les formes

difatti si può vedere come il sociologo cerca di spiegare la religione come un fatto sociale, ovvero che dio (che rappresenta la religione in generale)è la società e scatu-risce dalla vita sociale, ma, come spiega Poggi nel suo saggio introduttivo al pensie-ro di Durkheim è spesso dimostrata tale idea a partire dai termini contrari ovvepensie-ro che la società si comporta come un dio investendo di forza tutto ciò che è collettivo così da farlo diventare sacro, e sacre saranno allora anche cose sociali, collettive, da cui non si è sviluppato un sistema religioso.

Ne Les formes, Durkheim aveva già accennato a questa possibilità, senza però approfondire la discussione. Nel capitolo VII del Libro II vi troviamo un passaggio

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in cui il sociologo vuole portare esempi nei quali la forza collettiva innalza l’emoti-vità dell’individuo e vediamo che questi esempi non riguardano i rituali dei clan to-temici ma momenti di vita contemporanea come un’assemblea di partito che scuote la passione comune:

‹‹è per questo motivo che tutti i partiti, politici, economici, confessionali, hanno cura di organizzare periodicamente riunioni in cui i loro adepti posso-no ravvivare la loro fede comune manifestandola in comune. Per rinvigorire sentimenti che abbandonati a sé stessi, si esaurirebbero basta avvicinare e porre in relazione più stretta e attiva quelli che li provano››38.

Ma sarà soprattutto parlando della Rivoluzione francese che il sociologo di Épinal mette in luce la possibilità di creare un sistema simbolico sacro senza che questo sia anche religioso.

Tratteremo la questione più avanti in capitoli dedicati, ora ci è bastato arrivare alla prima conclusione importante sul sacro che ci permetterà di studiarlo anche nel-le società secolarizzate.

1.4 I rituali

Dopo aver messo in chiaro le principali caratteristiche delle credenze e la divisione in due mondi, quello sacro e quello profano, che sta alla base di ogni sistema religioso, dobbiamo ora studiare l’altra grande componente della religione, ovvero i rituali. I rituali riguardano l’azione della vita religiosa e vengono trattati in un secondo momento non per minore importanza

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Tutti i più grandi studiosi e critici39 di Émile Durkheim hanno capito tale

importanza; durante l’indagine svolta ne Les formes il sociologo ribadisce che l’analisi viene strutturata in due momenti differenti solo per uno scorrere più limpido degli argomenti, sarebbe stato difficile presentare prima i rituali senza aver messo in luce le caratteristiche del sacro, e sembra che molti suoi commentatori si siano attenuti a questa impostazione. Anche a noi è sembrata la più logica ma è importante ribadire che è solo una decisione di forma che semplificherà l’esposizione e non di importanza, prendiamo in prestito le parole della sociologa A.W. Rawls per rafforzare il concetto, nel suo testo Epistemology and Practice: Durkheim’s The Elementary Forms of Religious Life40 precisa così:

‹‹While these chapters were obviously intended to clarify the importance that Durkheim placed on rites, because of the way the book is organized, the effect may actually have been to make the section on rites appear to be less important than the section on beliefs. But, it is a critical mistake to read Durkheim’s text in this way››.41

I rituali in realtà sono i veri artefici del sentimento che il fedele prova del sacro e del suo rapporto con il mondo profano. Inoltre senza il rituale il sentimento di unione sociale sarebbe impossibile poiché si perderebbe nell’inconscio durante l’attività monotona e quotidiana del mondo profano.

Dobbiamo quindi nella presente parte dell’elaborato mettere in luce queste caratteristiche; abbiamo deciso di farlo seguendo in linea di massima l’analisi fatta ne Les formes, passando in rassegna i principali rituali per far emergere i concetti che serviranno ad estendere l’analisi nel campo delle società secolarizzate. Presentiamo prima alcune caratteristiche generali del rito.

39 Avremo modo di citarne alcuni soprattutto nel paragrafo in cui si parlerà del ruolo performativo del rituale all’interno della società

40 Rawls, A.W., Epistemology and Practice: Durkheim’s The Elementary Forms of Religious Life

(2004), Cambridge University Press, Cambridge, 2005. 41Ivi, p. 195.

