• Non ci sono risultati.

Dai regimi internazionali alla transnational climate governance

3. Città come attori in un sistema di governance multilivello

3.1. Dai regimi internazionali alla transnational climate governance

Il cambiamento climatico è un problema globale, dove il termine globale può avere una doppia accezione, quella di categoria spaziale e quella di fattore causale.

Globale è l’ambito geografico, l’atmosfera non conosce confini e le emissioni di gas serra, indipendentemente da dove e quando sono prodotte, provocano alterazioni nella composizione gassosa dell’atmosfera che hanno effetti su tutto il pianeta. Si tratta della gestione di una risorsa comune e dunque di un problema di azione collettiva53, da inquadrarsi nell’ambito dei processi della cooperazione internazionale: nessun paese può affrontare il problema globale dei cambiamenti climatici da solo, è indispensabile che gli stati collaborino e per farlo è necessario che giungano ad un accordo che identifichi i rispettivi oneri sulla base di un principio di responsabilità comune ma differenziata.

Globali sono d’altra parte i processi attraverso cui le emissioni sono generate, circuiti di produzione, commercio e consumo, un simile punto di partenza conduce ad una diversa geografia di responsabilità, entro cui il ruolo principale spetta alle società multinazionali e agli stessi consumatori, i governi possono agire solo indirettamente, influenzano attraverso regole o incentivi, le scelte individuali di cittadini e imprese54.

In linea con la prima accezione, interpretata come tema di cooperazione internazionale, si è cercato a lungo di analizzare la questione climatica nei termini della formazione di regimi internazionali; forse più in linea con la seconda accezione sono le ricerche successive che muovono dalla critiche del primo approccio per trovare strumenti concettuali più idonei a comprendere la crisi del modello dei trattati multilaterali sul clima (cfr.1.1) e mettere a fuoco possibili vie d’uscita.

53

“Simply put, a ‘collective action’ problem is one that cannot be solved by a single individual or member of a group, but requires the cooperation of others who often have disparate interests and incentives, raising the costs of transacting or negotiating a cooperative solution. The most notorious collective problems arise with respect to the provision of public goods, including clean air and water. The global climate is a global public good.” (Cole, 2006)

54

“Carbon dioxide is produced as a result of billions of de-centralized and independent decision by private households for heating and transportation and by corporation for these and other needs, all aoutside the government sphere. The government can influence these decision only indirectly through regulation or incentives” (Heal G. 1999 citato da Bulkeley, Newell 2010)

Per regimi internazionali si intendono le istituzioni sociali internazionali che prevedono norme, regolamenti, procedure decisionali e programmi basati su principi condivisi che governano l’interazione tra attori governativi nel merito di specifiche problematiche, pertanto “I regimi internazionali stabiliscono frames di responsabilità giuridica consolidando apparati di norme generali, di regole specifiche e di procedure che hanno lo scopo di disciplinare l'interazione fra gli attori, di definirne i diritti e di indirizzarne in vario modo i comportamenti.”55 (Zolo, 1998).

L’approccio teorico dei regimi internazionali porta a studiare le interazioni tra gli stati attraverso l’analisi delle condizioni entro cui le istituzioni internazionali sono create e operano, dei contenuti degli accordi che queste soprintendono e del loro livello di efficacia, intesa come coerenza interna e capacità di determinare forme di collaborazione effettiva, (Bulkeley, Betsill 2003; Bulkeley, Newell 2010). Questo approccio è stato interpretato e sviluppato da vari punti di vista che mettono in luce driver diversi: uno più realista, uno più funzionalista, uno più costruttivista.

Le prospettive più realiste mettono in luce la dimensione del potere e come i regimi rispondano all’interesse del paese egemone, economicamente o militarmente più potente, che ha la facoltà di promuovere o ostacolare la cooperazione. Ad esempio rendono conto di come gli Stati Uniti dopo aver giocato un ruolo da protagonisti nei negoziati per la predisposizione della UNFCC e del Protocollo di Kyoto, con il loro ritiro, ne abbiano fortemente ritardato l’entrata in vigore e ostacolato l’efficacia.

Le prospettive funzionaliste (più propriamente idealiste-neoliberali) guardano agli interessi di lungo temine e suggeriscono che i regimi sono mezzi per perseguirli riducendo l’incertezza attraverso la condivisione delle informazioni che strutturano i negoziati e i meccanismi di fiducia che li alimentano ad esempio spiegano l’evoluzione della posizione dei paesi in via di sviluppo e il consolidamento del gruppo BRIC nel corso delle varie COP.

Le prospettive costruttiviste, forniscono un taglio più critico e mettono a fuoco il ruolo della conoscenza, i regimi internazionali sono in questo senso i mezzi attraverso i quali si sviluppano i contenuti cognitivi e normativi che a loro volta consentono agli stati di percepire i propri interessi e prendere posizione (Bulkeley, Betsill, 2003 cit.). Questo approccio, mettendo in luce la natura dinamica del processo di costruzione degli interessi nazionali e internazionali, permette di prendere in considerazione il ruolo degli attori non statali - in particolare degli enti di ricerca - nonché il ruolo degli attori sub statali e il livello di negoziazione che avviene all’interno dei singoli paesi. Ad esempio è possibile interpretare il ruolo dell’IPCC come comunità epistemica, capace di produrre conoscenza condivisa e validata a sostegno di un progetto di policy. Come, quando e in che misura questo sapere abbia effettivamente influenzato il contenuto degli accordi internazionali è questione complessa.

