TRA MERIDIONALISMO E VERISMO CAPUANA E IL BASSO POPOLO SICILIANO
II.4. L’«opera livellatrice della società»
A definire la sostanza ideologica conservatrice entro cui si muoveva Capuana, e attraverso il cui filtro rileggere alcune sue importanti affermazioni successive, era già il suo stesso dire intatti gli strati sociali più bassi, e quindi più prossimi a uno stato primitivo, da contemplare dall‟altezza della società borghese più evoluta.
Il concetto veniva ripreso nella Sicilia e il brigantaggio,367 del 1892, dove lo scrittore
tornava a giustificare la scelta sua e di Verga di descrivere, nelle loro opere, i ceti popolari; ma in questa difesa non c‟era più solo l‟esigenza di fornire chiarimenti relativi alle loro scelte per così dire “tecniche”: ai veristi urgeva ora sottrarsi alla responsabilità di aver contribuito a tratteggiare, della loro terra, l‟immagine di un luogo barbaro e primitivo, riconducendo quanto raccontato alle sole ragioni d‟arte. Queste, di fatto, li avevano costretti a ricercare quanto di più originale ci fosse nelle loro province: era stato quindi necessario cercare «un filone nuovo, inesplorato» e lo avevano trovato «nella grande miniera del basso popolo delle cittaduzze, dei paesetti, dei villaggi, interrogando creature rozze, quasi primitive, non ancora intaccate dalla tabe livellatrice della civiltà».368
La civiltà agiva allora quale elemento corruttore delle infime classi, che ne venivano così guastate irrimediabilmente. E qui si levava la contraddizione che segnò il pensiero dei veristi: se, dal punto di vista degli esiti politici e civili, avevano accolto con entusiasmo patriottico l‟unificazione, la loro opera finiva poi, tuttavia, con il mettere a fuoco quel contrastato passaggio del Mezzogiorno da una dimensione economica ancora di tipo feudale a quella cittadina borghese, nel quale trapasso si coglievano i segni di un
366 V. Spinazzola, Verismo e Positivismo, cit., p. 25.
367 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, Roma, «Il Folchetto», 1892; poi in Id., L‟isola dei sole, Catania,
Giannotta, 1898; rist. Id., L‟isola del sole (La Sicilia e il brigantaggio), introduz. di R. Ciuni, Palermo, EDRISI, 1977; poi in Id., L‟isola del sole, a c. di M. Freni, Verona, Edizioni del Paniere, 1988; fra le edizioni più recenti, ricordiamo Id., La Sicilia e il brigantaggio, introduzione di C. Ruta, Palermo, Edi.bi.si., 2005; Id.,
L‟isola dei sole, introduzione di N. Mineo, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 1994. A quest‟ultima
edizione faremo d‟ora innanzi riferimento.
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decadimento sul piano sociale: «Siamo all‟origine della distinzione e divaricazione tra valori etico-civili e disvalori utilitaristici […]».369
A essere messa sostanzialmente in discussione era l‟idea stessa di progresso, a cui veniva attribuito «un ritmo di necessità ineluttabile»370 poiché congiunto con la ricerca
costante del meglio: era dunque il progresso a produrre, a ogni ordine sociale, dei vinti «che levano le braccia disperate, e piegano il capo sotto il piede brutale dei sopravvegnenti […]».371 Lo diceva Verga, nella prefazione ai Malavoglia, riconducendo
proprio al benessere nato dal progresso le irrequietudini, fatte della «vaga bramosìa dell‟ignoto»;372 gli esiti del benessere si riflettono sull‟attività umana e sulle passioni, il cui
meccanismo – presente a ogni livello sociale – è possibile cogliere con maggior precisione «in quelle basse sfere», dove esso è ancora poco complicato.373 Il cammino –
«fatale, incessante, spesso faticoso e febbrile» – verso il progresso appariva certo «grandioso nel suo risultato»,374 dal momento che il «risultato umanitario copre quanto
c‟è di meschino negli interessi particolari che lo producono; li giustifica quasi come mezzi necessari […]»,375 ma questa ottimistica prospettiva, propria del positivismo, non
poteva essere abbracciata dall‟autore, per quanto la sua formazione mantenesse saldi legami con la cultura positivistica: «travolto anch‟esso dalla fiumana»,376 si sentiva
investito del suo ruolo di osservatore della condizione dei «deboli che restano per via».377
Verga, nel presentare il suo romanzo, lo aveva detto «lo studio sincero e spassionato» del come si sviluppano, nelle condizioni più umili, le irrequietudini, e di come queste divengano perturbazione in una famiglia che si accorga «che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio».378 Parole, queste, che testimoniavano della cultura e della
mentalità conservatrici del tempo; le ritroviamo infatti, a distanza di pochi anni, nelle conclusioni di Stefano Jacini all‟Inchiesta agraria del 1884: lo studioso aveva ricondotto la cosiddetta «questione sociale» al «desiderio più vivo di prima, delle classi non abbienti di
