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Una terza via tra cattolici e riformati

Il dibattito intorno alla produzione storiografica della Yates si è con­ centrato, almeno in Italia, soprattutto sull’origine della scienza moderna, mentre ha se non ignorato, quanto meno sottovalutato altre questioni cui l’autrice ha invece prestato molta attenzione: la riflessione sul volto religio­ so del Rinascimento in primo luogo, e la scoperta di una terza via al di là del cattolicesimo e del protestantesimo.

L’idea di una grande forza religiosa, che non si riconosce né nell’uni­ verso cattolico né nell’universo protestante, è un tema sempre presente, fin dal lavoro sulle accademie francesi del Cinquecento, e viene affrontato sino all’ultimo studio sulla Cabbaia. In The French Academies già si delinea­ no i tratti essenziali di quella che in questo libro è definita la «Controrifor­ ma liberale». Al centro dell’analisi sta il cosmo accademico francese, inda­ gato a partire dalle sue origini cinquecentesche per giungere, attraverso uno sguardo di lungo periodo e l’individuazione di sopravvivenze e colle­ gamenti sotterranei, ai suoi esiti nel corso del Settecento e durante l’età na­ poleonica. Molte sono le istituzioni e molti i personaggi di questo affasci­ nante mondo, ma due innanzi tutto gli ambienti da cui si diramano le fila di un movimento che avrà lunga vita: Y Académie de poésie et de musique di Jean-Antoine de Baïf e di Joachim Thibault de Courville, prima accademia ufficiale, istituita intorno al 1570 da Carlo IX e strettamente legata al grup­ po dei poeti della Pléiade, e la Académie du Palais, estensione della prece­ dente e patrocinata negli anni ottanta da Enrico III; accademie che com­ prendono tra i loro membri intellettuali come Pierre de Ronsard e Pontus de Tyard. Sullo sfondo della grave crisi provocata, negli ultimi decenni del secolo, dalle tensioni politiche e dalle guerre di religione, si ergono le figure di Caterina de’ Medici e dei suoi figli, Carlo IX e Enrico III. Tenendo con­ to del legame tra questi ultimi e il milieu accademico, e senza celare il suo grande entusiasmo nei confronti di tali sovrani, la Yates analizza la loro po­ litica di conciliazione sociale e di tolleranza religiosa verso gli ugonotti, che escluderebbe programmaticamente il ricorso a metodi violenti nel compor­ re i dissidi di fede. Una posizione, questa, sostenuta dal partito dei politi­

ques, che si viene organizzando intorno alla corte ed è fautore di un accor­

do tra le diverse fazioni. L’eredità delle accademie cinquecentesche soprav­ vive durante il primo Seicento, benché sotto forma di tentativi destinati al­ l’insuccesso, e nella seconda fase del secolo, che vede la fondazione dell ’Académie française (1634), deW Académie royale de peinture et de sculp­

ture (1648) e poi delY Académie des sciences (1666) e dÆAcadémie de mu­ sique (1669). Ma le esperienze secentesche - così piegate ai voleri dello

to assoluto e dunque strumenti di controllo gestiti dalla monarchia - costi­ tuirebbero un’isola a parte nella storia dell’accademismo francese, che solo nel corso del Settecento si dimostra capace di riprendere lo «spirito libera­ le» e l’ideologia antiassolutista, tipiche, secondo la Y ates, del mondo rina­ scimentale. Con una lettura di lungo periodo assai discutibile, date le con­ nessioni individuate a partire da generici richiami a persone e a ideali del passato,149 la studiosa porta alla luce un universo dimenticato di speranze e di sogni, che ancora nell ’Instituí, nato con la rivoluzione, farebbe sentire la sua voce.

