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III_ I NTRODUZIONE METODOLOGICA ALLA R ICERCA

M ATERIALE DEL T EATRO

2.3 L E T ERRACOTTE DI A RGOMENTO T EATRALE DELLA C OROPLASTICA M AGNO G RECA : IL CASO DELLE M ASCHERE DI L IPAR

Quando si pensa al teatro antico e ai generi in esso rappresentati, sia che si faccia riferimento alla Tragedia, alla Commedia o al Dramma Satiresco, è impossibile immaginarlo senza far riferimento alla maschera. Essa, infatti, rappresenta, come detto nel paragrafo 2.1, un elemento organico e prioritario del teatro, fondamentale per la materializzazione e la manifestazione di un inedito dialogo immateriale tra un ‘Io personale e un’entità cosiddetta Altra’68.

Nell’area Mediterranea, uno dei centri più imporanti e attivi nella produzione

coroplastica di fi ttili di argomento teatrale di età magno-greca, è stata senza dubbio

l’isola di Lipari (fi g. 89).

Colonizzata dai Greci agli inizi del VI secolo a.C., Lipari (fi g. 90) rappresenta uno dei centri archeologici più importanti di tutta la cultura magno-greca, per via della sua posizione strategica all’interno dell’arcipelago eoliano, rotta di passaggio per fl otte di marinai, mercanti, artisti e poeti69. Durante il IV secolo a.C., l’alleanza con Siracusa,

ne aumentò ricchezza e potere in tutto il Mediterraneo Settentrionale. L’isola raggiunse il suo massimo splendore durante tutto il III secolo, fi nchè non fu distrutta dai Romani.

Dalle numerose necropoli urbane e dalle aree di discarica periurbane (fi g. 91), è emersa una quantità enorme di fi ttili di argomento teatrale: essa rappresenta una delle testimonianze dirette più imporanti per la conoscenza delle pratiche sceniche del mondo Greco. Dalle fonti scritte dell’Ingoglia70, si evidenza che i primi scavi

a Lipari si ebbero già nel XIX secolo, ad opera del Barone di Mandralisca71 e del

dott. Scolaci72. Il Bernabò Brea defi nisce questa stagione come ‘una impegnata e

68 Cit., cfr. Vernant, J.P., (1990). Figures, idoles, masques. Paris: Julliard, p. 90.

69 Per un approfondimento esausistivo sui principali eventi e fatti storici liparesi, cfr. Zagami, L.,

(1960). Lipari ed i suoi cinque millenni di storia. Messina: Tipografi a D’Amico, pp. 12-19.

70 Cfr. Ingoglia, C., (2007). La necropoli greco-romana di Lipari: storia degli scavi e prospettive di Ricerca. In Serra, F., Sicilia Antiqua, Pisa-Roma: n.s., p. 4.

71 Su questo argomento cfr. Spigo, U., n.s. Materiali per una storia degli studi archeologici nell’area dei Nebrodi e nelle Isole Eolie in Età Borbonica. In (a cura di) Iachello E., I Borbone in Sicilia (1734- 1860), Catania: Giuseppe Maimone, pp. 140-157.

72 Per un approfondimento sulle prime campagne di scavo archeologico condotte a Lipari, cfr. Tullio, Fig. 89: Lipari, ‘Marina corta,

notturno’, acquerello e china di B. Mezzapica.

intensa ricerca archeologica’73. Le ricerche passarono, da questa prima forma di

collezionismo antiquario, a indagini più scrupolose e scientifi che, che ne garantirono la catalogazione e, cosa ben più importante, la tutela. I nomi che si intrecciano alle sorti di questa produzione fi ttile, sono quelli di sir. James Stevenson, ricco industriale scozzese, e quelli degli archeologi Paolo Orsi, Luigi Bernabò Brea e Madalaine Cavalier. Il primo è legato alla storia di Lipari in quanto acquistò, nella seconda metà XIX secolo, molti territori delle isole Eolie, per l’estrazione di zolfo, al fi ne di alimentare le industrie chimiche di Glasgow. Durante una visita a Lipari acquistò dei corredi tombali nell’area della necropoli presso la contrada Diana (fi g. 92), dai quali emerse un notevole numero di reperti, tra cui un nucleo di ben diciotto mascherette di argomento teatrale appartenenti ai generi della Tragedia e della Commedia74, ora

divise tra i musei di Glasgow75, di Oxford e di Cambridge. A queste prime scoperte,

fecero seguito le altre campagne di ‘esplorazione archeologica’ dell’Orsi, sul fi nire degli anni Venti, mentre, a partire dalla fi ne della prima metà del XX secolo, Luigi Bernabò Brea e Madalaine Cavalie si confermarono protagonisti indiscussi della scena archeologica liparese.

