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III_ I NTRODUZIONE METODOLOGICA ALLA R ICERCA

M ATERIALE DEL T EATRO

2.2 T EATRALITÀ E R ITUALITÀ DELLA M ASCHERA NELLA C ULTURA M ATERIALE DEL

TEATRO

Jacque Lecoq sosteneva che ‘(…) Non è possibile isolare la maschera da colui che la indossa e dallo spazio che la circonda’1: luoghi, spazi, artisti, attori, registi,

drammaturghi, artigiani, committenti. È impensabile poter parlare della maschera, senza far riferimento a tutto l’ambiente socio-culturale che le gravita attorno. Questi elementi contribuiscono, tutti, a costruire quella complessa macchina scenica che compone lo spazio del teatro e che detta la magia stessa della scena. Probabilmente più di ogni altro dispositivo scenico, la maschera, come la più totalizzante delle

Gestalt-Théorie, incarna e unisce tutte queste parti. Non è possibile, dunque,

sdradicare la maschera dal suo contesto, poichè essa vive proprio in simbiosi di quest’ultimo. Senza un palinsesto culturale forte, quale è appunto l’universo del teatro, la maschera ne uscirebbe svilita: essa si ridurrebbe a un banale guscio vuoto. Per tali ragioni, proporre una mera sequenza di tipi di maschere senza

contestualizzarle, senza un preciso sfondo, senza storicizzarle nel loro specifi co ambito teatrale di produzione, realizzazione e fruizione, si mostrerebbe un’impresa capziosa e controproducente.

In questa disamina sull’universo della maschera verrà dunque adottata un’ottica unitaria e globale, capace di affrontare il tema della maschera in base a vari punti di vista, e non solo secondo un approccio mono-direzionale di tipo storico-fi lologico. La storia dello spettacolo è, come più volte detto, storia comparativa e ’totale’, fatta di un complesso sistema di processi e relazioni. Essa, è storia di rapporti tra persone e persone, tra persone e istituzioni, tra persone, spazi e forme artistiche e culturali’2.

La maschera, in questa storia totale, diventa una sorta di diaframma che si interpone fra il teatro e tutto quello che gli ruota intorno, in un continuo gioco delle parti e degli specchi.

‘La maschera’, come asserisce J.P. Vernant ‘(…) è l’elemento che gioca con le apparenze, confonde le frontiere tra il fantastico della pièce, e il reale della scatola in cui questa magia si svolge’3. La maschera è dunque, per tale ragione, un

grande fi ltro catalizzatore, capace di avviare quel processo di distanziamento dalle situazioni funeste ed estreme di violenza, orrore, angoscia. Essa è utilizzata al fi ne di ‘controllare l’eccesso di verità nel processo di mimesi scenica4’, che avviene

durante la rappresentazione drammatica o teatrale in genere. La maschera crea una

1 Cfr. Lecoq, J., (1996). La geometria al servizio dell’emozione. In Maschere e mascheramenti: i Sartori

tra arte e teatro. Traduz. italiana (a cura di) Sartori D., Pizzi P., Padova: Il Poligrafo, p. 36.

2 Per una rapida trattazione sulla storia del teatro e le relazioni fra pubblico e scena, cfr. Mazzoni, S.,

(2003). Studiare i teatri. Un atlante iconografi co per la storia dello spettacolo. In Storia e storiografi a

del teatro. Catania: Cruciani ‘Culture teatrali’, p. 18.

3 Cfr. cit. Vernant, J. P., (2003). Mito e religione in Grecia Antica. Edizione italiana (a cura di) Di

Donato, R., Roma: Donzelli, p. 25.

4 Per un approfondimento sulla funzione catartica e apotropaica della maschera, durante il processo

di mimesi scenica, cfr. Calame, C., (1992). Smascherare con la maschera: effetti enunciativi nella

continua illusione e il suo carattere ubiquitario e doppio le permette di cercare un dialogo non sempre così scontato, mettendo in scena, si potrebbe dire, una iperbolica e paradossale ‘teatralizzazione del teatro’5.