Identificati i protagonisti di questo movimento, vale la pena di riflet­ tere innanzi tutto sulle caratteristiche che ne fanno - agli occhi della Yates - un’esperienza omogenea attraverso i secoli. Quali sono, cioè, le peculiarità di questo indirizzo di pensiero collegato da un lungo filo rosso? Nel periodo buio della lotta tra cattolici e ugonotti, che culmina nel massacro di san Bartolomeo (1572), le accademie francesi si confi­ gurano come la sede di un vasto programma religioso, politico e morale portatore di uno spirito di pace, affine a quello espresso dalla corte con gli accordi di Amboise del 1563, che hanno segnato una temporanea pa­ cificazione. Rifacendosi al modello dell’accademia neoplatonica di Fi­ renze voluta da Cosimo e da Lorenzo de’ Medici, e imbevute di neopla­ tonismo, esse mirerebbero non solo a conciliare filosofia e religione, ma anche a fondere insieme tutte le fedi, per dar vita ad una religione tol­ lerante fondata sui valori fondamentali del cristianesimo. La tolleranza religiosa è il primo comandamento posto alla base di questo progetto intellettuale; e la pacifica coesistenza, all’interno delle accademie cinque­ centesche, di cattolici e di ugonotti, ammessi alle riunioni - seppure, per la verità, in numero esiguo - rappresenterebbe una spia dell’opera di cristianizzazione di impronta «liberale» condotta dai cattolici politi-

ques, tra cui molti accademici, nella speranza di ricongiungere una cri­ stianità divisa dal Concilio di Trento. E una Controriforma non tradizio­ nale (così viene definita), ma «liberale e tollerante nello spirito», che sfocia nell’Editto di Nantes, trasformandosi da sogno in realtà, e desti­ nata a vivere a lungo. Suoi esponenti sono gli esprits éclairés, contrari a

149 Di questo libro si è sottolineata la grande originalità (si vedano, ad esempio, le recensioni

di A. M. Boase, in «French studies», 4, 1, 1950, pp. 73-76; di L. Febvre, «Annales E.S.C.», 8, 1,

1953, pp. 125-126), ma anche la forzatura e soprattutto l’insufficienza delle fonti, il cui reperi­

mento è stato ostacolato dagli eventi bellici (cfr. le recensioni di S. Delorme, «Archives interna­

tionales d’histoire des sciences», 11, 1950, pp. 427-429 e di J. De Ghellinch, «Revue d’histoire

ecclésiastique», 44, 1-2, 1949, pp. 264-267).

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risolvere i conflitti religiosi con la violenza. Anche in campo politico il movimento avrebbe una connotazione precisa, essendo portavoce di istanze pacifiste, liberali e antitiranniche nell’ambito di un dichiarato lealismo monarchico. Ma l’atteggiamento politico degli accademici quale viene ricostruito dall’autrice risulta alquanto generico e - a ben vedere - si configura piuttosto come presa di posizione morale. Al centro del programma accademico si colloca infatti lo sforzo di «disciplinamento morale» e di purificazione, da ottenere in particolare attraverso la ripre­ sa della musica antica, che è la vera essenza della riforma musicale at­ tuata dagli accademici di Baif e soprattutto dal teorico defl’«umanesimo musicale», il poeta della Plèiade Pontus de Tyard. Connesso alla riforma della musica sarebbe il progetto di una generale riforma del mondo, te­ sa a diffondere ovunque la voce di Dio e i principi essenziali di giustizia, carità, amore, pace e unione, come risulterebbe dai dibattiti svoltisi alla

