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L’inchiesta parlamentare Borsani-Bonfadin

Nella prospettiva di un tentativo di maggiore conoscenza della società va collocata – e letta come molto significativa – l‟attività di indagine sociale142 svolta dallo Stato

138 I provvedimenti eccezionali non conobbero mai applicazione per la sopraggiunta crisi politica che,

tolto il potere alla Destra, lo consegnò alla Sinistra (Cfr. G. Astuto, La Sicilia e il crispismo, cit., p. 70; F. Renda, Storia della mafia, op. cit, p. 104). La marginalizzazione storiografica di questa legge è apparsa tuttavia immeritata ad alcuni storici, dato che essa costituì «una delle decisive premesse, per un verso, delle due Inchieste – quella parlamentare e quella Franchetti-Sonnino – che si svolsero l‟anno appresso, e, per l‟altro, della “rivoluzione parlamentare” del marzo 1976» (L. Mascilli Migliorini, Il mondo politico meridionale

di fronte alla legge di pubblica sicurezza del 1875, in «Rivista Storica Italiana», a. XCI, fasc. IV, p. 724).

139 Cfr. F. Brancato, Dall‟unità ai Fasci dei lavoratori, cit., pp. 156-7.

140 L‟approvazione della legge di pubblica sicurezza diede il via, in tutto il Meridione, a un‟accesa

protesta popolare, dimostrazione dell‟ostilità che provvedimenti di tal sorta provocavano presso popolazioni che si sentivano vessate dal perpetrarsi di simili scelte politiche; ma esisteva probabilmente anche la possibilità – come sostiene Mascilli Migliorini – «di un collegamento tra protesta spontanea e ripresa dell‟attività dei gruppi repubblicani e internazionalisti dopo le repressioni seguite ai moti dell‟estate 1874» (L. Mascilli Migliorini, Il mondo politico meridionale di fronte alla legge di pubblica sicurezza del 1875, in «Rivista Storica Italiana», a. XCI, fasc. IV, p. 748).

141 Negli anni Settanta in Sicilia si registrarono diversi fallimenti. Se i tanti stati d‟assedio a cui l‟isola

era stata sottoposta giocarono un ruolo forte, non meno determinanti furono le responsabilità riconducibili allo spostamento del mercato, dall‟unificazione, sia in campo nazionale che internazionale (cfr. A. Capone, Il completamento dell‟unità e la caduta della Destra, cit., pp. 157-9).

142 Come ha esso in evidenza Fabiano, le inchieste parlamentari, almeno fino a quella degli anni

Ottanta di Jacini, per quanto dichiarassero un loro «carattere prioritariamente sociale, di fatto si rivelarono […] niente altro che ricognizioni amministrative, latamente sociografiche, sullo stato della realtà sociale del paese», le cui conclusioni, «politicamente tendenziose, già preventivamente predisposte», tendevano a

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attraverso le numerose inchieste che si ebbero, non casualmente nella seconda metà dell‟Ottocento, per il dilagare, in tutte le nazioni europee, di preoccupazioni di ordine sociale prevalentemente determinate da una maggiore coscienza di classe e dal conseguente diffondersi e attecchire del socialismo.

Il confronto con il Paese reale mise subito in risalto quanto difficoltoso risultasse il cammino del “progresso borghese”, in un primo momento ritenuto naturale e consequenziale al raggiungimento dell‟obiettivo di unificazione territoriale.

Il principale ostacolo era dato dalla notevole varietà di realtà italiane, per condizioni economiche, culturali, sociali. In tale contesto, così ricco di «disarmonie», si colloca l‟inchiesta parlamentare del 1875-76 sulla Sicilia.143 Veniva questa chiaramente condotta

in un periodo cruciale per la Destra, che aveva appena subito la prima sconfitta da parte della Sinistra meridionale e si avviava, in parte inconsapevolmente, alla perdita del governo di quel Paese che aveva guidato fin dal suo nascere.

