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III_ I NTRODUZIONE METODOLOGICA ALLA R ICERCA

M ATERIALE DEL T EATRO

3.3 D AL F RAMMENTO ALL ’I NTERO

La seconda strada che ci si palesa è quella che vede nel frammento l’occasione per la ricomposizione dell’intero20. Questa seconda ipotesi, in antitesi alla prima, che

dichiarava la completa autorevolezza e autosuffi cienza del frammento, si struttura attraverso due ulteriori rifl essioni, le quali rispecchiano i due gradi formali con cui si presentano i frammenti21 dei dispositivi teatrali studiati nel corso della Ricerca. In

particolare:

- la prima rifl essione è quella che indaga i modi di integrazione della parte lacunosa dell’intero per via deduttiva e partire dal frammento di intero (fi g. 147);

- la seconda, invece, è quella che tenta di ricostruire l’intero in maniera indut- tiva ed epagogica a partire, questa volta, da un frammento semplice o ‘muto’ (fi g. 148).

Queste due rifl essioni si mescolano, per presupposti e conclusioni in quanto, in entrambi i casi, i frammenti appaiono come orfani di quell’assetto globale che ormai non esiste più, o che esiste solo virtualmente, e di cui si cerca continuamente, e disperatamente, ‘la ricognizione e il completamento’22. Il frammento è la

testimonianza di un’assenza dichiarata e contiene in sé un’unità potenziale23. Esso

rappresenta l’elemento di cerniera fra quello che c’era, quello che c’è e quello che potrà esserci, il punto di intersezione fra il visibile e l’invisibile, tra l’incompleto e il ri-progetto dell’intero24.

Gran parte del fascino dei frammenti consiste, dunque, nella capacità di alludere ad

20 Si parla di intero e non di tutto, in quanto solo l’intero è in grado di lavorare per segmentazione,

creando frammenti e lacerti che rimandano, a loro volta, all’intero da cui provengono. Al contrario, il tutto non può produrre frammenti, ma soltanto altre totalità. Il frammento, infatti, ‘è ciò che è colmo di una interezza potenziale che aspira alla totalità come trascendimento di sé’. Per approfondire, cfr. Venezia, F., (n.s.) Il trasporto di un frammento. Un museo. In ‘Lotus’, n. 33, p. 73.

21 Comè stato già spiegato nell’introduzione di questo capitolo, la differenza tra frammenti muti e

frammenti di intero è data dal fatto che per i primi è possibile defi nire l’intero di appartenenza solo dal punto di vista materico e autoptico, mentre, per quanto riguarda i valori iconografi ci, morfologici e semantici dell’intero, questi non sono più facilmente riconoscibili; nel secondo caso, invece, la lacuna non è tale da impedire una integrazione delle parti mancanti, perché viene preservata la lettura semantica del dato, e il rinvio all’intero di partenza appare più semplice, ma non per questo, scontato.

22 Cit., per approfondire, cfr. Rossi, A., opera già citata, p. 6.

23 Ogni opera che sia stata materialmente disgregata o profondamente lacerata, contiene in sé una unità

potenziale intrinseca. È questa unità potenziale che ne suggerisce le modalità del possibile intervento di completamento. Per approfondire, cfr. Brandi, C., (1977). Teoria del restauro. Il trattamento delle lacune. Torino: Einaudi, p. 149.

24 Il frammento ‘(…) è un’esplorazione labirintica capace di unire il visibile e l’invisibile, l’esplicito e

il nascosto, la chiarezza e l’oscurità. Esso è da considerarsi come il ‘luogo di un’ontologia del costruire’ e può rappresentare sia un’integrità ormai perduta, che impone di risolvere il problema di un eventuale completamento, sia qualcosa di mai terminato, un non-fi nito programmato dalla mente dell’artista che l’ha concepito. In questo secondo caso ci si potrebbe domandare se nei supporti materiali di un non-fi nito programmato, quella stessa materia sia o meno veicolo per la trasmissione della compiutezza dell’opera. Ci verrebbe da chiedersi se il non fi nito sia da valutarsi come un intero, oppure come un frammento. Esso potrebbe essere, in atto, un intero nella mente dell’artista che l’ha concepita come tale, e in potenza, un intero nella trasfi gurazione dell’immagine che avviene nella mente del fruitore dell’opera d’arte. Per approfondire, cfr. Purini, F., (2006). Il frammento come realtà operante. In Firenze Architettura, anno X, n. 1, Università degli studi di Firenze, p. 2.

Fig. 147: schizzo di studio

di un frammento di intero, maschera comica dell’Etera perfetta, china su carta, A. Marraffa.