Come ci informa il Crisà, gli scavi che si susseguono dal 194876 in poi interessano

estese aree demaniali e private di Lipari. Il particolare, l’area della necropoli, in contrada Diana, (fi g. 93) ma anche quella in contrada Monteleone, ha restituito un numero ingente di materiali classifi cati all’interno della produzione di coroplastica77

di argomento teatrale.

A., (2007). Gli scavi di E. Piraino di Mandralisca a Contrada Diana (Lipari). In ‘Sicilia Antiqua’, IV. Pisa-Roma, (2007), p. 16.

73 Bernabò Brea, L., (1949-1951). L’Athenaion di Gela e le sue terrecotte architettoniche, Ann. Sc. Arch.

Atene, XXVII-XXIX, p. 14.

74 Sull’argomento, cfr. Crisà, A., (2008). Maschere teatrali nella Sicilia settentrionale: tra collezionismo antiquario e ricerca archeologica. N.s.: Stratagemmi. Prospettive teatrali, n. 8, pp. 11-45.

75 Per un studio più approfondito sulle maschere liparote conservate presso il Museo di Glasgow, cfr.

Webster, T.B.L., (1969). The Stevenson Collection from Lipari: the terracottas. Glasgow: Scottish Art Review, p. 12.

76 Si deve a L. Bernabò Brea e M. Cavalier, il grande merito della catalogazione sistematica e

dettagliata, dal punto di vista descrittivo, del materiale archeologico rinvenuto. I reperti sono stati catalogati, infatti, quasi come se si trattasse di una vera e propria documentazione da giornale di scavo. e pubblicati, in seguito, nella collana di monografi e dal titolo Melingunìs Lipara, voll. II, V, VI, X e XI.

77 La coroplastica, in archeologia è la tecnica di lavorazione e modellazione della terracotta. Per

approfondire, cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/coroplastica/, consultato nel Febbraio 2017.

Fig. 90: Lipari, ‘Il castello’,

acquerello e china di B. Mezzapica.

Dal lavoro pressocchè cinquantenario di scavi, presso le necropoli dell’antica

Lipàra, a opera di Luigi Bernabò Brea e Madaleine Cavalier, è emersa una quantità

incredibile di piccole mascherette, indicate dallo stesso Bernabò Brea come terrecotte di argomento teatrale78.

Gli scavi sono stati condotti, quasi tutti, presso le necropoli greche e romane presenti a Lipari. L’isola, infatti, vantava una fra le più grandi necropoli dell’area siciliota e di tutta la Magna Grecia79.

‘Si tratta di oltre un migliaio, fra pezzi interi e frammentari, che riguardano tutti i generi della produzione teatrale greca vera e propria, dalla Tragedia alla Commedia Antica, passando dal Dramma Satiresco fi no alla Commedia Nuova di Aristofane; (…) tutto il mondo del teatro nella sua più vasta accezione’80. Tutto ciò rappresenta

la produzione artigianale di oggetti fi ttili di argomento teatrale (comprendente anche una certa quantità di pìnakes e di statuette) più vasta, più antica e più omogenea al mondo. A partire da essa è stato possibile tracciare uno studio stilistico e tipologico ben preciso, che mostra in maniera chiara ed evidente ‘l’evoluzione di tutta questa produzione cheratoplastica’81. La collezione copre circa due secoli e mezzo di

produzione artigianale. La datazione va, infatti, dalla prima metà del IV secolo a.C. alla prima metà del III secolo a.C., e cioè un periodo in cui erano ancora in auge le opere di Sofocle ed Euripide82.

Le mascherette sono state trovate quasi tutte nella zona della necropoli, in particolare in contrada Diana, spesso rinvenute a corredo (interno ed esterno) di tombe e

sarcofagi (fi g. 94), oppure all’interno di discariche. Secondo il Bernabò Brea, la produzione ceramico-plastica, che evidenzia dei sorprendenti parallelismi ‘di natura stilistica e iconografi ca con la ceramica dipinta coeva’,83 trova ragione di esistere

soprattutto se messa a confronto con il forte culto dionisiaco84, tanto presente e attivo

sull’isola eoliana.