La decisione di avviare un‟inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia nasceva, come già detto, dalla percezione di una sicurezza pubblica assai precaria presso una popolazione che si riteneva sobillata tanto dalla mafia quanto dal socialismo. Dietro questa inchiesta vi erano, tuttavia, anche motivazioni di natura politica, date dalla pressione che sul ministero era stata esercitata da parte del governo inglese perché si cercasse di assicurare una maggiore sicurezza nell‟isola ai sudditi inglesi là presenti,144 i

quali volevano venissero garantiti i loro interessi, probabilmente non solo di natura economica: l‟aumento di vice consolati aveva infatti fatto sorgere il dubbio al console di Francia che si stessero preparando le condizioni per un colpo di mano nel caso in cui una sollevazione dell‟isola avesse posto condizioni favorevoli.145 «Tutto ciò spiega –

secondo Brancato – le rosee conclusioni dell‟inchiesta parlamentare che avrebbe dovuto mostrare al mondo politico internazionale che i mali dell‟isola non erano poi così gravi»146 e che, in ogni caso, era forte l‟interesse che il governo nutriva per le sue

legittimare le linee politiche perseguite dalla classe dirigente (M.A. Fabiano, Le inchieste sociali del parlamento

tra 1860 e il 1911, in «Quaderni di sociologia», a. 1980-81, n. 2 La sociologia del positivismo italiano, p. 240).

143 La Relazione dell‟Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia e sull‟andamento dei pubblici servizi

venne stilata da Bonfadini: da lui e da Borsani l‟inchiesta prese il nome.

È possibile leggere una scelta del materiale raccolto nel corso dell‟inchiesta nella pubblicazione dell‟Archivio Centrale dello Stato, curata da S. Carbone e R. Grispo, con introd. di L. Sandri, L‟inchiesta

sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-76), Bologna, Cappelli editore, 1969, 2 voll..

144 Fin dall‟occupazione militare dei tempi delle guerre napoleoniche, «l‟Inghilterra aveva posto come

una ipoteca sull‟isola […] i sudditi inglesi cresciuti sempre più di numero nell‟isola vi acquistarono non solo miniere di zolfo, ma anche latifondi e vi impiantarono industrie» (F. Brancato, Dall‟unità ai Fasci dei

lavoratori, cit., p. 158).

145 Cfr. F. Brancato, Dall‟unità ai Fasci dei lavoratori, cit., p. 158. 146 Ibidem.

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condizioni sociali ed economiche: era assolutamente necessario rassicurare l‟opinione pubblica internazionale circa la normalità della situazione trovata in Sicilia, per nulla diversa da quella delle altre regioni italiane.147

L‟inchiesta si svolse secondo modalità che andarono oltre all‟utilizzo dei normali canali di informazione, dando cioè grande rilievo «agli interrogatori ad hoc di esponenti della società siciliana»148 e realizzando una commissione itinerante con pieni poteri

giudiziari sugli interrogati: ciò dimostrava quanto in realtà profonda fosse la diffidenza verso una realtà percepita come ostile e per la quale si reputava imprescindibile l‟uso di «strumenti non consueti di indagine proprio perché era difficilmente controllabile».149

E il controllo era il movente vero e profondo dell‟inchiesta: bisognava verificare il grado di «disaffezione agli ordini politici dello Stato»,150 per cercare di correggere eventuali

disfunzioni, e tentare di porre riparo alla situazione – gravemente confermata dai risultati elettorali del 1874 – di distacco dal governo da parte delle classi dirigenti locali. Quelle stesse classi dirigenti che, mentre, nel periodo immediatamente successivo all‟Unità, data l‟emergenza del momento, erano state legate strettamente all‟apparato statale, in un secondo momento erano divenute oggetto della sfiducia della Destra relativamente alle loro capacità egemoniche e, per questo, sottoposte a legami di fatto subalterni. Con gli anni Settanta, la riattivazione delle classi dirigenti meridionali le portò a pretendere venissero ridiscussi gli equilibri di potere.

