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Peter Gay: /’outsider come insider

PER UNA DISCUSSIONE SUL CONCETTO DI ENLIGHTENMENT E SULLA SUA PERIODIZZAZIONE*

2. Peter Gay: /’outsider come insider

Nel crescere e nell’articolarsi della produzione di Gay, nell’intrec- ciarsi di studi sulla storia settecentesca e su quella contemporanea, qua­ le dei due filoni ha dato impulso all’altro? E stata la grande ammirazio­ ne per David Hume a spingere il giovane ricercatore, fin dal 1944, a riscoprire tracce delle idee dei philosophes nell’Otto e nel Novecento?5 Oppure sono stati i consigli, gli insegnamenti e la bruciante esperienza dell’emigrazione dalla Germania nazista dei maestri e degli amici, che hanno condiviso con lui vicende private e professionali, a destare l’at­ tenzione verso il «partito dell’umanità» del XVIII secolo? Gay stesso si è definito «a European historian - European both by birth and by specialization»:6 compiendo gli studi e lavorando nelle università ame­ ricane, pur vivendo la condizione dell’«outsider», fisicamente lontano dall’Europa, egli ha, infatti, avuto ampiamente modo di coltivare l’inte­ resse per la storia delle idee fiorite nel Vecchio Continente, giovandosi, in tal senso, della lezione di tenace resistenza ai tempi bui che accomu­ nava tanti dei suoi colleghi.

4 Ha scritto Furio Diaz: «E quegli anni dalla seconda metà dei Cinquanta alla fine dei Ses­ santa sono stati appunto dominati dalla volontà o dal tentativo, o magari dalla velleità, della ri­ forma: riforma nella politica intemazionale e nella vita interna, nell’economia e nei rapporti so­

ciali, nella vita civile, nell’espressione del pensiero, nell’orientamento della cultura», P er una sto­

ria illum in istica, Napoli, Guida, 1973, p. 8. In proposito cfr. anche P. Casini, Introduzione a ll’il­ lum inism o. Da Newton a Rousseau, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. vn ix.

5 «Since 1944 - ricorda Gay [...] - as an undergraduate at the University of Denver I di­

scovered David Hume», The Enlightenm ent: an interpretation. The rise o f modern paganism ,

New York, Knopf, 1967 (I ed. 1966), p. xn. Cfr. anche The bourgeois experience cit., I, p. 514.

6 A loss o f m astery. Puritan historians in colonial A m erica, Berkeley and Los Angeles, Uni­ versity of California Press, 1966, p. vn.

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Nato a Berlino nel 1923, Gay era emigrato negli Stati Uniti allo scoppio della seconda guerra mondiale, trovandosi così inserito in una nuova realtà scolastica, entro la quale avrebbe concluso gli studi superiori e intrapreso i corsi universitari.7 Naturalizzandosi nel 1946 e americanizzando il cogno­ me (da Frölich a Gay), il giovane volle marcare la propria identificazione con la comunità che l’aveva accolto, della quale avrebbe condiviso, se pur criticamente, lo spirito democratico.8 Negli anni cinquanta, quelli del­ l’esordio del giovane studioso, la stessa scelta dell’inglese come lingua della comunicazione fra intellettuali segnava la fusione di diversi stili di pensiero in una koinè, e per alcuni era un modo ulteriore di tagliare i ponti con sco­ mode radici nazionali.9 Gay del resto, pur decidendo di pubblicare, nel corso della sua carriera, pressoché unicamente in inglese, non avrebbe ri­

7 Gay ha conseguito: all’Università di Denver il grado di bachelor o f arts n d 1946; alla Co­

lumbia University i l m aster o f arts n d 1947 e il doctor o f philosophy n d 1951. E stato poi: alla

Columbia professor o f history dal 1962 al 1969 e W illiam R. Shepherd professor o f history dal

1967 al 1969; alla Yale University professor o f com parative and in tellectual European history

dal 1969, Durfee professor o f history dal 1970 al 1984, Sterling professor o f history dal 1984 al

1993. A Yale è attualmente professor em eritus. Ha inoltre ricevuto incarichi come fello w (alla

Princeton University dal 1955 al 1956, all’American Council of Learned Societes dal 1959 al

1960, al Center of Advanced Study in Behavioral Sciences dal 1962 al 1963), come overseas fe l­

low (al Churchill College di Cambridge dal 1970 al 1971) e come visiting fellow (all’Istituto di

Studi di Berlino n d 1984). E membro di diverse società, quali l’American Historical Association e la French Historical Society, e dal 1989 è entrato a far parte dell’American Academy e dell’In- stitute of Arts and Letters.