Il dionismo, per tali ragioni, era celebrato ed esaltato attraverso una massiccia

78 Per approfondire, cfr. Bernabò Brea, L., opera già citata, pp. 12-13.

79 Le necropoli di Lipari sono le uniche sopravvissute alle razzie che hanno devastato e saccheggiato le

necropoli magno-greche in età post-imperiale. Esse, inoltre, furono estranee per molto tempo ‘ai circuiti del collezionismo antiquario’. Questo ne consentì una conservazione pressocchè intatta. Cfr. Spigo, U., (1998). Scavi e scoperte a Lipari nel XIX secolo. (A cura di) Mastelloni M.A., Messina: n.s., p. 14. 80 Cit., cfr. Bernabò Brea, L., (1981). Menandro e il teatro greco nelle terrecotte liparesi. Genova: Sagep Editrice, pp. 11-14.

81 Altri esempi di coroplastica teatrale si trovano, oltre che in alcuni centri greci, anche a Centuripe, a

Cefalù, e i già citati Glasgow, Oxford e Cambridge. Si hanno altre testimonianze conservate presso il

British Museum di Londra, presso alcuni musei di Berlino, presso il Louvre di Parigi, presso i Museo

archeologici di Napoli, Reggio Calabria e Siracusa.

82 I reperti provengono, in larghissima parte da indagini archeologiche di carattere stratigrafi co, le quali

hanno consentito di operare confronti cronologici piuttosto sicuri tra le maschere e i restanti materiali del corredo funerario, deposti contemporaneamente.

83

Per approfondire l’argomento relativo ai confronti stilistici fra la cercamica fi ttile teatrale e la produzione di vasi e anfore a fi gure rosse e nere che ricalcano gli stessi temi, cfr. Bernabò Brea, L., (1981), p. 7.

84 Il culto dionisiaco, poco evidente durante il V secolo a.C., ma sempre più fortemente radicato verso

la fi ne del IV, comportava il culto dei gélatai e degli òrgia, ovverosia iniziazioni e riti segreti in cui si consacravano offerte in onore di Dioniso. Parallelamente, queste pratiche avvenivano anche durante i festival e gli agoni teatrali.

Alla pagina successiva:

Fig. 91: planimetria

archeologica di Lipari in età greca.

Fig. 92: planimetria della contrada Diana (area della necropoli greca di Lipari), con indicazione della posizione delle trincee degli scavi 1950-1980 e delle fosse o discariche (A-H).

Fig. 93: Lipari, scavi degli anni

Cinquanta presso la necropoli di contrada Diana.

Fig. 94: corredo della tomba

406 con la maschera di Giocasta.

Figg. 95 a-b: (a) cratere a

calice, t. 974: Dioniso ebbro fra due menadi e satiro seduto, attribuito al pittore Asteas; (b) cratere con Dioniso e l’acrobata, Gruppo Louvre, presso il Museo Archeologico Eoliano, lato A del cratere n. 974, Gruppo Louvre, presso il Museo Archeologico Regionale di Lipari.

Fig. 96: statuette di argomento

teatrale di carattere comico, Museo Archeologico Regionale di Lipari.

Fig. 97: gruppo di maschere

della Commedia, Il giovane coi capelli ondulati, dalla tomba 576, Museo Archeologico Regionale di Lipari.

Fig. 91 Fig. 92

Fig. 93

Fig. 94

Fig. 97

produzione fi ttile: modellini in terracotta usati forse come ex voto85, e messi

all’interno delle tombe di personaggi illustri e non.

Doveva trattarsi, probabilmente, da una parte o della celebrazione ed espressione vivace di un culto funerario86 ben radicato, oppure, dall’altra, della testimonianza di

secoli di tradizione della cultura materiale del teatro. Questa produzione comprendeva crateri fi gurati (fi gg. 95 a-b), statuette di argomento teatrale (fi g. 96), pìnakes e, ovviamente, i modellini di maschere sceniche (fi g. 97).