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Per prima cosa il rituale è un’azione specifica poiché, a differenza delle altre azioni umane ha come oggetto un elemento ben preciso, ovvero il sacro. Tutti i rituali religiosi si riferiscono al sacro. La pratica rituale poi è un’azione che non ha un fine utilitaristico. Come viene spiegato da Giolo Fele nel suo testo Il rituale come pratica sociale42, la grande differenza tra le attività profane svolte dall’essere

umano e i rituali sacri è che ‹‹il risultato che si raggiunge è indubbiamente assicurato dall’inizio››43, e quindi non si svolge una pratica rituale per uno scopo

strumentale. Sempre riprendendo le parole dal testo di Fele ‹‹Per Durkheim, il legame che si crea tra azioni e risultato del rito non è quello strumentale››44.

Gli stessi membri del clan totemico sono consapevoli che non vi sia fine utilitaristico, loro compiono le pratiche rituali per restare fedeli alla tradizione del clan, il rituale è una pratica istituita collettivamente e deve essere compiuta:

‹‹“Quando”, conclude il nostro autore, “si chiede agli indigeni quale sia la ragione determinante di queste cerimonie, essi sono unanimi nel rispondere: è perché gli antenati hanno istituito le cose così. Ecco perché agiamo in questo modo, e non altrimenti” (Strehlow 1907, vol. III, p. 8)››.45

Questo è il caso dei riti rappresentativi o commemorativi, Durkheim li presenta anche per contraddire definitivamente chi attribuiva al rito un fine utilitaristico. In tali riti non troviamo segni di un’azione compiuta strumentalmente. I fedeli semplicemente commemorano il passato mitico del clan, nessun gesto compiuto riguarda la prosperità della specie totemica, in questa tipologia di riti non possiamo sbagliarci: il fine strumentale non esiste, ma si rende omaggio agli antenati facendoli tornare al presente con narrazioni e gesti rituali che li richiamano.

42 Fele, G., Il rituale come pratica sociale in Émile Durkheim: contributi per una rilettura critica,

critica, Alexander, J. A., Rosati, M., Santambrogio, A. (a cura di), Meltemi, Roma, 2002, pp.

205-234. 43 Ivi, p. 207. 44 Ibidem.

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Una tale conclusione sulla pratica rituale è molto importante a nostro avviso, non solo per le conseguenze che porta nello studio durkheimiano della funzione del rituale, ma anche perché con questa spiegazione il sociologo si pone in aperta critica con alcune delle tradizioni antropologiche classiche. Tra le quali ricordiamo principalmente quella di J. Frazer, nel cui Testo più importante, Il Ramo d’oro, suppone che le pratiche magiche e religiose vengano eseguite per poter manipolare in qualche modo una realtà oscura e sconosciuta dai popoli primitivi.

Il fine non utilitaristico è anche un ulteriore fattore di distinzione tra rituali religiosi e rituali magici, gli ultimi infatti vengono svolti sempre per arrivare ad un fine strumentale.

Siamo pronti ora per approfondire le pratiche rituali religiose.

1.4.2 I culti negativi

I primi culti che analizza Durkheim sono quelli negativi. Durante la trattazione di tali culti vedremo che essi servono a rimarcare fortemente la linea che separa il sacro dal profano. La sfera dei rituali è la sfera delle azioni, azioni che si possono compiere solo nell’ambito del sacro, ergo da esseri che sono entrati in tale mondo lasciandosi alle spalle quello profano, e sono proprio i culti negativi a predisporre il fedele alla sacralità.

La loro funzione è quella di non mescolare i due mondi; questi agiscono sotto forma di interdetti, denominati Tabù46. Il fedele non può disobbedirvi poiché i culti

negativi agiscono come degli “imperativi categorici”47 . La mancata obbedienza

verso tali interdetti può portare ‹‹alla malattia o alla morte››. Anche la magia ha i suoi interdetti e Durkheim non tralascia questa similitudine.

