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La cultura del Settecento fra pessimismo antropologico e antinomie etiche Può essere interessante soffermarsi ancora brevemente su alcuni mo

menti del percorso seguito da Crocker prima di giungere ad una sintesi del­ la sua esplorazione riguardo al pensiero etico nella Francia dei lumi; un percorso che è possibile seguire nelle sue coordinate essenziali attraverso una scelta di articoli apparsi nel decennio 1950-1960. Si tratta di contributi diversi, perlopiù improntati alle indicazioni metodologiche della scuola di Lovejoy. Sono in particolare i saggi pubblicati sul «Journal of thè history of ideas», la rivista che a partire dalla fine degli anni trenta aveva contribuito alla crescita dell’influenza culturale del Club omonimo in tutti gli Stati Uni­ ti. L ’affermarsi della nuova storiografia delle idee aveva rappresentato a quell’epoca uno degli aspetti più significativi del distacco maturato tra sto­ ria e scienze sociali dopo gli anni dell’ottimismo progressista della new hi­

story, con la sua fiducia nella possibilità di un’alleanza costruttiva e dure­

vole fra impegno militante dello storico e specialisti di tali discipline. La nuova storia non era più Yintellectual history di Parrington, legata ad una visione economicistica e progressista che vedeva nelle idee l’espressione di determinati movimenti sociali, ma una versione piu sofisticata, tesa ad un’analisi «dall’interno» di sistemi filosofici, religiosi, politici.24 A distin­ guerla dalla storia della filosofia era per Lovejoy innanzitutto la maggiore

23 Princeton, Princeton University Press, 1974.

24 Cfr. T. Bonazzi, Storia e scienze sociali: il lavoro storico come professione n egli S ta ti U niti,

in G li strum enti d ella ricerca. 2. Q uestioni d i metodo (a cura di G. De Luna, P. Ortoleva, M. Re­ velli, N. Tranfaglia), Firenze, La Nuova Italia, 1983, p. 768. Nello stesso volume si veda anche B.

Kurlick, Storia e scienze sociali: un secolo d i storiografia am ericana, pp. 771-786.

specificità dei suoi obiettivi, il suo procedere alla scomposizione dei grandi sistemi dottrinari nei loro elementi costitutivi fino a scoprirne le «idee-uni­ tà»: «L ’apparente novità di più di un sistema è dovuta soltanto alla novità dell’applicazione o disposizione dei vecchi elementi che vi compaiono [...]. E ai comuni ingredienti logici o pseudo-logici o affettivi che si celano sotto le differenze superficiali che lo storico delle singole idee deve cercare di ar­ rivare». L’analisi semantico-filosofica di singole parole o frasi consacrate da un periodo storico o da un movimento culturale è parte centrale in questo genere di ricerca: l ’attenzione che Lovejoy ha dedicato a chiarire le sfuma­ ture di significato e le ambiguità nell’uso del termine «natura» ha rappre­ sentato una pietra miliare in tale direzione. Certamente lo è stata per il la­ voro di Crocker. Il concetto di «grande catena dell’essere» ha costituito un altro esempio significativo di un procedimento analitico finalizzato a segui­ re l ’evolversi di un’idea attraverso «tutte le sfere della storia in cui essa fi­ gura in misura notevole, sia quella della filosofia, oppure della scienza, della letteratura, dell’arte, della religione o della politica». Un’altra indicazione importante per gli studiosi che hanno sviluppato il modello interpretativo di Lovejoy è l’interesse per le manifestazioni di specifiche idee-unità nel pensiero collettivo di ampi gruppi di persone, per le loro ripercussioni a livello di convinzioni, pregiudizi, gusti, aspirazioni presenti fra le classi col­ te. Da questo punto di vista, gli autori minori risultano spesso anche più importanti degli autori di quelli che sono considerati oggi i capolavori, poi­ ché la minore originalità e capacità creativa porta più distintamente in pri­ mo piano le tendenze e gli ideali correnti di un’età.25