Fig. 148: schizzo di un

frammento muto, acquerello N. Mancuso.

Fig. 147

altro da sé25. L’emozione che producono è provocata, infatti, dal senso di caducità

e di incompletezza che essi danno, e dall’anelito verso l’integrità originaria che perseguono, in quanto, in ogni singolo frammento, l’opera originale sussiste sempre, anche se solo in via ideale. È la classica visione romantica e malinconica26 del lacerto

che stimola nell’osservatore quella ‘coscienza della mancanza’27, quella spinta a

completare la lacuna, anche solo per mezzo dell’immaginazione. Un capitello isolato (fi g. 149), un fregio istoriato mutilo (fi g. 150), un mezzo rocco di colonna (fi g. 151), un acroterio in frammenti (fi g. 152), una statua con le membri mutili (fi g. 153), tutto questo ha effetto solo in base a quello che, ancora, in essi rimane della forma artistica che un tempo possedevano, e che ora, disarticolati dallo schema originale, essi hanno ormai materialmente perduto28.

Secondo Benjamin, lo studio dei frammenti, diventa sempre ‘un reagente di estraneazione’ rispetto al tempo presente. Questo avviene perché il frammento introduce e offre uno sguardo sugli oggetti e li eleva alla categoria di das Andeken, ovverosia di oggetti-ricordo.

Questa condizione, consente al frammento di sfuggire alla propria natura di lacerto e di legarsi al ricordo dell’immagine dell’intero che, per mezzo dell’integrazione e della reintegrazione, esso va a completare29. Tuttavia, neanche nella dimensione di

oggetto-ricordo, il frammento riesce ad avviare un processo profondo di ‘catalisi della memoria’30. Nelle vesti di das Andenken, infatti, il frammento si palesa

contemporaneamente come reperto, come accumulo di strati di memoria, come testimonianza di sperimentazione, come prova e opportunità da cui partire per avviare il processo di sintesi in grado di trasformare il frammento stesso in qualcosa di più grande. Sebbene esso sia pregnante di signifi cati molteplici, anche se inserito all’interno di uno schema più grande, rischia di perire. Il suo ciclo di vita, inoltre, rischia parimenti di coincidere con l’arco temporale del ‘nuovo-intero’ che si è

25 Questa capacità di allusione è indipendente dal modo in cui i frammenti possono venir percepite,

utilizzate o reimpiegate all’interno di uno schema più ampio. Chateubriand (de), F.R., (1966). Génie du

Christianisme. Paris: Flammarion, p. 81.

26 Il fascino delle rovine esercita per tutto il Settecento e anche in età romantica, un’attrazione

ineguagliabile per pittori, poeti, incisori, artisti. I frammenti che emergono dal passato lasciano cogliere non solo il valore topografi co, ma anche una poetica silenziosa e melanconica di questi luoghi, in cui l’archeologia si mescola con la memoria, la storia con il mito, il pittoresco con il sublime.

27 Augé, M., opera già citata, p. 97.

28 Il fascino dei frammenti, proprio per la loro condizione oscillante e fuggevole, sta nella capacità

che essi hanno, come detto, di sfuggire al tempo presente. Essi sono il pretesto per amplifi care il valore di scenari diversi, evocanti nostalgie di passati lontani. Da questi resti, l’immaginazione è capace di ricostruire un intero. Tuttavia, la loro ricomposizione non costituisce un’unità estetica immediata, ma solo un’opera d’arte priva di parti che deve essere ricompletata, oltre che dal punto di vista materico, anche dal punto di vista semantico. Per approfondire, cfr. Buonincontri, F., n.s. Architettura

contemporanea e tracce urbane ed architettoniche dell’antico. Tesi di Dottorato di Ricerca in

Composizione Architettonica XXIV ciclo, Università degli studi di Napoli Federico II, pp. 11-19.

29 Per una defi nizione più esaustiva del frammento inteso come oggetto-ricordo o das Andenken, cfr.

Celati, G., (2001). Il Bazar Archeologico. In ‘Finzioni Occidentali’. Torino: Einaudi, pp. 200-201.

30 È Gregotti a parlare di frammento come oggetto-ricordo, inteso amche come quella modalità di

catalisi della memoria, applicata al progetto di architettura. Per approfondire, cfr. Gregotti, V., (2014). Il

ricostituito e all’interno del quale esso è contenuto e perso.

A sua volta, dal ‘nuovo intero’, o ‘falso intero’, si genereranno nuovi frammenti, o per meglio dire dei falsi frammenti, che al pari del primo, avranno solo un signifi cato iconografi co, ma mai semantico, né mnemonico.