8 Nell’articolo apparso sulla «R.S.I.» Gay è stato presentato come il figlio di un noto mài­ tante della sinistra tedesca negli anni della Repubblica di Weimar, Paul Frölich. Si trattava d’un dato ripreso da diversi storici italiani ed europei, fra cui Cesare Cases, che ne aveva accennato

nella sua introduzione a La cultura d i W eim ar, e che, interpellato sulla questione, ha ribadito

che la notizia del rapporto fra Peter Gay e Paul Frölich era diffusa non solo in ambiente italiano,

ma anche in quello tedesco. In realtà, sin dal 1978, in una nota a margine di Freud, Jew s and other

Germans, Gay aveva raccontato di esser figlio di Moritz Fröhlich, un commerciante di tessuti berlinese emigrato anch’egli negli Stati Uniti in seguito alle persecuzioni razziali, figura curiosa­ mente ignorata n d circuito degli studiosi.

9 Sull’ondata migratoria cui partecipò Gay cfr. L. Fermi, Illustrious im m igrants: the intellec­

tu al m igration from Europe 1930-1941, Chicago, University of Chicago Press, 1968; The intellec­ tu al m igration. Europe and Am erica, 1930-1960, edited by D. Meming and B. Bailyn, Cambridge,

Mass., Belknap Press of Harvard University Press, 1969; The legacy o f the German refugee in tel­

lectuals, «Salmagundi», n. speciale, 1969-1970; H. Stuart Hughes, L a grande em igrazione in tel­ lettuale, «R.S.I.», 19 7 0 ,4 , pp. 951-959; J. M. Palmier, W eim ar en ex il, voi. I: E xil en Europe, voi. II: E xil en A m érique, Paris, Payot, 19 8 8 ,2 voll.; e, infine, come documento che reca il segno del­

l’esperienza diretta, K. LOWITH, La m ia vita in G erm ania prim a e dopo i l 1933, Milano, H Saggia­

tore, 1988 (I ed. Stuttgart, J. B. Metzlersche und C. E. Poeschel, 1986). Sull’esilio, quale tipica

istanza nella storia della civiltà occidentale, si vedano F. Neumann, The so d ai sdences, in The

cultu ral m igration: the European scholar in A m erica, Philadelphia, University of Pennsylvania

Press, 1953, pp. 4-14; P. Ga y, W eim ar culture cit., passim. Sul rapporto fra società civile ed in­

tellettuali americani, R. Hofstadter, A nti-intellectualism in Am erican life, New York, Vintage,

1966 (trad. it. Sodetà e in tellettu ali in A m erica, Torino, Einaudi, 1968).

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nunciato a far uscire saggi anche in tedesco.10 Per comprendere gli orien­ tamenti culturali con cui egli si incontrò, occorre pensare a quanto si era verificato a partire dagli anni trenta.

In America la volontà di uscire dalla drammatica crisi del Ventinove aveva destato la speranza di coinvolgere gli intellettuali nei progetti del ri­ formismo rooseveltiano. Di riflesso, in sede storica, fin dal decennio prece­ dente l’arrivo di Gay, l’intento di superare le strettoie dei particolarismi ideologici aveva infuso vigore alle indagini sul Settecento e alla ripresa del tema dell’illuminismo. L’avvio di quello che, in questo senso, sarebbe diventato un grande dialogo atlantico si può fissare con una data: il 1932. Era stata allora pubblicata The Heavenly City of thè eighteenth Cen­