La maschera rappresenta per il teatro, forse la più importante dialettica esistente fra nascondiglio ed esibizione6, paradosso costante in ogni azione teatrale7. ‘Non

esiste uno strumento, un’invenzione, una credenza, un costume o un’istruzione che manifesti in maniera così alta l’unità dell’umanità, più di chi porti una maschera o ne manifesti l’utilizzo’8.

L’universalità della maschera nello spazio, raddoppia, se si pensa alla sua universalità nel tempo e nella storia. Essa, infatti, appare già agli albori della nostra civiltà. I dipinti rupestri della preistoria l’attestano dalla fi ne del paleolitico, portata dallo stregone della Grotta dei Trois Frères (cfr. capitolo 1, paragrafo 1), con grandi corna e fattezze animali9. Ma è soprattutto nell’arte preistorica del Sud-Ovest dell’Africa (fi g.

63) e nel Centro e nel Sud dell’America10, che la maschera si diffonde largamente,

in un primo momento come opera d’arte rupestre, e in seguito come oggetto rituale, connesso al mondo dei defunti11.

In Grecia, l’uso della maschera a teatro (fi g. 64), a partire dal IV secolo a.C., è sempre stato legato al nome di Dioniso12: alla fi ne degli agoni teatrali, i drammaturghi

vincitori erano soliti offrire le maschere degli attori presso il tempio della divinità. Le maschere offerte, se non danneggiate, erano riutilizzate e riciclate per gli anni successivi13.

5 Questa espressione è contenuta in Sabbatici, D., (1965). Saggio sul misticismo greco. Roma: Edizioni

dell’Ateneo, p. 56.

6 Secondo questa dialettica, nella connotazione psicologicamente negativa della maschera, essa è da

considerare come ‘l’oggetto dietro cui normalmente ci si nasconde’. Al contrario, secondo la logica positivista e narcisistica, essa tenderebbe a rivelare, quasi in maniera voyeurista, la vera entità e natura della persona che nasconde. Per approfondire l’argomento, cfr. Pizzorno, A., (2001). Sulla maschera. Bologna, Il mulino, p. 43.

7 La maschera rappresenta uno degli ‘utensili’ più importanti della storia dell’uomo: essa è l’estensione

spaziale e diacronica delle azioni fi siche e spirituali dell’uomo. Questo suo panteismo e questa sua ‘totalità di luogoì, l’hanno resa un accessorio enigmatico, poichè a primo acchito non se ne riesce a cogliere immediatamente la destinazione d’uso. Per approfondire l’argomento, cfr. Vernant, J.P., (1970). Mito e pensiero presso i Greci: studi di psicologia storica. Torino: Einaudi, pp. 27-36.

8 Cfr., cit. Caillos, R., (1958). Les Jeux et les Hommes. Paris: Gallimard, p. 38.

9 Per un approfondimento sulla maschera della grotta de Trois Freres, cfr. Bedouin, J. L., (1998). Les masques. Paris: Presses universitaires de France, p. 99.

10 Nell’America precolombiana, le maschere apparivano durante cerimonie funebri. Esse erano molto

piccole, forse di ceramica, attaccate a mo di ex voto sui tessuti che avvolgevano le mummie peruviane. Per approfondire, cfr. Lévi Strauss, C., (1985). La via delle maschere. Trad. italiana (a cura di) Levi, P. Torino: Einaudi, p. 65.Cfr. anche Reichlen, P., nel Dictionnaire archéologique des techniques, tomo II, pp. 591-592.

11 Sull’argomento cfr. Ajjer, N., (settembre 1960). Découvertes de l’abbé Breuil en Afrique du Sud

in Jardin des Arts’, n°71, n.s.; Tschudi, Y., (1983). Le peintures ruprestres du Tassili. Baconniére: Neuchatel.

12 Come spiega il Vernant, non vi è la minima traccia, così in Attica come nella Grecia continentale, di

associazioni dionisiache private, legate al mondo del teatro e all’uso dei suoi apparati scenici. Queste pratiche erano sempre svolte in contesti rituali pubblici. Ad Atene erano moltissimi i festival e gli agoni in onore di Dioniso, celebrati solennemente per l’intera comunità. Si ricordano fra questi le Oschoforie, le Dionisiache rurali, le Lenee, le Anthesterie e le Dionisiache urbane.

