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Il punto di partenza: Diderot

Se la scelta di un tema d’indagine non è mai casuale per uno storico agli inizi della sua attività di studioso, nel caso di Crocker l’interesse per Dide­ rot appare particolarmente significativo di un intero e coerente sviluppo di pensiero che giunge fino ad oggi.

Naturalmente le premesse vanno ricercate nella generale riscoperta dell’Illuminismo che, con gli anni venti e trenta, coinvolse un numero cre­ scente di studiosi di diverse nazionalità. Per gli Stati Uniti, impegnati nel­ la difficile transizione dagli anni della crisi culminata nel 1929 alle speran­ ze di un coinvolgimento degli intellettuali nel riformismo rooseveltiano, l’attenzione per la cultura settecentesca esprimeva a un tempo l ’aspirazio­ ne al superamento delle chiusure, anche culturali, verso l’Europa e un’e­ sigenza di razionalità che sembrava dover cercare le proprie radici nell’at­ mosfera intellettuale dell’Europa del Settecento. Dai lavori di impianto generale di Preserved Smith e di Gottschalk3 al celebratissimo anche se molto discusso libro di Cari Becker sulla città celeste dei filosofi settecen­ teschi del 1932, dagli studi di I. W ade su Voltaire e sulla letteratura clan­ destina4 agli importanti e ambiziosi progetti legati all’History of Ideas Club nato a Baltimora nel 1923 per iniziativa di Gilbert Chinard, George Boas e Arthur Lovejoy, unico maestro riconosciuto di Crocker, emerge­ vano in quegli anni nuove indicazioni di ricerca, vivificate dagli apporti degli intellettuali tedeschi emigrati dalla Germania nazista. Cassirer giun­ geva in America poco dopo la pubblicazione del libro che doveva segnare

2 Del suo lavoro fino ai primi anni sessanta, gli anni doè della pubblicazione dei due volumi sul pensiero etico nella Francia settecentesca nei quali Crocker ha definito la propria interpreta­

zione complessiva dell’età dei lumi, mi sono occupata nel saggio Lester G. Crocker, storico d ell’Il­

lum inism o, «Rivista storica italiana», CII, 1990, pp. 457-534. Questo ne è per un verso una sin­ tesi, per un altro un ampliamento che tiene conto dei successivi scritti sulla storiografia e su Rous­ seau. Per le notizie biografiche e per una presentazione generale dell’opera di Crocker si veda

l’introduzione di A. J. Binghamin E nlightenm ent studies in honour o f L ester G. Crocker (edited

by A. J. Bingham and V. W . Topazio), Oxford, The Voltaire Foundation, 1979, pp. xv-Lxm.

3 P. Smith, The E nlightenm ent (1687-1776), voi. Il di A history o f modem culture, London,

G . Routledge & Sons, 1934; L. R. Gottschalk, The era o f the French Revolution (1715-1815),

Boston, Houghton Miffin, 1929.

4 I. O. Wade, The clandestine organisation and diffusion o f philosophic ideas in France from 1700 to 1750, Princeton, Princeton University Press, 1938.

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la ripresa europea degli studi «illuministici» degli anni trenta;5 giungeva­ no fra gli altri Bernard Groethuysen, Herbert Dieckmann, uno dei più profondi conoscitori del Settecento francese e dell’opera di Diderot, e Pe­ ter Gay, che con Crocker avrebbe duramente polemizzato, negli anni Ses­ santa, riguardo all’interpretazione dell’Illuminismo. Ancora più rilevanti, riguardo alla formazione del giovane studioso, risultano le intense relazio­ ni stabilitesi tra intellettuali francesi e americani: Paul Hazard aveva con­ tribuito a ricostruire scambi regolari fra l’Università di Harvard e la Sor­ bonne fin dall’inizio del Novecento, sottolineando, anche con la parteci­ pazione a questo lavoro, l’importanza di una collaborazione, il cui valore assumeva valenze non esclusivamente scientifiche in un periodo di aggra­ vamento della minaccia nazista sull’Europa. Com’è ovvio, la formalizza­ zione degli scambi fra studiosi non poteva che favorire la circolazione del­ le idee e degli uomini.