Académie du Palais. Va detto che il concetto di «Controriforma libera­ le», sotto cui la Yates racchiude gli atteggiamenti religiosi, politici e mo­ rali or ora ricordati, non manca di ambiguità. Questo terzo partito po-

litique, formato da cattolici, ma senza alcuna chiusura nei confronti dei protestanti, mira certo a riportare la cristianità ad uno stato anteriore alla corruzione della Chiesa, ma tende pur sempre ad un’opera di cate­ chesi non tanto cristiana quanto, a volte, francamente cattolica (ciò che la Yates sembra ignorare). E allora l’unica vera divergenza tra la contro- riforma e la «Controriforma liberale», che si presentano come due ten­ denze per nulla differenti sul piano teologico, si ridurrebbe ad una sem­ plice diversità riguardo ai metodi da impiegare nella lotta all’eresia: il rogo è l’arma per l’una, la «terapia musicale» per l’altra. Il fatto è che la Yates, in questa fase, non ha ancora a disposizione gli strumenti necessari per delineare più precisamente i contorni del suo quadro, poi­ ché ancora non ha avuto accesso alla cultura dell’ermetismo. Viene anzi il sospetto che in questo lavoro, assai influenzato - come la Yates am­ mette - dal clima bellico,150 l ’autrice abbia individuato negli accademici francesi del Cinquecento speranze e desideri di pace che appartengono a lei e alla sua epoca.151 Chiaro è l’accordo totale della studiosa con i valori proposti da quanti, terrorizzati dall’idea della guerra prima, e

150 Cfr. la Preface a The academ ies cit. (Nendeln, Liechtenstein, Kraus Reprint, 1968), p. V.

151 In questo mondo rientra anche Paolo Sarpi, che la Yates colloca tra gli esponenti di una

corrente religiosa incline a conciliare le differenti confessioni. Cfr. Paolo Sarp i s H istory o f the

C ouncil o f Trent, «JWCI», 7 ,19 4 4 , pp. 123-143, su cui si vedano le riflessioni critiche di D. Can- timori, Rem iniscenze e discorsi cit.

sconvolti dal suo concretizzarsi poi, «preserved themselves as a steadyng subject for contemplation in a disintegrating w orld».152

Il concetto di «Controriforma liberale» va via via chiarendosi nei lavori successivi. L’incontro con la tradizione ermetica, avvenuto lungo il percor­ so che parte da Giordano Bruno, si dimostra anche in questo caso indi­ spensabile per giungere alla tesi secondo cui la filosofia occulta «rappresen­ tò una potente forza spirituale, legata al cristianesimo, ma contrapposta alle forze della reazione, sia cattoliche sia protestanti».153

Da Cornelio Agrippa ai Rosa-Croce o, meglio, ai puritani: è questa la strada dove ci si imbatte in quel movimento di idee religiose, politi­ che e filosofiche che incarna il volto «altro» dell’era moderna e che si sviluppa parallelamente ma al di fuori delle tradizioni cattolica e prote­ stante, benché a volte si intersechi con esse. Se in The theatre of thè

world gli esponenti di un Rinascimento senza «doctrinal ferocity, either Reformation or Counter Reformation, but with very strong mystical and magical leanings»154 sono John Dee, formatosi sul De occulta philoso-

phia di Cornelio Agrippa, e i suoi seguaci Robert Fludd e Iñigo Jones, in LTlluminismo dei Rosa-Croce troviamo «la memoria germanica di John Dee», che con il suo viaggio in terra tedesca, nel Palatinato e pro­ babilmente in Boemia nel 1583, ha gettato germogli fecondi, seppure «difficili da decifrare». L ’affascinante, anche se assai discutibile libro sui Rosa-Croce ha il merito di affrontare dal punto di vista storico un settore sino ad allora spesso frequentato da cercatori della pietra filoso­ fale: 155 si tratta dunque di una scelta per certi aspetti provocatoria, poi­ ché tocca un argomento generalmente estraneo agli interessi degli stori­ ci. Tentativo coraggioso che, portando alla luce un vivace mondo clan­ destino, conduce a risultati sorprendenti sia per erudizione sia per crea­ tività interpretativa, ma che pare un edificio sempre sul punto di crollare, fondato com’è su mere ipotesi spesso del tutto non verificate e, soprattutto, inverificabili. Non sorprende che un lavoro del genere abbia suscitato commenti negativi nella cultura accademica, stimolando

