• Non ci sono risultati.

Rousseau, la parabola della cultura

Difficile trovare un autore più adatto di Rousseau per confermare la fa­ ma di storico controcorrente che, almeno in Europa, Crocker ha conquista­ to con l’interpretazione dell’Illuminismo come età di crisi. Il «problema Jean-Jacques Rousseau», riproposto da Cassirer nel 1932,58 ha implicato da sempre prese di posizione fortemente discordanti, che i recenti indirizzi della critica non hanno in alcun modo attenuato. Ad accomunare gli studi novecenteschi, al di là delle divergenze fra quanti continuano a vedere in Rousseau il filosofo della libertà e gli interpreti «neoliberali» che ravvisano all’opposto nel suo pensiero i germi del totalitarismo, è stata una più ma­ tura consapevolezza della necessità di una lettura unitaria del pensiero del ginevrino; il che chiamava direttamente in causa Pingombrantissimo pro­ blema della presenza dell’uomo Jean-Jacques e della sua biografia per molti versi «scandalosa» in tante pagine della sua opera, e il problema, non meno delicato, «della collocazione del pensiero politico di Rousseau nello svilup­ po della democrazia moderna»,59 reso nuovamente pressante dal diffuso riconoscimento di un primato della politica risultante dalla migliore cono­ scenza complessiva dei suoi scritti. Crocker si è cimentato con entrambi questi problemi, con la colta erudizione e la finezza analitica di sempre, ma soprattutto con una tesi forte da dimostrare.

Concentrandosi su Rousseau, l’impronta polemica che si ravvisava in

An age of crisis si precisa nella ricostruzione di un modello esistenziale e politico che ha la sua cifra nel totalitarismo: una cifra che Crocker ha per­ seguito a sua volta in un modo così «totalizzante» e carico ideologicamente da rendere complessivamente poco convincente quella ricostruzione, che

58 E. Cassirer, Das Problem Jean-Jacques Rousseau, in «Archiv für Geschichte der Philoso­

phie», XLI, 1932 (trad. it., Firenze, La Nuova Italia, 1938).

59 Introduzione a S critti p o litici d i Jean-Jacques Rousseau, a cura di Paolo Alatri, Torino

UTET, 1970, p. 10.

LESTER G. CROCKER E L'INTERPRETAZIONE DELL'ILLUMINISMO

pure offre indubbi argomenti all’orientamento storiografico consolidatosi a partire dagli anni cinquanta attraverso le analisi di studiosi quali Vossler, Talmon, e, in Italia, Sergio Cotta.60 Una sorta di implacabilità di giudizio sembra in effetti sottendere ogni tassello del discorso di Crocker su Rous­ seau, dal saggio del 1960 che sottolineava la fondamentale coerenza fra il

Discours sur l’origine de l ’inégalité e il Contrai social al recente contributo suìl’Emile,61 passando attraverso i due volumi della biografia e quello sul

Contratto sociale. Rousseau ne esce segnato quale «esempio classico» tanto del modello della personalità autoritaria fissato da sociologi e psicologi, quanto di un «modello o archetipo della società totalitaria» di cui Crocker ha sintetizzato in quattro punti i tratti caratteristici: la presenza di una gui­ da o leader carismatico incarnante la volontà generale, un ideale di «Comu­ nità che si esprime in un’idea più o meno fittizia di eguaglianza, soprattutto nel senso che ognuno offre un sacrificio devoto e illimitato al Tutto collet­ tivo ed è parte del suo corpo», l’unanimità come «norma» e «meta», l’uso sistematico di tecniche manipolatone per il controllo delle coscienze.62

Il risultato è una biografia che si riversa prepotentemente in un’«ideo- logia», e con tutta la forza che ad essa impone il marchio della «malattia», vero filo rosso della lettura che Crocker ha dato della vita di Rousseau at­ tingendo con larghezza a studi contemporanei di psicologia e psichiatria, soprattutto americani, e alla scaltrita esperienza di esegeta delle antinomie del linguaggio settecentesco acquisita alla scuola di Lovejoy. Nel 1968, pa­ rallelamente alla pubblicazione della prima franche della biografia, che se­ guiva Rousseau negli anni della «ricerca» fino alla rottura con gli enciclo­ pedisti e all’autotrasformazione in «voce profetica»,63 usciva un saggio il cui titolo era anche la dichiarazione di una chiave interpretativa: Docilité