A Parigi dove giunge a vent’anni, nel 1932, per un corso di perfe­ zionamento alla Sorbona, Crocker segue i corsi di Daniel Mornet, del quale apprezza Les origines intellectuelles de la Révolution française fre­ sche di stampa, ma con un’acuta percezione delle rigidità interpretative dovute al suo impianto ancora fortemente positivistico. Il giudizio sul lavoro di Mornet («He is short on interprétation, and interprétation is what interests m e»)6 è rivelatore di una distanza metodologica ravvi­ sabile fin dai primi studi su Diderot. Certo, l’interpretazione del pensie­ ro di Diderot nelle sue innumerevoli sfaccettature, ad opera dello stori­ co americano, si definisce nell’attività di anni, a partire dalla tesi di dot­ torato e da alcuni contributi specifici degli anni trenta. Si può tuttavia affermare che le motivazioni profonde della sua indagine vadano colle­ gate a un’intuizione precoce della complessità di elementi presenti nella cultura del Settecento francese. Questa complessità Crocker non la ri­ trovava negli scritti di Pierre Trahard, di Monglond,7 del Mornet di

Le Romantisme en France au XVIII siècle, edito a Parigi nel 1912, a

cau-5 E. Cassirer, Die Philosophie der A ufklärung, Tübingen, Mohr, 1932 (ed. it. Firenze, La

Nuova Italia, 1937). Sulla riscoperta dell’IUuminismo nella cultura europea a partire dagli anni

Trenta cfr. G. Ricuperati, La storiografia su ll’Illum inism o d ag li an n i Trenta ad oggi, Torino,

Tirrenia, 1973, pp. 43 sgg.; Id., Le categorie d i periodizzazione e il Settecento. Per una introduzione

storiografica, estratto da «Studi settecenteschi», 14, 1994, pp. 9-106.

6 Così in una lettera del 1 maggio 1989 nella quale Crocker rispondeva ad alcuni miei que­ siti sulla sua formazione intellettuale.

7 P. Trahard, Les m aîtres de la sensibilité française au XVIIIe siècle, Paris, Bouvin, 1931-33,

4 voll.; A. Monglond, H istoire intérieure du prérom antism e de l ’abbé Prévost à Joubert, 2 voll.,

Grenoble, Arthaud, 1929; In , Le Prérom antism e français, 2 voll., Grenoble, Arthaud, 1930.

sa della tendenza persistente a far confluire nel romanticismo e in cate­ gorie quali la «sensibilità preromantica» molti degli atteggiamenti della seconda metà del secolo non riducibili all’intransigente razionalismo cartesiano, a cui l ’Illuminismo sembrava inesorabilmente vincolato. Nep­ pure Paul Hazard, con l’apertura di nuove e brillanti prospettive di ricer­ ca e con i suoi giudizi spesso illuminanti, era sfuggito ad una visione del secolo fondata sulla dicotomia sensibilité-raison. E in tale ottica, come già a Lanson, Diderot gli appariva uno straordinario ibrido di ragione e sen­ timento, il personaggio nel quale si realizzava la coesistenza, instabile e provvisoria, di due tendenze che, per l ’autore de La pensée européenne, restavano totalmente divergenti.