152 The academ ies rit., Preface, p. v. 153 C abbaia e occultismo cit., p. 217. 154 The theatre cit., p. 12.

155 Con l’esclusione di alcuni importanti lavori, utilizzati dalla stessa Yates per la ricchezza

del materiale raccolto, tra i quali A. E. Waite, The brotherhood o f the Rosy-Cross, London, Rider,

1924; W . E. Peuckert, D ie Rosenkreutzer, Jena, Diderich, 1928; P. Arnold, Storia dei

Rosa-Croce, trad, it., Milano, Bompiani, 1991 (1955). Per una discussione su questi testi cfr. la Prefa­ zione, A rnold e i Rosa-Croce, di U. Eco a P. Arnold, Storia d ei Rosa-Croce cit., pp. 5-14.

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recensioni nel complesso assai critiche, quando non stroncature incle­ menti.156 Come non condividere la riflessione di quanti hanno sottoli­ neato che il rosacrocianesimo appare un fenomeno assai più periferico rispetto a quello descritto dall’autrice? E vero che la Yates, attraverso una grande dilatazione di questo movimento, e sottolineandone i suppo­ sti collegamenti internazionali, fa del rosacrocianesimo il filone di pen­ siero che domina un’epoca e che finisce per coincidere con essa. Così come è vero che talvolta elude, con un abile uso della retorica, alcuni problemi fondamentali creati dall’incongruenza tra fonti e interpretazio­ ne; e che collega uomini e idee estrapolando dai testi analizzati citazioni

ad hoc al fine di suffragare le sue tesi riguardo a corrispondenze e lega­ m i.157 Bisogna però ricordare che la studiosa si addentra in una selva oscura, e che seguirla nel suo itinerario rosacrociano significa necessa­ riamente calarsi nel mondo dell’invisibile.

Sebbene io non sappia esattamente che cosa fosse un Rosa-Croce, né se ne sia­ no mai esistiti, il dubbio e l’incertezza che assalgono chi indaga sugli invisibili Fra­ telli Rosa-Croce, sono di per sé i compagni invisibili della ricerca dell’Invisibile. 158 L’autrice decodifica i manifesti rosacrociani, due brevi opuscoli pubbli­ cati anonimi a Kassel nel 1614-15, la Fama e la Confessio, in cui si legge che Christian Rosenkreutz, alla ricerca di proseliti, ha fondato un ordine o con­ fraternita, ora di nuovo in attività, e studia il romanzo alchimistico, Le noz­

ze chimiche d i Christian Rosenkreutz, scritto in tedesco dal pastore luterano

156 Ci riferiamo in particolare alla recensione di B. Vickers, Frances Y ates and the w riting o f historycit.

157 Sono questi i maggiori limiti del lavoro sui Rosa-Croce riscontrati dai vari recensori.

Cfr., ad esempio, le recensioni di O. Odlozilikin «The American historical review», 78, 5,

1973, p. 1448, che considera le tesi dell’autrice non sufficientemente fondate; di R. J. W. Evans,

in «The Historical journal», 16, 4, 1973, pp. 865-868 (egli afferma che «Dr. Yates loves my­

stery»); di C. Websterin «The English historical review», 89, n. 351, 1974, pp. 434-435, per

il quale le prove utilizzate dalla Yates non sono del tutto convincenti; di J. Redwood, in «Hi­

story», 59, n. 195, 1974, p. 107, che parla di «historical imagination»; di J. Clivein «Journal

of modem history», 47, 3, 1975, pp. 543-545; di G. Filoramoin «Rivista di storia e letteratura

religiosa», 16, 1, 1980, pp. 159-160. In generale, pur riconoscendo l’importanza fondamentale del libro, che sottrae una questione di grande interesse ai non specialisti per fame finalmente un problema storico, tali recensori ne sottolineano l’interpretazione puramente ipotetica e non suffragata a sufficienza dalle fonti. Meno critiche invece le recensioni di altri storici britannici,

tra cui Hugh Trevor-Roper (cfr. Frances Yates historian, «The Listener», 18 January 1973),

che, in stretto rapporto d’amicizia con la Yates, ha avuto un molo determinante nel far conoscere i suoi libri al pubblico britannico (si veda al riguardo l’intenso scambio epistolare, a partire dagli

anni sessanta, in A.W.I, The w orking m aterials and correspondence cit.).