60 Oltre al già cit. J. L. Talmon, Le o rigin i della democrazia to talitaria cit. cfr. O. Vossler,

Rousseaus Freiheitslehre, Gottingen, 1963; S. Cotta, Come s i pone i l problema d ella politica in Rousseau, «Ethica», n. 1, 1973, pp. 3-21; Id., Filosofia e politica nell'opera d i Rousseau, «De Ho- tnine», n. 9-10, 1964, pp. 293-310. Della polemica in sede storiografica riguardo all’identità po­

litico-filosofica di Rousseau si è occupato A. M. Revedin, V erità e to talità: il problem a delle isti­

tuzionipolitiche n ella filosofia d i Jean-Jacques Rousseau, estratto dalla rivista «Rassegna parlamen­ tare», n. 3, luglio-settembre 1979, pp. 343-376, il quale dà molto spazio alla posizione di Crocker.

61 L. G . Crocker, The relation o f R ousseau’s Second discours and the Contrat social, «The

Romanic review», LI, 1960, pp. 33-44; Id., Rousseau’s E m ile: life, liberty, and the pursuit o f hap­

piness, in Rousseau and the Eighteenth Century. Essays in memory o f R. A. Leigh, Oxford, The

Voltaire Foundation, 1992, pp. 101-115.

62 L. G. Crocker, I l contratto sociale d i Rousseau. Saggio interpretativo, Torino, SEI, 1971

(ed. or., Cleveland, 1968), pp. 241-243.

63 L. G. CROCKER, Jean-Jacques Rousseau,voi. I: The quest,voi. II: The prophetic voice, New

York, The MacMillan Company, 1968-1973.

et duplicité chez Jean-Jacques Rousseau. Crocker vi evidenziava la ricorrenza dei due termini e di situazioni ad essi connesse in tutti gli scritti roussovia- ni, dal giovanile Projet pour l’éducation de M. de Sainte-Marie alle Considé­

rations sur le gouvernement de Pologne (1771-72), riconducendoli al pato­

logico bisogno di dipendenza dell’autore. Di fronte a questo bisogno fon­ damentale, quello complementare di affermare la propria indipendenza, di vita e di giudizio, almeno altrettanto rivendicato da Rousseau nelle sue pa­ gine non solo autobiografiche, era ridotto al rango secondario di effetto di scarto della frustrazione ripetutamente sperimentata da Jean-Jacques nelle sue relazioni sociali e intellettuali. «La “liberté” chez Rousseau est en réa­ lité une dépendance absolue», scriveva lo storico:64 dipendenza dalla ferrea disciplina etica imposta da Wolmar agli abitanti della sua comunità ideale nella Nouvelle Héloïse; dall’atrofica presenza del precettore nel delineare lo scenario della sua educazione per la «libertà», nel caso di Emilio; dall’oc­ culto indottrinamento esercitato dalla «guida» o «legislatore» del Contratto

sociale; dai tratti ossessivi del suo relazionarsi col mondo, trattandosi di Jean-Jacques, il quale nei suoi personaggi e nel suo programma ideale proietta - ora in veste di dominato, ora in veste di dominatore - il proprio lacerato bisogno di far ordine, di annullare ogni tensione, e quindi, per Crocker, ogni slancio di autonomia, ogni autentica relazione umana, snatu­ rata programmaticamente con la costruzione dell’uomo nuovo, il futuro ci­