369 V. Spinazzola, Verismo e Positivismo, cit., p. 24. 370 Ivi, p. 25.
371 G. Verga, Prefazione a I Malavoglia, Milano, Treves, 1881; ora Id., introd. di C. Riccardi, Milano,
Mondadori, 2011, p. 5. A questa edizione faremo, d‟ora innanzi, riferimento.
372 Ivi, p. 3.
373 Per questo, rispetto al ciclo dei vinti, Verga aveva deciso di iniziare con la descrizione delle
conseguenze che il progresso aveva avuto su una classe sociale più umile: nessuna motivazione ideologica, politica o umanitaria dunque, ma solo artistica (cfr. A. Manganaro, Giovanni Verga, cit., p. 31).
374 G. Verga, Prefazione a I Malavoglia, cit., p. 4. 375 Ibidem.
376 Ibidem.
377 Ivi, p. 5. I deboli furono di fatto vero oggetto di interesse di Verga, giacché, pur essendo
conservatore, riuscì a fornire «una straordinaria rappresentazione letteraria delle condizioni degli umili meridionali» (A. Manganaro, Giovanni Verga, cit., p. 31).
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star meglio»,379 e il prima era riferito a quel passato nel quale i contadini vivevano in
condizioni anche peggiori rispetto ai tempi oggetto di indagine, ma «né essi medesimi, né altri, pensavano che gente della loro condizione potesse star meglio. Quindi non facevano sentire alcun lamento».380 Il malessere contemporaneo era dovuto, secondo
Jacini, all‟aspirazione «ad un mutamento consentaneo alla profonda trasformazione politica avvenuta in Italia».381
A questo clima conservatore e a questo sentimento di diffidenza e timore verso le conseguenze del progresso si era quindi rifatto Capuana nel suo parlare degli esiti corruttori della «tabe livellatrice della civiltà».382 Ma i toni, rispetto a Verga, erano
cambiati, come cambiati erano i tempi: se il primo verismo, e l‟opera di Verga soprattutto, erano nati nel clima di interesse sollevato, a partire dalla metà degli anni Settanta, verso la Sicilia e la condizione delle sue classi più umili dalle indagini e dalle riflessioni condotte dai meridionalisti, Capuana tornava a riflettere sugli esiti del progresso anni dopo, in particolar modo negli scritti degli anni Novanta, in corrispondenza con il farsi strada di varie dinamiche politiche che turbarono gli animi della borghesia meridionale.
Queste riflessioni raggiungevano una notevole intensità “ideologica” soprattutto nella
Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea,383 testo del discorso scritto di ritorno
da un viaggio in Sicilia, fatto dopo sei anni di lontananza, e tenuto a Bologna, a beneficio del Comitato Bolognese della Società Dante Alighieri, il 12 maggio 1894: era quindi immediatamente successivo – e non casualmente – agli eventi drammatici dei Fasci siciliani. In questo saggio non si aveva più, però, come era stato ancora nella Sicilia e il
brigantaggio, tanto il timore quanto la certezza di come all‟«opera livellatrice dei tempi
nuovi» andasse la responsabilità di aver «distrutto e scancellato […] spazzato via ogni
