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Luigi Capuana e la difesa dell’Isola del sole

Nonostante l‟interesse immediato mostrato nei confronti delle due inchieste, fu esso in realtà prevalentemente limitato alla regione che ne era stata protagonista e che se ne era anche sentita vittima: a livello nazionale, invece, un sostanziale silenzio accolse le due inchieste del ‟76.

Dietro questo mancato interesse c‟erano, per lo più, motivazioni politiche: la Sinistra era giunta al potere quando le due inchieste – avviate sotto il governo della Destra – non erano ancora del tutto ultimate (nella stesura della relazione o nella stessa attività di indagine) e non era sua intenzione dare valore a lavori che rappresentavano la vecchia classe dirigente tanto a livello ideologico che culturale.239

Si tornò a pensare all‟inchiesta Franchetti-Sonnino anni dopo, quando il quadro politico si ritrovava a essere scosso da equilibri alterati: le molte aspettative nuovamente frustrate del Sud – che trovavano voce importante soprattutto nell‟opera degli intellettuali – finirono con il riaccendere quel «sicilianismo più ottuso»,240 per il quale

nelle parole dei due toscani si sarebbe ravvisata solo un‟antica volontà di subordinazione e umiliazione della Sicilia.

Il pensiero va al pamphlet di Luigi Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, del 1892,241 nel

quale l‟autore, a distanza di più di quindici anni, si proponeva di dare una risposta all‟inchiesta di Franchetti e Sonnino, dei quali respingeva il giudizio – letto soprattutto come un nuovo tentativo di marginalizzare l‟isola – di una Sicilia primitiva e barbarica, per offrire, piuttosto, «un‟immagine non più oleografica della società, dei costumi siciliani».242

239 Brancato, F., L‟inchiesta del Franchetti e Sonnino nella stampa continentale, in «Nuovi Quaderni per il

Meridione», a.XIII, n. 51-52, 1975, pp. 187-91.

240 F. Renda, Storia della mafia, cit., p. 106.

241 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, Roma, Stabilimento Tipografico Italiano, 1892; poi in L‟isola

dei sole, Catania, Giannotta, 1898; fra le edizioni più recenti, ricordiamo Id., La Sicilia e il brigantaggio,

introduzione di C. Ruta, Palermo, Edi.bi.si., 2005; Id., L‟isola dei sole, introduzione di N. Mineo, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 1994. A quest‟ultima edizione faremo d‟ora innanzi riferimento.

242 G. Giarrizzo, L‟Ottocento: il secolo grande, in La Sicilia moderna dal Vespro al nostro tempo, Firenze, Le

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In questa difesa della Sicilia – mossa da Capuana ma che era anche di Verga e di tutta l‟intellighenzia siciliana – vi era la difesa della loro stessa classe sociale: per quanto la borghesia conservatrice avesse approvato alcune fra le proposte terapeutiche avanzate dai due toscani, che spingevano, come tutta la Destra, perché il Sud venisse trasformato in una più efficiente area di mercato per il Nord – salvaguardando la sua economia contadina e marinara (che aveva, fino a quel momento, pagato i costi più alti del progresso) – pure, del programma di riforma dell‟agricoltura e di emancipazione del proletariato agrario avanzato da Franchetti e Sonnino, indignava il fatto che venissero giudicati responsabili gli agrari siciliani della condizione di forte arretratezza e disagio in cui versavano le plebi rurali dell‟isola.243 Di fronte a ciò, la risposta era stata il mettere in

luce «la responsabilità governativa, dell‟abbandono in cui il Sud era stato tenuto […]».244

L‟operazione di Capuana muoveva una difesa in almeno tre punti. L‟autore sentiva intanto l‟urgenza di sfatare tanto quelli che lui riteneva pregiudizi intorno alla natura passionale e irrazionale dei siciliani, quanto le immagini – alla base dei preconcetti dei due toscani – di un‟isola teatro di ogni sorta di violenza e che, per questo, si poteva dire tanto distante dal resto del Paese. Riteneva allora lo scrittore che «i due inquirenti» avessero dato prova «di un‟incredibile inettitudine scientifica nel distinguere quel che era comune a tutte le regioni italiane […], e quel che era particolare, speciale della regione andata a studiare».245

