• Non ci sono risultati.

Da Capuana crispino a Capuana orfano di Crisp

CAPUANA, UN “POLITICO” DELL’ITALIA UNITA

III. 3 «È dunque un vano nome il tuo, Patria?»

III.4. Da Capuana crispino a Capuana orfano di Crisp

Capuana fu urtato dall‟ingresso di Francesco Crispi nell‟ultimo gabinetto di Depretis, nell‟aprile 1887: ritenne questo, infatti, un invischiamento squalificante in quella politica depretisina che tanto duramente lo scrittore esecrava.

Ma la condanna per la scelta politica di Crispi sarebbe in parte rientrata, di fronte alla prova di grandi capacità organizzative da lui data in occasione dell‟epidemia colerica che colpì la Sicilia dalla primavera di quell‟anno; prova che riguardava direttamente Capuana, in quel periodo nuovamente sindaco di Mineo e, quindi, nelle condizioni migliori per potere avere, da amministratore, piena cognizione della difficoltà della situazione e della

688 «La magniloquenza del vate risorgimentale, con le sue forme sonoramente inarcate, è ripresa in

chiave mimetica, muovendo movenze e ricalchi soprattutto da Giambi ed epodi […]» (A.M. Morace,

Capuana poeta, cit., p. 59).

689 Rispetto alla critiche mosse da Carducci nei confronti dei generi romanzo e teatro, la replica di

Capuana – che scriveva, idealmente, a nome dei veristi – era stata l‟ammissione di un rispetto certo dovuto al “vate”, «anche quando il suo sdegno generoso gli impedisce di osservar freddamente e giudicar con rettitudine» (L. Capuana, Per l'arte, Catania, Niccolò Giannotta Editore, 1885, pp. XIII-XIV); sarebbe stato però necessario che il poeta si volgesse indietro per ricordare la fatica delle sue prime prove letterarie e quindi giungere a chiedersi cosa gli dispiacesse del percorso, anch‟esso irto di difficoltà, intrapreso da altri.

690 Le critiche mosse da Capuana nei confronti del poeta toscano erano state tanto di natura artistica

che ideologica; Capuana condannava il fatto che Carducci fosse stato, in gioventù, «refrattario alla realtà che lo circondava. Il suo cuore, la sua mente erano invasati del passato. E l‟arte sua, nei concetti, nella forma, rispecchiava ideali che non potevano trovar riscontro nelle circostanze della vita» (L. Capuana,

Commemorazione di Giosuè Carducci, nota introduttiva di A. Di Grado, Catania, Società di Storia Patria per la

Sicilia Orientale Catania 1976, p. 49).

163

sua gestione, specie per la diffidenza radicata presso il popolo, portato a riconoscere nel governo il responsabile del contagio.692

Fu, quella difficile circostanza, anche la prima che Crispi si trovò ad affrontare da nuovo ministro dell‟Interno. Fino a febbraio Catania era stata risparmiata dal contagio, ma timori per una sua diffusione vi erano stati fin dal 1884 e ciò aveva causato un rallentamento dei traffici, specie con la Francia. A partire dalla tarda primavera dell‟87 la città venne finalmente colpita, nei suoi quartieri più poveri e popolati, dall‟epidemia.693

Quando l‟infezione aveva fatto la sua comparsa, alla fine dell‟inverno precedente, il governo – dove ancora c‟era il segretario generale all‟Interno Morana – aveva ordinato i provvedimenti soliti, adottati già anni prima, cioè l‟isolamento delle città per mezzo dei cordoni sanitari e della quarantena, che erano provvedimenti, però, sempre duramente criticati tanto dal municipio quanto dalla Camera di Commercio, preoccupati dei prevedibili riflessi sull‟andamento economico e commerciale. In ogni caso, le contumacie erano durate poco: già ad aprile – ridottosi significativamente il numero di morti causate dal morbo – erano state infatti tolte. Tuttavia, con l‟arrivo dei mesi caldi, l‟epidemia non tardò a ripresentarsi, facendo scattare l‟emergenza.

In quel momento, a capo della prefettura era il commendatore Gustavo Millo, del tutto privo dei tratti decisionisti che sarebbero stati necessari date le circostanze; la stessa amministrazione conosceva una crisi fortissima, che finì con il portare addirittura alla fuga dei notabili, cosa per cui veniva sciolto il Consiglio comunale: la città passava nelle mani di De Felice, che già nei mesi precedenti aveva prestato soccorso alla popolazione in difficoltà, di cui quindi era diventato punto di riferimento.

