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IL PROCESSO PALIZZOLO OVVERO DELLA SICILIA OFFESA: DALL’ISOLA DEL SOLE AL COMITATO «PRO SICILIA»

IV.1. Il processo Palizzolo

La sera del 1.° Febbraio 1893 in un vagone di 1ª classe nel tratto della ferrovia Termini-Palermo […] venne barbaramente assassinato il Commendatore Notarbartolo.

Le eccezionali qualità morali dell‟uomo – era notissima la sua rettitudine – la sua posizione sociale, le cariche elevate ch‟egli aveva occupato; tutto contribuì a far sì che il doloroso avvenimento destasse una profonda impressione nel paese. Nell‟intera Italia e specialmente in Sicilia si levò un grido d‟indignazione […]. Si pensò alla vendetta; ed era logico pensarvi perché la grande severità del Notarbartolo nella sua qualità di amministratore della Casa di S. Elia e di altre case patrizie e di Direttore del Banco di Sicilia aveva potuto riuscire a ferire molti interessi e molte suscettibilità.

Era il tempo dei grandi scandali bancari in seguito alla denunzia da me fatta il 20 Dicembre 1892 degli imbrogli colossali della Banca Romana; in Palermo e in tutto il regno, perciò, ad una voce si mise in rapporto l‟assassinio del Notarbartolo con criminose responsabilità bancarie di vari uomini politici.747

È questo quanto, nel 1900, l‟intellettuale e deputato Napoleone Colajanni scriveva, a

incipit del pamphlet con il quale si proponeva di affrontare e denunciare – per mezzo della

sua ideologia progressista748 – la questione del fenomeno mafioso, proseguendo, al

747 N. Colajanni, Nel Regno della Mafia (Dai Borboni ai Sabaudi), Palermo-Milano, Sandron, 1900, ora in

ristampa anastatica con introduzione di D. Pompejano, Soveria M. (Cz), Rubbettino, 1984, pp. 7-8.

748 Cfr. M. Ganci, Cultura progressiva e tendenze conservatrici in Giuseppe Pitrè, in AA.VV. Pitrè e Salomone

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contempo, una sua analisi generale delle piaghe della nazione e, soprattutto, della Sicilia749 dell‟epoca.

Nel regno della mafia, significativamente, nasceva sull‟onda emotiva dell‟esito del

processo – svoltosi presso la corte d‟Assise di Milano – contro i presunti assassini di Emanuele Notarbartolo. In quel processo, che si era aperto nel 1899 dopo essere stato sottratto alla magistratura di Palermo,750 il figlio di Notarbartolo, Leopoldo, aveva

denunciato, quale mandante del delitto del padre – potendo contare su molti testimoni – don Raffaele Palizzolo. Dal dibattimento processuale, che era stato trasformato in chiara accusa contro il mandante politico dell‟assassinio di Notarbartolo, risultò evidente che:

polizia, magistratura, autorità altissime di ogni genere prese nel loro insieme tutto fecero per riuscire all‟impunità del presunto reo, per deviare la giustizia dalla scoperta della verità! […]. polizia e magistratura pur essendo convinte che in Palizzolo era da ricercarsi il puctum saliens del processo cooperarono efficacemente per metterlo fuori quistione [...].751

Il processo di Milano finì con l‟essere, di fatto, come precisa Renda:

una sorta di palcoscenico nazionale sul quale [vennero] spietatamente messe a nudo la mafia palermitana ma più ancora il modo di far politica della classe dirigente siciliana.752

749 Colajanni – che della Sicilia e dei suoi problemi fece uno dei punti fondamentali della sua

riflessione – mantenne sempre densi contatti politico-culturali con l‟isola, anche dopo la sua elezione a deputato (cfr. M. Ganci, Cultura progressiva e tendenze conservatrici in Giuseppe Pitrè, in AA.VV. Pitrè e Salomone Marino, Palermo, S. F. Flaccovio, 1968, p. 204). L‟interesse per le questioni siciliane fu poi di certo alimentato durante la sua direzione, tra il 1891 e il 1892, dell‟«Isola», quotidiano su posizioni democratiche, che si faceva sentire per la sua forte denuncia del malcostume politico, amministrativo e finanziario. Il giornale era sostenuto finanziariamente da giovani studenti, intellettuali progressisti e anche da operai, mossi da esigenze di rinnovamento morale e civile della società italiana in generale e, soprattutto, di quella siciliana (fra i finanziatori principali, vi era Alessandro Tasca di Cutò). Dalle colonne del giornale Colajanni lanciava i suoi strali in particolar modo contro la classe dirigente siciliana, colpevole di un conservatorismo politico e sociale tale da condannare a un pericoloso immobilismo e da agevolare, se non addirittura da favorire, gravi legami con la mafia (cfr. S. M. Ganci, Introduzione a Democrazia e

