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2.1 Prospettiva europea

2.1.2 Cultura e inclusione sociale nelle politiche comunitarie

La Comunità Europea ha iniziato a considerare il rapporto tra politiche culturali e sociali nella lotta all’esclusione in tempi più recenti rispetto al COE. Il Trattato che istituisce la Comunità Europea, siglato a Maastricht nel 1992, nell’articolo 151 del titolo XII dedicato alla Cultura, definisce per la prima volta il ruolo dell’Unione Europea in ambito culturale affermando che «L’Unione contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il patrimonio culturale comune. L’azione dell’Unione è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra stati membri […]»

Il Consiglio Europeo di Nizza, svolto nel dicembre 2000, riconosce ufficialmente la natura multidimensionale dell’esclusione, auspicando l’assunzione di una prospettiva che vada oltre agli aspetti meramente economici e occupazionali. Inoltre sono stabiliti vari obiettivi e si predispone un Metodo di Coordinamento Aperto secondo il quale gli Stati membri sono tenuti a presentare ogni due anni dei Piani di Azione Nazionale (PAN) sull’inclusione sociale, nell’intento di condividere importanti informazioni sulle varie pratiche messe in atto a livello europeo. La revisione di questi documenti spetta alla Commissione Europea che riassume i risultati delle proprie valutazioni nelle “Relazioni congiunte sull’inclusione sociale” (dal 2005 “Relazioni congiunte sulla protezione

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La Convenzione è entrata in vigore il 1 giugno 2011, gli Stati parte sono al momento diciassette: Armenia, Austria, Bosnia Erzegovina, Croazia, Georgia, Lettonia, Lussemburgo, Macedonia, Montenegro, Norvegia, Portogallo, Repubblica Moldava, Repubblica Slovacca, Serbia, Slovenia, Ucraina, Ungheria [Zagato, Pinton, Giampieretti 2017]

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sociale e l’inclusione sociale”) contestualmente pubblicate e diffuse. La prima di queste relazioni mette in evidenzia che nei PAN presentati per il biennio 2001-2003 le politiche culturali sono scarsamente considerate quale strumento per favorire l’inclusione sociale. Nel tentativo di rimediare a questa mancanza, nel 2002 la Direzione Generale per l’Occupazione e gli Affari Sociali emana un bando (quando??) per finanziare una ricerca sugli effetti delle politiche culturali in relazione ai fenomeni dell’esclusione sociale e sul conseguente ruolo che la cultura potrebbe assumere in questo senso. L’obiettivo della ricerca, affidata alla Northumbria University di Newcastle, è di raccogliere e recensire esempi di buone pratiche svolte nei quindici Paesi membri allo scopo di: (i) identificare i gruppi maggiormente a rischio di esclusione sociale; (ii) stabilire i possibili fattori che ostacolano l’accesso e la partecipazione alle attività culturali dei suddetti gruppi e in che modo queste barriere possano aggravare situazioni di disagio sociale ed emarginazione; (iii) documentare, tramite esempi di buone pratiche ed esperienze già svolte, in che modo lo sviluppo dell’accesso, della partecipazione e dell’inclusione culturale possa contribuire nella lotta all’esclusione sociale. Infine si richiede di avanzare proposte e considerazioni sull’insieme delle politiche e dei programmi necessari per aumentare le opportunità di accesso e favorire in questo modo la partecipazione alle attività culturali. L’intento della Commissione è dunque quello di fornire un compendio di esempi pratici che possano incoraggiare gli Stati membri a sviluppare politiche culturali volte esplicitamente ad incrementare l’accessibilità, la partecipazione e l’inclusione sociale. Il gruppo di ricerca della Northumbria University si rende immediatamente conto che la scarsa considerazione della cultura come strumento di emancipazione sociale emersa nei PAN, non rispecchia necessariamente la realtà pratica ma, molto più spesso, è dovuta principalmente alle posizioni dei Ministeri. Per questa ragione la fase iniziale della ricerca, oltre ad un’approfondita revisione della letteratura politica e accademica su esclusione e inclusione sociale, prevede varie trasferte nei Paesi individuati come casi di studio per intervistare non solo i funzionari delle amministrazioni centrali, ma anche i responsabili regionali e locali, che si dimostrano molto più attivi e consapevoli di quanto previsto. Nonostante ciò, i risultati della ricerca parlano chiaro: a livello politico, «la retorica sembra in molti casi rivestire