Come ci informa il Vernant, il culto per Dioniso esprime il riconoscimento uffi ciale, in Grecia come in Magna Grecia, di una religione civica che, ‘per molti aspetti sfugge alla città stessa, la contraddice e la supera’87, operando una sorta di teatralizzazione

nuova della città stessa.

Dioniso, dio del vino, dell’ebbrezza, dio del ditirambo e del thìàsos, dio del teatro, delle eterne beatitudine del mondo ultraterreno, incarna perfettamente la cosiddetta fi gura dell’Altro88: egli è la maschera per eccellenza.

All’interno di questa atmosfera di culti misterici, le botteghe artigiane locali iniziarono a produrre89 spontaneamente, o molto più probabilmente ispirate da

prototipi direttamente importati dalla madre patria, un corredo di personaggi molto variegato dal punto di vista stilistico e tipologico. Tale corredo, di notevole livello artistico, si dispiega, come detto, per tutti i generi conosciuti dell’arte drammatica, ed è stato preso spesso come riferimento per colmare tutte quelle le lacune relative ‘alla documentazione del costume scenico’ di alcuni periodi bui dell’arte drammatica greca, come ad esempio, quello relativo agli agoni tragici90.

È straordinario pensare come questo tipo di produzione sia stato così vivace a Lipari, centro culturale in cui però, paradossalmente, non è mai stata trovata traccia di un teatro stabile91.

85 Un parallelismo moderno di queste suppellettili ittili, si può trovare nelle offerte fl oreali che oggi si

fanno ai defunti.

86 Maschera e morte sono, secondo il Pizzorno, in forte connessione fra loro. L’uso della maschera nei

culti funerari dei popoli mediterranei doveva avere, molto probabilmente, un signifi cato apotropaico: ‘(...) Si pensa il morto usasse quest’oggetto per spaventare i demoni, quando essi erano pronti a

molestarlo nel suo viaggio nell’oltre-tomba. Per approfondire, cit. cfr. Pizzorno A., opera già citata, p. 30.

87 Per un’interpretazione completa della connotazione del culto dionisiaco in Grecia e in Magna Grecia,

connesso al ruolo dell’imagérie teatrale, cfr. Bernabò Brea, L., (1981), opera già citata, pp. 21-27. Cfr. anche Green J.R., Theatrein Ancient Greek Society, London, (1994), in particolare p. 89 e sgg.

88 Cfr. Gernet L., Boulanger, A., Le genie grec dans la religion, La renaissance du livre, Paris, (1932), p.

43.

89

Non si può parlare a Lipari di una scuola uffi ciale di cloroplasti, poichè non sono state trovate le offi cine e le fornaci di produzione. Al contrario, la cronologia della ceramica policroma liparese, è ben defi nita e molto più documentata e ci testimonia che, certamente, dovevano esserci laboratori e fucine per questo tipo di produzione.

90 Come asserisce il Bernabò Brea, le maschere rappresentano una fonte di documentazione diretta

importantissima. Questo è dovuto al fatto che, fi no alla scoperta della produzione fi ttile, il solo

documento uffi ciale, che si riferiva ad esse in un periodo così alto, era il rilievo votivo del Pireo. In esso sono rappresentate maschere che hanno molte analogie tipologiche e stilistiche con quelle di Lipari.

91

Il teatro, ipotizzabile sulle pendici dell’acropoli fu probabilmente distrutto durante le fortifi cazioni spagnole a partire dal XVI sec. Qualora fosse esistito, esso doveva avere, forse, una struttura provvisoria lignea. Questo è confermato dal fatto che ad Atene, il primo teatro stabile in pietra appare sotto Licurgo, intorno cioè alla seconda metà dal IV secolo a.C., periodo in cui le maschere tragiche dovevano aver avuto una grande diffusione nell’isola eoliana. Per approfondire l’argomento, cfr. Chiabò M., Doglio F.