Crispi, da poco ministro dell‟Interno, non poteva ovviamente permettere la latitanza delle istituzioni pubbliche: aveva allora nominato delegato straordinario della città Camillo Finocchiaro Aprile, suo caro amico, e nuovo prefetto Vincenzo Colmayer, ex

692 Capuana riferiva del ritorno del colera e delle preoccupazioni che comportava a De Roberto, già

nel marzo 1887: «Mineo, in verità, è un paese eccezionale: qui né suffumigi, né nulla. […] Avevo da un mese abbandonato le funzioni di Sindaco, ma al primo annunzio del pericolo son tornato al mio posto. Il popolino dice che io ancora non mi sono voluto firmare per far spargere il colera, ma crede però che un giorno o l‟altro dovrò cedere. C‟è anche chi crede io abbia già ceduto e che si attende solamente che sian terminati certi lavori campagnoli per cominciare lo spargimento del veleno. Preparati una bella orazione funebre, se mi ammazzano come pubblico avvelenatore. Non si sa mai!» (L. Capuana a F. De Roberto, 18-03-1887, in Capuana e De Roberto, cit., p. 200). Allo stesso modo aveva detto a Neera, in quei giorni: «[…] io sarò sulla breccia, e senza speranza che il popolino di qui me ne sappia essere grato, perché il popolino crede che sia il sindaco quello che è incaricato di spargere il veleno dal governo» (L. Capuana a Neera, 1887, in C. Di Blasi, Luigi Capuana. Vita, amicizie, relazioni letterarie, cit., p. 296). È interessante notare, di là dei dati storici offerti, il ruolo di cui si sente investito lo scrittore-sindaco, specie nei confronti di quel popolo a cui si riferisce con un diminutivo che ha in sé un chiaro valore ideologico: palesa infatti il suo giudizio critico nei confronti dei pregiudizi del popolo, frutto della sua ignoranza.

164

questore di Napoli. Il nuovo prefetto si preoccupò subito di adottare le necessarie misure igienico-sanitarie, di riorganizzare i soccorsi e coordinare la forza pubblica per mantenere la calma fra la popolazione più colpita; i sindaci che erano fuggiti vennero destituiti.

Crispi, per parte sua, da ministro dell‟Interno, adottò una nuova strategia di lotta per contrastare il colera. Contrario alle contumacie, eseguite invece dal governo nell‟85, diede ai prefetti dell‟isola delle istruzioni ben precise, che prevedevano la distruzione della biancheria e degli effetti degli ammalati e soprattutto il controllo delle acque e delle fogne, perché si puntasse a estinguere il male; ai comuni siciliani estese la Legge speciale per Napoli,694 con la quale veniva chiesto alle amministrazioni di procedere al

risanamento, attraverso le demolizioni e avviando provvedimenti che imponessero ai proprietari l‟obbligo di bonificare e trasformare igienicamente le loro abitazioni: il municipio doveva assolutamente impedire che venissero abitate case malsane.695

Capuana, che aveva scelto di assumere nuovamente la guida del proprio paese natio in un momento tanto delicato, sentendolo proprio dovere, visse in modo diretto – come già detto – i problemi relativi alla complicata gestione dell‟emergenza colerica, per quanto non potesse non ammettere l‟eccezionalità del proprio paese:

Qui non cordoni sanitari, non suffumigi, nulla. Il popolo è fenomenalmente tranquillo. […] Si parla del colera come di una trista possibilità, anzi come di una inevitabile certezza, ma si ha fiducia nel clima dolce e si spera che, come nelle precedenti invasioni, il colera farà qui (se la farà) una visita diremo così di pura formalità. Come Sindaco, te lo giuro, sono proprio superbo dei miei amministrati; e se do un‟occhiata ai paesi vicini, trovo i miei amministrati addirittura sublimi!696

Ma, a distanza di una sola settimana, nello scrivere a De Roberto, i toni erano già cambiati; a esasperarlo era l‟improvvisa richiesta – da parte di quegli amministrati che tornavano a essere il «popolino» – dei cordoni fino a quel punto non avuti nel paese: «Se ho perso la testa? Sfido io a non perderla con tutte le stupidaggini a cui debbo dar retta

694 La Legge speciale per Napoli, del 1885, impegnava lo Stato a un intervento straordinario (100

milioni ottenuti mediante emissione di titoli speciali di rendita), per l‟esecuzione di tutte le opere contenute in un piano di risanamento elaborato dal Comune. L‟insufficiente esame dello stato di fatto e l‟assenza di obiettivi a lunga scadenza di questo piano, tutto teso alla realizzazione di operazioni di primo intervento e di emergenza, ne determinarono, in ogni caso, il modesto successo proprio nei riguardi del miglioramento delle condizioni insediative.