tury philosophers di Carl Lotus Becker, un libro che avrebbe rappresentato,

per gli studenti americani, un punto di riferimento fino a quando la gene­ razione di Gay avrebbe guardato, piuttosto, ad altri modelli: i lavori di Ernst Cassirer. Con Die Philosophie der Aufklärung, il noto studioso tede­ sco aveva offerto nel 1932 (alla vigilia del suo esilio volontario) una defini­ zione globale delle Lumières, restituendo dignità e spessore al pensiero dei

philosophes. Colta nella sua novità fondamentale, la filosofia dei Lumi era stata letta tanto per quel che riguardava le ricerche teoriche e i suoi postu­ lati, quanto per ciò che atteneva al suo metodo e ai suoi procedimenti co­ noscitivi. Partendo da una nozione di spirito nella sua «pura funzione», ma rifiutando l’idea di un semplice passaggio da sistema a sistema (come inve­ ce aveva fatto Hegel), Cassirer aveva ricostruito, inoltre, la trasformazione di concetti e problemi in proposte e progetti. Gay avrebbe fatto tesoro di questi spunti, senza trascurare la suggestione esercitata da un altro tema emerso dal dibattito storiografico: quello della crisi di una civiltà, del quale nel 1935 era stato interprete sensibilissimo Paul Hazard, e che negli anni quaranta aveva ispirato diversi tentativi di individuare le origini dell’illu­ minismo.11

10 Cfr. Begegnung m it der Moderne. Deutsche Juden in der deutschen K ultur, in Juden im

W ilhelm inischen D eutschland 1890-1914, Tübingen, Mohr, 1976, saggio poi ripreso in Freud, Jew s and other Germans cit. In un articolo, scritto per il «New York Times» nell’agosto 1976, Gay spiegava il proprio atteggiamento (tutt’altro che una rimozione) nei confronti del Paese d’o­ rigine, che si trovava allora sconvolto dalla nuova ondata di violenza del terrorismo. A oltre tren- t’anni dal trasferimento negli Stati Uniti, egli invitava a una riflessione sulla Repubblica Federale tedesca (una democrazia in lotta con i suoi traumi, uno Stato in cerca di una ridefinizione dei limiti del liberalismo e dei benefici di una civile convivenza), guardando al futuro sulla scorta del­ l’esempio di chi si era battuto per contrastare il regime hitleriano.

11 C. L. Becker, The H eavenly C ity o f thè eighteenth Century philosophers, New Haven,

Yale University Press, 1932 (trad. it. Napoli, Ricciardi, 1946). E. Cassirer, D ie Philosophie der

A ufklärung, Tübingen, Mohr, 1932 (trad. it. Firenze, La Nuova Italia, 1936, nuova ed. 1967).

All’indomani della seconda guerra mondiale, come reazione ai demoni del fascismo e del nazismo, il grande revival neoilluministico si ricollegava, d’altro canto, alle ricerche già avviate in Francia e in Inghilterra, non meno che negli Stati Uniti. Nei Paesi in cui il filo di continuità con i suoi valori non era mai stato del tutto reciso, il recupero della philosophie laica e mi­ litante dei Lumi avvenne, ad un tempo, sul terreno letterario e ideologico, risalendo alle matrici della riflessione sui diritti dell’uomo, sull’eguaglianza, sulla tolleranza, sulla libertà individuale, sulla filantropia, sul progresso.

Sono stati dunque situazioni politiche e orientamenti culturali a portare Gay ad interpretare l’illuminismo come una straordinaria avventura, e, in­ sieme, come un problema da scandagliare tanto nelle radici, legate al pas­ sato, quanto nelle propaggini, tese verso il futuro. Dagli anni quaranta ad oggi lo storico ha coltivato dapprima gli studi filologici, la sociologia e le scienze politiche, interessandosi di logica e di epistemologia (di autori co­ me Ludwig Joseph Wittgenstein e John Austin, di neopositivisti quali Er­ nest Nagel e Cari Gustav Hempel), fino a dedicarsi, con una curiosità sem­ pre più motivata, all’approfondimento delle teorie psicoanalitiche. In tal senso, se da giovane laureato Gay aveva tentato timidi approcci con testi di psicoanalisi partendo da Erich Fromm, da studioso maturo egli ha suc­ cessivamente rivisto le proprie scelte convincendosi della maggiore utilità, per il suo campo di ricerca, delle tesi ortodosse freudiane. Di qui la deci­ sione di perfezionarsi, dal 1976 al 1983, al Western New England Institute for Psychoanalysis, istituto dal quale sarebbe uscito «graduate in research» rimanendone membro. Il suo gusto letterario ha trovato poi una fonda- mentale fonte d’ispirazione (e una lezione su come applicare concetti filo­ logici e sociologici a opere di natura storica) in un saggio classico: Mimesis di Erich Auerbach.12 Ciò che emerge vistosamente dai lavori di Gay è, in