Franchetti e Sonnino avevano, ancora, la responsabilità di aver riconosciuto nell‟isola una «questione meridionale»246 molto grave: ciò cozzava con le posizioni da sempre

tenute da Capuana, per il quale semmai – specie dai fatti della Comune di Parigi247 – si

poteva parlare di una questione sociale di certo allarmante, ma non specifica del Sud, nei cui confronti non ammetteva si potesse «parlare in termini di dislivelli politico-sociali».248

Della Sicilia lo scrittore sentiva allora l‟urgenza di tratteggiare l‟immagine di una terra in cui il male e il bene vivevano in proporzioni pari a quelle delle altre realtà italiane. Una

243 Cfr. P. Mazzamuto, Il parvenu risorgimentale. Giovanni Verga tra antropologia e storia, Palermo, Dharba

Editrice, 1989, p. 58.

244 Ibidem.

245 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, cit., p. 53.

246 La negazione dell‟esistenza di una questione meridionale di Capuana viene detta da Morace la

conseguenza del suo «abbacinamento unitario», tanto acuto da impedirgli il riconoscimento di un tale problema (cfr. A. M. Morace, L'Apoteosi crispina di Capuana, estratto dal volume Capuana verista, Catania, Biblioteca della Fondazione Verga, 1984, pp. 271-2).

247 La responsabilità dell‟«orgia comunarda di Parigi» veniva riconosciuta da Capuana in quella cultura

positivista che anche lui aveva abbracciato, perché a essa si doveva fare risalire la responsabilità del crollo delle credenze religiose e della stessa morale, su cui il controllo del popolo si fondava (cfr. L. Capuana,

Studii sulla letteratura contemporanea. Seconda serie, Catania, Niccolò Giannotta, 1882, pp. 250-1).

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terra, inoltre, delle cui province non potevano essere «ignorati i titanici sforzi […] per mettersi al paro delle fortunate consorelle,249 già ricche d‟industrie e di commerci, […]

quando quelle […] difettavano di ogni cosa»;250 merito grande dell‟isola era poi stato il

suo avere lottato duramente per affrancarsi da quell‟antica condizione di difetto; ancora maggiore risultava la sua amarezza di fronte all‟accusa «di colpe immaginarie»251 e di

fronte alla sensazione che venisse essa quasi ripudiata.

Connessa alla difesa della propria terra era poi quella della produzione propria e degli altri veristi, macchiatisi della colpa involontaria di avere contribuito, con le loro opere, a dipingere un‟immagine della Sicilia di maniera252 attraverso quanto «di più singolare, di

più efficacemente caratteristico» fosse nelle sue province, nonostante tutto ciò fosse stato fatto solo «per ragioni d‟arte».253 In questa difesa si aveva un altro attacco,

perentorio, contro il lavoro di Franchetti e Sonnino: «L‟arte, pei suoi fini, può maneggiare senza danno le eccezioni; la scienza, no».254

L‟autore sentiva l‟urgenza di assolvere, in particolar modo, Cavalleria Rusticana,255 il

dramma teatrale che aveva finito con il divenire «documento umano di una Sicilia attuata

249 Capuana sembra accennare, con ironia e amarezza, al passo di Franchetti in cui questi diceva:

«Abbiamo ricevuto quelle nostre sorelle minori che […] si buttavano fiduciosamente nelle nostre braccia. Erano macilenti, affamate, coperte di piaghe, e noi avremmo dovuto curarle amorevolmente […]. Invece, senza nemmeno gettar gli occhi sulle loro ferite, le abbiamo messe al lavoro, duro e faticoso, del compimento d‟Italia […]» (L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative, cit., pp. 308-9. Corsivi nostri).

250 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, cit., p. 98. 251 Ivi, p. 99.