13 Quando non erano utilizzate le maschere erano tenute appese e nascoste, conservate in teche apposite

Il dionisismo si confi gura in Grecia come una vera e propria religione a se stante, che si situa accanto alle altri religioni civiche. Una religione estatica e terapeutica, potremmo dire, in cui la maschera assume la funzione prosopopaica della divinità. Dio doppio e magico del teatro14, dio del vino e dell’ebbrezza, del ditirambo e dei

misteri conviviali, ‘Dioniso (fi g. 65 a) fa esplodere, rivelando’, ma allo stesso tempo nascondendo, ‘un altro aspetto del sacro, non più regolabile, stabile e defi nito, ma strano, inafferrabile e fuorviante’15. Quella di Dioniso è una celebrazione allusiva

e simbolica, aperta all’eccentricità e capace di perforare i confi ni misterici della religiosità greca, orientandosi verso territori prima di allora inesplorati, come appunto il mondo del teatro. Questo aspetto inafferrabile e fuorviante è la principale prerogativa della maschera, oggetto rituale e cultuale, dedicato e offerto alla divinità. Dioniso incarna l’essenza della rappresentazione e dell’istallazione dell’Altro16

(fi g. 65 b), e non è un caso che questo venga giustifi cato e autorizzato all’interno del teatro, cioè all’interno di uno dei dispositivi sociali di aggregazione e di partecipazione più forti e rappresentativi del mondo antico e contemporaneo. L’utilizzo della maschera a teatro riesce a far crollare tutte le defi nizioni e le norme convenzionali. Essa diventa il crocevia per la riunione di categorie concettuali molto spesso opposte. Nella maschera, infatti, il mondo della ragione converge con quello della follia, una collimazione triviale fra categorie molto lontane fra loro: il maschile e il femminile, l’héros e il thànatos, l’etica e il porno, la meditazione e l’estasi. Nel teatro, l’oggetto-maschera17 (fi g. 66) viene utilizzato per creare questa

vascolari, quando esse appaiono posate su un tavolo o su un altare, si tratta quasi sempre di una condizione provvisoria: una maschera che si sta lavorando, che deve esser indossata oppure che è stata appena tolta dal volto dell’attore. Per approfondire, cfr. Bernabò Brea, L., Cavalier, M., (2001). Maschere

e personaggi del teatro greco nelle terrecotte liparesi. Roma: L’ERMA di Bretschneider, pp. 18-19. 14 Il Dörpfeld è considerato il fondatore della teoria secondo la quale il teatro greco sarebbe nato da

una primitiva orchestra circolare con al centro l’altare di Dioniso (thymele), entro la quale si muoveva il coro inizialmente composto da satiri mascherati. Per approfondire, Mandruzzato, A., (2013). L’edifi cio

scenico nel teatro greco romano in Sicilia. Tesi di laurea in Scienze dell’Antichità, Dipartimento Culture

e Società, Università di Palermo, Palermo, p. 83.

15 Cit. cfr. Gernet, L., Boulanger, A., (1932). Le genie grec dans la religion. Parigi: La renaissance du

livre, pp. 10-15.

16 ‘Dioniso è il dio, che nell’eccitazione parossistica s’impadronisce bruscamente di te, ti spossessa di

te stesso, ti ‘cavalca’, e resta, perfi no in questo suo prender possesso, inaccessibile ed estraneo. (…) Egli incarna, nell’uomo come nella natura, ciò che è radicalmente ‘Altro’. Il latino ‘Persona habere’, indica letteralmente questa proprietà di conquista della maschera nel ‘rappresentare la parte di qualcuno’, e trasfi gurarsi in qualcos’altro. Tuttavia, come spiega Vernant, la nozione dell’Alterità è vaga e troppo vasta nella misura in cui i Greci l’hanno conosciuta e utilizzata. Non bisogna dunque parlare di alterità

tout court, ma è necessario distinguere e defi nire, ogni volta, tipi precisi di alterità, intesa come ciò

che è altro. A questo corrispondono delle tipologie precise di personae, e per estensione di maschere. Per approfondire questi argomenti, cfr. Vernant, J.P., (1987). La morte negli occhi. Figure dell’Altro

nell’antica Grecia. Bologna: Il Mulino, pp. 45-57; cfr. anche Wiles, D., opera già citata, pp. 237-260. 17