toyen. Né potrebbe essere diversamente essendo quest’ultimo il prodotto

tutto artificiale di una cultura rivoluzionaria che ha il suo fine nella «doci­ lité» - identificata di volta in volta con la libertà o con la «vertu» - e il suo mezzo privilegiato nella «duplicité». E questo l’altro tratto che accomuna Jean-Jacques ai suoi personaggi, costantemente costretti a far ricorso alla tecnica della «main cachée» (di cui è potente simbolo la descrizione del giardino di Julie ripetutamente richiamata da Crocker) per affermare il proprio controllo sui comportamenti e sulle volontà.65 Quella duplicità Crocker l’ha inseguita e l’ha riconosciuta in innumerevoli episodi della vita errante ed emotivamente tumultuosa del ginevrino, nelle distorsioni della realtà rilevate da più parti nelle Confessions («la proclamation même qu’il fait de son absolue sincérité, dans le dramatique appel au lecteur au début de l ’ouvrage, n’est donc qu’un acte calculé de duplicité»), nelle

incon-64 D ocilité et duplicité chez Jean-Jacques Rousseau, RHLF, n. 68, 1968, p. 450.

65 Di questo tema, ricorrente in tutti gli scritti di Crocker, trattano specificamente: Ju lie ou

la nouvelle duplicité, in «Annales de la Société Jean-Jacques Rousseau», XXXVI, 1963-65, pp.

105-152; O rder an disorder in Rousseau’s social thought, PMLA, 94, 1979, pp. 147-159.

LESTER G. CROCKER E L ’INTERPRETAZIONE DELL’ILLUMINISMO

gruenze, anch’esse spesso segnalate dai critici, fra le Confessioni e la corri­ spondenza, resa disponibile dall’importante lavoro di R. A. Leigh: «La du­ plicité et le mensonge sont les armes habituelles des êtres passifs, enclins à l ’effémination et à la fantasie, et cela d’autant qu’ils sont, comme l’était Rousseau, victime d’un puissant complexe d’infériorité».66

Nella polarità fra docilità e doppiezza o, il che è lo stesso, fra dipenden­ za e indipendenza si delineano dunque i tratti di quella Authoritarian per­

sonality cui è intitolato uno degli ultimi paragrafi della biografia, che rin­

forzava il sintetico e impietoso quadro psicologico offerto da Talmon67 con l’aiuto delle teorie sviluppate in proposito nell’ambito della psicologia sperimentale. Sono proprio l’assoluta fissità di quei tratti e l’assenza di sfu­ mature concettuali, pur all’interno di un tessuto narrativamente ricco di notizie, di riferimenti bibliografici e di spunti interpretativi, a rendere, co­ me si diceva, complessivamente poco convincente l’immagine di Rousseau tratteggiata da Crocker.

«La psicosi di Rousseau è un indiscutibile dato di fatto», ha ricordato, fra gli altri, Paolo Rossi, per precisare però subito, con Starobinski, che «ciò che è di rilievo per lo storico e per l’interprete non è né la determina­ zione dei sintomi della “malattia”, né peggio ancora il tentativo di una dia­ gnosi, ma il chiarimento del senso che essa ha acquistato nella vita di Rous­ seau, il modo in cui egli l’ha vissuta, soprattutto l’uso che egli ne ha fatto».68 Altrimenti, come è accaduto frequentemente per Nietzsche alle cui «affinità nascoste» col ginevrino Crocker ha significativamente dedicato un saggio,69 la ricerca del raccordo vita-pensiero tende a stemperarsi nella presentazione del caso clinico, costringendo in spazi troppo angusti l’«unicità» a cui così spesso Rousseau si è appellato per difendere la sostanziale coerenza del pro­ prio pensiero e insieme il proprio diritto a esprimere l’esperienza umana in tutta la sua contraddittorietà. A questo pensava Starobinski, grande interpre­ te in chiave esistenzialistica dell’impresa emotiva e culturale di Rousseau, quando invitava, prima di tutto, a volerlo ascoltare.70 E, richiamandosi al

66 D ocilité et duplicité cit., p. 459. La pubblicazione della Correspondance com plète, a cura di R. A. Leigh (Genève, Institut et Musée Voltaire) ha avuto inizio nel 1965.