socialismo in Italia. Carteggi di Napoleone Colajanni: 1878-1898, a c. di S. M. Ganci, Milano, Feltrinelli, 1959,

pp. XLIV-XLVI).

750 Per tutto il periodo 1892-98 le indagini giudiziarie erano state di basso profilo ed erano state

sempre volte «a scagionare il presunto mandante politico dell‟assassinio, limitandosi a scoprire e a rinviare a giudizio solo i presunti esecutori materiali del delitto» (F. Renda, Storia della mafia, Palermo, Sigma Edizioni, 1998, p. 146).

751 N. Colajanni, Nel Regno della Mafia (Dai Borboni ai Sabaudi), cit., pp. 9-10.

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Nel pomeriggio dell‟8 dicembre le comunicazioni telegrafiche tra la Sicilia e il continente vennero interrotte per parecchie ore per volontà del Presidente del Consiglio Pelloux, perché proprio quel giorno la Camera dei Deputati stava decidendo se dare o meno l‟autorizzazione a procedere contro il deputato Raffaele Palizzolo e non si voleva che questi potesse ricevere notizia della sua eventuale condanna tanto presto – grazie alle comunicazioni telegrafiche dei suoi uomini – da poter organizzare una fuga.753

L‟autorizzazione a procedere alla fine fu data: Palizzolo veniva così immediatamente arrestato: «i giornali di tutta la penisola riportarono vistosamente la notizia dell‟arresto. I legami tra mafia e politica cominciavano a trasparire».754

Durante la sospensione del processo e con l‟apertura di una nuova istruttoria a Palermo, Palizzolo e i suoi avevano avuto modo di tramare contro il regolare corso della giustizia, facendo sì che si accreditasse la tesi del complotto socialista e si alimentassero gli «stereotipi sicilianisti»,755 quelli cioè del presunto attacco razzista contro l‟isola da

parte dei giudici milanesi.

Quando in autunno si giunse al momento di chiudere l‟istruttoria, con un palese gesto di autorità, il procuratore generale della Corte di Appello, Cosenza – nel tentativo disperato di invalidare le risultanze del processo milanese – avocò a sé tutti i diritti processuali per cercare di far assolvere Palizzolo per insufficienza di prove e, in una lettera al ministro di Grazia e Giustizia, Gianturco, che lo aveva richiamato al dovere, dichiarò:

I sognati intrighi commessi dalla mafia nei pubblici uffici di Palermo non sono mai

esistiti. Furono fiabe inventate a Milano per trarre da un processo occasione e

pretesto per una lotta politica e per calunniare senza ritegno tutto il nostro congegno politico ed amministrativo […].756

Nonostante il tentativo di imputare gli attacchi a Palizzolo alla volontà di screditare le istituzioni, non si riuscì, tuttavia, a salvare politicamente don Raffaele in istruttoria; il proposito di Cosenza aveva indignato l‟opinione pubblica e aveva incontrato

753 M. Ganci, Fece bloccare il telegrafo per arrestare un onorevole. Una pagina ambigua dell‟autonomismo siciliano: il

delitto Notarbartolo, in «Giornale di Sicilia», 6 agosto 1966.

754 Ibidem.

755 G. Barone, Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), in La Sicilia, a c. di M. Aymard e G. Giarrizzo,

Torino, Einaudi, 1987, p. 314

756 Gli stralci della lettera di Cosenza a Gianturco (dell‟8, 13 e 23 ottobre 1900) sono ricavate dal testo

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l‟opposizione del governo Saracco il quale non intendeva avallare «una scandalosa assoluzione».757 Cosenza era così stato costretto a cedere.