379 S. Jacini, I risultati della inchiesta agraria, cit., p. 131. 380 Ivi, p. 19.
381 Ivi, p. 28.
382 L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, in L‟isola del sole, cit., p. 45.
383 L. Capuana, La Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea, testo della conferenza letta il 12
maggio 1894 nella sala del Liceo Musicale di Bologna a beneficio del Comitato Bolognese della Società Dante Alighieri; pubblicato in opuscolo, Bologna, Zanichelli, 1894; poi confluito in Id., L‟isola dei sole, Catania, Giannotta, 1898; ripubblicato in Id., Verga e D‟Annunzio, Bologna, Cappelli, 1972, a c. di M. Pomilio; poi in Id., L‟isola del sole, a c. di M. Freni, Verona, Edizioni del Paniere, 1988; ora in Id., L‟isola del
sole, introd. di N. Mineo, Caltanissetta, Lussografica, 1994. All‟edizione del 1972, a c. di Pomilio, faremo
qui riferimento, dal momento che si presenta priva dell‟espunzione della parte relativa alla mafia, che invece caratterizzò il testo confluito, nel 1898, ne L‟isola del sole, insieme alla Sicilia e il brigantaggio e al saggio di Pitrè.
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cosa, il cattivo e il buono, la superstizione e la fede, […] la tradizione e la particolarità originale, il costume e il sentimento» senza aver «creato niente da sostituire».384
È il punto di vista assunto a rimarcare la posizione conservatrice di Capuana: questi osservava e giudicava dal punto di vista del borghese che si trovava davanti un mondo nuovo che aveva in sé, «nelle cose e nelle persone»,385 qualcosa che lo offendeva tutti i
giorni – fino al punto di sentirsi «isolato, tagliato fuori di quella vita»386 – perché non vi
ritrovava più «la corrente di simpatia, il legame […] di parentela, che sentiva una volta».387
Il fastidio procuratogli dal fatto che fosse venuto meno quel mondo che aveva sperato di ritrovare intatto, induceva il narratore a considerazioni dai toni caustici, come quando – raggiunto da «un grugnire di contrabasso (sic)» o dal «rumore affrettato di passi, quasi di armento»388 – aveva sottolineato come lo stato d‟assedio non impedisse però alla
popolazione di dedicarsi alle serenate: «la gente qui si accorge appena che è messa fuori legge».389
È, questo, uno dei pochissimi cenni – peraltro pungente – fatto da Capuana al movimento dei Fasci, la cui dura repressione era cominciata in Sicilia con il decreto del 5 gennaio 1894, con la proclamazione dello stato d‟assedio nell‟isola,390 cui era seguito,
nell‟aprile-maggio 1894, il processo contro i capi del movimento operaio e contadino siciliano,391 che era quindi in corso nei giorni in cui Capuana scriveva il suo discorso.
Risultava quindi quantomeno singolare – e per questo significativo – il fatto che, nonostante l‟attualità dei fatti e la loro gravità, Capuana non si soffermasse a fare delle considerazioni intorno ai provvedimenti eccezionali adottati da Crispi contro il movimento (quando, invece, non aveva risparmiato toni polemici e di forte disappunto per i precedenti provvedimenti, specie quelli del ‟75);392 ed era ancor più singolare il fatto
384 L. Capuana, La Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea, cit., pp. 144-5. 385 Ivi, p. 137.
386 Ivi, p. 138. 387 Ivi, p. 137.
388 Ibidem. Corsivo nostro. 389 Ibidem.
390 Lo stato d‟assedio fu revocato nel successivo 18 agosto.
391 Intorno alla storia dei Fasci, esiste una vasta produzione storiografica. Fra i testi consultati: F.
Renda, I fasci siciliani (1892-1894), Torino, Einaudi, 1977; AA.VV., I Fasci dei lavoratori e la crisi italiana di fine
secolo (1892-1894). Atti del convegno per il centenario (Palermo-Piana degli Albanesi, 21-24 settembre 1994), a c. di P.
Manali, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1995; R. Messina, Il processo imperfetto. 1894: i Fasci
siciliani alla sbarra, Palermo, Sellerio editore, 2008.