158 L ’Illum inism o d ei Rosa-Crocecit., Prefazione,p. xxix.

Johann Valentin Andreae e pubblicato anonimo a Strasburgo nel 1616. Dall’esame di questi testi dal significato assai controverso, che alcuni storici considerano una burla159 e di cui la Yates propone invece una lettura sim­ bolica, emerge un universo complesso. Tale universo avrebbe strette rela­ zioni con la cultura del Rinascimento inglese, attraverso John Dee, rappre­ sentante della visione animistica del cosmo, e in particolare con la sua ope­ ra Monas hieroglyphica, e sfocerebbe, nel lungo periodo, nella nascita della

Royal Society. Tra i maggiori esponenti la studiosa identifica lo stampatore palatino Jean Théodore de Bry, legato alla pubblicazione delle opere di due rosacrociani (anche se tali essi non si sono mai definiti): dell'Utriusque co­

sm i historia (Oppenheim, 1617, 1618, 1619) di Robert Fludd e àeVCAtalan­ ta fugiens (ivi, 1618) di Michael Maier, un libro di filosofia religiosa e alchi­

mistica. Il rosacrocianesimo si sarebbe organizzato attorno all’avventura boema della principessa Elisabetta, figlia di Giacomo I, e dell’elettore pa­ latino Federico V, capo dei protestanti tedeschi, che in Christian von An- halt trovarono il primo consigliere di corte, e in Salomon de Caus l’archi­ tetto ufficiale, autore di opere di ispirazione vitruviana. A Heildelberg «il re e la regina d’inverno» (al loro matrimonio celebrato nel 1613 alludereb­ be Andreae nel suo romanzo) diedero vita ad un movimento di ripresa eli­ sabettiana, presentandosi come gli eredi dell’«imperialismo riformato e pu­ rificato» della sovrana inglese e divenendo il centro di un nutrito gruppo di protesta anticattolica, antispagnola e antiasburgica.

Non causa del rosacrocianesimo, ma punto di raccordo di una tradizio­ ne più antica, la corte federiciana si sforzò di dare a tale tradizione un in­ dirizzo politico e religioso preciso, al fine di realizzare l’ideale di una rifor­ ma ermetica volta a comporre le divergenze religiose. L’esperienza boema, infatti, appare alla Yates non solo segno di una politica antiasburgica, ma anche espressione di una fede che ha cercato per anni di consolidarsi, risol­ vendo il problema religioso secondo linee mistiche, suggerite dall’ermeti­ smo e dalla cabbaia. Imbevuti di un sapere antigesuitico e antipapale (il pa­ pa vi è presentato come l’anticristo) e influenzati dal misticismo ermetico e da una religiosità magica e alchimistica, i manifesti indicherebbero una via alternativa a quella proposta dalla Compagnia di Gesù. Annuserebbero inoltre l’avvento di un’era nuova per l’umanità, basata su un’illuminazione di carattere religioso e spirituale e, riguardo ai problemi morali, si prefig­ gerebbero lo scopo di divulgare la conoscenza - tra una piccola élite, in realtà - , ponendo al primo posto, tra i valori, l’assistenza gratuita ai malati.