252 Capuana si sarebbe trovato di nuovo a difendere la produzione dei veristi due anni dopo, nel 1894,

in risposta all‟articolo, Sicilia verista e Sicilia vera, che il critico teatrale napoletano Eduardo Boutet aveva pubblicato, il 7 gennaio, sul «Don Chisciotte». Erano quelli i giorni in cui si stava vivendo il dramma dei Fasci siciliani: l‟articolo era così anche la conseguenza del turbamento prodotto dalle tragiche notizie provenienti dall‟isola. Il critico accusava gli scrittori siciliani di aver dato della Sicilia – sotto la pretesa di raccontare il vero – una rappresentazione in realtà da esso lontana, con la conseguenza di aver determinato il formarsi di un‟immagine distorta nella collettività. Capuana replicò stizzito sullo stesso giornale, rivendicando la validità metodologica e artistica delle opere degli scrittori veristi; per parte sua, ribadì la propria esigenza di osservare «la Sicilia in istato normale, in istato di sanità e non di eccitazione morbosa». Era, quella di Capuana, una risposta di natura politica: prendeva le distanze dai Fasci dicendoli, nell‟articolo, solo uno stato di eccitazione nervosa e, in letteratura, la sua condanna passava attraverso il silenzio. I due articoli furono ripubblicati dallo scrittore in L. Capuana, Gli “ismi” contemporanei, Catania, Cav. Niccolò Giannotta Editore, 1898, p. 324 e sgg; ora in Id., Verga e D‟Annunzio, a c. di M. Pomilio, Bologna, Cappelli Editore, 1972, p. 117 e sgg.

253 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, in L‟isola del sole, cit., p. 45. 254Ivi, p. 74.

255 Scriveva Capuana rivolgendosi a Verga: «[…] certo pubblico, badando soltanto al duello rusticano

tra il tuo compare Alfio e Turiddu Macca, giudicando alla lesta, si è incaponito a credere che il famoso grido: – Hanno ammazzato compare Turiddu! – sia la tipica rivelazione dei costumi siciliani, e non ha più voluto udir altro» (L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, in L‟isola del sole, cit., p. 45). Cavalleria rusticana fu anche l‟opera con cui Capuana rinviò a Boutet le critiche che questi aveva mosso nell‟articolo pubblicato sul «Don Chisciotte», nel 1894: piegando al solo teatro verghiano le colpe della produzione verista, deresponsabilizzava il Verga novelliere, nelle cui intenzioni non c‟era di certo stata quella di cadere in un bozzettismo fino a se stesso, ma aveva semmai ceduto alle malintese ragioni di conduzione teatrale (per la

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da sentimenti primitivi e profondi, “barbarici” insomma».256 Ma la difesa della

produzione di Verga e della propria passava in secondo piano, per Capuana, di fronte alla necessità di evitare che le scelte stilistiche da loro adottate «venissero in qualche modo portate nel conto che il paese aveva avviato a pareggio con la Sicilia, e non solo la Sicilia della letteratura ma soprattutto quella della politica».257

Lo scrittore rivestiva il testo, ancora, di una chiara valenza di politica quasi militante: l‟occasione per riaprire vecchie ferite era stata offerta, in quei giorni, dal fatto che si fosse tornato a parlare della sua isola, «ripetendo con severa ignoranza i soliti luoghi comuni, da [lui] creduti già riposti per sempre nell‟arsenale delle robe smesse».258 Quei

luoghi comuni che altro non erano che «voci stridenti d‟indignazione rettorica, […] declamazioni di osservatori superficiali, […] rimescolìo d‟intrigucci politico-elettorali per cui non si guarda tanto sottilmente intorno ai mezzi che si mettono in opra».259