695 Questo era previsto dagli articoli 16 e 17 della legge per il risanamento di Napoli. Su tutta la

questione, cfr. G. Astuto, Sicilia e il crispismo, cit., pp. 175-181.

165

nella mia infelice qualità di Sindaco! Il popolino vuole il cordone, dopo che i paesi attorno hanno dato il cattivo esempio […]».697

Ad agosto, ancora a Verga riferiva del miglioramento delle condizioni generali nel paese, dove si era molto ridotto il numero di morti; al contempo dimostrava, però, uno stato di esasperazione e stanchezza, dato dalle difficoltà di applicazione dei provvedimenti governativi – come la soppressione dei cordoni – per il loro non essere ben visti dalla popolazione: ciò determinava situazioni difficilmente gestibili e rispetto alle quali l‟amministrazione avrebbe voluto una maggiore comprensione da parte del governo:

Come Sindaco, non ne posso più! Quasi non fossero sufficienti le rotture di scatole del pubblico che ci dice avvelenatori, ecco le rotture di scatole delle disposizioni governative che esauriscono ogni umana pazienza. Ieri l‟altro scrissi al Sottoprefetto una lettera che deve averlo fatto saltare in aria e gli mandai, insieme colla Giunta, le mie dimissioni dicendogli (parole testuali) che è un peso troppo grave per le nostre spalle quello della doppia responsabilità, contraddittoria, verso il governo e verso il pubblico. Non ha ancora risposto: credo abbia consultato il Prefetto. In ogni caso son contento di aver mostrato ai signori del Governo che non tutti i sindaci sono dei sindaci di villaggio, dei caproni.698

Quelle dimissioni – che avevano avuto uno scopo più che altro minatorio – non arrivarono in porto, come lo scrittore e sindaco fece sapere all‟amico la settimana seguente:

Sono ancora Sindaco… avevo previsto la botta, e le nostre dimissioni erano date in modo da salvare anche l‟onore. Qui non c‟è più cordoni di sorta. Ma temo che Crispi abbia fatto una grossa sciocchezza. […] Bisogna concedere qualcosa all‟asineria popolare. Una circolare non muta di punto in bianco uno stato di cose troppo vecchio e incancrenito. Fortuna che Mineo è un paese eccezionalmente mite!699

Interessante il riferimento a Crispi, da pochi giorni diventato presidente del Consiglio: è probabile la critica che il sindaco di Mineo gli muoveva derivasse dal timore

697 L. Capuana a F. De Roberto, 31-07-1887, in Capuana e De Roberto, cit., pp. 232-3. 698 L. Capuana a G. Verga, 09-08-1887, in Carteggio Verga-Capuana, cit., p. 275. 699 L. Capuana a G. Verga, 16-08-1887, ibidem.

166

delle conseguenze che quelle scelte – specie quella di sospensione delle contumacie, che pure Capuana per primo condivideva pienamente – avrebbero potuto comportare, soprattutto in termini di tensioni fra la popolazione.

Quali che potessero essere ancora le perplessità o le critiche mosse verso Crispi, restava in ogni caso il fatto che questi era riuscito a dimostrare le proprie doti da leader, il forte decisionismo e la natura volitiva di fronte all‟urgenza del risanamento dei centri urbani. Ed era pronto ad ammetterne e a esaltarne i meriti, solo pochi anni dopo, lo stesso Capuana, ormai convintamente crispino e, quindi, pronto a rinnegare le sue perplessità del passato, specie in un momento in cui si era radicata in lui la convinzione che, con lo statista, veniva a essere vilmente attaccata l‟intera Sicilia. E, allora, Crispi diveniva colui che, solo, era stato in grado di imporre «il coraggio collettivo» ai siciliani, fra i quali era ancora vivo il ricordo della «violenza della forza adoprata a sproposito»700

nei loro confronti. E i siciliani – «malgrado la divinazione della natura contagiosa del male, e la certezza dell‟assoluta inefficacia dei rimedi della scienza» – avevano «risposto con l‟obbedisco di Garibaldi», ipnotizzati come se quell‟ordine fosse venuto da una divinità, dato che «né la scienza, né la prudenza, né niente [avrebbe potuto] giustificare»701 quanto accaduto.