67 Si veda in particolare Lo sfondo psicologico con cui si apre il terzo capitolo di Le o rigin i

della democrazia cit., pp. 57-60, dedicato alla figura di Rousseau.

68 J.-J. Rousseau, Opere, a cura di Paolo Rossi, Firenze, Sansoni, 1972, p. xli.

69 L. G. Crocker, H idden affin ities: Nietzsche and Rousseau, «Studies on Voltaire», 1980,

pp. 119-141.

70 Cfr. Du «D iscours sur l ’in égalité» au «C ontrat so cial», in Journées d’étude sur le Contrat

social, Dijon 1962, Paris, Les Belles Lettres, 1964, p. 97. Di Jean Starobinski si veda in particolare

J.-J. Rousseau, la trasparence et l’obstacle, Paris, Gallimard, 1958.

suo invito, Eugenio Garin, che si è mostrato assai critico nei confronti del

Saggio interpretativo di Crocker sul Contratto sociale,71 ha insistito sulla fe­ condità di un approccio volto a sondare la «radicale «inattualità»» che carat­ terizza ogni pagina di Rousseau, più che a ricercarvi le tracce anticipatrici di Kant o di Marx sulle orme delle due più fortunate direttrici della critica storica.72

A catalizzare lo scontro resta, com’è ovvio, l’opera più propriamente politica di Rousseau, quella idolatrata e aspramente combattuta fin dai tempi della Rivoluzione francese. A questa singolarità di fortuna contribui­ scono indubbiamente sia le molte ambiguità e i non-detti lasciatici in ere­ dità dal ginevrino, sia, soprattutto, la forza di suggestione che il suo pen­ siero ha continuato a esercitare non soltanto nella cerchia ristretta degli ad­ detti ai lavori, impegnati a chiarirne i concetti di volontà generale e di liber­ tà, di natura e di legge, ma anche su movimenti e leaders politici contemporanei, da Mao a Castro. Il che aiuta a capire come Crocker abbia potuto far leva sulle tesi di una parte della storiografìa marxista per suppor­ tare le proprie conclusioni, di segno profondamente diverso. Dal cumulo di macerie prodotte dal grande movimento culturale e politico che agitò nel Settecento la vecchia e colta Europa spiccano per contrasto i valori della libertà e del modello costituzionale americani. Rousseau e Jefferson si bat­ tono entrambi per la vita, la libertà e la felicità - il secondo ha il non co­ mune privilegio di porle a fondamento della Dichiarazione d’indipendenza del 1776 - , ma l’opposizione di significato che questi termini assumono nei due pensieri, sottolineata da Crocker recentemente, non potrebbe essere più netta e indicativa dei differenti percorsi che la storia del mondo va pre­ parando: laddove per il pensiero liberale incarnato da Jefferson l’accento batte sul dovere tutto negativo dello Stato di non intralciare la «ricerca» individuale della felicità, rinunciando a ogni presunto sapere circa i suoi ef­ fettivi contenuti, e quindi a ogni pretesa totalitaria, per il Rousseau di Croc­ ker il male da estirpare è appunto la vocazione individuale alla ricerca.

«In-71 «Più vicino alla libellistica che alla critica storica, il libro del Crocker ha tuttavia il merito, non solo di esasperare aspetti reali del pensiero di Rousseau, ma anche di mettere in evidenza i rischi di un certo tipo di attualizzazione, che procede astraendo dal contesto storico e dalla genesi dei problemi, ma soprattutto ritagliando un’immagine di comodo, per operazioni ideologiche contingenti, simmetriche ad altre opposte ma analoghe. A tutte, la pagina di Rousseau, e talora

è la stessa pagina, offre come è noto larghe possibilità». E. Garin, Introduzione a Rousseau,

S critti p o litici, a cura di M. e E. Garin, I, Bari, Laterza, 1971, pp. xxn-xxm, xvm.