maggiore importanza della pratica [Gordon 2004]». Infatti permane una diffusa tendenza da parte delle amministrazioni centrali a concepire l’esclusione sociale come un fenomeno prettamente economico e occupazionale; questo perché la mancanza di fondi e l’orientamento a raggiungere risultati di breve termine portano a privilegiare le iniziative che si traducono in sostegno politico immediato, come ad esempio quelle nel campo dell’occupazione, della sanità, dei servizi sociali e delle pensioni. Inoltre gli indicatori monitorati dai Ministeri della cultura tendono a concentrarsi sui dati di ingresso, ignorando le problematiche relative alle barriere all’accesso e alla partecipazione: per questo motivo c’è urgente bisogno di una più precisa metodologia di misurazione basata su indicatori qualitativi oltre che quantitativi, che restituiscano dati più convincenti sul successo delle iniziative dedicate alla partecipazione e all’inclusione. Lo studio evidenzia che i gruppi a rischio di “esclusione culturale” appaiono essere molto simili in tutti i Paesi analizzati, ossia gli individui in situazioni di disagio economico e sociale, i disoccupati di lungo periodo e i giovani disoccupati, i disabili, gli anziani (soprattutto quelli che non hanno accesso ad Internet o non hanno le competenze per utilizzarlo), gli immigrati e i rifugiati. Data la natura multidimensionale dell’esclusione e visto il maggiore successo di programmi che coniugano misure di protezione sociale, accesso al sistema sanitario pubblico, diritto alla casa e al lavoro e partecipazione culturale, la ricerca sottolinea che è necessario raggiungere maggiore coerenza ma, soprattutto, cooperazione tra i vari attori coinvolti nella risoluzione del problema. Sono quindi auspicabili soluzioni di partenariato che coinvolgano organizzazioni culturali e contemporaneamente associazioni ed enti che lavorano nel sociale, cui si deve peraltro garantire un sostegno adeguato nel medio e lungo periodo. Nonostante ciò si riscontra come i Ministeri della cultura persistano nel dare priorità ad azioni per la tutela e la conservazione del patrimonio e delle istituzioni artistiche più prestigiose, non tenendo in grande considerazione le politiche orientate alla persona, proprie del settore sociale. Questa tendenza si traduce nell’impossibilità di trovare un’Agenda condivisa tra politiche culturali e sociali, sia a livello nazionale che comunitario. Lo studio suggerisce anche la rinnovata importanza della diversità culturale, così come già riconosciuto prima dal COE e in seguito dal Trattato di

Maastricht, che assume maggiore significato in relazione al fenomeno della nuova immigrazione. Si invita dunque a sviluppare attività e programmi culturali che favoriscano l’inclusione sociale di gruppi o individui appartenenti a minoranze etniche. La ricerca pone infine particolare enfasi su come sia essenziale diffondere e valorizzare le buone pratiche, poiché tutti i Paesi forniscono ottimi esempi a livello locale e regionale che è necessario condividere al fine di promuovere modelli esemplari da poter adattare ai vari contesti nazionali. Nelle intenzioni iniziali, i risultati della ricerca dovevano servire per indirizzare la revisione dei PAN in favore di una maggiore attenzione alla cultura quale veicolo di inclusione sociale. In effetti, poiché la pubblicazione della ricerca è avvenuta soltanto dopo che i Piani 2003-2005 erano già stati consegnati alla Commissione, le raccomandazioni emerse dallo studio della Northumbria University sono state riprese nel documento di sintesi “Implementation and Update Reports on 2003-2005 NAPs/Inclusion and Update Reports on 2004-2006 NAPs/Inclusion”28, che analizza i PAN relativi al periodo 2003-2005 presentati dai quindici Stati membri e al periodo 2004-2006 presentati da quattro dei nuovi Stati entrati nell’Unione. Questo documento dedica alla cultura un intero paragrafo: «L’accesso e la partecipazione alle attività culturali sono tra i modi più significativi in cui gli individui possono definire e sviluppare la propria identità, rappresentare sé stessi agli altri e impegnarsi in uno scambio simbolico. Gli effetti che un coinvolgimento attivo nelle attività culturali e artistiche può esercitare in termini di acquisizione di competenze e crescita di autostima sugli individui isolati ed emarginati sono ormai ampiamente documentati. I progetti culturali possono inoltre offrire un significativo contributo alla rigenerazione di comunità svantaggiate e alla creazione di nuove opportunità di lavoro. Con il fenomeno crescente delle migrazioni e l’evoluzione delle nostre società verso una sempre maggiore diversità, le politiche culturali giocheranno con ogni probabilità un ruolo sempre più importante nel contrastare e nel prevenire i fenomeni di esclusione sociale».