Con T he discu ssio n o f su icid e in th è eigh teen th C entury,26 Crocker ha scelto appunto di occuparsi di un problema specifico che impegnò i più grandi nomi del secolo, da Montesquieu a Voltaire, da Rousseau a Hu­ me e a Federico II, ma anche una miriade di autori minori, costituendo un aspetto particolare e tuttavia non secondario all’interno della più ge­ nerale lotta delle idee. Nell’ottica dello storico si trattava soprattutto di un indicatore privilegiato di prese di posizione globali sulla natura del­ l ’uomo e sul suo rapporto con la divinità, che gli consentiva di mettere a fuoco il polarizzarsi degli atteggiamenti nel vivo della polemica anticri­ stiana e di rilevare alcune delle contraddizioni in cui doveva incorrere il pensiero del secolo alle prese col problema etico. Sarà Rousseau, nella

25 Cfr. \Tntroduzione di A. O. Lovejoy, La grande catena d e ll’essere cit., pp. 11-26.

26 L. G. Crocker, The discussion o f suicide in the eighteenth century, «Journal of the history

o f ideas», XIII, 1952, pp. 47-72.

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sua nuova veste di antagonista dei philosophes, a fare il punto sulla con­ troversia nella Nouvelle Hélóise, rivelando, con l’impronta della sua formazione calvinista, la consapevolezza che possono esserci dei fonda­ menti etici immutabili solo ammettendo un interessamento diretto di Dio nei confronti dell’uomo. Era precisamente contro questo concetto di dipendenza che lottavano i campioni della posizione umanistica: Voltaire, in primo luogo, e poi Hume, d’Alembert, Maupertuis, d’Hol- bach e diversi altri, concordi nel negare all’esistenza umana un valore trascendente e da questo assunto trascinati, secondo Crocker, al para­ dosso della sua degradazione a entità del tutto accidentale e insignifi­ cante. Quasi d’obbligo il riferimento alla celebre considerazione di Hu­ me sul fatto che il suicidio non possa essere considerato più sacrilego dell’agricoltura, o a quella di d’Holbach, secondo cui l’uomo infelice che si dà la morte non si sottrae ma anzi adempie alle leggi naturali. Proponendo anche in questo caso una tesi che ha suscitato molte op­ posizioni in ambito storiografico, Crocker individuava in entrambe le posizioni il germe del nichilismo morale, già colto all’epoca dai difen­ sori del cristianesimo. Ad essi, andando incontro ad accuse più o meno larvate di cripto-cattolicesimo, Crocker riconosceva, sulla scia dello sto­ rico americano Robert Palmer,27 una notevole vitalità e duttilità di pen­ siero e soprattutto una maggiore coerenza di fondo nell’affrontare il te­ ma nodale della posizione dell’uomo nell’universo, tanto più enfatizzata dagli apologisti cristiani quanto più umiliata dalla controparte degli atei e dei deisti, nella vana ricerca di una conciliazione dei diritti alla libertà e felicità individuali con le esigenze di una morale puramente sociale. Anche nel modo in cui essi si accostarono alla disputa sul suicidio si precisa cioè la fondamentale dicotomia del pensiero del XVIII secolo: da una parte un razionalismo umanistico, non privo di venature spiri­ tualistiche, che vede nell’uomo un essere costitutivamente morale; dal­ l ’altra un radicale naturalismo che gli nega qualunque carattere di ec­ cezionalità nell’ordine naturale e non sa prendere coscienza delle pro­ prie contraddizioni ihterne. E una dicotomia che, nell’interpretazione di Crocker, ha le proprie radici profonde in quella filosofia dell’utile che i più grandi pensatori del secolo tentarono in tutti i modi di far coincidere con una nuova solida morale laica. Un’impresa non solo vo­ tata al fallimento, come Crocker dimostrerà compiutamente nelle sue

27 R. R. Palmer, Catholics and unbelievers in Eighteenth Century France, Princeton, Univer­

sity Press, 1939.

ricerche più importanti, ma con precise e drammatiche conseguenze nella perdita di punti di riferimento metafisici che caratterizza la con­ dizione dell’uomo contemporaneo.