72 La prima, risalente a Kant, è stata ripresa da Cassirer (del quale si veda anche L ’unité

dans l ’oeuvre de J.-J. Rousseau, «Bulletin de la Société française de philosophie», avril 1932); la

seconda ha avuto notevole sviluppo soprattutto in Italia a partire dal Rousseau e M arx (Roma,

Editori Riuniti, 1957) di Galvano Della Volpe.

LESTER G. CROCKER E L ’INTERPRETAZIONE DELL’ILLUMINISMO

stead of Jefferson’s pursuit, Rousseau offers thè promise, thè assured path to happiness-happiness itself», condividendo con quanti hanno fatto della felicità dei cittadini il fine dello Stato la responsabilità storica, già rimarcata da Raymond Polin, di aver preparato regimi dispotici se non totalitari.73 Da una parte ci sarebbero dunque le premesse per la realizzazione della «so­ cietà aperta» di Popper, dal cui pensiero Talmon è partito per definire il concetto antitetico di «democrazia totalitaria», al quale Crocker preferisce «democrazia guidata» per meglio sottolineare il ruolo delle guide carisma­ tiche; su un piano opposto i vari prodotti storici del modello democratico­ egualitario e organicistico, la cui attribuzione al pensiero roussoviano resta uno dei grandi nodi attorno a cui si scontrano gli storici etichettati come neoliberali o reazionari e i loro avversari di varia tendenza culturale.74

6. Conclusioni

Sade e Rousseau, Crocker lo ha ribadito introducendo il Companion to

thè Enlightenment del 1990, rappresentano l’utopia e l’antiutopia dei lumi, i due estremi di un movimento culturale che nelle opere maggiori dello sto­ rico americano finiscono per toccarsi, decretando il medesimo fallimento epocale, dando origine a un processo rivoluzionario che ha nel Terrore l ’e­ pilogo consequenziale di molte delle riflessioni del secolo. H Terrore, Ro­ bespierre sembrano fungere da imbuto in cui tutto confluisce, aprendo vo­ ragini che si prolungano nei regimi del XX secolo, nella «guerra fredda» vissuta da Crocker come autentico figlio del suo paese. Difficile rinvenire in questo quadro quella neutralità dello storico a cui ha dichiarato in diver­ se sedi di essersi costantemente attenuto, pur criticandola in altre occasioni

73 Cfr. L. G. Crocker, Rousseau’s E m ile cit., pp. 11 3 -1 14 . L’opera di Polin a cui Crocker fa

riferimento è Hobbes, Dieu et les hommes, edita a Parigi nel 19 81.

74 Perlopiù essi hanno evidenziato le distorsioni attualizzanti delle letture del Contratto so­

ciale in chiave organicistica o di mistica autoritaria del nostro secolo, insistendo piuttosto sull’im­ portanza di contestualizzare il progetto politico-filosofico roussoviano, restituendolo alla cultura e alla società del suo tempo. Emerge, ad esempio, in primo piano la centralità e la radicalità della battaglia di Rousseau contro ¡’«ideologia» giusnaturalistica, accettata da Locke e dagli stessi en­ ciclopedisti a giustificazione di un’idea di contratto sociale che ratificava e trasformava in diritto, offrendo loro il supporto mitico di uno «stato di natura» gemello, le ingiustizie e le disugua­ glianze della società contemporanea. Molto lucidamente Augusto Illuminati ha aperto la sua In­

troduzione a Rousseau, Contratto sociale (Firenze, La Nuova Italia, 1980, p. v), ricordando che il

significato storico-politico della nozione sei-settecentesca di contratto sociale va ricercato nella sua appartenenza ai miti delle origini più che alle categorie politiche ed ha pertanto, anche in Rousseau, «carattere meramente metodologico».

come mito tipico della storiografia americana. E non a torto, a mio parere, Peter Gay ha segnalato una tendenza a confondere l’età di Diderot con l’e­ tà di Freud.75