Ma il procuratore generale, nonostante fosse pure stato convocato a Roma perché rendesse conto del proprio operato, non desistette dalla sua difesa dell‟innocenza di Palizzolo e di Fontana, presunto esecutore materiale del delitto, e giunse a proporre, per loro, un rinvio alla Corte d‟Assise; riuscì, inoltre, a far spostare il processo dalla Assise di Milano – contro cui era stata mossa l‟accusa che si fosse lì avuta una palese «propensione a sovraccaricare di foschi colori la vicenda siciliana»758 – a quella di

Bologna, cioè in una città politicamente conservatrice e dove, tanto Palizzolo quanto Cosenza, potevano contare su diversi appoggi.759

Fu questo, di certo, un piccolo successo per Palizzolo, ma era pur vero che a Palermo, intorno a lui, veniva intanto fatto il deserto: ad agire erano anche le autorità istituzionali, in azione, sul piano poliziesco-giudiziario, con l‟energica repressione della mafia dell‟agro palermitano e, sul piano amministrativo, con lo scioglimento di tutte le commissioni e i consigli di amministrazione di cui Palizzolo faceva parte.

Tutto ciò avveniva a ridosso delle elezioni politiche del giugno 1900,760 alle quali –

ancora una volta – don Raffaele venne candidato per il 1° collegio di Palermo,

757 Ivi, p. 316.

758 F. Renda, Storia della mafia, cit., p. 155. Il dibattito processuale si era svolto in un clima nel quale

non si era discusso solo quanto avveniva in aula ma si erano manifestate anche tensioni fra Nord e Sud, laddove quest‟ultimo era stato fortemente denigrato.

759 Cfr. G. Barone, Egemonie urbane e potere locale (1882-1913), cit., p. 316.

760 Le elezioni del 3 e del 10 giugno del 1900 – registrando un‟avanzata non indifferente delle forze

socialiste e, di conseguenza, il rischio che il potere potesse passare a mani diverse da quelle “governative” – furono una delle dimostrazioni più forti della svolta di fine secolo che si stava compiendo nel Paese ma che riguardava, in particolare, la Sicilia: quest‟ultima, infatti, da quasi vent‟anni dominava la scena politica nazionale con i propri personaggi – Crispi e di Rudinì soprattutto – espressione del potere degli agrari meridionali. Con la loro scomparsa dalla politica parlamentare, si era subito posto il problema di quale sarebbe stato, a quel punto, lo spazio del Mezzogiorno e quale il ruolo che avrebbero avuto le forze politiche e sociali del Sud nel quadro nazionale, di fronte a quella che sembrava una concreta e irreversibile emarginazione politica, oltre che economica. Il tentativo di riscossa, in Sicilia, fece del sicilianismo la sua bandiera e, su questo terreno, fin dalle elezioni di quell‟anno, la classe dominante dell‟isola avviò riflessioni intorno ai modi e alla sostanza della sua «partecipazione al sistema delle forze sociali al potere e alla direzione politica del paese» (F. Renda, La svolta del 1900, in Socialisti e cattolici in

Sicilia (1900-1904), Caltanissetta-Roma, Sciascia editore, 1972, p. 98). Si cominciò a ritenere necessario

«introdurre altre forme corrispondenti alla evoluzione politica generale per organizzare più efficacemente la partecipazione meridionale alla direzione del paese» (ivi, p. 101). Era quindi imprescindibile che il Mezzogiorno acquisisse una propria «autonoma personalità mediante la formazione di una forte coscienza dei suoi interessi». In quest‟ottica, personaggi come l‟industriale e banchiere Ignazio Florio avevano già cominciato a muoversi, nel caso specifico per mezzo del quotidiano di Palermo, nato nell‟aprile del 1900, «L‟Ora», che doveva essere «[…] un mezzo di espressione e di espansione delle idee e dei sentimenti delle regioni più dimenticate, e più degne invece di essere ricordate, dai governi e dalle parti politiche della nuova Italia […]. Comune idea e comune proposito: l‟idea e il proposito della difesa continua e organica degli interessi del Mezzogiorno e della Sicilia» (V. Morello, Ai lettori, salute!, in «L‟Ora», 22 aprile 1900. Citazione tratta da F. Renda, cit., p. 102). Su queste elezioni e sul significato che esse ebbero – nel quadro