P. Hazard, La crise de la conscience européenne: 1680-1715, Paris, Boivin, 1935,3 voli. (I trad. it.

Torino, Einaudi, 1946), seguito da L a pensée européenne au X VIII siècle. De M ontesquieu à

Les-sing, Paris, Boivin, 1946 (e 1963). Su Cassirer cfr. G. Raio, Introduzione a C assirer, Roma-Bari, Laterza, 1991 (corredato di un’amplissima bibliografia). Fra i saggi che negli anni quaranta, sulle

tracce di Hazard, furono dedicati al problema delle origini dei Lumi si possono ricordare: R. Le-

noble, M ersenne, ou la naissance du m écanism e, Paris, Vrin, 1943 (Il ed. 1971), R. Pintard, Le libertinage érudit dans la prem ière m oitié du XVIIe siècle, Paris, Boivin, 1943, H. Busson, La re­ ligion des classiques, Paris, PUF, 1948. Sulla storiografia degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta

cfr. G. Ricuperati, Le categorie d i periodizzazione e il Settecento. P er una introduzione storiogra­

fica, «Studi settecenteschi», XTV, 1994, pp. 63-84.

12 Ed. orig. Bem, Francke, 1946; ed. it. a cura di A. Roncaglia, Torino, Einaudi, 1964, 2

voli. Sul grande storico della letteratura e filologo romanzo, e sulla fortuna dei suoi studi in Ame­

rica, cfr. H. Levin, Two Rom anisten in A m erica: Spitzer and Auerbach, in The in tellectual m igra­

tion cit., pp. 463-484. Quanto all’interesse per la psicoanalisi in ambiente americano, si può rin­

viare in generale a J. Tosh. Introduzione a lla ricerca storica, Firenze, La Nuova Italia, 1989, pp.

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sostanza, un’intuizione originale della complessità degli elementi presenti nelle Lumières, accanto all’esigenza di restituirne, comunque e soprattutto, l ’autonomia e la coerenza.

Dagli anni cinquanta ai settanta questo implicava misurarsi con de­ licate questioni metodologiche. In quei decenni in Europa, nell’ambito della storia sociologica (cui andavano le preferenze degli studiosi), gode­ vano di un crescente successo le proposte dello strutturalismo e della metodologia seriale o quantitativa delle «Annales». Tali scelte si erano inizialmente concentrate sui cicli economici di lungo periodo, per tocca­ re poi la circolazione dei libri, l ’organizzazione delle accademie scienti­ fiche e letterarie (si pensi ai lavori dei francesi Roche e Chartier, oltre che dell’americano Darnton) e infine lo studio delle «mentalità», del- r«immaginario sociale», della cultura popolare (in senso antropologico). Vi era sottesa una gerarchia di strati (i dati economici e demografici co­ me base, la struttura sociale quale zona intermedia, e da ultimo gli svi­ luppi delle idee, della religione e della politica) che, pur consentendo di esplorare settori del passato prima sconosciuti, rischiava di mettere tra parentesi la storia intellettuale, o di ridurla ad una pura increspatura so- vrastrutturale. Davanti a queste ipotesi, Gay non ha potuto fare a meno di interrogarsi valutando le proprie prospettive, ben consapevole, del resto, che «history is easier to write than to define».13 E il suo interesse per una matrice di tipo illuministico affiora chiaramente là dove egli ha parlato di «storia come pensiero critico del passato».