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L’azione dell’Unione Europea si esplicita inoltre in una serie di programmi varati a partire dai primi anni del Duemila, tra cui “Arianna”, “Caleidoscopio” e “Raffaello”29. Segue “Cultura 2000”30 in cui, per la prima volta in un programma comunitario, ci si riferisce esplicitamente alla necessità di “rivolgere particolare attenzione alle persone svantaggiate e di riconoscere la cultura come fattore di integrazione sociale”, nonché all’impegno di garantire “il miglioramento dell’accesso e della partecipazione alla cultura […] per il maggior numero possibile di cittadini” [Da Milano 2009]. Ma è con “Cultura 2007-2013” e soprattutto con "Europa Creativa” (2013) che l’Unione Europea ha deciso di impegnarsi attivamente nell’obbiettivo dell’allargamento qualitativo, oltre che quantitativo, dei pubblici. Infatti emerge con chiarezza che l’obiettivo trasversale del programma è quello di favorire la diffusione di strategie e programmi basati sull’audience development [Da Milano 2014].

Sulla base delle indicazioni emerse nella ricerca svolta dalla Northumbria University e seguendo il trend positivo dei primi programmi comunitari, nel 2007 la redazione dell’Agenda Europea per la Cultura31

inaugura un nuovo atteggiamento di cooperazione in ambito culturale, basato sulla condivisione di conoscenze e pratiche attraverso il Metodo di Coordinamento Aperto. Il successivo piano di lavoro 2011-2014 stilato dal Consiglio dell’UE stabilisce che, in base alla priorità A dell’Agenda riguardo alla “diversità culturale, al dialogo interculturale, alla cultura accessibile e inclusiva”, nel biennio 2011-2012 il gruppo di lavoro deve concertare la propria azione sul tema dell’accesso e sullo sviluppo della partecipazione culturale. Ne deriva un rapporto32 molto interessante che identifica e suggerisce una gamma di strategie per affrontare le sfide legate all’accessibilità e all’incremento qualitativo dei pubblici. Primaria importanza è attribuita all’analisi dell’audience (essenziale per comprenderne le esigenze e le aspirazioni) e alla rimozione degli ostacoli all’accesso; è inoltre fondamentale creare iniziative di partenariato tra operatori e associazioni sociali e 29 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52004DC0033&from=IT 30 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=LEGISSUM:l29006&from=IT 31 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=LEGISSUM:l29019&from=IT 32

Il rapporto è scaricabile al seguente link http://ec.europa.eu/assets/eac/culture/policy/strategic- framework/documents/omc-report-access-to-culture_en.pdf

culturali; un’altra strategia necessaria è il coinvolgimento attivo del pubblico, che rende sicuramente più efficace la progettazione di programmi ed iniziative; si sottolinea ancora una volta l’importanza di condividere i modelli, diffondere le buone pratiche e produrre dati coerenti e significativi; si rivela infine essenziale investire nella formazione dello staff. Questo orientamento viene peraltro confermato dal recente piano di lavoro per la Cultura 2015-2018, che ribadisce l’importanza di una cultura accessibile e inclusiva (priorità A) e, tra le molte raccomandazioni, invita gli Stati a «promuovere un maggiore contributo della cultura agli obiettivi globali della strategia Europa 2020, considerato il potenziale del settore ai fini di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, e tenuto conto dei suoi effetti positivi in settori quali l’occupazione, l’inclusione sociale, l’istruzione e la formazione, il turismo, la ricerca e l’innovazione, e lo sviluppo regionale»33.