Per capire a quale momento si riferisse – andando oltre la data posta in calce all‟opera, quella del 4 ottobre 1892260 – bisogna leggere l‟Avvertenza premessa all‟Isola del

sole, l‟opera nella quale, nel 1898, l‟autore fece confluire La Sicilia e il brigantaggio e il testo

di una conferenza da lui tenuta a Bologna, nel 1894, dal titolo La Sicilia nei canti popolari e

nella novellistica contemporanea. In quell‟Avvertenza Capuana spiegava come la prima delle

due opere fosse stata pubblicata «in giorni di agitazione elettorale giolittiana»261

(occasione per la quale, oltretutto, era passata inosservata262); ribadiva poi come le

circostanze non fossero – a distanza di qualche anno – «punto mutate»: poteva allora polemica, cfr. N. Tedesco, Boutet, Capuana e Verga di fronte ai Fasci siciliani, in AA.VV., I fasci siciliani, Bari, De Donato, 1976; G. Nicastro, Teatro e società in Sicilia (1860-1918), Roma, Bulzoni editore, 1978).

256 G. Giarrizzo, L‟Ottocento: il secolo grande, in La Sicilia moderna dal Vespro al nostro tempo, Firenze, Le

Monnier, 2004, p. 109.

257 Ibidem.

258 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, cit., p. 43. 259 Ibidem.

260 Capuana dovette pubblicare poco dopo il pamphlet: il 17 ottobre, scrivendo all‟amico Ferdinando

Martini – per rammentargli la promessa per una cattedra di letteratura italiana nella scuola di Magistero (che il 18 novembre, scrivendo a Verga, dirà di avere appena ottenuto) – gli comunicava che gli stava mandando una copia dell‟opuscolo che sarebbe stato pubblicato di lì a qualche giorno (Cfr. G. Oliva,

Capuana in archivio, Caltanissetta, Sciascia, 1979, p. 271). Sempre in quell‟ottobre avrebbe fatto dono a

Verga di una copia del lavoro, con la classica dedica: «A Giovanni Verga affettuosissimamente, Luigi Capuana» (G. Raya, Carteggio Verga-Capuana, Roma, Edizioni dell‟Ateneo, 1984, p. 352). A Verga avrebbe poi scritto, da Roma, il 18 novembre successivo, per rammaricarsi dell‟indifferenza riservata alla sua Sicilia e soprattutto laddove credeva maggiore sarebbe stato l‟interesse, cioè nel Meridione: «passa inosservata anche lì dove avrebbe dovuto avere onesta e lieta accoglienza. Mentre qui ne hanno già parlato il Torneo e l‟Opinione laggiù nessun giornale ne ha fiatato; […]» (ivi, p. 353).

261 L. Capuana, Avvertenza a L‟isola del sole, cit., p. 39.

262 Della disattenzione riservata alla sua opera e della delusione che ne era derivata lo scrittore aveva

già detto nella lettera a Verga del 18 novembre 1892, quando tale disinteresse era stato ricondotto al fatto che si avesse «troppo da fare per registrare i tronfi elettorali di certi candidati: lasciamoli in pace» (G. Raya,

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solo augurarsi che, con i suoi scritti, egli potesse contribuire «a diradare un po‟ quella nebbia di pregiudizi e di calunnie – voglio credere inconsapevoli – che si addensa su le provincie siciliane».263

Per questa via, Capuana giungeva a una significativa «sovrapposizione assimilante»264

tra la Sicilia offesa e un Crispi che veniva ingiustamente osteggiato per rimarginare la stessa isola e il suo ceto dirigente, finalmente con lui rappresentato.

L‟atteggiamento critico dello scrittore nei confronti della campagna elettorale giolittiana, avviata nella primavera del 1892, era data dal suo ritenere che fosse stata essa intrisa di quegli elementi antisicilianisti una cui legittimazione si era avuta – per il fondamento scientifico su cui aveva preteso di poggiarsi (ma in realtà frutto della «fervida immaginazione scientifico-socialista»265 degli autori) – con l‟opera di Franchetti

e Sonnino, per questo chiamata in causa nel pamphlet.