Come spiega il Pizzorno, la maschera è in primis una entità oggettuale e materiale, innata, fi ne a se stessa, compiuta e conclusa. Essa esiste già prima della sua messa in opera dell’uomo. ‘Materia non è soltanto la durezza o il colore, ma la rigidità, cioè il non mutamento nel tempo, l’identità della cosa a se stessa’. L’oggetto fabbricato, acquisterà la dignità di essere autonomo, umanizzazione della realtà naturale e sacralizzazione dell’atto produttivo umano, frutto di un atto creativo ‘alto’ d’impronta artistico-artigianale che ne detta l’essenza. Sul tema della maschera come essenza oggettuale e materiale cfr. Sartori, D., Lanata, B., con la collaborazione di Pizzi, P., (1984). Maschera e maschere, Storia,

morfologia, tecnica. Firenze: La casa Usher, pp. 12-20 e Sartori, D., (2002). La casa delle maschere. In

Fig. 63: esempio di maschera

africana della tribù dei Fang, molto diffusa presso le comunità del Cameroun, Guinea Equatoriale e Gabon, MAAOA, Musée d’art africains,

Océaniens, Amérindiens, Marsiglia. Fig. 64: maschere del teatro

greco (forse di servi). Rilievo con scena teatrale, Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Fig. 63 Fig. 64

Fig. 65 a Fig. 65 b

stratifi cazione dinamica di livelli, in cui l’uomo si fa dio e viceversa, scatenando il processo di spaesamento e di estraniamento. Le due fi gure, quella umana e quella divina, si sovrappongono in una festa orgiastica di mascheramenti e travestimenti: l’una penetra nell’altra, formando una terza nuova entità18.

A incarnare la fi gura del doppio e della possessione della maschera, è secondo il Vernant anche la fi gura della Gòrgone (fi g. 67), la quale si affi anca a quella di Dioniso. Essa rappresenta l’alieno, l’insolito, il doppio da sé, che è, in altre parole, la prerogativa principe della immedesimazione scenica dell’attore e sintesi del concetto più alto della maschera-tipo. Come pietrifi cato dallo sguardo della Medusa, l’attore si nasconde e si trasforma in qualcosa di irriconoscibile e di estraneo. La maschera lo possiede e gli permette di calarsi completamente nel personaggio, instaurando un duplice rapporto vis à vis, empatico e catartico, in primis con la maschera stessa, quindi con lo spettatore che osserva dall’esterno19.

Nel teatro greco, era fondamentale ricorrere a immagini immediate, facilmente riconoscibili e universalmente accettabili dalla comunità. L’immagine, al pari di oggi, era un veicolo di conoscenza utile a gerarchizzare le scene rappresentate e ad agevolare il pubblico alla comprensione dell’opera in corso. Per tale ragione, le maschere, in occasioni di teatro en plein air, dovevano essere in grado di mostrare dei tratti umani ben distinguibili e riconoscibili anche a grande distanza20 (fi g. 68).

La maschera è per questo motivo assume la funzione di una ‘teofania epifanica’, apparizione di un dio che può manifestarsi visibilmente. Lo spirito della divinità prende possesso dell’elemento oggettuale e diventa, a sua volta, supporto e veicolo per l’attore che la indossa. Durante questo invasamento, la maschera si sacralizza. L’attore smette di essere se stesso e si lascia guidare dal dio, che agisce per lui21,

esaltando quel rapporto dialettico fra individuo-portatore e cosa portata.