L‟occasione per cercare di arginare il rischio queste pretese divenissero realtà fu offerta da alcuni episodi di criminalità, che sembrarono legittimare la reazione forte da parte del governo per mezzo dei provvedimenti eccezionali, che presero il posto di una più opportuna «riattivazione di canali di comunicazione e consenso con la realtà locale».151

Le ulteriori tensioni derivatene, tuttavia, resero imprescindibile un tentativo di confronto che poggiasse su basi diverse: per questo diveniva fondamentale, per la Destra, l‟inchiesta, quale «confronto diretto improrogabile con una realtà che sfuggiva sempre più al suo controllo rivelandosi sconosciuta»;152 ma diveniva la stessa inchiesta occasione

per una «trattativa» tra il governo e quelle classi dirigenti locali, che esso cercava di

147 Cfr. F. Brancato, La Sicilia e l‟inchiesta del Franchetti e Sonnino, in «Nuovi Quaderni del Meridione», a.

XIII, n. 51-52, 1975, pp. 12-3.

148 E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, Napoli, Guida editori, 1987, p. 15. 149 Ibidem.

150 L‟inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (1875-76), Relazione, vol. II, cit., p. 1078. 151 E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, cit., p. 16.

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“raggiungere” coinvolgendo nei lavori anche qualche esponente della Sinistra «proprietaria» siciliana.153 Il tentativo di avviare una trattativa soprattutto con quella

parte della società siciliana è anche dimostrato dal fatto che, per gli interrogatori, si scelsero persone “rispettabili”, individuate soprattutto fra i possidenti, la qual cosa era, ovviamente, anche prova di una certa visione della società civile propria della Destra.154

In perfetta coerenza con questa logica ma in contraddizione «con le più elementari regole dello sviluppo capitalistico»,155 veniva messo in primo piano – e così riaffermato

ideologicamente – il ruolo del latifondo: veniva in tal modo difeso l‟interesse della borghesia agraria locale e, alla mancanza dello sviluppo industriale, si trovava la giustificazione del suo mancato lancio a livello nazionale.

Il contesto in cui nacque e i fini che si prefiggeva il governo con essa danno la misura dell‟importanza dell‟inchiesta Borsani-Bonfadini, tuttavia vittima – come la definisce Iachello – del confronto, per essa fatale, con la coeva inchiesta, extraparlamentare però, di Franchetti e Sonnino,156 e perciò giudicata solo come un‟operazione mistificatoria, cui

unico obiettivo sarebbe stato quello di cercare di placare gli animi agitati.157 Suo maggior

limite – del resto proprio di quasi tutta la classe dirigente158 di quegli anni, che tendeva a

privilegiare i problemi amministrativi159 – fu il non riconoscere l‟esistenza di una

153 Si trattava di Gravina e Paternostro. Questo coinvolgimento – di là degli intenti del governo –

dimostrava soprattutto il rilevo politico ormai raggiunto dall‟opposizione (cfr. Ivi, p. 20).

154 Ivi, pp. 30-1.

155 M.A. Fabiano, Le inchieste sociali del parlamento tra 1860 e il 1911, in «Quaderni di sociologia», a. 1980-

81, n. 2 La sociologia del positivismo italiano, p. 243.

156 L‟inchiesta Borsani-Bonfadini, essendo parlamentare, non poteva avere la medesima libertà

d‟indagine e di pubblicità dei risultati di cui godeva invece quella privata di Franchetti e Sonnino; ma non per questo va sottovalutata, tanto più che è essa una delle inchieste, fra quelle di quegli anni, con maggiori caratteri di organicità (cfr. F. Brancato, La Sicilia e l‟inchiesta del Franchetti e Sonnino, in «Nuovi Quaderni del Meridione», a. XIII, n. 51-52, 1975, p. 12).

