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Alle elezioni del novembre 1874, grazie al «programma politico incentrato sulle rivendicazioni regionali, e [alla] mobilitazione di nuovi ceti sociali»,92 la Sinistra

meridionale otteneva un successo notevole, schiacciante addirittura in alcune regioni meridionali, come la Sicilia;93 al Centro e al Nord continuava a prevalere la Destra.

Queste elezioni rappresentavano, di fatto, il crollo definitivo della Destra nel Sud e in Sicilia in particolare, causato dal suo non essere riuscita a sanare i contrasti interni e a formare così una maggioranza stabile con cui governare; quella sconfitta era stata, del resto, già preannunciata dalle precedenti elezioni, che avevano chiaramente dimostrato il declino, lento ma ineluttabile, dello schieramento moderato.

La Sinistra parlamentare era uno schieramento numeroso e non omogeneo, nel quale tre correnti principali spiccavano. La prima era costituita dalla Sinistra storica piemontese, alla cui guida, dalla morte di Rattazzi, c‟era Depretis; era un gruppo liberale moderatamente progressista e per questo a esso guardavano anche uomini di centro e lo stesso re, ritenendolo degno erede del governo del Paese. Vi era poi la corrente che affondava le proprie origini nel movimento democratico del Risorgimento, che aveva abbandonato l‟aspirazione repubblicana e accolto la scelta della monarchia costituzionale; rispetto alla Sinistra piemontese, questa era più progressista ma disposta a concessioni in vista della realizzazione delle riforme; era molto diffusa in Lombardia, alla guida di uomini come Cairoli e Zanardelli, ma c‟era pure qualche meridionale, fra i quali spiccava la figura del siciliano Crispi. Della Sinistra storica fece parte per un po‟ anche l‟Estrema Sinistra, caratterizzata da una maggiore sensibilità ai problemi sociali; a questa gruppo apparteneva Bertani. Infine, vi era la Sinistra meridionale, composta da elementi della Sinistra storica, come lo stesso leader, Nicotera. Questi, con le elezioni del ‟74,

92 G. Astuto, La Sicilia e crispismo, cit., p. 64.

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assunse la guida del partito, mettendo ai margini Crispi, che poteva contare solo sull‟appoggio di una parte della deputazione siciliana.94

Il voto meridionale, e siciliano in particolare, aveva un significato notevole: era esso espressione di una volontà politica ben definita che, contestando il governo moderato, mirava a candidare il Sud alla guida del Paese.

Un errore di cui la Destra avrebbe pagato le conseguenze nelle successive elezioni del 1876 fu quello di non prendere in considerazione le risposte che, attraverso la consultazione elettorale, vennero dall‟opinione pubblica: anziché cambiare strategia, passò all‟attacco e alla demonizzazione dell‟avversario. Fu detto che, nella sconfitta della Destra al Sud e soprattutto in Sicilia, vi era la prova che «non vi era stata un‟effettiva considerazione politica degli interessi regionali della nazione, ma solo una gretta e particolaristica motivazione di natura regionale (che era allora la critica più radicale, e oltraggiosa, che si potesse muovere)».95 Si negò il successo della Sinistra, riducendolo al

semplice comparire di un‟opposizione, in una zona peraltro circoscritta, e si parlò di un autonomismo che riprendeva piede in Sicilia, la qual cosa non poteva che rivelarsi una minaccia per l‟unità d‟Italia. Si sottintese anche che, in quel risultato, un gioco notevole era stato giocato da mafia, brigantaggio, manutengolismo, Internazionale socialista, legittimismo borbonico e temporalismo clericale.96 Non prevalevano quindi, in quello

schieramento, i bisogni del Paese quanto quelli personali e prova se ne poteva trarre anche dalla forte opposizione tenuta a certa politica fiscale: si volevano le spese ma non le imposte.