Per garantire il corretto riuso del frammento, è necessario, allora, ripensarlo e riprogettarlo attraverso un preciso progetto di integrazione e reintegrazione semantica31. Intervenire, attraverso operazioni di reintegrazione o integrazione

dell’immagine estetica e materiale dell’opera, oppure lasciare l’opera così com’è senza intervenire attraverso processi creativi, sono da sempre al centro del rapporto dialettico della condizione del frammento in materia di restauro32.

Dopo oltre due secoli di dibattito, i modi di accostarsi e trattare i frammenti tendono a rifl ettere sostanzialmente su due posizioni contrapposte. La prima è collegata a una speculazione di stampo ruinista-ruskiana, che affonda le sue radici in Schelling, Ruskin e Burke, secondo cui non si ha il diritto di toccare o modifi care i connotati di un’opera giunta fi no a noi per non intaccarne l’istanza storica, estetica e materiale; la seconda invece, di matrice più interventista, è volta a cancellare il degrado, a colmare la lacuna, e a intervenire mediante esercizi di anastilosi, di ricostruzione e di integrazione, oppure mediante la totale estraniazione e astrazione dell’opera rispetto alla propria istanza storica ed estetica. Questa seconda ipotesi appoggia su un deciso impegno creativo33. Tuttavia, qualsiasi impegno creativo, se non fondato su

un cosiddetto ‘giudizio di valore’34 rischia di diventare inutile, nonché pericoloso. I

frammenti, infatti, sebbene siano colmi di una grande interezza potenziale che aspira alla totalità come trascendimento di sé, in assenza di un linguaggio o di un codice in

31 Senza una codifi cazione semantica, i frammenti, anche dopo la reintegrazione dell’intero,

apparirebbero solo come ‘sedimentazioni casuali di una realtà e di un mondo ormai quasi aboliti’, cit. Pratz, M., opera già citata, p. 35.

32 Secondo quanto asserisce Bonelli, il restauro inteso come processo critico e il restauro inteso

come atto creativo sono due facce della stessa medaglia, in quanto il primo defi nisce le condizioni che l’altro deve adottare come intime premesse. L’opposizione tra conservazione e ricreazione è evidente nei pensieri di Ruskin e Viollet le Duc. La scuola francese, rappresentata fra i tanti suoi esponenti da Philippot, imponeva la necessità del restauro come un atto creativo, curando ovviamente il tema degli accostamenti, e raggiungendo un equilibrio il più fedele possibile all’unità originale. La lacuna in questi casi appare come una interruzione della continuità della forma artistica e del suo ritmo, per cui, anche se il frammento di per sé assume un valore ben preciso, la integrazione/reintegrazione, mediante atto creativo, è sempre un’azione lecita, purché essa garantisca la immediata riconoscibilità dell’intervento e porti al raggiungimento dell’armonia nell’unità complessiva. Per approfondire, cfr. Philippot, P., (1959).

Le problème de l’intégration des lacunes dans la restauration des peintures. In ‘Bulletin de l’Institut

Royal du Patrimoine Artistique’, II, pp. 5-19, ora in Philippot P., (1998), Saggi sul restauro e dintorni. Antologia, (a cura di) Fancelli P., Scuola di Specializzazione per lo studio e il restauro dei monumenti, Università degli Studi di Roma La Sapienza. Roma,: Strumenti, p. 5 e p. 11.

33 Paradossalmente, il rispetto per i frammenti si manifesta più con un progetto forte che non con

un’azione conservativa e contemplativa. In questi termini si esprime M. Manieri Elia in occasione del convegno sul restauro presso il CNR del 1986. Per approfondire, cfr. Manieri Elia, M., (1976).

Dall’analisi storica ai programmi di restauro architettonico. In A.A.VV., Convegno sui Problemi del

restauro in Italia, CNR, p. 20.

34 Brandi defi nisce in questi termini il modo di operare e intervenire sui frammenti e le parti lacunose. In

questo modo si evita il rischio di cadere nell’eresia di intendere l’atto ricreativo come qualcosa in grado di assorbire la storia del frammento, per poi abolirla. Per approfondire, cfr. Brandi, C., opera già citata, p. 64.

Fig. 150 Fig. 149

Fig. 153 Fig. 151

grado di decifrarli e rimetterli a sistema, ritornano ad essere entità mute e impossibili da ricollocare.