Ad analoghi risultati conduce il lungo saggio che Crocker ha dedicato nel 1953 a un altro grande argomento di discussione dell’età dei lumi: The

problem of truth and falsehood.28 A stimolare la sua curiosità di studioso, anche in questo caso, non è tanto l’analisi, ampiamente affrontata dalla sto­ riografia, degli errori e dei pregiudizi attaccati dal XVIII secolo, quanto quella delle premesse teoriche che stavano alla base della controversia e che costituirono a loro volta un terreno di scontro quasi inesauribile. Se i difensori dell 'ancien régime, come Federico II, tendevano a ribaltare il rapporto tra verità e felicità instaurato dai pensatori radicali recuperando il concetto medievale di «mensonge officieux», per presentare sotto un aspetto altruistico l’esercizio del potere da parte dei ceti dominanti, per i seguaci del materialismo meccanicistico, che avevano spogliato la questione delle sue ragioni metafisiche, il criterio dell’utile restava il solo praticabile. Questa scelta, fatale, agli occhi di Crocker, per i destini dell’Occidente tro­ va una chiara esemplificazione nel caso di Marmontel il quale, partito dal­ l’affermazione che la verità è sempre utile, teorizzava nel Bélisaire la rico­ noscibilità del vero tramite la sua utilità, giungendo ad una conclusione op­ posta all’idea di partenza: il diritto del principe a selezionare le verità da diffondere in base ai loro possibili effetti sul bene generale. Per questa via si poteva giungere a dichiarare falso e iniquo tutto ciò che ostacolava un determinato obiettivo politico: ed è quanto fecero - ricordava lo storico - Rousseau e Robespierre, l ’uno sul piano teorico, l’altro su quello ben più drammatico della prassi. Col dibattito sulla propagazione dei lumi si deli­ nea così uno dei fili conduttori dell’interpretazione di Crocker riguardo ai limiti del pensiero filosofico settecentesco, alle sue proiezioni durante il pe­ riodo rivoluzionario e oltre, alle sue responsabilità nella nascita dell’idea to­ talitaria. Roland Morder, che ha ridiscusso l’intera vicenda sottolineando i legami fra il pensiero degli enciclopedisti e quello dei socialisti utopisti e dei partigiani ottocenteschi dell’educazione popolare, ha mostrato aperta­ mente di non condividere tale impostazione, negando decisamente una qualsiasi filiazione da d’Holbach al cinismo totalitario.29

28 L. G. Crocker, The problem o f truth and falsehood in the age o f Enlightenm ent,«Journal

of the history of ideas», XTV, 1953, pp. 572-603.

29 Cfr. R. Mortier, Esotérisme et lum ières. Un dilem m e du XVIII siècle, in C lartés et ombres

cit., p. 61.

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Per Crocker il significato dello scontro settecentesco sul valore della ve­ rità oltrepassa la contingenza del momento storico fino a saldarsi ai grandi «cataclismi rivoluzionari» dell’età presente: l’esperienza hitleriana, con la riaffermazione di uno sprezzante pessimismo antropologico a giustificazio­ ne del ricorso al diritto del più forte e al falso ideologico come strumento di governo; la comparsa dei regimi comunisti, vissuta con particolare dram­ maticità negli anni della guerra in Corea. Ma è anche un aspetto dell’eterna lotta dell’uomo, diviso fra «eredità animale» e bisogno di assoluto, che è ugualmente al centro della sua riflessione critica sui temi di carattere lette­ rario. Ne è un esempio significativo Hamlet, Don Quìjote, La vida es sueno, pubblicato nel 1954 e ispirato alla tematica esistenzialista dell’angoscia co­ me paralisi dovuta al sentimento di responsabilità con cui l’uomo non può fare a meno di caricare il suo esistere, in un mondo che non offre significati né guida. Anche questo lungo articolo prefigura il carattere effimero della speranza illuministica di sostituire un nuovo sistema di valori a quello irri­ mediabilmente tramontato della cristianità, e tratteggia la fragilità del ten­ tativo di instaurare un nuovo «humanism without anguish».30

Gli eroi di Shakespeare, Cervantes, Calderon si collocano ad un croce­ via fondamentale della cultura occidentale, nel punto di passaggio dalla ras­ sicurante concettualizzazione del reale, che aveva conferito unità al pensiero medievale, alla divaricazione avviata col Rinascimento, ma già presente nella filosofia greca, fra interpretazioni mitico-religiose e interpretazioni empiri- co-scientifiche del mondo. La risposta di Sigismondo, il protagonista di