157 I nei attribuiti all‟inchiesta sono principalmente due: uno relativo al metodo, l‟altro alle conclusioni

a cui sembrò essa volere giungere. Quanto al metodo, la perplessità è relativa all‟attendibilità delle risposte che poterono essere date dagli interrogati a esponenti dello Stato verso cui nutrivano ostilità: un‟inchiesta privata non incontrava questo scoglio di diffidenza e poteva così giungere a risposte la cui veridicità si poteva ritenere superiore; di contro a questa questione, Iachello contrappone il forte interesse – politico e culturale – comunque presente nei discorsi degli interrogati, perché chiarificatori delle posizioni assunte dalle classi dirigenti locali verso il governo. L‟altro neo fu il suo negare che esistesse una questione sociale propria della Sicilia, dove non si riteneva che la situazione contadina avesse caratteri eccezionali rispetto a quella di tante altre parti d‟Italia. Quanto accadde anni dopo, avrebbe dimostrato quanto miope fosse stata quella visione delle cose, per quanto è pure vero che di mezzo ci sarebbe stata – ad aggravare la situazione – pure la crisi agraria (cfr. E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, cit., pp. 17-9).

158 Il fatto stesso che a condurre le indagini fosse sempre, per tutto l‟Ottocento, personale politico e

non tecnico, rendeva inevitabile che l‟inchiesta ne fosse condizionata nelle convinzioni e nelle divisioni ideologiche.

159 La risoluzione dei problemi di ambito amministrativo era alla base della salvaguardia del nuovo

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questione sociale160 (stesso atteggiamento sarebbe stato tenuto da Stefano Jacini, relatore

– peraltro di grandi meriti – di un‟altra importante inchiesta, prettamente agraria questa, degli anni Ottanta).161 Si riteneva che, con lo sviluppo economico, si sarebbe

consequenzialmente appianata ogni conflittualità sociale e si sarebbe ridotta la criminalità.

La Giunta visitò i centri più importanti dell‟isola per tre mesi ed effettuò più di mille interrogatori. Dai dati raccolti, si traggono notizie non scontate sulla Sicilia degli anni Settanta: circa la popolazione che – prevalentemente nelle zone costiere (dove maggiore era stato lo sviluppo di centri commerciali) – era in aumento, soprattutto per la riduzione della mortalità; un aumento della popolazione attiva (specie nell‟agricoltura ma anche nel settore edile), con un‟emigrazione quasi inesistente. Se ne ricava, pertanto, la visione di una situazione economica per la Sicilia tutt‟altro che stagnante.

Un dato che preoccupava era l‟accentramento della popolazione nei centri urbani più grandi: tanto per l‟addensarsi di sottoproletariato irrequieto, che poteva essere facilmente reclutato dalla mafia, quanto per il timore che si trascurasse l‟attività agricola – la qual cosa avrebbe inciso sulla produttività – e che le campagne spopolate potessero essere soggette a pericolosi movimenti di bande. Ma la realtà era che il contadino in questi centri viveva poco, solo la sera, di ritorno dal lavoro, e in alcuni casi i suoi rientri erano ancora più occasionali.162

Il contadino, nelle deposizioni, veniva descritto dai proprietari come «testardo ad ogni innovazione»163 ma «laborioso» e sicuramente meno pericoloso rispetto alla «classe»

impiegata nelle zolfare, invece molto temuta poiché non costituita da «fior di

160 Nella Relazione di Bonfadini si diceva infatti che «In Sicilia non esiste né una questione politica, né

una questione sociale. Il malcontento che vi serpeggia ha molte cause, soprattutto locali, alcune ragionevoli, altre irragionevoli o esagerate, ma che non vanno in nessun luogo o presso nessuna classe fino ad un desiderio di riordinamento della proprietà o di un mutamento dell‟ordine politico attuale» (Relazione della Giunta per l‟inchiesta sulle condizioni della Sicilia, cit., p. 1077). Con queste affermazioni finali ci si rivolgeva soprattutto ai proprietari latifondisti siciliani che si voleva rassicurare circa la protezione dello Stato. Alle classi lavoratrici non ci si rivolgeva, dal momento che «le diseguaglianze sociali, sono, malgrado ogni alto volo di idealità, la base costante e necessaria delle società umane» (ivi, p. 1078).