46 Durkheim durante tutto il suo scritto prediligerà l’uso di ‹‹interdizioni›› piuttosto che Tabù. 47 Vi è qui probabilmente un richiamo al filosofo Immanuel Kant, abbiamo visto che i concetti a

priori kantiani sono elaborati in Durkheim nelle Rappresentazioni collettive, ma non è questo il luogo per approfondire un tale confronto.

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Sempre preciso nella sua analisi, spiega le differenze tra interdetti religiosi e interdetti magici. I primi sono equiparabili, come detto, ad imperativi categorici a cui tutti i fedeli devono obbedire se si vuole evitare una ripercussione, mentre gli interdetti magici riguardano solo lo stregone e il suo cliente e non sono obblighi da seguire ma consigli che non portano con sé sanzioni. Se la magia non va incontro alle sanzioni religiose è perché gli esseri sacri non sono investiti di rispetto, cosicché sono possibili profanazioni senza pagarne le conseguenze.

In realtà vi sono interdetti di due tipi, ma possiamo dire che uno sia la sottospecie dell’altro. Tutta una serie di interdetti riguarda il rapporto tra sacro puro e sacro impuro, tuttavia il culto negativo vero e proprio è quello che separa tutto ciò che è sacro da tutto ciò che è profano. Le interdizioni sono di vario tipo, principalmente è vietato il contatto tra cose sacre e cose profane, ma ci sono anche divieti di sguardo e di parola. Il divieto è poi esteso a tutte le attività umane, quelle profane e quelle sacre devono restare separate e così spazio e tempo sacro non devono mescolarsi con l’attività profana, quotidiana, quella che concerne le attività economiche e di sostentamento. È qui che possiamo vedere allora il perché della costruzione dei templi, da i più rudimentali alle grandi costruzioni delle religioni monoteiste e anche dell’istituzione di un calendario che separa i giorni festivi dagli altri.

In questa veloce trattazione48 abbiamo messo in luce il divieto che separa

sacro e profano, per spiegarlo però dobbiamo riprendere una caratteristica del sacro, accennata sopra, che è possibile ora approfondire. Il sacro ha tra le sue caratteristiche quella di essere contagioso, il profano deve stare separato dal sacro poiché altrimenti sarebbe investito da una forza troppo grande ‹‹il sacro minaccia di estendere per contagio il suo impero su qualsiasi essere profano che violi un interdetto››49. La forza che Durkheim riserva al sacro è dovuta alla sua mobilità, al

48 Non abbiamo intenzione in questo luogo di approfondire il culto negativo poiché quello che sarà utile analizzare è il culto positivo, il culto negativo aiuta a capire definitivamente il meccanismo tra sacro e profano all’interno della religione totemica e a introdurre il culto positivo.

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fatto che, come detto sopra, questo non è un carattere intrinseco ma sovrapposto alle varie cose che vengono definite sacre e così potrebbe investirne altre.

I culti negativi, pur essendo un insieme di pratiche che si concentrano su un’azione negativa, su un’azione negata al fedele, sono di fondamentale importanza per la vita religiosa, il culto positivo non sarebbe possibile senza questi. Sul finire dell’analisi Durkheim spiega che in verità un’azione positiva i culti negativi ce l’hanno. Essi innalzano il fedele e lo preparano alla vita religiosa, la sua moralità è accresciuta quando rispetta rigorosamente ogni interdetto, ed è questa azione negativa che lo avvicina al sacro:

‹‹L’uomo che si è sottomesso alle interdizioni prescritte non rimane quello che era prima. Prima, era un essere comune che, per questa ragione, era obbligato a restare a distanza dalle forze religiose. Dopo, è più vicino al loro livello; infatti egli si è avvicinato al sacro per il solo fatto di essersi allontanato dal profano; è diventato più puro e più santo in quanto si è distaccato dalle cose basse e volgari che appesantivano la sua natura. I riti negativi conferiscono perciò poteri efficaci al pari dei riti positivi; i primi, come i secondi, possono servire a elevare il tono religioso degli individui. Secondo una giusta osservazione che è stata fatta, nessuno può impegnarsi in una cerimonia religiosa di qualche importanza senza sottoporsi a una specie di iniziazione preliminare che lo introduca progressivamente nel mondo sacro››.50