In Historians at work, tra 1972 e 1975, giustificando la tesi secondo cui la disciplina storica sarebbe iniziata propriamente con i Greci, lo studioso assumeva un punto di vista «più aperto» rispetto alla posizione storiogra­ fica che era stata degli storicisti e, nel contempo, più rigoroso rispetto a quella visione «permissiva» che mira ad includere qualsiasi resoconto del passato nella categoria di storia. La propensione ad un’indagine delle vi­ cende umane disincantata (secolare per definizione) veniva contrapposta a una categoria di segno contrario: il «pensiero mitico». Nel dividere le espressioni del pensiero in forme «critiche» e forme «mitiche», Gay ha in­

93, 99-100, e a J. Demos, O edipus and A m erica: h istorical perspectives on the reception o f psychoa­

nalysis in the U nited States, «The Annual of psychoanalysis», VI, 1978, pp. 23-39, e, in partico­

lare, sulla discussione e diffusione dei metodi freudiani all’Università di Yale, a M. Jahoda, The

m igration o f psychoanalysis: its im pact on Am erican psychology, in The in tellectu al m igration cit., pp. 420-445.

13 H istorians a t w ork, edited by P. Gay, G. J. Cavanaugh, V. G. Wexler, voi. I, New York,

Harper and Row, 1972-1975, p. IX. Tra virgolette è una traduzione di chi scrive, dall’edizione

originale in inglese.

teso, cioè, evidenziare una sorta di doppia fenomenologia, dicendola peral­ tro raramente rintracciabile «in tutta la sua purezza»:

civilizations dominated by mith often developed highly sophisticated modes of reasoning; conversely, civilizations practicing criticism have often harbored ele- ments o f myth.

Privilegiando la fortuna che il modello antico aveva conosciuto attra­ verso i secoli, lo storico ha, in ogni caso, messo in luce il «felice uso di sche­ mi propri della classicità», individuando, a partire dal primo Trecento, l’età di Petrarca, la precisa volontà, da parte degli umanisti, di «pensare l ’anti­ chità in quanto antichità». Una volta acquisito, dal XIV secolo in avanti, il senso della propria distanza da autori quali Livio e Tacito, alla piena padro­ nanza della lezione offerta dai classici si sarebbe arrivati, di fatto, secondo Gay, soltanto grazie a un «grande quartetto» di storici illuministi del Set­ tecento: Hume, Robertson, Voltaire e Gibbon.14 Così scrivendo, Gay si ri­ collegava direttamente alle speculazioni di Ernst Cassirer, che in Philoso-

phie der symbolischen Formen15 aveva fornito una spiegazione puntuale di un binomio (pensiero critico/pensiero mitico) attinto e riplasmato a partire dalle riflessioni di Kant, Goethe, Hegel e Heine. A tali suggestio­ ni lo storico ha saputo combinare categorie interpretative elaborate dagli stu­ diosi dell’Istituto Warburg (basti citare i lavori di un Erwin Panofsky e di un Fritz Saxl) e, soprattutto, la nozione freudiana di «mentalità mito- poietica».16

L ’ambizione di Gay è stata, in sostanza, quella di realizzare una «storia

14 Iv i, voi. I, p. XIII; voi. II, p. X.

15 Berlin, B. Cassirer, 1923, 1925 e 1929, 3 voli. (trad. ingl. New Haven, Yale University Press, 1953-1957, 3 voli.; ed. it. Firenze, La Nuova Italia, 1961, 1964 e 1966, 3 voli, in 4 tomi).

16 Per un chiarimento di tale concetto cfr. The rise o f modem paganism cit., p. 185. Quanto

ad Aby Warburg, il promotore del noto Istituto che fra 1934 e 1936, per sopravvivere alla stretta del regime nazista, hi trasferito da Amburgo a Londra grazie all’impegno speso soprattutto da

Saxl, si vedano Aby W arburg, in G . Pasquali, Pagine stravaganti, Firenze, Sansoni, 1968; G.

Bing, Introduzione, in La rinascita d el paganesim o antico. C ontributi a lla storia d ella cultura, Fi­

renze, La Nuova Italia, 1966; E. Garin, Introduzione, in F. Saxl, La storia delle im m agini, Bari,

Laterza, 1965; C. Ginzburg, Da A by W arburg a E rnst H. Gombrich, «Studi medievali», 1966; S.