392 «Come va che solo pei fatti di laggiù, brutti, deplorevoli fatti – non lo nega - l‟opinione pubblica
s‟infiammi, appena di quando in quando, a intervalli di dieci anni, li vede riprodurre; i giornali della penisola invochino ad alte voci provvedimenti eccezionali; […] e il governo sposti carabinieri, guardie di pubblica sicurezza, bersaglieri, dando a supporre che l‟ordinarie forze della sua polizia non bastino a
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che non accennasse a una valutazione del perché il popolo si fosse sollevato, a partire dalla constatazione delle condizioni agonizzanti dell‟agricoltura in Sicilia.
Intorno a questo problema si era brevemente soffermato in un articolo, intitolato
Dalla Sicilia, scritto – a mo‟ di corrispondenza di viaggio – su invito del direttore di
«Natura ed arte», nel febbraio 1894, nei giorni della sua permanenza a Mineo, dopo quei sei anni di assenza a cui avrebbe fatto riferimento, nel maggio successivo, anche nella
Sicilia nei canti popolari. Delle cose viste e osservate nell‟isola dopo anni, Capuana riferiva
con i medesimi toni amareggiati che avrebbe poi riproposto nel saggio della primavera, ma le riconduceva ancora, qui, a un qualche suo ipotetico preconcetto, creato magari dalla memoria che aveva finito con il falsare la realtà.393
Gli aveva dato l‟occasione per fare un sottile ma chiaro riferimento ai fatti di quelle agitate settimane il perdurante maltempo dei giorni trascorsi in Sicilia, che lo avevano portato a persuadersi di come la stessa natura della sua isola fosse «mutata, come s‟era mutata la Sicilia tranquilla, laboriosa, paziente da me lasciata allora, in quell‟altra agitatrice,
rivoltosa, di cui m‟avevano pieno l‟animo e la fantasia i telegrammi e le corrispondenza
dei giornali della capitale».394 L‟autore si dilungava quindi – non casualmente – in
confronti fra Sicilia settentrionale e meridionale, rilevando le differenze relative al
paesaggio, ai trasporti e all‟indole; per questa via, poteva concludere la prima parte del
resoconto ricordando che «nei giudizî che si dànno intorno la Sicilia, bisognerebbe tener conto di queste diversità, e guardarsi attentamente dal generalizzare».395
Solo nel secondo intervento faceva finalmente un riferimento esplicito, anche se breve, alla situazione delle campagne siciliane, dove terre ormai sfruttate, che sembrava avessero esaurito il loro umore fecondo, avrebbero avuto bisogno di essere «rinfrancate con abbondanti concimazioni». Il borghese Capuana – adottando la prospettiva dei possidenti, che coincideva con la propria, data la sua appartenenza a un‟agiata famiglia di proprietari terrieri – si poneva però quesiti che non interpretavano, se non per riflesso, le preoccupazioni di contadini,396 braccianti e mezzadri, che si erano opposti alla politica
operare laggiù quel che, in identiche condizioni, saprebbero operare quassù?» (L. Capuana, La Sicilia e il
brigantaggio, cit., p. 69).
393 «[…] forse io venivo qui con qualche preconcetto a cui non sfugge nessun uomo. La lontananza
idealizza luoghi e persone» (L. Capuana, Dalla Sicilia, in «Natura ed arte. Rassegna quindicinale illustrata italiana e straniera di scienze, lettere ed arti», 1893-94, 22-23 febbraio 1894, p. 818).