La vida es sueno, sarà quella tradizionale della fede. L’eroismo di un atteg­ giamento umanistico che non rinuncia al desiderio di sovrapporre al male che è nel mondo una propria realtà ideale, e per questo motivo si infrange tanto contro i limiti propri della natura umana quanto contro il disordine cosmico, appartiene soltanto ad Amleto e a Don Chisciotte. Essi anticipano quella posizione di consapevolezza più o meno lucida, spesso anche paraliz­ zante, ma aliena da abbandoni fideistici e al tempo stesso ostile ad una spie­ gazione dei problemi dell’uomo in termini esclusivamente materialistici, che sembra aver esercitato un fascino costante nell’esplorazione storica e lette­ raria di Crocker. Le premesse della frattura epistemologica che, nella sua lettura del XVIII secolo, rendendo più prossimo a noi il clima culturale set­ tecentesco, lo allontana irrimediabilmente dalle certezze delle età preceden­ ti, sono già tutte ravvisabili nell’analisi delle vicende e delle motivazioni psi­

30 L. G. Crocker, H am let, Don Q uijote, La vida es sueno: the quest fo r values, PMLA,

LXIX, 1954, p. 312.

cologiche che conducono Amleto e Don Chisciotte allo scacco finale. Nel loro dibattersi per trovare norme valide sulle quali basare azioni e decisioni, i grandi problemi con cui sono costretti a confrontarsi sono già in gran parte quelli attorno a cui ruoterà la ricostruzione del Settecento come età di crisi: il significato del male, la complessa definizione della natura umana, il rap­ porto uomo-cosmo, in cui la presenza del Fato si identifica con la perdita di ogni forma di intelliggibilità. E se in Don Chisciotte la pessimistica presa di coscienza che chiude le avventure della sua saggia follia è diretta soprat­ tutto verso di sé, per Amleto la precoce consapevolezza riguardo all’impos­ sibilità di dirigere e tradurre in realtà la nostra volontà non può che confon­ dersi con una sorta di nichilismo cosmico: l’unica risposta che sembra essere concessa, da quest’epoca in avanti, ad un’analisi puramente razionale degli aspetti fondamentali dell’esistenza.

Posizioni differenti sono possibili, senz’altro auspicabili ritrasferendosi dal piano letterario a quello della storia, ma il prezzo che esse devono pa­ gare passa ormai per il terreno insidioso dell’ambiguità e del dubbio. Con

Voltaire s struggle for humanism31 Crocker sonda appunto, attraverso le oscillazioni di pensiero di uno dei suoi massimi esponenti, le verità contra­ stanti e i passaggi accidentati che accompagnano la ricerca illuministica di una dimensione specificamente umana, secolarizzata dell’esistenza sulla ter­ ra. In questa avventura Crocker individua la vera sostanza comune, l’unità organica dell’età. Una sostanza problematica, solcata da incertezze ed in­ congruenze che lo storico delle idee mette a nudo, una ad una, ma che non possono essere assimilate in alcun modo, come Cari Becker aveva fatto nella sua Heavenly City of eighteenth century philosophers, a semplici resi­ dui di una mentalità ancora medievale.

Col libro brillante e a tratti paradossale che ha fatto discutere genera­ zioni di storici soprattutto americani,31 32 Becker si era proposto di spiegare il pensiero settecentesco nelle sue connessioni col pensiero precedente e con i suoi successivi sviluppi; in una linea di continuità, dunque, arricchita dalla consapevolezza che tale operazione andava inquadrata nel clima di opinio­ ne intemazionale e non specificamente francese, in cui si formarono le di­

31 L. G. Crocker, V oltaire's struggle fo r hum anism, in «Studies on Voltaire and the Eigh­

teenth Century», IV, 1957, pp. 137-169.

32 C. Becker, The H eavenly C ity o f the eighteenth-century philosophers, New Haven, Yale

University Press, 1932 (ed. it. La C ittà C eleste d ei filo so fi settecenteschi, Napoli, Ricciardi, 1945).

Sulla prima riflessione critica negli Stati Uniti a proposito del libro di Becker cfr. C arl Becker’s

H eavenly C ity revisited, edited by R. O. Rockwood, Ithaca, Cornell University Press, 1958. Croc­

ker ha svolto un puntuale esame critico del libro in Recent interpretations o f the French Enligh­

tenm ent, «Journal of world history», 3, 1964, p. 430.