«Rien ne montre mieux le caractère artificiel et arbitraire de la préten- due coupure raison-sentiment que le cas de Diderot, si embarassant pour l’historien des idées», ha scritto Roland Morder nel bel saggio apparso per la prima volta negli «Studies on Voltaire» del 1963.8 Proprio in questo sen­ so si chiarisce la passione con la quale, per quasi cinquantanni, Crocker ha continuato ad esplorare il mondo intellettuale del filosofo di Langres. In Diderot, forse come in nessun altro autore del secolo, si manifestano in ef­ fetti le molte anime dell’età dei lumi, spesso intrecciate, a volte anche ap­ parentemente antitetiche fra loro: un’aggrovigliata commistione di «luci e ombre», di razionalismo dalle venature a tratti ancora metafisiche e di em­ pirismo audacemente proiettato verso la negazione di ogni verità costituita, di fedi ottimistiche riguardo alla posterità e amara consapevolezza dell’ine- vitabilità del male nella storia e nella natura dell’uomo. Non solo: nell’ope­ ra di Diderot, nella sua inesauribile ricerca riguardo alle tematiche della scienza e della morale (centrali, accanto a quelle estetiche, anche nell’orien- tare gli interessi di Crocker) trovano sviluppo, all’interno di un processo dialettico e mai dogmatico, quegli elementi di radicalismo estremo che co­ stituiscono per Crocker il tratto veramente rivoluzionario e insieme la «spi­ na nel fianco» del pensiero settecentesco, lasciati in eredità alla nostra cul­ tura contemporanea.

In anni in cui la storiografia sull’Illuminismo si andava aprendo a un confronto più attento fra le idee e la realtà politica, civile e sociale, sotto lo stimolo dei progressi della storia economica e sociale e dei nuovi orien­ tamenti nella storia delle idee ben esemplificati, in Italia, dai lavori di Fran­

8 R. Mortier, U nité ou scission du siècle des lum ières?, in C lartés et ombres du siècle des lu­ m ières, Genève, Librairie Droz, 1969, p. 119. Ormai da annoverarsi fra i classici sono P. Hazard,

La crise de la conscience européenne (1635-1715), Paris, Boivin, 1935, 3 voli. (trad. it. Torino,

Einaudi, 1946) e La pensée européenne de M ontesquieu à Lessing, Paris, Bouvin, 1946, 3 voli.

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co Venturi,9 la vicinanza metodologica di Crocker al taglio interpretativo di Lovejoy, imbarazzante «mostro sacro» per molti ambienti storiografici del nostro secolo,10 non ne ha indubbiamente facilitato il riconoscimento, né a livello internazionale né da parte della cultura italiana. Hanno in particola­ re ostacolato la sua accoglienza una certa tendenza alla critica formalistica e l’intellettualismo di una prospettiva di indagine più incline a individuare le aporie filosofiche, messe in gioco dalle dispute del tempo, che a ricercare in un contesto storico definito la verifica delle proprie ipotesi storiografiche. E questo il limite di fondo ripetutamente segnalato nelle recensioni ai suoi libri, da Jacques Roger agli americani Manuel e Gay, che ne spiega anche il limitato apprezzamento in Italia, a cominciare dallo stesso Venturi.

Una parziale rivalutazione è diventata possibile solo in anni recenti, e non solo per il più pacato clima che ha temperato, anche fra gli storici, le punte polemiche dei grandi dibattiti ideologici dei decenni passati. L ’ampliarsi costante delle prospettive e delle conoscenze relative al secolo dei lumi ha portato ad individuare con maggiore sicurezza filoni di ricerca solo abbozzati in precedenza. Alcune parti dell’opera di Crocker hanno po­ tuto così essere «riscoperte» all’interno del più generale interesse che si è andato sviluppando nei confronti di temi e figure legati a quel movimento composito e in gran parte sotterraneo per il quale Margaret Candee Jacob ha coniato il termine di «Illuminismo radicale». Nella rassegna bibliografi­ ca che chiudeva la sua importante monografia del 1981,11 la storica ameri­ cana attribuiva a Crocker un ruolo importante nella messa a fuoco del radicalismo tolandiano, rispetto alla lettura tradizionale imperniata sul Toland deista di Christianity not mysterious\ non trascurava inoltre di se­ gnalare come proprio Crocker avesse fornito, pubblicando nel 1953

John Toland et le matérialisme de Diderot ,12 la prima indicazione riguardo

9 Ad esempio: Jeunesse de D iderot, Paris, A. Skira, 1939 e Le origin i d ell’Enciclopedia, To­

rino, Einaudi, 1963 ( l a ed. 1946).