Il culto negativo che più avvicina l’uomo al sacro è il rito ascetico. L’asceta tramite la privazione di numerosi benefici corporei, individuali, e quindi profani si innalza al di sopra del mondo profano ed entra nel dominio del sacro. Per Durkheim l’ascetismo è ‹‹un elemento essenziale›› e si può ritrovare in tutte le religioni, il sociologo parla sia di buddhismo, dove l’asceta è paragonato a un dio, sia del totemismo in cui durante l’iniziazione vi troviamo una fase ascetica. Tutto questo non è privo di conseguenze. L’atto positivo, l’azione del culto negativo, si ritrova

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anche in quello che suscita nel fedele a livello fisico, ovvero sofferenza e dolore. Tramite queste il fedele sfida il profano che è in lui e oppone resistenza, ma il tipo di sofferenza presentato è considerato utile ‹‹per i poteri e i privilegi che conferisce allo stesso titolo di quei sistemi di interdizioni di cui è il naturale accompagnamento››.51

Nessun essere profano può allora accedere al culto positivo poiché è nell’ambito del sacro che si celebra tale rituale, ed è per questo che Durkheim introduce prima i culti negativi e ne evidenzia l’importanza per tutta la vita religiosa. Dobbiamo ora però passare in rassegna i culti positivi e mettere in luce le caratteristiche principali che il sociologo di Épinal mostra, la funzione performativa e la funzione aggregativa del rito. Grazie a queste due caratteristiche possiamo portare le riflessioni sui rituali nel terreno moderno e contemporaneo delle società secolarizzate.

1.4.3 I culti positivi e la funzione sociale del rito

Introduciamo ora il rito positivo. Questi rituali presuppongono che il fedele sia uscito dalla vita profana, quotidiana, difatti sono allestiti luoghi e tempi appositi definiti sacri. Per via che una pratica sociale sia definita come “rito” è necessario anche che tutto il clan vi partecipi. Tra le caratteristiche presentate da Durkheim ci sono la grande densità di corpi e l’effervescenza collettiva che la densità provoca. L’aspetto che ci interessa qui mettere in luce è quello della riunione di tutti i fedeli che porta a rafforzare l’idea di società e di conseguenza rafforzare anche la loro anima, che è la parte sociale dell’individuo.

Anima e società, sono soggette al deterioramento poiché nella vita profana perdono la loro importanza.

Il primo rituale che presenta Durkheim è il sacrificio. Il sacrificio nelle società totemiche sembra in realtà inesistente poiché le due fasi principali, comunione e

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oblazione sono separate e non ben definibili. Durkheim però analizza la cerimonia dell’intichiuma, un rito che viene compiuto dai clan totemici rivolto al Totem, in cui sembra che il risultato finale debba garantire la prosperità della specie totemica. In questa cerimonia vi sono più fasi e rituali e viene svolto durante il periodo di rinascita della natura poiché, guardando le primizie, i clan notarono che esse manifestavano un’energia superiore. Il sociologo arriva alla conclusione che tra questi rituali si può trovare un primo esempio di rito sacrificale.

Durkheim nello studio del rituale riprende le idee di Robertson Smith. In accordo con l’antropologo scozzese spiega che il sacrificio è un pasto, più precisamente un pasto consumato in comune tra i fedeli e l’essere sacro. Questo pasto conferisce un grado di parentela tra i commensali, cosicché saranno uniti da un vincolo sacro. Il solo fatto di riunirsi insieme e consumare un pasto sacro fa sì che i fedeli sentano rinata l’idea di sacralità. Non solo, ciò che i commensali consumano è una parte di un essere sacro e così mangiandola ridanno vigore alla loro parte sacra, l’anima. Il mondo sacro deve sempre essere riaffermato poiché durante i periodi profani, quotidiani, rischia di finire nell’oblio. Robertson Smith però si ferma al momento della comunione, esso infatti è ricoperto di dubbi sull’oblazione e si pone la domanda sul significato dell’offerta a un essere che ha come caratteristica principale il provvedere al sostentamento della comunità. Durkheim invece continua la sua riflessione e capisce l’importanza del secondo momento rituale.