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nonostante si trovasse già in carcere da quando la Camera aveva concesso l‟autorizzazione a procedere contro di lui. A quelle elezioni Palizzolo fu sconfitto e tale disfatta risultava essere ancora più significativa, da un punto di vista politico, per la vittoria invece conseguita, nel 4° collegio, dal socialista Giuseppe Marchesano, avvocato, tra l‟altro, della famiglia Notarbartolo:

La sconfitta di Palizzolo e la vittoria del Marchesano, oltre che segno di tempi nuovi, costituì […] la sanzione di un grosso fatto politico, che richiamò l‟attenzione nazionale sulla mafia, e dunque sul modo in cui veniva gestita larga parte del potere in Sicilia.761

A ribadire ancora di più i cambiamenti politici in atto ci pensò l‟ottimo, e perciò significativo, risultato ottenuto dai socialisti, insieme ai cattolici e ai radicali, all‟elezione del consiglio comunale di Palermo del 22 luglio.762

Il nuovo scenario politico che sembrava si stesse prospettando suscitò la forte indignazione e il timore del giornale L‟Ora, che si faceva portavoce delle preoccupazioni – da quel momento sempre crescenti – delle forze moderate, cui alto rappresentante era Ignazio Florio, che metteva in evidenza i rischi connessi a un ribaltamento delle forze al potere e, quindi, si impegnava nella definizione di una nuova collocazione politica nazionale per le forze siciliane.

Tuttavia la difficoltà nel formare la giunta municipale da parte dei vincitori e, soprattutto, il «clima di isterismo antisocialista e anticlericale determinatosi anche in Sicilia a seguito dell‟assassinio di re Umberto […]»763 ridimensionarono presto questi

timori: nel giro di pochissimi giorni venne sciolto il consiglio appena eletto per essere sostituito – dopo nuove elezioni nel successivo settembre – dalla lista di «Concentrazione monarchica»764 che, riunendo tutte le forze moderate, ricuciva di fatto

nazionale ma, più ancora, in quello siciliano – cfr. F. Renda, La svolta del 1900, in Socialisti e cattolici in Sicilia

(1900-1904), cit.

761 F. Renda, La svolta del 1900, in Socialisti e cattolici in Sicilia (1900-1904), cit., p. 107. 762 Sulle elezioni amministrative del 1900, ivi, p. 112 e sgg.

763 F. Renda, Storia della mafia, cit., p. 158.

764 Fra i candidati nella lista di «Concentrazione monarchica» vi erano l‟editore Sandron e Giuseppe

Pitrè. L‟avvicinamento di quest‟ultimo alla politica si era avuto solo negli anni immediatamente successivi al Fasci siciliani: durante il potere della Sinistra storica, infatti, era cresciuta in lui una tale riserva rispetto ai “politici” più che al “regime”, da essere spinto a una totale assenza di impegno politico militante, durato appunto fino alla metà degli anni ‟90. Particolarmente significativa fu la sua partecipazione alle elezioni comunali palermitane del 1900 nella lista della «Concentrazione monarchica» (cfr. G. Galasso, Tradizioni

popolari e Sicilia nell‟ultimo Pitrè, in Sicilia in Italia. Per la storia culturale e sociale della Sicilia nell‟Italia unita,

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il padronato palermitano, fino a poco prima scisso tra quanti avevano appoggiato Notarbartolo e quanti, invece, Palizzolo,765 entrambi appartenenti a due tra le famiglie

notabili più influenti dell‟isola: «La vittoria fu totale […]. Non un solo socialista o cattolico mise piede al Palazzo delle Aquile. Il Colajanni, indignato, qualificò l‟avvenimento come “rivincita della mafia”».766

Sembrava che il vento stesse volgendo di nuovo a favore di Palizzolo ma il processo, riapertosi a Bologna il 9 settembre 1901, si concluse il 31 luglio dell‟anno successivo con la condanna a trent‟anni di reclusione per Palizzolo e Fontana. Con la sua lunga arringa, l‟avvocato Marchesano era riuscito a convincere la Corte della colpevolezza del‟ex deputato Palizzolo e di come non ci si dovesse lasciare ingannare dalla mancanza di «prove evidenti», perché in questo modo si compivano i delitti di mafia. A nulla era valsa così l‟estrema autodifesa di don Raffaele che aveva sostenuto come, nell‟accusa a lui rivolta, non si facesse altro che perpetrare gli attacchi a una Sicilia da sempre calunniata.767