L‟avvento al potere di Giolitti fu successivo al primo e importante triennio di Crispi alla guida del Paese; un triennio che aveva conosciuto la grave crisi economica internazionale della fine degli anni Ottanta, la quale aveva portato lo statista siciliano all‟adozione di misure politiche ed economiche tali da indebolirlo in Parlamento: la gestione forte dell‟esecutivo e la politica finanziaria disastrosa – per il contrasto tra una politica economica comunque fragile e, di contro, una politica estera ambiziosa266

avevano finito con il minare i rapporti all‟interno della stessa maggioranza. Messo in minoranza, Crispi fu costretto ad abbandonare il potere agli inizi del ‟91.267

Dopo la parentesi del governo di Rudinì (febbraio 1891-maggio 1892), giunse il momento di Giovanni Giolitti, a cui il re gli affidò l‟incarico di formare il nuovo governo.

Insediatosi a maggio il primo governo Giolitti, molto debole e con una maggioranza risicata, fu subito costretto alle dimissioni perché il suo programma finanziario non era

263 L. Capuana, Avvertenza a L‟isola del sole, cit., p. 40.

264 A. M. Morace, L'Apoteosi crispina di Capuana, estratto dal volume Capuana verista, Catania,

Biblioteca della Fondazione Verga, 1984, p. 283.

265 L. Capuana, L‟isola del sole, cit., p. 83.

266 Di fronte alle accuse, mossegli durante una discussione parlamentare, relative alla politica

finanziaria della Sinistra, giudicata imprudente rispetto a quella sempre adottata dai moderati, Crispi, irritato, aveva replicato sottolineando il tanto fatto per un Paese che poteva ora vantare strumenti e condizioni con cui confrontarsi con le altre potenze europee: «[…] allora non avevate né esercito, né flotta, e […] si devono a voi i danni di una politica servile verso lo straniero» (AP, CD, Leg. XVIII, discussioni, 31 gennaio 1891, p. 497, tratto da G. Astuto, «Io sono Crispi», cit., p. 135).

267 Cfr. G. Astuto, «Io sono Crispi», cit., pp. 133-4 e A. Capone, La politica liberal-nazionale di Francesco

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piaciuto:268 le elezioni – rispetto alle quali si sentiva sufficientemente sicuro – venivano

indette per il successivo autunno.

Lo scrittura del pamphlet di Capuana si colloca nel periodo della campagna elettorale che avrebbe portato Giolitti alla presidenza del Consiglio. L‟avversione dello scrittore nasceva dalla constatazione di come il politico piemontese, collocandosi a sinistra e spingendo per una ricostituzione dei partiti,269 stesse cercando di fare terra bruciata

attorno a Crispi, a cui lo scrittore si era in quegli ultimi anni progressivamente avvicinato dal punto di vista ideologico.

A colpire fu soprattutto il ricorso di Giolitti a strumenti leciti e illeciti perché venissero favoriti i suoi candidati; furono rimossi i prefetti più vicini a Crispi e si procedette alla riorganizzazione delle clientele locali, costituite da notabili che – con il ritorno al collegio uninominale che aveva preso il posto, dopo dieci anni dalla riforma elettorale, del sistema elettorale sullo scrutinio di lista – giocavano nuovamente un ruolo centrale nell‟elezione dei deputati.270

Nel governo che stava per realizzarsi si riteneva fondamentale – perché i programmi potessero essere realizzati – un‟alterazione della rappresentanza politica, specialmente meridionale, che andava pertanto limitata in ogni modo perché si lasciasse quanto più spazio fosse possibile ai candidati governativi.271

Il primo gabinetto Giolitti ebbe, in ogni caso, durata breve: travolto dagli scandali della Banca romana272 e schiacciato dal peso della «questione morale», sollevata dagli

avversari per i suoi rapporti con la stessa Banca, il presidente del Consiglio fu costretto alle dimissioni nel dicembre del 1893.

Si aprì una lunga crisi politico-istituzionale che, il 15 dicembre 1893, riportò Francesco Crispi, in qualità di presidente del Consiglio e di ministro dell‟Interno, alla guida di un governo composto da rappresentanti del Centro e della Destra (uno spostamento questo a destra che non piacque ai crispini).