Come abbiamo già visto l’essere sacro è il simbolo della comunità, l’offerta che il fedele offre ad esso simboleggia l’aiuto del membro alla comunità. L’essere sacro, come appunto la società, vive solo nella mente del fedele, e quindi ha bisogno che il pensiero che l’individuo ha di esso sia vivificato per non scomparire. Tutte le rappresentazioni collettive vengono interiorizzate dagli individui, ma è solo durante le cerimonie collettive, mentre il gruppo è riunito, che possono esprimere la loro forza, senza questi raggruppamenti periodici perderebbero il loro potere. Così, come gli umani hanno bisogno delle rappresentazioni collettive, poiché le arti, le scienze,

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il linguaggio elaborati socialmente vengono in aiuto agli esseri umani, le rappresentazioni hanno bisogno di essere vivide in ogni individuo per continuare ad agire e il solo modo per riaffermarle è riprodurre lo stato in cui esse sono nate: l’aggregazione sociale.

Superando allora Robertson Smith il sociologo di Épinal vede nel sacrificio la funzione aggregativa del rituale. La forza sociale, le rappresentazioni collettive e i loro simboli, ovvero gli esseri sacri, sono possibili solo perché la comunità ha istituito dei riti, e a questi riti si sente obbligata poiché il sacro si è esteriorizzato e ha una forte influenza su di essa. Come spiegato sopra, anche se il rito sembra avere una funzione strumentale, ovvero quella di aiutare la specie totemica a perpetuarsi e non perire, questo è solo un simbolo poiché ciò che si perpetua e non perisce è la società e le forze che mette in azione sull’individuo. Allora il singolo uomo riceve il meglio dalla società e si sente più forte durante i rituali, si sente di poter agire meglio, ma anche la società riceve forza dagli individui poiché, ridestando le loro rappresentazioni collettive, ricreano l’idea sociale che andrebbe persa durante la vita quotidiana di routine.

Durkheim, fin da questo primo rito presentato, mostra l’approccio che avrà per tutti i seguenti rituali, ovvero quello di studiarli nel campo laico e sociale. Riportiamo una parte direttamente dal testo de Les formes, poiché ci sembra chiarificatrice sia del suo approccio sia delle sue idee:

‹‹Se, come abbiamo cercato di stabilire, il principio sacro non è altro che la società ipostatizzata e trasfigurata, la vita rituale deve poter essere interpretata in termini laici e sociali. E infatti, come quest’ultima, anche la vita sociale si muove in un circolo. Da una parte, l’individuo riceve dalla società il meglio di se stesso, tutto ciò che gli dà una fisionomia e un posto particolare tra gli altri esseri, la sua cultura intellettuale e morale. Si tolgano all’uomo il linguaggio, le scienze, le arti, le credenze della morale, e egli cadrà al livello dell’animalità. Gli attributi caratteristici della natura umana ci provengono quindi dalla società. Ma d’altra parte, la società non esiste e non vive che negli e mediante gli individui. Si lasci che l’idea di società si estingua negli spiriti individuali, che le credenze, le tradizioni, le aspirazioni

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della collettività cessino di essere sentite e condivise dai singoli, e la società morirà››.52

Ritorneremo dopo sul culto del sacrificio, in questa parte ci concentriamo sulla funzione sociale, quella che costantemente ricrea l’idea sociale e aggrega i membri portandoli a sentirsi più uniti e più forti. Una doppia funzione quindi sia psicologica sia sociale quella del rito visto in questi termini. La prima porta l’individuo a sentirsi migliore poiché è rafforzato il suo principio sociale, sacro, l’anima, il secondo, l’aspetto sociale, porta a una nuova vita l’idea della società che si era affievolita e indebolita durante la routine quotidiana, profana. Ciò che crea allora il rituale è una solidarietà interna della comunità, ricreando l’idea della società crea solidarietà tra i membri poiché essi si sentono uniti sotto la solita forza morale, sotto il solito totem che la simboleggia.53