161 Cfr. infra, p. 78 e sgg.

162 Cfr. E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, cit., pp. 33-4.

163 In quegli anni si tentava di introdurre innovazioni nelle tecniche di coltivazione e veniva avviata la

meccanizzazione dell‟agricoltura. Il problema stava nel fatto che un‟economia ancora tanto fragile qual era quella siciliana doveva per forza ridurre i rischi nel suo percorrere la strada verso il mercato e, per fare ciò, si tendeva a scaricare i pesi maggiori sulle spalle dei contadini: erano di fatto questi a pagare il costo della trasformazione. Per tale motivo i contadini non si mostravano particolarmente ricettivi di fronte alla stessa introduzione e all‟uso delle macchine: non era solo per ignoranza che essi vi si opponevano, ma soprattutto per paura dei rischi che sapevano potevano derivarne e di cui, inevitabilmente, avrebbero dovuto scontare loro le conseguenze, non avendo altre risorse a cui attingere in caso di fallimento della macchina.

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galantuomini».164 Dichiarazioni di tal sorta dimostravano una quasi totale mancanza di

preoccupazione rispetto ai contadini: «La “questione sociale” era in effetti ancora latente. […] I contadini restano così nel complesso ai margini di questa inchiesta, quasi smarriti tra le pieghe del tessuto sociale urbano».165

Eppure le condizioni per le quali quella questione sociale potesse prendere piede c‟erano. Intanto la delusione per l‟esito della vendita dei beni ecclesiastici e demaniali,166

che non aveva portato a una redistribuzione della proprietà, né creato nuovi proprietari, ma che aveva semmai rafforzato situazioni preesistenti e accresciuto il potere della mafia.

Anche la piccola e media proprietà si erano trovate sempre più in difficoltà e si era giunti spesso all‟esproprio, la qual cosa riduceva – secondo alcuni – la pubblica sicurezza, data l‟importanza da esse ricoperte, sia da un punto di vista sociale che economico.

La preoccupazione per conflitti che, se fossero esplosi, avrebbero alterato la pubblica sicurezza era presente ma tale preoccupazione – attutita da una congiuntura favorevole (ma breve) che consentì a un equilibrio precario di reggere – era «in questa fase […] assorbita all‟interno delle prospettive di sviluppo economico, a cui si affidava anche la risoluzione dei conflitti sociali».167

Al malcontento delle classi più umili, si aggiungeva quello della piccola e media borghesia, il cui ruolo sociale, di mediazione, dall‟unificazione in poi era molto cresciuto di importanza; ma alla crescita del ruolo sociale non era corrisposta una pari crescita da un punto di vista economico-politico per la difficoltà di assorbimento nel mercato della forza lavoro intellettuale: i piccolo-medio borghesi chiedevano allora conto del perché dell‟impiego, nel settore impiegatizio, di uomini del continente piuttosto che di elementi indigeni e il perché degli stipendi esigui.

164 A.C.S., Fondo della Giunta per l‟inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, Inchiesta Borsani-

Bonfadini, Interrogatorio di F. Lo Presti Seminerio, Agrigento, Udienza del 17 dicembre 1875, fasc. 11.2; ora

anche in E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, cit., pp. 171-176.