Può capitare invece, in altri casi, che il frammento sia reimpiegato all’interno di un’altra opera d’arte, che differisce per istanza storica, critica e funzionale dall’opera d’origine. La colonna in frammenti appartenente, in passato, a un tempio dorico, di per sé non è un frammento o un rudere, perché la sua visione porta direttamente a collegarci all’intero ideale del tempio di riferimento. Tuttavia, se questa fosse trasportata in un altro luogo, integrata in un’altra opera (fi g. 154), decontestualizzata o isolata, essa perderebbe la sua unità potenziale e passerebbe dallo stato di frammento a quello di rudere o, addirittura di scarto35. La mera reintegrazione materiale del

frammento a partire dalla sua condizione di scarto, senza un codice metodologico o una rifl essione fi lologica forte alle spalle, porterebbe certamente alla creazione di un falso, di un’aberrazione in cui l’opera originale rischierebbe di essere svilita e trasfi gurata in una nuova immagine. Essa, in tal misura, raggiungerebbe ‘una unità inedita, che non è mai esistita’36 e storicamente inaccettabile.

Se da una parte la reintegrazione è intesa come restituzione dell’immagine complessiva dell’opera, a partire da parti dismembrate37, e quindi si è soliti

identifi carla più generalmente con l’anastilosi38, l’integrazione invece fa riferimento

all’apporto di elementi nuovi, che vengono inseriti al fi ne di assicurare la conservazione e la reintegrazione39 dell’immagine dell’opera stessa.

35 Per una esaustiva defi nizione del frammento, in quanto scarto, si può far riferimento alle

considerazioni di J.B. Jackson, il quale rifl ette sulla natura di tutti quei frammenti che derivano da una produzione proto-industriale o seriale, come appunto le maschere di Lipari. Jackson sostiene che ‘(…) Un concio di pietra è un individuo, di cui non esiste un altro elemento simile o clone. Ma, un barattolo vuoto di Coca-Cola è, invece, un prodotto. È possibile pertanto fare una distinzione tra frammento- prodotto e frammento-casuale’. Il frammento diventa individuo e quindi frutto e prodotto del caso, solo quando, cessata la sua funzione, esso si tramùta in scarto. La dimensione di scarto conduce il frammento a slegarsi dal tutto a cui, in origine apparteneva per via di legami iconografi ci, morfologici e formali. Il frammento come scarto e il frammento come prodotto, portano entrambi alla ricostruzione dell’intero. Tuttavia, se nel primo caso, lo scarto si perde nell’intero poiché non più riconoscibile, il frammento come prodotto preserva la sua riconoscibilità perché riesce a preservare alcuni valori semantici. I frammenti muti e i frammenti di intero delle maschere teatrali sono entrambi dei frammenti-prodotto, perché, anche se hanno perso molti dei caratteri iconografi ci, morfologici e formali, conservano, in nuce, un forte valore semantico che ne consente una rimessa in rete. Per un approfondimento sulle rifl essioni di Jackson, cfr. Jackson, J.B., opera già citata, p. 128.

36 Tale condizione può portare alla creazione di nuovi materiali, nuovi interi nella veste di veri e propri

‘cadaveri squisiti’. Copie di opere originali che non sono mai esistite o che non sono state concepite come tali dall’artista. Per approfondire l’argomento, cfr. Gregotti, V., (2006). L’architettura nell’epoca

dell’incessante. Roma-Bari: Laterza, p. 118.

37 ‘(...) Esiste un legame più o meno esplicito fra l’Estetica e il Restauro. Spesso, appare legittimo se

non indispensabile, completare le parti mutile di un’opera perché con il risarcimento di quest’ultima era l’idea stessa del bello a venire risarcita’. Per approfondire, cit., cfr. Tafuri, M., (1968). Teorie e storia dell’architettura. Bari: Laterza, p. 199.

38 L’anastilosi è da intendersi come quell’operazione che colloca, spazialmente uno o più frammenti

all’interno di uno schema originale più o meno ideale, al fi ne di garantire la giusta e facile riconoscibilità di un intero. Come afferma C. Brandi, ‘La reintegrazione, intesa come anastilosi, non vuole essere una ricomposizione, ri-modellazione o peggio ancora una innovazione, attuata con la critica e arbitraria creatività ai danni dell’oggetto da conservare, quanto piuttosto un’operazione che va ad agire su quella che è la ‘oggettualità dell’immagine dell’opera stessa’, cfr. cit. Brandi, C., opera già citata, p. 148.

39 Facendo riferimento alla Carta di Venezia del 1964, integrazione e reintegrazione sono due operazioni

ben distinte che si affi ancano accanto a quelle di liberazione e consolidamento. Si ricordano gli studi di terminologia in materia di integrazione e reintegrazione, di S. Diaz Berrio e O. Orive, dattiloscritto, Alla pagina precedente:

Fig. 149: capitello composito, Parco Archeologico di Siracusa.