La stima per l‟uomo capace di assumere posizioni antidemagogiche era diventata piena ammirazione per il suo carisma, la sua energica determinazione: il pamphlet di Capuana del 1892 dava allora prova della compiuta fascinazione subita dallo scrittore. Questi non poteva non riconoscere come, rispetto a governi incapaci di prendere provvedimenti adeguati in Sicilia perché non ne comprendevano le dinamiche, andando incontro, in tal modo, anche a gravi equivoci, Crispi, proprio perché «siciliano dei più autentici e deputato di Palermo», era stato nelle condizioni di poter «denunci[are] al potere giudiziario e sgomin[are] senza i soliti falsi riguardi all‟onore e la dignità governativa».702

La polemica rivendicativa di cui è nutrita la scrittura della Sicilia e il brigantaggio si fonda su una evidente matrice crispina: lo scrittore, da siciliano che aveva percezione di una “sicilianitudine” offesa, muoveva una sentita critica contro i preconcetti di cui riteneva intriso il giudizio del resto d‟Italia nei confronti della Sicilia; preconcetti che

700 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, in L‟isola del sole, introduzione di N. Mineo, Caltanissetta,

Edizioni Lussografica, 1994, p. 98. Nelle pagine immediatamente precedenti, lo scrittore ricordava i tragici eventi del ‟66, che i siciliani non potevano dimenticare per la loro gravità e gratuità, quando si erano trovati a essere trattati come fossero selvaggi (cfr. ivi, pp. 97-8).

701 Ivi, p. 98, passim. 702 Ivi, p. 94, passim.

167

riguardavano l‟Isola ma che avevano finito con l‟interessare – per quella che Morace ha definito una «sovrapposizione assimilante»703 – i giudizi intorno alla classe dirigente

siciliana e Crispi nello specifico, che di quella era il più illustre rappresentante. Capuana vedeva infatti nella lotta che via via venne sempre più tenacemente intentata contro lo statista siciliano il tentativo settentrionale di emarginare la Sicilia e il suo ceto dirigente, di fatto sempre più ai vertici dello Stato in quegli ultimi anni.

I meriti di Crispi emergevano anche dal confronto, risultante antitetico, con ciò che l‟Italia era stata ed era sotto i governi di Giovanni Giolitti e di Antonio Starabba di Rudinì: se, con costoro, gli stranieri erano stati messi nelle condizioni di potersi prendere gioco degli italiani per l‟adozione di una politica estera di basso profilo, giudicata addirittura vile dallo scrittore, così non era stato con Crispi, grazie al quale l‟Italia era riuscita a essere una nazione in cui erano diventati importanti e degni di stima esercito e marina e in cui soprattutto, con la formazione della colonia Eritrea, aveva preso concretezza il mito nazionalistico ed espansionistico del secondo Risorgimento:

E vorremmo che essi, stranieri che non sanno né possono perdonarci il nostro secondo Risorgimento con la nazionalità riconquistata, l‟importanza del nostro esercito e della nostra marina, oggi garanzia di pace all‟Europa e domani strumenti non spregevoli di difesa e di offesa; vorremmo che essi fossero più giusti, più caritatevoli di noi, e che non ci agitassero continuamente davanti agli occhi lo spauracchio dei loro articoli […].704

All‟orgoglio nazionalistico si accompagnavano toni acremente xenofobi rivolti contro stranieri malevolmente pronti ad avallare il giudizio – diffuso anche tra gli italiani ma qui spesso frutto di «ignoranza enorme, buona fede quasi minchiona, indignazione ridicolmente inopportuna» – di una Sicilia «strana, fantastica, difforme dalla realtà» e, per questo, oggetto di attenzione e forte condanna; ma la medesima condanna non era perdonabile agli «stranieri nostri vicini» per l‟evidenza del loro «deliberato proposito di screditare e di calunniare gli italiani, sia per antica e inveterata abitudine, sia per non meno antico, inveterato astio politico».705

La posizione qui assunta dallo scrittore era effetto della politica di odio contro gli stranieri e, più in particolare, contro i francesi, avviata proprio da Crispi, con l‟intento di

703 A.M. Morace, L'Apoteosi crispina di Capuana, cit., p. 283. 704 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, cit., p. 103.

168

ricavare – presso una popolazione deviata su posizioni di forte diffidenza e sospetto nei confronti dell‟esterno – un più ampio consenso alle proprie politiche repressive interne.