10 Paolo Rossi si è soffermato sulla scarsa fortuna in Italia del filosofo americano. La sua opera è stata fondamentalmente respinta tanto dall’idealismo crociano, per il rifiuto di Lovejoy di concepire la storia intellettuale nei termini di un processo omogeneo e coerente, quanto dalla storiografia marxista. Nelle sue espressioni piu serie, questa ha manifestato giustificate perplessità sulla separazione di principio tra le idee e i fatti e «sui pericoli connessi all’isolamento di un’idea da un più ampio contesto o da quei più solidi oggetti storiografici che Larry Laudan chiama le

«tradizioni di ricerca». Cfr. l’Introduzione di P. Rossi a A. O. LOVEJOY, L ’albero della conoscenza,

Bologna, Il Mulino, 1982 (ed. or. Baltimore, The Johns Hopkins Press, 1948), pp. 11-13.

11 M. C. Jacob, The radicai Enlightenm ent: pantheists freem asons and republicans, London,

Alien & Unwin, 1981 (trad. it., Bologna, Il Mulino, 1983).

12 Sta in: «Revue d’histoire littéraire de France» (d’ora in avanti: RHLF), 3, 1953, pp. 289- 295. Diversi saggi su Diderot avevano preceduto questo contributo, a partire dalla tesi di dotto­

all’influenza esercitata dal filosofo inglese sul materialismo vitalistico dide- rotiano.

Va detto, peraltro, che in quel saggio, e soprattutto nei Two Diderot

studies dello stesso anno e nella prima biografia dedicata da Crocker a

The embattled philosopher, che è del 1954, la lettura che lo storico ci offre è ancora quella di un Diderot capace di far prevalere le istanze della libertà morale su quelle del naturalismo deterministico che quella libertà tendeva a negare. Ripercorrendo le opere principali del philosophe, Two Diderot stu­

dies. Ethics and Esthetics, ricostruiva una storia di successive modificazioni

di pensiero, di costanti oscillazioni, ben esemplificate da una celebre affer­ mazione del R ive de d’Alembert: «notre véritable sentiment n’est pas celui dans lequel nous n’avons jamais vacillé; mais celui auquel nous sommes le plus habituellement revenus».13 Nel travagliato corso delle sue idee morali, a partire dalla fase ancora deistica dell’Essai sur le mérite et la vertu, è infine il Diderot «umanista» a prevalere sul filosofo ormai convinto sul piano ra­ zionale dell’irrefutabilità delle posizioni atee e matèrialiste. L’anarchismo morale implicito nelle opere di La Mettrie, la rigidità del determinismo tratteggiato nel De l’homme (1772), creano i presupposti per la famosa Ré-

futation d’Helvétius (1773-74) e per il raggiungimento di una «nuova e significativa sintesi» che ristabilisce, al di là delle tentazioni nichiliste, la primarietà e la realtà di livelli di pensiero e di motivazione distintivi dell’uomo.

La stessa tesi compare nella biografia del 1954, il cui penultimo capi­ tolo porta 0 titolo significativo The triumph ofHumanism. Si tratta del pri­ mo tentativo di Crocker di un’interpretazione globale di Diderot, sulla base della precisa convinzione che obiettivo ultimo dell’instancabile attività del

philosophe fosse la costruzione di una «complessa scienza dell’uomo», ca­ pace di saldarne in una visione unitaria la naturalità e l’eticità.14 Ed è un tentativo che, come ha sottolineato Paolo Casini, insieme a quelli coevi

rato sulla corrispondenza, che si giovava del materiale inedito portato alla luce nel 1930 da André

Babelon. Si vedano: L. G . Krakeur [Crocker], D iderot’s influence on Rousseau’s first discours,

«Publications of the Modern Language Association of America» (d’ora in avanti: PMLA), LE,

1937, pp. 398-404; Id., Aspects o f D iderot’s esthetic theory e Diderot and the idea o f progress, en­

trambi in «Romanic review», 1939; A note on D iderot and patriotism , «Modem language notes»,

1949; Pensée XIX o f Diderot, iv i,1952.