Il modello stilistico e tipologico della maschera, proveniente da Atene, centro per eccellenza delle ‘novità teatrali’, veniva trasmesso, quasi pedissequamente, in tutti i centri culturali del bacino del Mediterraneo92. Per tali ragioni, la soluzione

più conveniente sembrava quella di far viaggiare al loro posto, dei prototipi delle maschere vere, realizzate in terracotta e di scala ridotta. Questo avrebbe consentito, infatti, una trasmissione più snella, economica e veloce, e soprattutto di una quantità più ampia di soluzioni tipologiche, da adottare nel corso delle rappresentazioni. Le maschere, probabilmente, viaggiavano all’interno di casse di legno, assieme alla pièce dell’opera che doveva essere rappresentata93. Esse erano, poi, prodotte

all’interno di botteghe94 ad opera di abili artigiani, detti skeuopoiòi. Si trattava di

artisti dalle spiccate capacità scultoree, i quali, spesso, utilizzavano i prototipi greci semplicemente come spunti tipologici. A questi, essi aggiungevano altri caratteri ed elementi sulla base del proprio stile e della propria sensibilità artistica95.

Gli artigiani realizzavano le mascherette mediante la tecnica a matrice, semplice o doppia96 (fi g. 98). Lo scopo della produzione, cosiddetta à moulage, era quello di

(a cura di), Mito e realtà del potere nel teatro: dall’antichità classica al Rinascimento, Atti del convegno di studi, Roma, (1987-88), pp. 17-31. Cfr. anche Longo O., Teatri e theatra. Spazi teatrali e luoghi

politici nella città greca, Dioniso LVIII (1988) pp. 7-33, e, De Finis, L., La scena della città. Strutture architettoniche e spazi politici nel teatro greco, in Scena e spettacolo nell’antichità, Atti del Convegno

internazionale di studio (Trento, 28-30 marzo 1988), Firenze, (1989), pp. 23-41.;

92 ‘Gli esemplari creati dagli artigiani del Ceramico di Atene, dovevano essere largamente esportati e,

talvolta, addirittura meccanicamente riprodotti, traendo da essi nuove matrici, altre volte copiati a mano libera o in qualche modo imitati e variati dai cloroplasti locali’ come, ad esempio, quelli di Lipari. Le maschere vere erano molto ingombranti, diffi cili da trasportare e realizzate con materiali fragili come il legno, la cera, lo stucco e il lino, facilmente deperibili durante le fasi di trasporto’. Per approfondire, cfr. Longo F., La defi nizione di un ’nuovo’ spazio pubblico: l’Agorà del Ceramico da Clistere alla spedizione

in Sicilia, Atti del Convegno Internazionale, Atene, Tripodes, (2007), p. 25.

93 È impossibile pensare alla maschera come qualcosa di indipendente, secondario o accessorio rispetto

al testo. Dobbiamo piuttosto pensare che le maschere, così come i costumi, facessero parte integrante della pièce teatrale, allo stesso titolo del testo drammatico. Per approfondire, cfr. Vovolis T., opera già citata, p. 5.

94

‘A Lipari prosper, col tempo, a anche una industria fi gulina locale, basata su argille pregiate importate dalla vicina costa siciliana. (…) Sembra automatico che questo artigianato si fosse di buon ora accinto anche a compiti artisticamente più impegnativi, come la produzione appunto di ceramica fi gurata e la produzione cheratoplastica in gran parte rivolta a scopi funerari) dai cosiddetti skeuopoiòi. Questo termine è legato a quello di poiètès, già consultato da Aristotele nella Poetica. Entrambi termini sono costruiti dalla stessa radice poièin, che signifi ca allo stesso tempo ‘fabbricare, agire, essere effi cace’, ma anche ‘generare, creare, inventare’. Un traduzione possibile di skeuopoiòs è quella di ‘fabbricante di accessori’. Questa parola era strettamente legata a quella di poétés, cioè i poeti o creatori della tragedia. Pertanto, ciò dimostrerebbe che queste due attività erano certamente inseparabili per i greci, così come per noi contemporanei. Per appofondire cfr. Sifakis, G.M., The misunderstanding of

Opsis in Aristotle’s Poetics, pubblicato in Perfomance in Greek and Roman Theatre, Brill Leiden-Boston,

George W.M. Harrison, (2013), pp. 45-47.

95 A questo proposito bisogna fare un appunto doveroso: i prototipi che arrivavano da Atene, venivano

a volte copiati pedissequamente nei tratti principali, altre volte invece, veniva a evidenziarsi una certa originalità e indipendenza nei caratteri trasferiti alla matrice di origine. Questo era dovuto, probabilmente, al fatto che a Lipari, col tempo, la produzione coroplastica divenne sempre più importante, assumendo dei caratteri stilistici ben defi niti. Per approfondire, cfr. Portale, E. C., (2008).