394 L. Capuana, Dalla Sicilia, cit., p. 819. Corsivi nostri. 395 Ivi, p. 822.
396 Fino a due anni prima, Capuana aveva addirittura detto estranei i contadini siciliani a certi problemi
legati alla miseria delle campagne, che travagliavano invece quelli del continente: «Egli [il siciliano del continente] si rammenta di aver visto i contadini di una grossa provincia continentale pallidi e mezzi
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e al sistema produttivo borghesi: egli si faceva quindi portavoce del pensiero di quanti avevano in passato tratto grandi profitti dalle campagne, mentre in quel momento, sia per la concorrenza straniera che per carestie e danni di varia natura in cui erano incorse le coltivazioni, si trovavano a vedere marcire i loro prodotti nei magazzini:
Come fare? I capitali mancano, i raccolti non sono rimuneratori. La fillossera ha disertato le vigne. Vaste estensioni che sei anni addietro erano un paradiso, oggi sono ridotte uno squallore. Del grano, i proprietarî non sanno che farsi; marcisce nei loro magazzini per la concorrenza russa e americana che invade il mercato e può fare prezzi bassissimi, come la mano d‟opra isolana non consente. Sparita la vigna, deprezzato il grano e l‟olio, resi rari la canapa e il lino dalla concorrenza marchigiana e lombarda, che resta più alla misera agricoltura siciliana? Niente o quasi.397
Poche settimane prima di questo articolo, proprio in relazione al movimento dei Fasci, che si era appena cominciato a reprimere, e al troppo poco di cui, rispetto a ciò che stava accadendo, era stato detto dai veristi (impegnati piuttosto in produzioni bozzettistiche o nella scrittura di fiabe398), si era levata, sul «Don Chisciotte di Roma», la
critica di Eduardo Boutet.399 Questi, nel suo articolo dal titolo significativo, Sicilia verista e
Sicilia vera,400 si era espresso molto duramente circa il quasi assoluto silenzio intorno a
quei fatti, dicendolo grave perché proveniva da siciliani che avrebbero dovuto sentire l‟urgenza di quei problemi che tanto da vicino li riguardavano, ma soprattutto – cosa, questa, ancora più deplorevole – da scrittori che avevano detto destinata alla
disfatti, stentare fra le risaie, mal nutriti […], martoriati e ammazzati dalla pellagra che i contadini siciliani non conoscono neppur di nome» (L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, cit., p. 55).
397 L. Capuana, Dalla Sicilia, cit., pp. 822-3. Corsivo nostro.
398 In quei giorni – come ricordava il critico napoletano, Edoardo Boutet – erano uscite la raccolta di
fiabe di Capuana, Il Raccontafiabe, e la raccolta di novelle e bozzetti di Verga, Don Candeloro e C.
399 Circa la polemica Boutet-Capuana, cfr. G. Mazzacurati, La bilancia di Libertà ovvero della rotazione
imperfetta in Forma & ideologia, Napoli, Liguori Editore, 1974; N. Tedesco, Boutet, Capuana e Verga di fronte ai Fasci siciliani in AA.VV., I Fasci siciliani, Bari, De Donato, 1976; G. Nicastro, Il teatro di Verga e la Sicilia, in Teatro e società in Sicilia (1860-1918), Roma, Bulzoni editore, 1978; D. Tanteri, Il "vero" di Capuana. Poetica e ideologia in «Quaderni di filologia e letteratura siciliana», vol. V, 1978; ora in Le lagrime e le risate delle cose. Aspetti del verismo, Catania, Biblioteca della Fondazione Verga, 1989; N. Mineo, Il vero dei veristi, in «Annali
della Fondazione Verga», Catania 1990; ora introduzione a Luigi Capuana, L‟isola del sole, Caltanissetta, Edizioni Lussografica, 1994; V. Spinazzola, Verismo e Positivismo, cit.; M. Onofri, Per inesplicabile fatalità, in
Tutti a cena da Don Mariano. Letteratura e mafia nella Sicilia della nuova Italia, Milano, Bompiani, 1996.