13 La citazione è tratta dalla già citata Introduzione di Bingham, p. xvm. Per i riferimenti

che seguono cfr. L. G . Crocker, Tw oD iderot studies. Ethics and E stethics, Baltimore, The Johns

Hopkins Press, 1953, p. 47.

14 Cfr. L. G . Crocker, The em battled philosopher. A biography o f Denis Diderot, East Lan­

sing, Michigan State College Press, 1954, pp. 411-412.

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di Dieckmann, Vartanian e Vernière poneva «in termini radicalmente nuo­ vi il problema della filosofia di Diderot», reagendo agli stereotipi traman­ dati dalla critica romantica, e mai seriamente abbandonati, riguardo al pen­ siero di Diderot come incoerente «tessuto di pittoresche e insanabili anti­ nomie».15 Filo conduttore di Crocker, e notevole pregio del libro, è un’ap- profondita disamina delle componenti filosofico-scientifiche che sorreggono e accompagnano costantemente il discorso diderotiano, dando vita ad un confronto serrato con le idee dei più celebri studiosi dei secoli precedenti e del suo tempo. Più sullo sfondo restano la dimensione politica e sociale dell’epoca e l’immagine del Diderot concretamente impegnato nella batta­ glia civile. Utilizzando un’espressione di Furio Diaz a proposito delle nuove tendenze della storiografia su Diderot a partire dalla fine degli anni cin­ quanta, si potrebbe dire che Crocker ci presenta un Diderot proiettato «nel fervore della sua ribellione morale e scientifica» più che «nella piena luce del suo prepotente interesse politico».16 E questa, del resto, un’osser­ vazione che può riguardare l’impostazione metodologica dell’intera opera storica di Crocker. Ciò non significa, tuttavia, che nello specifico manchino puntuali riferimenti alle relazioni esistenti fra gli sviluppi del pensiero mo­ rale e politico di Diderot e la realtà della Francia del XVIII secolo. Anche gli ambienti che ne contrassegnarono esperienze di vita e di lavoro sono tratteggiati con vivacità, a iniziare da quello austero e provinciale di Lan- gres nel quale per generazioni e generazioni gli appartenenti alla famiglia Diderot avevano incarnato pienamente i tratti dei loro migliori concittadi­ ni, «conservative, pious and obscure».17 Un destino già in gran parte pre­ parato come successore dello zio canonico nella cattedrale di Langres, l’e­ ducazione gesuitica, gli stessi sentimenti contraddittori nei confronti della sua città d’origine non valgono ad attenuare l ’insofferenza del giovane De­ nis verso obblighi e convenzioni. Contribuiscono, se mai, a preparare «gli anni della ribellione», che matura a contatto con la vita parigina fino alla rinuncia alla pratica e agli studi di diritto presso l’amico del padre Clement de Ris, e alla «dichiarazione di indipendenza», che segna l’avvio di una vita precaria da bohémien. Fra gli influssi culturali che hanno marcatamente in­ ciso nella formazione intellettuale di Diderot è la cultura inglese, letteraria ma soprattutto filosofica, a lasciare un’impropta profonda: il paese della tolleranza e della libertà è anche quello in cui più rapidi sono i progressi