Va detto, peraltro, che lo stesso Crocker ha sentito il bisogno di riba­ dire la sua devozione affettiva e professionale nei confronti di un’età della quale si è sentito ingiustamente accusato di essere un detrattore76 in nome di valori legati al cattolicesimo o, è il giudizio di Peter Gay, apertamente reazionari. E tornando ad interrogarsi sulle motivazioni psicologiche che hanno indirizzato fin dall’inizio la sua indagine, si è ricollegato espressa- mente all’angoscia vissuta dagli intellettuali europei e americani di fronte alla dissoluzione dei valori liberali e democratici portata a compimento dal­ la comparsa dei regimi totalitari. Anche all’origine del suo lavoro vi era, cioè, la volontà di capire come un così diffuso irrazionalismo sia potuto sca­ turire da valori e modelli interpretativi formatisi nell’«età della ragione».77 La storiografia del suo paese gli appariva fossilizzata in prospettive d’inda­ gine finalizzate esclusivamente a giustificare storicamente gli ideali afferma­ ti dai diversi settori della società americana, progressisti o reazionari. Uni­ che eccezioni in positivo, come si è accennato, le rivisitazioni critiche di Charles Frankel e Henry Vyverberg a proposito di due stereotipi dell’inter­ pretazione storiografica dell’età dei lumi: la fede indiscussa nella ragione e l ’idea di progresso. L ’avere sfatato il mito di una diffusa credenza nella fon­ damentale bontà dell’uomo, ponendosi da una prospettiva che dilata e mo­ difica l’immagine globale dell’Illuminismo, è uno dei principali meriti che Crocker ha attribuito al proprio lavoro di storico.78 Distruggere miti al fine di ritrovare ideali e ridar loro validità oltre le facili ma precarie scorciatoie che fondano ogni costruzione mitica: è questo, in effetti, il ruolo aristocra­ tico e impegnativo che lo studioso ha assegnato all’uomo di cultura odier­ no, erede disincantato dei valori liberali emersi, pur tra mille ambiguità, dal pensiero dei lumi.79

75 Cfr. P. Ga y, An age o f crisis: a critical view, «The Journal of modem history», XXXIII, 2,

1961, p. 177.

76 Ad esempio, nella citata lettera del 1 maggio 1989: «Nonetheless, there is a litde doubt

that A n age o f crisis has had an impact. If I may say so, the reason is that An age o f crisis was

revolutionary in its time, very different from what had been written before, in scope, emphasis and condusions.Sometimes I have been injustly attacked as an enemy of the Enlightenment - a modem de Maistre or Brunetiere, a covert catholic, etc. - whereas I admire and love the period to which I have devoted a major part of my life».

77 L. G. Crocker, The E nlightenm ent: problems o f interpretation cit., pp. 5-6.

78 Iv i, p. 16.

79 A questo tema e dedicato L. G. Crocker, W hen m iths diecit.

LESTER G. CROCKER E L ’INTERPRETAZIONE DELL’ILLUMINISMO

Per questo, pur avendo riconosciuto di aver troppo enfatizzato la figura di Sade, Crocker ha continuato a collegare il suo interesse per il divin mar­ chese a una precisa scelta storiografica. Una scelta che da una parte rivaluta l’«eccezionale» come dato interpretativo spesso più vitale di ciò che rap­ presenta la norma; dall’altra, rifiutando le esclusioni aprioristiche di perso­ naggi «scomodi» alla Sade o alla La Mettrie, operate a suo giudizio da Pe­ ter Gay e da altri storici di fama per far quadrare un’immagine ottimistica dei lumi, pone l’esigenza di ridiscutere l’Illuminismo come categoria storio­ grafica «stretta», sul piano cronologico come su quello delle appartenenze. In effetti, fra quanti si sono appropriati della nozione di crisi adottata da Hazard, Crocker è forse lo storico che più ne ha dilatato l’accezione, esten­ dendola non soltanto al secolo intero, come già rilevava Paul Vemière,80 ma al più globale senso di crisi dei valori dal quale l’uomo occidentale sem­ bra non essersi più realmente risollevato.

L ’Illuminismo, così come Crocker lo presenta nella definitiva sintesi del