Inquadrate in questo clima di tensioni e diffidenze politiche, evidentemente fatte proprie da Capuana, si possono meglio comprendere le affermazioni, cariche di livore, che caratterizzarono i suoi scritti a partire dagli anni Novanta e lo stesso affievolimento del suo europeismo culturale. Quest‟ultimo si palesava, ad esempio, in testi come le dodici poesie Istantanee,706 del 1894, che, rispetto ai precedenti Semiritmi, del 1888 – con

cui Capuana aveva spiccato quale fine sperimentatore in versi – presentava un «riflusso su posizioni di tradizionalismo metrico-culturale»707 corrispondente a un suo più

generale irrigidimento ideologico. Ma, più ancora che per il ritorno a forme metriche tradizionali, è quanto lo scrittore dice negli “Ismi” contemporanei708 a dare la misura della

volontaria chiusura critica, a tratti dai toni quasi “reazionari”, nei confronti della stessa letteratura europea, e francese soprattutto, e delle loro più avanzate sperimentazioni, a cui si contrapponeva un orgoglio nazionalistico sempre più insistito e che finiva con il coinvolgere, appunto, anche la letteratura.709

Ciò si coglie a partire da quanto egli scriveva nella sua Prefazione o quasi… agli “Ismi”, dove riproponeva il dialogo avvenuto tra due avventori di un caffè intorno al bilancio letterario dell‟anno 1896. Uno dei due – chiaramente l‟alter ego del narratore – riconosceva con amarezza il pregiudizio di cui riteneva vittima la letteratura italiana rispetto a quella francese, essendo ritenuta quella, quasi per partito preso, noiosa e di poco conto; ma, in un non lontano avvenire, si sarebbero presentate condizioni favorevoli a che la letteratura italiana potesse tornare a occupare il posto di assoluto rilievo conosciuto durante il Rinascimento, quando «la letteratura europea era quasi tutta italiana, forse più che non sia oggi europea la francese».710

706 L. Capuana, Istantanee, in «Tavola Rotonda», 1892 (pubblicate sfruttando l‟anonimia); poi riproposte

in un cadeau per nozze offerto da Capuana a Pirandello (gennaio 1894); ora in Appendice a A.M. Morace, «Le istantanee» di Capuana in «Annali della Fondazione Verga», Catania, 1993. Il critico ha ricostruito la vicenda testuale dell‟opera e la tortuosa vicenda del ritrovamento e delle successive pubblicazioni delle poesie.

707 A.M. Morace, Capuana poeta. Tra ritmi e semiritmi, in «Annali della Fondazione Verga», Catania, 1999,

p. 67. In questi testi poetici, Capuana si dilettava nell‟utilizzo di preziosismi metrici che risultavano essere apertamente in contrasto con la rottura degli schemi che aveva rappresentato la cifra della precedente raccolta.

708 L. Capuana, Gli „ismi‟ contemporanei: verismo, simbolismo, idealismo ed altri saggi di critica letteraria ed artistica,

Catania, Giannotta, 1898; ora a c. di G. Luti, Milano, Fabbri, 1973

709 Cfr. Luti, G., Posizione e significato degli “Ismi” contemporanei, introduz. a L. Capuana, Gli “ismi”

contemporanei, Milano, Fabbri, 1973, p. 3 e sgg.

169

Di fronte all‟accusa dell‟amico di non fare i conti con la realtà delle cose, la risposta data dall‟uomo-Capuana rendeva evidente come il riferimento alla pusillanimità italiana coinvolgesse ogni ambito, compreso quello politico: «È questo appunto il male: il non avere più illusioni di sorta, in politica, in arte, in ogni cosa, se pure si debbano chiamare illusioni le aspirazioni all‟ideale».711 Più avanti riportava dunque delle parole lette tempo

prima:

“Un popolo che ha confuso la sua storia con quella del mondo […] oppresso, deriso, umiliato, trova in sé tanta forza da ridiventare nazione […] questo popolo che resiste alla cattiva fortuna, agli errori e alle inesperienze della sua vita politica, sarebbe dunque un‟effimera apparizione nella storia contemporanea, senza una ragione, senza uno scopo? […] Verrà di nuovo l‟ora sua. E di nuovo, nell‟avvenire (vicino o lontano, che importa?) quel che di civile, di santo e di pio avranno il vecchio e il nuovo mondo sarà soltanto italiano, come una volta fu romano”.712

Il cliente del caffè concludeva ribadendo l‟assoluta importanza giocata dalla letteratura nella vita di una nazione, che era come riconoscere la centralità stessa dei suoi autori.

Non si discostava molto da questi pensieri Capuana nel redarguire Ugo Ojetti, accusato di avere detto della letteratura italiana ai francesi – attraverso la «Revue de Paris» – nello stesso tono superficiale e inesatto che avrebbe potuto usare un francese «della più bell‟acqua», e aveva sardonicamente aggiunto:

Immagino che, gratissimo dell‟ospitalità accordatagli, l‟Ojetti abbia voluto comportarsi verso quei signori con straordinaria cortesia, e sapendoli d‟una ignoranza

a tutta prova riguardo alle cose straniere, ha avuto la compiacenza di mettere anche lui