Nel vastissimo lessico greco e latino la maschera era indicate con una unica parola:

18 Nel mondo antico l’utilizzo della maschera non è una scelta individuale ma deve sempre far

riferimento a occasioni rituali o cerimoniali ben circoscritte, al termine delle quali si ha un ritorno ad uno stato di ‘normalità identitaria’, Lo Monaco, A., (2010). La maschera nel mondo antico tra scena e arredi

domestici. In (a cura di) La Rocca E., Il sorriso di Dioniso. Roma, Palazzo Altemps, Soprintendenza

Speciale per i Beni Archeologici di Roma, (Torino), pp. 103-126.

19 ‘(…) Portare la maschera è cessare di essere se stessi e incarnare l’Altro, per il tempo della

mascherata. (…) Per il gioco dell’incantesimo, colui che guarda è strappato a se stesso, privato del suo proprio sguardo, investito e come invaso da quello della fi gura che lo fronteggia, e che mediante il terrore causato dai suoi tratti mostruosi e dal suo occhio, lo possiede, in un rapporto vis à vis. E’ per tale ragione che la maschera della medusa è quasi sempre rappresentata frontalmente, e raramente di taglio o di tre quarti. Per approfondire, Vernant, J.P., opera già citata, p. 62.

20 Si ricordi che i teatri di Epidauro e di Dioniso, ad Atene, erano molto grandi e potevano ospitare

fi no a circa 15 mila spettatori. Inoltre la confi gurazione en plein air degli spettacoli greci e la notevole distanza, che allontanava gli attori dal pubblico, rendeva impossibile vedere da lontano la mimica facciale. Per questo, si rendeva necessario l’uso della maschera. Per approfondire l’argomento, cfr. Kontomichos, F., Papadakos, C., Geoganti, E., Vovolis, T., Mourjopoulos, J. N., (2014). Gli effetti

sonori delle antiche maschere teatrali greche, University of Patras. Cfr. anche Barthes, R., (1965). Le theatre grec. In ‘Ecrits sua le theatre’, Paris: Seul, p. 320. Sul teatro en plein air, cfr. Barthes, R, (1953). Poteri della Tragedia antica. Ora in (a cura di) Consolini, M., (2002). Sul teatro. Roma: Meltemi, pp.

53-54.

21 Cfr. su questo argomento Maquet, J., (1968). Dictionnaire de civilisation africane. Paris: F. Hazan, p.

72. Alla pagina precedente:

Fig. 65 a, b: lastra decorata su

entrambe le facce: su un lato forse Dioniso (a), con sullo sfondo un tripode con bacile a basso rilievo, sull’altro è scolpita la maschera dell’hegemòn theràphon (b), il servo principale. Museo Nazionale Romano in Palazzo Massimo, Roma.

Fig. 66: stele votiva rappresentante una processione sacrifi cale in onore di Dioniso e Artemide, per la vittoria di un agone teatrale, Glyptothek, Monaco.

rispettivamente pròsopon22 e persona23. L’uso metonimico di questi termini stava

ad indicare, simultaneamente, il viso, la faccia, il volto o l’aspetto umano (fi g. 69). Tuttavia, lo sviluppo semantico di queste parole, ha esteso il loro signifi cato anche ad altri concetti, rendendo possibile la traduzione in ‘personaggio’, ‘carattere’24, ‘ruolo

drammatico’, ‘tipo teatrale’, ecc.

Tuttavia, nel teatro la persona era anche altro. Essa era, in realtà, la maschera, l’elemento indistinguibile dal volto umano, senza nessuna distinzione concettuale fra l’immagine e la realtà. La maschera, secondo questa idea, indicava un’assenza risarcita dall’oggettualità materica del dispositivo scenico. Pertanto persona e maschera coincidevano, e coincidono ancora adesso.

La maschera è epifania del volto umano a seguito di un’azione tragica o drammatica, e traslarne il signifi cato a quello di rappresentazione o resurrezione. In molte culture, infatti, essa è usata per ovviare alla morte, per perpetuare le azioni dell’uomo anche nell’aldilà25. La maschera assume, dunque, per tali motivi, ‘un senso di continuazione

della vita, di passaggio e di partecipazione’26.