15 P. Casini, D iderot «philosophe», Bari, Laterza, 1962, pp. 5-6.

16 Cfr. F. Diaz, P er una storia illum in istica, Napoli, Guida, 1973, p. 11.

17 L. G. CROCKER, The em battled philosopher rit., p. 4.

nei diversi settori della scienza. Diderot studia con passione Bacon, Locke, Newton; si entusiama per le teorie morali di Shaftesbury, l’autore che più di ogni altro ne segna il pensiero negli anni giovanili. Si accosta alle opere dei deisti, che, insieme ai manoscritti radicali circolanti clandestinamente nel Quartiere Latino, accelerano il suo progressivo distacco dall’ortodossia cattolica. E mosso alla conoscenza in ogni campo del sapere da una spinta che è, per Crocker, essenzialmente teoretica, più che politica e civile, e che farà di lui il maggior collaboratore oltre che l’unico instancabile organizza­ tore dell’Encyclopédie. La strada verso l’ateismo è strettamente intrecciata alle soluzioni raggiunte in campo scientifico. La capacità autocreativa della materia, che pareva confermata dagli studi sulla generazione spontanea, è la risposta di cui Diderot aveva bisogno per mettere a punto una prima spiegazione materialistica del cosmo e per rendere superflua l’idea di un Dio creatore. Solo così ci si poteva dar ragione dello sconcertante polimor­ fismo della natura e soprattutto dei suoi «errori», così smaccatamente evi­ denti nella figura del cieco Saunderson della Lettre sur les aveugles (1749). A elaborare «thè most advanced and integrated System of materialism in thè eighteenth century»18 Diderot giungerà vent’anni dopo con il Rève

de d’Alembert e i Principes philosophiques sur la matière et le mouvement. Nuovi fattori confluiscono in tale direzione: la vicinanza con l ’ateismo rigo­ roso di d’Holbach; il radicalizzarsi della battaglia ideologica negli ultimi an­ ni dell 'Encyclopédie-, il sempre più appassionato interesse per gli studi di medicina e fisiologia, per il lavoro del médecin philosophe Bordeu e dello svizzero Haller, che ispirerà direttamente il concetto di principio vitale - la forza animatrice e coordinatrice dell’intero processo dell’esistenza - dei più tardi Eléments de phisiologie. Si precisa anche, a partire dalle Pen-

sées sur l’interprétation de la nature (1754), l’idea del trasformismo biologi­ co, approfondita da Crocker nel volume miscellaneo Porerunners of Dar­

win che, pubblicato nel 1959, recepiva una sollecitazione di lunga data

di Lovejoy.19

Diderot and eighteenth century French transformism costituiva un ulte­

18 Iv i, p. 320.

19 Cfr. L. G . Crocker, Diderot and eighteenth century French transform ism , reprinted from

Forerunners o f D arwin (1745-1859), Baltimore, The Johns Hopkins Press, 1959; A. C. Lovejoy,

Some X V llIth C entury evolutionists e The argum ent fo r organic evolution before «T he origins o f species», entrambi in «Popular science monthly», LXV, 1904 e LXXV, 1909; Id., The great chain o f being. A study o f the history o f an idea, Cambridge Mass., Harvard University Press, 1936

(trad. it. La grande catena d ell’essere, Milano, Feltrinelli, 1966); Id., La storiografia delle idee (pre­

cedentemente in «Proceedings of the American Philosophical Society», LXXVIII, 1938), in L ’al­

bero della conoscenza cit., pp. 38-40.

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riore sforzo di comprensione riguardo al materialismo monistico diderotia- no e testimoniava tutta l’ammirazione dello storico per l’eccezionale corag­ gio intellettuale dimostrato dal philosophe nell’abbracciare l’ipotesi evolu­ zionistica, oltrepassando non soltanto gli ostacoli esterni, dovuti alla censu­ ra e al peso dell’ortodossia cattolica dominante, ma anche i limiti intrinseci alle conoscenze scientifiche e agli orientamenti intellettuali più diffusi nel suo tempo. Perché un simile rivoluzionario mutamento epistemologico nel pensiero settecentesco potesse realizzarsi fu necessaria - suggeriva Crocker - la fusione di un’idea e di una scoperta: la conferma sperimentale, derivata dalle osservazioni di Trembley sull’hydra d’acqua dolce, dell’intui­ zione leibniziana della monade quale unità autosufficiente e in grado di modificarsi grazie ad un «principio interno». Nell’ultimo ciclo delle sue opere scientifiche Diderot giungerà a correlare chiaramente il problema delle origini della vita con la teoria della trasformazione delle specie e a in- trawedere, seppure in modo ancora vago, gli elementi che dovevano com­