400 E. Boutet, Sicilia verista e Sicilia vera, in «Don Chisciotte di Roma», 7 gennaio 1894; poi ripubblicato
da Capuana, insieme alla sua replica (uscita poco dopo sempre sul «Don Chisciotte di Roma»), in L. Capuana, Gli „ismi‟ contemporanei: verismo, simbolismo, idealismo ed altri saggi di critica letteraria ed artistica, Catania, Giannotta, 1898; poi in Id., Verga e D‟Annunzio, cit.; ora Id., Gli „ismi‟ contemporanei: verismo, simbolismo,
idealismo ed altri saggi di critica letteraria ed artistica, a cura di G. Luti, Milano, Fabbri, 1973, a cui faremo qui
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rappresentazione del “vero” la loro arte, nella quale si era riservato molto spazio al mondo contadino e ai suoi atteggiamenti e costumi, giurando «che quella era la verità, tutta la verità, niente altro che la verità».401
Ma i fatti di quei giorni avevano dimostrato che «la Sicilia degli scrittori che riproducevano dal vero, è diversa, assai diversa, dalla Sicilia vera»: mentre in questa, infatti, il popolo soffriva «tutti gli strazi e tutti i soprusi»,402 la Sicilia raccontata era «di
maniera. […] quegli scrittori […] quando gridano di riproduzione dal vero non sono
esatti: […] nelle anime non hanno guardato»;403 di fatto, secondo il critico napoletano, i
veristi si erano serviti «de‟ documenti umani come di giocarello arcadico».404
Capuana aveva subito replicato accusando il critico di parlare di cose rispetto alle quali non sapeva nulla, dal momento che non conosceva né la Sicilia né i siciliani e non era quindi nelle condizioni di poter dire quale fosse o non fosse la verità. Ma Boutet non conosceva neanche l‟opera di quei veristi405 che criticava: non teneva infatti nel giusto
conto, ad esempio, una novella come Libertà e gli altri racconti presenti in Vita nei campi, in cui tanta attenzione si era mostrata verso il mondo umile e contadino soprattutto. In quelle novelle c‟erano infatti «i contadini che soffrono, […] rassegnati talvolta, talvolta delinquenti per forza; […] i galantuomini che opprimono, che corrompono, che fanno il male quasi inconsapevolmente […]».406
Se, nella Sicilia e il brigantaggio, Capuana aveva detto dovuta solo a esigenze artistiche407
l‟ampia descrizione di quelle abitudini isolane “singolari” a causa delle quali, però – avendo poi dato esse spunto a demonizzazioni – era in quel momento necessario difendere la propria terra, nella replica a Boutet veniva rivendicata invece, insieme alla capacità di rappresentazione dei veristi, l‟assoluto realismo di certe opere, tra cui soprattutto Libertà. «La contraddizione può spiegarsi solo notando che le due diverse reazioni sono il portato di una medesima ideologia sicilianista»:408 nel pamphlet del ‟92 lo
401 E. Boutet, Sicilia verista e Sicilia vera, in L. Capuana, Gli „ismi‟ contemporanei, cit., p.199. 402 Ivi, p. 200.
403 Ibidem. 404 Ibidem.
405 Tedesco ritiene significativo il fatto che Capuana avesse contrattaccato Boutet soprattutto sul piano
delle competenze artistiche in merito al verismo, rispetto alle quali non poteva che uscire vincitore: veniva così ignorato – volutamente o inconsciamente – il fatto che gli si stessero muovendo critiche soprattutto sul piano dell‟impegno (cfr. N. Tedesco, Boutet, Capuana e Verga di fronte ai Fasci siciliani in AA.VV., I Fasci
siciliani, Bari, De Donato, 1976, p. 445 e sgg.).
406 L. Capuana, Polemica, in Gli „ismi‟ contemporanei, cit., p. 203.
407 Per Capuana gli scrittori veristi avevano scritto «preoccupati soltanto del problema artistico, intenti
a dar risalto a quanto vi ha di più singolare, nella natura di quei personaggi […]» (L. Capuana, La Sicilia e il
brigantaggio, in L‟isola del sole, cit., p. 44).
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scrittore aveva insistito sulla sostanziale identità fra il «basso popolo» siciliano e quello continentale, attribuendo a inesplicabile fatalità il fatto che si riconducessero sempre all‟isola caratteri eccezionali; in questo testo del ‟94 Capuana rivendicava la libertà, per «il Verga e qualche altro», di fare l‟arte
senza preoccuparsi dei Fasci e dell‟onorevole De Felice, osservando la Sicilia in
istato normale, in istato di sanità e non di eccitazione morbosa. Chi vi ha detto che il Verga
ed io, per esempio, abbiamo voluto dipingere la Sicilia sotto tutti i suoi aspetti?409
Palese la natura ideologica di queste affermazioni di Capuana: rivendicando il proprio diritto a narrare solo quanto avesse giudicato sano e normale, prendeva le distanze da quei