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spute dell’età dei lumi. Crocker ha in più occasioni manifestato le forti per­ plessità che sono venute via via emergendo fra gli storici riguardo all’impo­ stazione generale del libro, giudicando complessivamente errata e priva di solidi fondamenti storici la tesi principale di Becker circa la persistenza dei modelli etici cristiani nell’approccio culturale dei philosophes. La loro pre­ sunta modernità, il nostro sentirli più vicini di Dante o di San Tommaso rimanda, nei toni vivacemente paradossali di Becker, più a un problema di familiarità di linguaggi che di effettive consonanze di contenuti, mentre per Crocker è l’intero discorso della natura dell’uomo e del suo status ad assumere una prospettiva nuova nel corso del XVIII secolo, a secolarizzarsi radicalmente. Lo stesso significato di un termine polivalente quale è «uma­ nista» può essere colto solo in relazione al modo in cui il Settecento visse il rapporto uomo-natura: Voltaire si colloca fra coloro che, pur volendo re­ stituire tutto intero l’uomo all’ordine naturale, cercarono di preservare una sua forma di unicità. Ciò presupponeva, chiariva Crocker, una certa fede nell’uomo. Ma il Voltaire che sostiene - a seconda delle circostanze e delle fasi della lotta ideologica - l’esistenza di caratteri universali nell’uo­ mo, la sua socievolezza naturale (contro i «mostruosi paradossi» di Rous­ seau), l’idea di un senso di giustizia innato di cui la provvidenza divina è in qualche modo garante o, al contrario, che nega alla natura umana diffe­ renze qualitative rispetto al mondo animale, alla ragione ogni funzione creativa, al libero arbitrio qualunque seria credibilità, non è « l’uomo di fe­ de e di ragione» nei termini in cui lo aveva presentato Becker.33 Anche se gli strumenti d’analisi antropologica e psicologica di cui il XVIII secolo di­ spone sono ancora inadeguati, è qui che ormai si va spostando il discorso sui caratteri distintivi dell’uomo. Gli sviluppi e la diffusione delle scienze fisico-biologiche insieme ai nuovi indirizzi filosofici segnano una frattura netta con il passato e avviano problematiche che Crocker sente estrema- mente attuali: «If thè human species possesses unique traits then thè first and simplest conclusion would be that there is a universal Human nature. The problem is increasingly important today, because of thè rise of existen- tialist philosophies, and because of politicai systems which have held that man can be completely conditioned, even to evil, and that there is no re­ serve of ‘human’ resistence».34 Secondo lo storico, se Voltaire postula l’u­ niversalità di alcune caratteristiche umane è per sfuggire a questa logica, spinto dalla volontà pragmatica di stabilire una dottrina della legge natura­

33 C. Becker, La C ittà C elestecit., p. 7.

34 L. G. CROCKER, V oltaire’s struggle fo r humanism cit., p. 140.

le che sia insieme fondamento di un sistema positivo di valori e giustifica­ zione teorica dell’inutilità etica del cristianesimo. Si spiega così il rifiuto mi­ litante del pessimismo, testimoniato dalle battaglie in difesa della giustizia e dei diritti umani, dall’ironia distaccata e lieve che si insinua fra le argomen­ tazioni più drammatiche, da un’accettazione mai rinunciataria dei limiti che sono propri dell’uomo.35 Ma si spiegano anche i conflitti interiori e le ambivalenze che accomunano Voltaire agli altri grandi pensatori del Set­ tecento.

Filantropo per vocazione e orfano dei grandi sistemi metafisici, l’intel­ lettuale dell’età dei lumi è costretto a ridefinire ogni cosa. E in questo com­ pito arduo si confronta e si scontra in primo luogo, senza poter venire a capo delle loro intime aporie, con i due nuclei concettuali vischiosi e onni­ comprensivi che stanno alla base d’ogni importante elaborazione del XVIII secolo: natura e ragione, il prisma attraverso cui lo storico americano ha osservato e vivisezionato la cultura francese del Settecento nei due volumi di sintesi pubblicati fra il 1959 e il 1963.36 Alla base della sua scelta, la con­ sapevolezza delle diverse accezioni con cui questi termini venivano usati, in relazione ai differenti approcci ai problemi morali presenti non solo fra un autore e l’altro, ma anche all’interno di singoli percorsi teorici. La natura poteva così assumere di volta in volta un valore puramente descrittivo o al contrario normativo, a seconda che ci si riferisse ai suoi aspetti fisico-bio­ logici, a ciò che è originariamente antagonista ai tratti artificiosi del proces­ so di civilizzazione (Rousseau) o, ancora, a ciò che è moralmente accettabile per la ragione, come nel caso della religione e del diritto naturali.