268 Obiettivo principale del nuovo presidente del Consiglio fu il pareggio del bilancio, che doveva

essere raggiunto non più con la pressione fiscale, ma con una riduzione della spesa pubblica e tenendo un profilo basso in politica estera. Contrario al colonialismo e triplicista moderato, la sua politica si caratterizzò dunque per i molti aspetti con cui si contrappose a quella crispina. Di opposizione era stata, del resto, la sua stessa politica finanziaria, quando ricopriva la carica di ministro del Tesoro, sotto il governo Crispi (cfr. G. Astuto, «Io sono Crispi», cit., pp. 139-140 e C. Duggan, Creare la nazione. Vita di

Francesco Crispi, Roma, Editori Laterza, 2000, pp. 742-5).

269 Cfr. C. Duggan, Creare la nazione. Vita di Francesco Crispi, Roma, Editori Laterza, 2000, p. 745. 270 Cfr. G. Astuto, Sicilia e il crispismo, cit., p. 248.

271 Cfr. A. Capone, La politica liberal-nazionale di Francesco Crispi, in La storia d‟Italia – L‟Italia unita, cit.,

pp. 737-9.

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Non furono semplici gli anni dell‟ultimo gabinetto Crispi. Motivi di forte tensione vennero, in particolare, dal movimento dei Fasci. Prima ancora che il nuovo presidente del Consiglio si insediasse, avevano avuto inizio in Sicilia – dove, come denunciavano i democratici contemporanei, ai mali del passato si erano aggiunti quelli derivanti dalla diffusione del capitalismo – manifestazioni di malessere tra le classi sociali più disagiate, soprattutto del mondo contadino. Nonostante i tentativi di calmare gli animi, i moti erano divenuti, nel dicembre 1893, incontrollabili. La risposta del governo fu allora la proclamazione, nel gennaio successivo, dello stato d‟assedio, con cui vennero soffocati nel sangue i tumulti agrari.

Fu questo un momento di certo molto delicato del governo Crispi, che si trovò costretto a difendere in Parlamento, appellandosi alla suprema unità nazionale, la via della dura repressione che si era deciso ad adottare. Ma a decretare la morte politica dello statista fu, in ogni caso, la triste conclusione della campagna eritrea – per mezzo della quale si era sperato nel raggiungimento del prestigio internazionale – con la tragica sconfitta inferta all‟esercito italiano ad Adua, il 1º marzo 1896. Già il 5 marzo governo – ritenuto responsabile di quanto accaduto – era costretto alle dimissioni: era la fine del crispismo.273

I fatti eritrei costrinsero a ridimensionare le ambizioni di grande potenza che erano state accarezzate, però, non solo dal presidente del Consiglio, ma anche dal re, dalla classe dirigente e dall‟esercito: Crispi, nel difendersi, chiese che ci fosse una giusta distribuzione delle responsabilità.274

Luigi Capuana fu profondamente colpito, come tutti, dai fatti di Adua, ma si pose su una posizione diversa rispetto a quella assunta dalla maggior parte dell‟opinione pubblica: continuò ad abbracciare un mito nazionalistico ed espansionistico che, dagli anni Novanta in poi, fu un tema costante di molta sua produzione, associato all‟immagine di chi quel mito aveva incarnato. Già nel 1892, infatti, lo scrittore si era abbandonato al sogno di un rispetto che sarebbe finalmente venuto da parte straniera, per il riconoscimento dei meriti della «nazionalità riconquistata» e per «l‟importanza del nostro esercito e della nostra marina, oggi garanzia di pace all‟Europa e domani strumenti non spregevoli di difesa e di offesa».275

273 Cfr. A. Capone, La democrazia industriale e il neomoderatismo, in La storia d‟Italia, cit., p. 786 e sgg. 274 Cfr. G. Astuto, «Io sono Crispi», cit., p. 202.