159 Per una messa a punto del dibattito si veda B. Vickers, Francés Y ates cit.

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L ’aspetto fondamentale del movimento sembra all’autrice il tentativo di porsi al di sopra delle varie confessioni religiose, abbracciandole tutte: e ciò si dedurrebbe dal fatto che nella ricca letteratura sui Rosa-Croce, nata in seguito all’esplosione dell’entusiasmo per la confraternita, l’ordine è giu­ dicato di volta in volta luterano, calvinista, sociniano, deista o gesuitico. Comune denominatore sarebbe pertanto la filosofia dell’armonia macro­ microcosmo, fondata sul cristianesimo, inteso in senso mistico, e su una fi­ losofia della natura che cercava il significato divino del cosmo attraverso sistemi matematico-magici. E dunque una «terza riforma», quella rosacro­ ciana individuata dalla Yates, che nasce dal doppio fallimento della riforma protestante, lacerata da contrasti interni, e della Controriforma cattolica, che pare all’autrice aver preso, fin da subito, una direzione «sbagliata». E questa «terza riforma» trova i suoi principi morali nel cristianesimo evan­ gelico, per l’importanza da esso attribuita all’amore fraterno, e nella tradi­ zione ermetico-cabalistica, per l’idea di una «scienza magica» o «magia scientifica» posta al servizio dell’uomo.

Malgrado la sconfitta del progetto e la ripresa delle guerre religiose, con l’invasione asburgica del Palatinato e il disastro della Montagna bianca (1620) che porta al bando di Federico V dall’impero, il rosacrocianesimo non muore. Troppo profonde sono le sue radici: esso ha connessioni con la cultura inglese, è stato esportato in Francia e presenta collegamenti an­ che con gli intellettuali antiasburgici italiani, di cui Traiano Boccalini appa­ re l’esponente più significativo (l’inserimento di un suo brano tratto dai

Ragguagli del Parnaso in traduzione tedesca nella Fama, da altri studiosi considerato del tutto fortuito, costituirebbe una prova di siffatti collega- menti). Benché in forma problematica, la Yates propone in tal modo nuovi percorsi, lungo i quali ricerca le sopravvivenze dell’utopico progetto rosa­ crociano. Un progetto di cui si sentirebbe l’influsso nella Christianopolis di Andreae e poi, attraverso l’influenza di quest’ultimo, su Jan Amos Come- nio, su Samuel Harthb e su John Dury, nell’Invisible College, che riprende­ rebbe lo scherzo dell’invisibilità proprio dai Rosa-Croce, e poi nella Royal

Society. Molte sono insomma le ipotesi della Yates, che colloca anche Fran­ cis Bacon e la sua Nuova Atlantide «all’ombra delle ali di Iehova», secondo un riferimento tratto dalla Fama-, propone interessanti riflessioni sull’alchi­ mia rosacrociana di Isaac Newton160 e sui possibili legami tra massoneria e rosacrocianesimo, che ne rappresenterebbe un prodromo. Si tratta di «un

160 Al riguardo cfr. anche l’intervento B id Newton connect his math and alchem y?, «Times

higher education supplement», 18 marzo 1977.

brancolare nel buio, attraverso ipotesi fondate su “se” e “forse”» ,161 ma non perciò meno stimolanti, e che hanno non a caso fornito un punto di partenza per chi ha indagato suU’Illuminismo radicale.162 Solo apparente­ mente, infatti, il titolo, che unisce «strane forme di superstizione» all’«op- posizione critica e razionale alla superstizione»,163 è contraddittorio. E lo sforzo della Yates è tutto teso proprio a mostrare come un Rosa-Croce po­ tesse essere nel contempo un illuminista. Usando - come si è detto - il ter­ mine Illuminismo in un’accezione atemporale, la Yates intende con esso ri­ ferirsi ad «uno stile di pensiero», ad un’idea di riforma del mondo, sebbene individui anche strette relazioni tra il gruppo dei Rosa-Croce e il futuro Il­ luminismo. Stadio più tardo della tradizione ermetica, per il preponderante influsso dell’alchimia, il rosacrocianesimo altro non sarebbe che una fase