Coroplastica votiva nella Sicilia di V-III secolo a.C.: la stipe di Fontana Calda a Butera. In ‘Sicilia

Antiqua’, Pisa-Roma.

96 Le opere derivanti da una produzione a matrice, come si vedrà in seguito, possono essere suddivise

per gruppi, serie, tipi e sotto-tipi. Questa prima e rudimentale classifi cazione, permette già di capire quali opere siano riportabili ad uno stesso artigiano, ad una stessa bottega o comunque stilisticamente legate fra loro. Per approfondire il tema dei prototipi e sulla produzione matriciale, vedi la classifi cazione

rendere l’oggetto prodotto, il più seriale e ripetibile possibile97. Le maschere erano,

forse, ricavate da due mezze forme: una per il volto (fi g. 99) e l’altra probabilmente per la calotta posteriore. Quest’ultima chiudeva la maschera come se fosse un elmetto o un moderno casco98. Proprio la presenza della calotta, dotata di una particolare

inclinazione (circa 30°) ad angolo ottuso (fi g. 100), all’altezza del mento e con i bordi leggermente smussati che ne agevolavano la vestibilità, ha portato il Bernabò Brea a valutare questi oggetti, da apparentemente semplici e banali ex voto99, invece,

a dispositivi dallo spiccato senso teatrale. Che le maschere fossero, anche, oggetti

ex voto – i cosiddetti chàristèria – lo si può ben notare dalla presenza di uno o più

fori di sospensione100 (fi g. 101), di grandezza variabile, posizionati sopra la fronte, in

prossimità delle chiome, o sulle tempie.

La tecnica della fabbricazione in serie (fi gg 102 a-b-c), permetteva di avere delle basi comuni, sulle quali poi, mentre la creta era ancora fresca, lo skeuopoios provava a cambiare, a stecca, i connotati stilistici e tipologici attraverso l’aggiunta di particolari o elementi accessori. Durante le fasi successive fasi di produzione, le maschere erano poi dipinte con pigmenti naturali, applicati su un’ingubbiatura di caolino bianco, a base gessosa e di origine locale. Per le maschere maschili veniva utilizzata una colorazione rossastra (fi g. 103), bruna e relativamente scura (o a volte veniva lasciato il colore di base del fi gulino), mentre per le maschere femminili si usava un colore più chiaro (fi gg. 104 a-b), tendente al roseo101. Una seconda cottura102 e l’applicazione di

uno strato smaltato rendevano brillanti le parti nude della maschera103.

Grande attenzione, era data anche alla trattazione delle chiome e delle barbe,

generalmente di fattura più opacizzata (fi g. 105). Quest’ultime, per quanto potessero

del Nicholls, (1952), p. 215; la classifi cazione delle terrecotte di Capua della Bonghi Jovino (1965), p. 16; del Croissant (1983), p. 9; di M. Barra Bagnasco (1986), p. 23. Per un approfondimento generale sull’argomento vedi Muller, A., (1997). Le moulage en terre cuite dans l’Antiquité. Création et

production dérivée, fabrication et diffusion, Villeneuve d’Ascq: Presses Universitaires du Septentrion,

pp. 451-456.

97

Per la configurazione peculiare dell’artigianato fittile, in riferimento ai procedimenti produttivi con impiego generalizzato di matrici, vd. Pautasso, S., (1966). Artisans, techniques de production

et diffusion. Le cas de la coroplathie. In ‘L’artisanat en Grèce ancienne’, n.s., p. 24.

98 Essendo dei prototipi, molte di queste maschere sono spesso aperte e non rifi nite, presentano cioè solo

un’ideale calotta a malapena sbozzata o, al peggio, assente.

99 Uno delle principali funzioni delle maschere è quella puramente apotropaico o terapeutico. Per

la problematica relativa all’analisi dei materiali votivi, cfr. Baumbach 2004, pp. 1-10 e pp. 175-193. L’equazione uniformità tipologica degli ex voto = uniformità di culto, è giustamente posta in dubbio dal Veronese, (2006), p. 85.

100 Probabilmente questa era una caratteristica delle maschere vere, le quali, una volta terminata la pièce teatrale, erano appese o collocate in armadi lignei, come è possibile vedere in alcune illustrazioni