Fig. 150: Porzione di pinax o

di fregio, probabilmente di un oscillum. Sulla faccia principale sono presenti le maschere teatrali di due Menadi, I secolo d.C.,

Musée d’Histoire Humaine,

Marsiglia.

Fig. 151: frammenti di colonne

doriche, Tempio dorico di Atena, Ortigia, Siracusa.

Fig. 152: frammenti di acroterio

d’angolo con maschera tragica tra foglie d’acanto, I sec. d. C., Musée

d’Histoire Humaine, Marsiglia. Fig. 153: statua mutila, probabilmente di un acroterio, ipotesi di anastilosi, Musée

Ci si chiede dunque:

- Che cosa è possibile integrare con elementi chiaramente nuovi, senza chia- mare in causa eccessivamente la creatività, senza correre il rischio di cadere nella banale imitatio, o ancora peggio nel falso storico?40;

- È forse auspicabile un intervento neutro?;

- In che modo si può garantire la riconoscibilità dell’integrazione e soprattutto, la reversibilità dell’intervento41?

- Quello che si crea, a seguito del nuovo intervento, che cos’è? Un modello del tutto nuovo o un simulacro critico dell’oggetto originale? Oppure una sua ba- nale copia?

- Una volta raggiunta la liberazione della vera forma dell’opera, in che modo si può valutare la stratifi cazione dovuta alle integrazioni? Questa stratifi cazioneè meno autentica dell’opera originale42?

Da questi interrogativi emergono due fi loni di pensiero in totale rapporto dialettico l’uno con l’altro. Il primo è quello che spinge a favore di un atteggiamento di totale rispetto verso l’opera d’arte, che sia essa nella forma di frammento semplice/muto o di frammento di intero.

L’altro invece è quello che è volto ad assumersi l’iniziativa e la responsabilità di un intervento diretto a modifi care l’opera, sia dal punto di vista formale che materiale, al fi ne di accrescerne il valore espressivo e contribuire alla ‘liberazione della sua vera forma’, senza però, come detto, rischiare di scadere nel mimetismo, nell’ambientamento, nel banale bricolage o camoufl age à l’idéntique.

Messico, 1974. Quando si parla di reintegrazione dell’immagine si fa riferimento, inoltre, a tutti quei caratteri iconici e semantici dell’opera. Reintegrazione signifi ca creare una realtà viva, una testimonianza non più mutila di un passato. Per approfondire, cfr. Pareyson, L., (1974). Estetica. Firenze: n.s., pp. 41- 42.

40 C. Brandi offre un fondamentale contributo di Gestalt Psychologie, in cui dichiara che, quando ci

si trova davanti ad una lacuna, è necessario limitarsi semplicemente a favorire il godimento dell’opera senza aggiungere ulteriori integrazioni analogiche, che facciano nascere eventualmente il dubbio sull’autenticità dell’opera stessa. Per approfondire, cfr. Brandi, C., opera già citata, p. 149.

41 La lacuna, in quanto tale, rappresenta una interruzione del tessuto fi gurativo dell’opera. Quando essa

viene colmata emergono degli evidenti problemi percettivi. Se non è contenuta all’interno di parametri bene stabiliti, la integrazione della lacuna rischia o di perdersi all’interno della nuova fi gurazione, oppure di avanzare e diventare fi gura. In questo secondo caso, essa interferisce con l’altra fi gura che è quella vera dell’opera, che a sua volta tende a regredire a fondale. Il corretto equilibrio fra ciò che esiste, il frammento, e ciò che potenzialmente può esistere, l’integrazione, garantisce la continuità di lettura dell’opera. Le integrazioni devono essere, inoltre, in continuità con il passato e dal passato devono ereditare tutte quelle soluzioni ottimali per completare le lacune o provvedere a aggiungere ciò che il tempo ha inesorabilmente tolto. Per un approfondimento sull’argomento, cfr. Melico Vaccaro, A., (1989).

Archeologia e restauro. Milano: Il Saggiatore, p. 154.

42 A questo proposito si vuole riportare una considerazione di S. Settis, il quale si è spesso interrogato

su quali siano gli usi moderni dell’antico e su come la stratifi cazione si deposita sulle opere d’arte ‘originali’: ‘(…) un’opera d’arte prodotta secoli fa, non ci viene rivelata d’improvviso, ma ci è giunta, d’abitudine, dopo anni e generazioni, che l’hanno in qualche modo conservata, spesso alternandone l’immagine o inserendola in contesti ben diversi da quello per cui essa era stata concepita all’origine: strati di gusto, di mode o di interpretazione, si sono, ovviamente, frapposti fra il livello ‘originario’