Ferretti, I l demone d ella memoria. Sim bolo e tempo storico in W arburg Cassirer, Panofsky, Ca­ sale Monferrato, Marietti, 1984. Alla biografia classica, disponibile in traduzione italiana (E. H.

Gombrich, Aby W arburg. Una biografia in tellettu ale, Milano, Feltrinelli, 1983), si confronti ora F. Cernia Slovin, A by W arburg. Un banchiere prestato all'arte. B iografia d i una passione, Vene­

zia, Marsilio, 1995. Sulla Biblioteca dell’Istituto cfr. F. Saxl, La storia d ella Biblioteca W arburg, in

E. H. Gombrich, A by W arburg cit., pp. 277-290; D. Cantimori, Conversando d i storia, Bari, La-

terza, 1967, pp. 179-184; S. Settis, W arburg continuatus. D escrizione d i una biblioteca, «Qua­

derni storici», 1985.

PETER GAY E L ’ILLUMINISMO

sociale delle idee» intesa come tentativo di conciliare due tendenze (se ne tracciavano i contorni fin dal 1964, in The party of humanity)'. l’osservazio­ ne nitida e rarefatta delle più alte manifestazioni del pensiero da un lato, e l’indagine dei complessi condizionamenti contestuali (che entrano in gioco in ogni formulazione teorica o esperienza intellettuale) dall’altro. Se gli sto­ rici delle idee erano in cerca di nuove vie per affrontare i temi delle proprie indagini - scriveva Gay - , di recente essi si erano orientati in due direzioni: una «history of ideas» così come era stata concepita da Arthur O. Lovejoy e dai suoi discepoli, e quella che si potrebbe definire una «sociologia poli­ tica delle idee» tentata da molti storici sociali americani. Per quanto lo ri­ guardava, Gay si diceva propenso a sintetizzare e superare, insieme, le due scuole:

thè social history of ideas [...] is guided by a single, simple principle: ideas have many dimensions. They are expressed by individuals, but they are social pro- ducts. 17

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta lo storico giungeva, così, a formulare un metodo attento sia alle differenze fra un’idea e l’altra sia ad alcuni denominatori comuni fra esse (l’influenza esercitata sul pen­ siero dall’inconscio, dalle tradizioni culturali, dalla società, dalla politica e dall’economia). «Le idee - scriveva - si irradiano in due sensi: si muovo­ no orizzontalmente, scontrandosi con altre idee del loro tempo e in rappor­ to di reciproca influenza con la società in cui sono nate e hanno una fun­ zione. E si muovono verticalmente, nel futuro, per essere raccolte, usate, mal usate, analizzate [...]. A loro volta le idee ricevono impulsi da due di­ rezioni: orizzontalmente, da altre idee e dalla società; verticalmente, dal passato. Ogni idea [...] ci si presenta come un arazzo».18

Era evidente, del resto, che, quando Gay rivendicava i meriti della sto­ riografia prodotta dai Lumi, egli non nascondeva ima simpatia diretta e un coinvolgimento personale. E sufficiente leggere in controluce le pagine di

The party of humanity (1964) per scoprirlo già nei panni del novello philo-

sophe: secondo Gay Voltaire fu non solo il primo a fare della «civilization» il tema specifico dell’indagine storica, ma fu anche uno dei primi ad essere

17 The party o f hum anity. Essays in the French Enlightenm ent, New York, Knopf, 1964, pp. ix x .

18 The social history o f ideas. Ernst C assirer and after, in The critical spirit. Essays in honor o f H erbert M arcuse, Boston, Beacon Press, 1967, qui citato dall’ed. it.: Im storia sociale d elle idee. Ernst C assirer e dopo, in Lo spirito critico, Milano, Edizioni di Comunità, 1974, p. 135.

rigorosamente secolare nell’analisi delle cause che muovono la storia. Le opere storiche voltairiane sarebbero state, cioè, autentiche ricostruzioni del­ lo «spirito» di un’età, capaci di rendere un tessuto di istituzioni in cui le for­