Ma accuse ancora più gravi e denigratorie furono mosse quando si giunse ad affermare che quel voto era la diretta conseguenza di uno stato di forte arretratezza del Mezzogiorno, arretratezza che si rifletteva, prima di tutto, nel suo basso grado di civiltà. I fatti dimostravano che era la «disparità dell‟intelligenza e non il sentimento regionalista il motor vero di questo dissidio nelle elezioni».97

94 Ivi, pp. 64-5. Come ricorda Astuto, nell‟isola era forte anche la «Sinistra giovane», composta di

uomini quali La Porta, Colonna di Cesarò e Majorana-Calatabiano. Con quest‟ultimo Luigi Capuana avrebbe vantato un‟amicizia, per mezzo della quale gli era stata possibile la pubblicazione, su «Il Diritto, di una recensione all‟opera di Pietro Siciliani, Il rinnovamento della filosofia positiva (cfr. Luigi Capuana a Pietro Siciliani, 26 gennaio 1871, in G. Oliva, Capuana in archivio, Caltanissetta-Roma, Sciascia Editore, 1979, p. 311 e p. 315).

95 F. Renda, La «questione sociale» e i Fasci (1874-94), in La Sicilia, cit., p. 165. 96 Ibidem.

97 D. Pantaleoni, Le ultime elezioni politiche in Italia, in «Nuova Antologia», 1874, n. 12, p. 934; da noi

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Erano ovvi i pregiudizi antimeridionali, circa i quali non si peritava neanche la stampa centro-settentrionale di marca moderata. «Fu questo un segno di insufficienza politica e anche di decadimento intellettuale della leadership moderata»: di fatto, a buona parte della Destra sfuggì «il senso più riposto della riscossa meridionale, di cui il voto siciliano costituiva la punta di diamante»98 e finì per essere distrutta dal suo stesso tentativo di

distruzione dell‟avversaria.

A comprendere il valore nazionale e non locale delle votazioni siciliane sarebbe stata la Sinistra e, in particolar modo, Crispi, per il quale esse erano una piena manifestazione di volontà politica – a cui non si poteva non dare credito, ricordando come proprio da parte dell‟isola si fosse avuta la spinta determinante al raggiungimento dell‟unità – una volontà politica che voleva confrontarsi con la dimensione nazionale: libertà, buon governo, giustizia venivano chieste nell‟interesse dell‟Italia tutta e non della sola Sicilia.99

Mentre Nicotera era soltanto interessato a rivendicare per il Sud un maggior flusso di risorse, Crispi cercava di coniugare l‟opposizione meridionale con l‟opposizione politica.100

La Sinistra allora – dando voce al bisogno del Mezzogiorno che su basi nuove si fondasse ora il rapporto con lo Stato unitario nazionale – chiedeva si potesse finalmente giungere a una condirezione politica del Paese, la qual cosa avrebbe rappresentato il riconoscimento di una pari dignità rispetto al centro-nord. Era questa, del resto, una richiesta ritenuta legittima, tanto per il ruolo giocato durante il Risorgimento, quanto per il progresso – economico, sociale, intellettuale e morale – che si era raggiunto nel primo quindicennio di Unità.

Ma, come nel 1860 per il ceto moderato si pose l‟urgenza indifferibile di fermare l‟avanzata garibaldina e annullarne gli effetti politici già conseguiti con la liberazione del Mezzogiorno, […] così nel 1874 insorse un‟urgenza analoga di bloccare un processo che, insieme alla ormai inevitabile sostituzione della destra nella guida del paese, portasse ad una rivalutazione del ruolo del Mezzogiorno nelle istituzioni e nella società civile. Nacque perciò una «questione meridionale», ed assunse subito caratteri imponenti e perentori.101

98 F. Renda, La «questione sociale» e i Fasci (1874-94), in La Sicilia, cit., p. 166.

99 F. Crispi, Discorsi parlamentari pubblicati per la deliberazione della Camera dei Deputati, Roma, Tipografia

della Camera dei Deputati, vol. II, 25 gennaio 1875, p. 204 e sgg.

100 Cfr. G. Astuto, La Sicilia e il crispismo, cit., pp. 68-9.

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L‟importanza del pronunciamento politico costrinse, di fatto, ad avviare analisi approfondite in ambito culturale, sociale e politico: la Sicilia faceva paura,102 tutti

guardavano al suo caso «come rivelatore degli umori, dello stato del “paese reale”».103

Per questo l‟isola, dopo il 1874, fu la regione più studiata e meglio conosciuta: oggetto di riflessione, tra gli altri, del Villari delle Lettere meridionali, dove la questione siciliana veniva ricondotta all‟interno della più generale questione meridionale; oggetto di indagine dell‟inchiesta parlamentare Bonfadini; oggetto di studio di Franchetti, Sonnino e Cavalieri.