All’origine del dramma greco la maschera non esisteva, o per meglio dire, essa non era legata al mondo del teatro in maniera così immediata, come la intendiamo oggi. Con molta probabilità, il passaggio dai modi narrativi arcaici dei contesti rapsodici dell’epica, che escludevano l’uso della maschera, orale alle nuove specie poetiche

22 Il pròsopon è lo strumento primario per l’assunzione di un’identità diversa e autonoma da parte

dell’attore, quando egli si trasformava nell’eroe della realtà alternativa. Durante il periodo Classico, si usa la parola pròsopon per indicare contemporaneamente la maschera e la faccia umana. Questo approccio non cambia fi no alla seconda metà del IV secolo a.C., quando Teofrasto usò per la prima volta la parola pròsopeion, per descrivere una maschera o un personaggio teatrale.

Per approfondire le diverse declinazioni che questo termine ha avuto nel mondo greco cfr. Del Corno, D., (2000). Hall Expose by the mask. From and language in drama. London: Oberon books, in ‘Il Sole 24 ore’, 4 marzo 2001, p. IV. Cfr. anche Wiles, D., (1991). The Masks of Menander. Sign and Meaning

in Greek and Roman Performance. Cambridge: Cambridge University Press, pp. 22-24; cfr. Bettini,

M., (1991). Senza maschera né specchio: l’uomo greco e i suoi doppi. In ‘La Maschera, il doppio e il ritratto’. Roma-Bari: Laterza, pp. 131-158.

23 L’etimologia di questo termine deriva probabilmente dall’Etrusco phérsu, da qui la

parola ‘personare’ che signifi ca letteralmente ‘risuonare attraverso’. Il phérsu era propriamente il personaggio mascherato. È evidente il carattere di diaframma fra due entità, una concreta -

rappresentata dal volto -, l’altra più astratta - rappresentata dalla magia della scena -. Il termine persona dimostra ancora di più il contatto forte con le diverse sfumature psicologiche rappresentate proprio dalle maschere. Per approfondire l’argomento cfr. Guastella, G., (2005). Le maschere dell’identità secondo

Cicerone. In (a cura di) Profeti, M. G., La maschera e l’altro. Firenze: Alinea, pp. 18-21.

24 In società complesse come quella greca, ma in particolare modo per quella repubblicana e imperiale

romana, era determinante la suddivisione per tipi e caratteri sociali. Nel I libro del De offi ciis, ad esempio, Cicerone, ricorre insistentemente all’immagine della maschera per parlare dei ruoli imposti all’individuo sulla base della sua collocazione sociale all’interno della società romana. Cfr. G. Guastella, opera già citata e M. Bellincioni, Il termine ‘persona’ da Cicerone a Seneca, in G. Alleghri (et alii).

25 Si pensi ad esempio alle maschere funebri di età Micenea oppure ai riti funebri di età romana, durante

i quali attori professionisti venivano pagati per indossare maschere e per interpretare gli antenati della persona illustre defunta, fra canti, danze e cortei funebri. Durante queste cerimonie, l’uso delle maschere del defunto, realizzata con i calchi cera e indossate da comparse e dai familiari, aveva la funzione di pietrifi care e immortalare l’uomo, rendendo la sua immagine eterna. ‘Una fotografi a plastica preparata per l’indagine culturale’. Per approfondire cfr. Suoi, G.S., (2002). Impersonating the Dead, Mimesis

at Roman Funeralis. In ‘America Journal of Philology’, 123, 4, pp. 558-584. Sulle processioni e le

maschere funebri nell’Urbe, cfr. anche Dupont, F., (1991). Teatro e società a Roma. Roma-Bari: Laterza.

26 La maschera comincia là dove si abolisce la persona, o dove l’essere appare’, cit. cfr. Pizzorno, A.,

dei modelli drammatici, avviene solo nella metà del VI sec. a.C.27. Secondo Erodoto,

fu l’aedo Arione a dare ai primi cantori del ditirambo, un ‘mascherata’, dalle fattezze di satiro28. Questo evidenza il carattere di vicinanza e corrispondenza della tragedia29

con l’altro genere considerato ‘minore’, il Dramma Satiresco. In questi due generi si nota, sin dalle prime forme di rappresentazione, l’alternanza di cortei di uomini che