Non solo il sacrificio viene studiato in questi termini dal sociologo nel suo te-sto, tutti i rituali vengono abbondantemente presentanti e Durkheim mostra che in tutti possiamo ritrovare questa funzione principale, così faremo anche noi per arri-vare alla fine dello studio a rafforzare quest’idea della funzione sociale del rito per superare le società strettamente religiose e studiare quelle secolarizzate.

Durkheim nel capitolo successivo introduce un’altra tipologia di rituale, quello mimetico o imitativo54. Anche questo facente parte di una fase dell’Intichiuma.

Du-rante la cerimonia i membri del clan si pitturano il corpo per imitare l’aspetto este-riore della specie totemica e ne emulano i comportamenti, i versi e le urla. Di nuovo

52 Ivi, p. 374.

53 Avremo modo più avanti di approfondire il concetto di solidarietà in Durkheim. La solidarietà che si crea nelle società totemiche è differente da quella delle società contemporanee. Per spiegare meglio i concetti di solidarietà in Durkheim crediamo sia meglio aspettare di presentare anche la solidarietà che si crea nelle società contemporanee per metterle a confronto, non entreremo qui nello specifico.

54 Il rito verrà introdotto qui ma poi ripreso nel paragrafo successivo più ampiamente quindi non ci soffermeremo su tutte le caratteristiche ma metteremo in luce solo quelle essenziali per la sua funzione sociale e aggregativa.

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nella pratica rituale sembra che preoccupi la prosperità e la riproduzione del Totem. La nuova generazione della specie è fondamentale per tenere vivo il clan, infatti i membri condividono la natura di questo e una sua scomparsa significherebbe la scomparsa del clan.

Ciò che colpisce però è che finito il rituale tutto il clan è convinto di aver dav-vero conseguito il risultato senza aspettare i dati esteriori, senza aspettare la nuova generazione totemica. Il rituale arriva sicuramente al risultato. Il sociologo spiega che vengono applicati qua due principi, dei quali esso è interessato soprattutto a uno: ‹‹il simile produce il simile››55. Gli studi a cui si riferisce Durkheim per questi

principi sono oltre a quelli di Frazer, quelli di due membri dell’Annèe Sociologique, Hubert e Mauss, quest’ultimo suo nipote e adepto. Il solo fatto che tutto il clan imita l’animale totemico lo porta a riprodursi, è come se il gruppo stesso lo ricreasse, come se la riproduzione dipendesse dal clan e non dalla natura, non è un aiuto come negli altri rituali, qui è proprio il clan a riprodurre la specie totemica.

Ma come sempre quello che ci interessa è vedere la funzione che sta dietro all’aspetto religioso. Quello che fanno i membri del clan è agire tutti insieme all’unisono: tutti compiono i soliti gesti, le solite grida, e cosi diventano un’unità.

Ciò che si riproduce può essere il totem ma solo come simbolo, poiché finito il rito una cosa è sicuramente riprodotta: la società. Il legame sociale, la parentela che unisce tutto il clan viene ravvivata, i membri del clan rafforzano la consapevolezza di essere appartenenti alla solita comunità e ad avere il solito Totem poiché tutti lo emulano, così da salvare l’idea della società poiché: ‹‹Essa esiste in quanto è credu-ta e tutte queste dimostrazioni collettive hanno l’effetto di mantenere vive le creden-ze su cui essa riposa››.56

I rituali analizzati presentano però tutti un aspetto, seppur simbolico e solo ap-parente, strumentale, come se il fine vero e ultimo fosse quello della riproduzione della specie totemica. Per continuare l’indagine sulla funzione sociale del rito

abbia-55 Durkheim, É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit. p. 420. 56 Ivi, p. 422.

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