165 Ivi, p. 38.

166 Lo stesso Villari mostrava piena coscienza del cattivo esito di questo provvedimento, l‟unico che

mirasse direttamente a migliorare la condizione sociale del contadino: la vendita dei beni ecclesiastici in piccoli lotti e la divisione di alcuni beni demaniali «era inteso a creare una classe di contadini proprietarii […]. Ma […] il risultato fu assai diverso dallo sperato; perché è un fatto che quelle terre, in uno o in un altro modo, andarono e vanno rapidamente ad accrescere i vasto latifondi dei grandi proprietarii, e la nuova classe di contadini non si forma» (P. Villari, Il Brigantaggio in Le lettere meridionali ed altri scritti sulla

questione sociale in Italia, cit., p. 111).

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Furono le classi più abbienti e, nello specifico, soprattutto i grandi proprietari a porre al centro dell‟attenzione dell‟inchiesta le proprie rivendicazioni, presentandosi quali rappresentanti degli interessi dell‟isola. Di fatto, sapevano di avere un grande potere di contrattazione con il governo centrale, poiché erano nelle condizioni di poter vanificare le sue «possibilità di controllo delle articolazioni statali a livello periferico».168

La struttura accentratrice non poteva che cercare il consenso per stabilire canali di comunicazione con la realtà locale, non essendo possibile ricorrere oltre a strumenti di costrizione e repressione ed essendo ormai fortemente minata la posizione stessa dei prefetti. Il ruolo di mediazione di questi rappresentanti periferici del governo, infatti, si era sempre svolto in condizioni eccezionali e ciò aveva finito con il radicalizzare atteggiamenti repressivi da parte degli stessi, che non avevano assunto il «ruolo di “pedagogo” tipico della concezione che dello stato aveva la Destra».169 Gli strali della

polemica della classe dirigente passata all‟opposizione vennero così subito scagliati contro i prefetti, la cui azione – mancando il consenso locale – veniva a essere vanificata. Le conseguenze si riversavano soprattutto nella gestione delle amministrazioni locali, al cui controllo totale ambivano i ceti dirigenti locali per ostacolare l‟attività statale in tantissimi ambiti, quali la stessa istruzione170 e la

costruzione delle vie di comunicazione:171 sabotando queste iniziative, si sabotava il

tentativo dello Stato di uniformare la realtà italiana.172

Se il lavoro dei prefetti era paralizzato dall‟ostilità dei dirigenti locali, per cui le amministrazioni locali restavano non controllate, la situazione non era migliore nell‟ambito della giustizia: si aveva, infatti, un apparato giudiziario alleato alla classe dirigente locale, dei cui interessi si faceva esso garante.

168 E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, cit., p. 57. 169 Ivi, p. 59.

170 Il tentativo di ostacolare lo sviluppo dell‟istruzione non era dato solo dal desiderio di osteggiare lo

Stato, ma anche dalle preoccupazioni della classe dirigente locale relativamente agli esiti di un‟eccessiva istruzione presso i ceti subalterni: l‟istruzione poteva generare delle aspettative, la cui frustrazione avrebbe determinato delusioni pericolose. Un pensiero, questo – come vedremo – costante e diffuso presso la classe conservatrice.

171 La classe dirigente locale pretendeva che la costruzione delle strade comunali avvenisse a opera

dello Stato e non dei comuni. Ciò dipendeva dalla convinzione che molto si dovesse alla Sicilia visto il suo ruolo di primo piano durante il Risorgimento, ma anche dalle oggettive difficoltà che per tale costruzione i Comuni incontravano: difficoltà sia di natura economica che culturale. La viabilità fu un grosso problema per la Sicilia; motivo di fortissime tensioni fu dato soprattutto dal trasporto ferroviario: oltre alla realizzazione di percorsi “non razionali”, si notò una tendenza a privilegiare quasi esclusivamente il commercio degli zolfi, a tutto danno delle zone agrumicole e viticole della Sicilia orientale (su queste questioni, cfr. E. Iachello, Stato unitario e disarmonie regionali, cit., pp. 64-5 e 74-6).

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L‟apparato statale non riusciva quindi a svolgere le sue funzioni attraverso i canali istituzionali: in un terreno di illegalità e di arbitrio poliziesco, si veniva a creare un