Nel tempo diverse critiche sono state mosse all’approccio dei regimi internazionali, come evidenzia la ricostruzione di Bulkeley (Bulkeley, Newell 2010, cit.). Una prima famiglia di obiezioni riguarda, infatti, il livello di analisi rilevante (dove ha luogo la governance climatica), ovvero la tendenza a considerare il cambiamenti climatici come un problema di governance ambientale entro un dominio politico discreto identificato come “globale”. Le arene politiche nazionali e internazionali rimarrebbero dunque oggetti di

55

La teoria dei regimi internazionali è stata sviluppata da Robert Keohane e Stephen Krasner a partire dalla nozione precedentemente introdotta nel 1975 da John G. Ruggie, in particolare Krasner definisce la nozione di 'regime giuridico' come "un insieme di principi, norme, regole e procedure decisionali, impliciti od espliciti, su cui convergono le aspettative degli attori in una data area delle relazioni internazionali I principi sono credenze relative a fatti, a rapporti causali e a valori morali. Le norme sono standard di comportamento definiti in termini di diritti e di doveri. Le regole sono specifiche prescrizioni o specifici divieti di carattere pratico. Le procedure decisionali sono prassi consolidate per prendere ed eseguire decisioni collettive" (Krasner, 1983 citato in Zolo, 1998).

indagine separati, in un modello gerarchico che sottostima sia la fluidità delle interazioni attraverso i confini nazionali, sia la natura transnazionale dei processi causali del cambiamento climatico.

Una seconda famiglia di critiche, connessa alla prima riguarda gli attori coinvolti (chi partecipa e chi conduce il processo di governance) e la tendenza a considerare lo stato come attore principale e unitario “black boxed”, questo condurrebbe a ignorare da una parte le differenze strutturali tra gli stati stessi (assumendo di fatto un modello occidentale di stato e di governo), dall’altra il livello del negoziato intra- statale, e il ruolo degli attori economici nel determinare le scelte politiche e la posizione dei governi nazionali.

Il terzo gruppo di critiche riguarda gli strumenti (come si realizza la governance climatica) e in particolare l’idea che l’attuazione di politiche climatiche risponda ad una logica lineare ed esclusivamente top-down, ragione per cui dagli accordi internazionali discendono politiche nazionali e strumenti di mercato di vario tipo. Questo porterebbe a trascurare la natura reale dei processi di definizione di politiche e l’attuazione di misure con effetti sul clima, spesso attivate per iniziativa di attori altri da quelli statali, e dunque a fraintendere quali azioni riguardano o meno la governance climatica.

Un ultimo gruppo di critiche riguarda le motivazioni di fondo (il perché si realizza la governance climatica) poiché assumere in partenza il motore del potere dell’attore egemone, dell’istituzione o della scienza, porterebbe a sottovalutare i modi in cui il potere si auto-alimenta strutturando i meccanismi stessi dell’interazione56

L’analisi corrispondente alla prospettiva costruttivista esposta in precedenza apre al superamento di alcune delle critiche che nel tempo sono state mosse all’applicazione delle teorie dei regimi internazionali con riferimento alla questione climatica perché permette di ampliare il concetto di “governo del clima” introducendo strumenti concettuali meno comunemente applicati in questo campo di studi e riferibili ad un approccio ispirato alla governamentalità di Foucault che forniscono elementi per mettere in luce tecniche e pratiche concrete della governance, e punti di vista di origine neo-gramsciana utili a comprendere le relazioni complesse tra “struttura e agenti” e i rapporti tra stato, capitale e istituzioni sociali (Okereke, Bulkeley, 2007). Alcune di queste argomentazioni saranno riprese più avanti nelle conclusioni (cfr. par.5.1)

Per superare i limiti dell’approccio basato sulle teorie dei regimi internazionali usato per comprendere la nascita dei trattati internazionali sul clima, si è cominciato ad utilizzare il quadro di riferimento concettuale della global governance57,. il cui approccio consente di studiare le relazioni internazionali guardando oltre il comportamento degli stati nazionali e i regimi formalmente concordati, a partire dalla constatazione della moltiplicazione delle arene decisionali, degli attori e degli strumenti.

56

“L’approccio dei regimi porta a trascurare i modi in cui il potere opera per strutturare le regole del gioco. Questo implica che le domande relative a chi vince e chi perde e perché sono spesso ignorate; d’altra parte guardare al potere come un facoltà discreta di un determinato gruppo di attori implica una concettualizzazione del potere a somma zero in base alla quale un aumento del potere degli attori non statali è necessariamente definito come una simultanea riduzione del potere e dell’autorità dello stato. Concepire il potere in modo differente come un mezzo per ‘far sì che le cose accadano’ permette di considerare il modo in cui il potere è generato attraverso il processo do governo stesso e di superare il dualismo degli attori statali e non statali nell’affrontare il cc.” (Bulkeley,Newell, 2010 cit)

57

“Governance occurs on a global scale through both the coordination of states and the activities of a vast array of rule systems that exercise authority in the pursuit of goals and the function outside normal national jurisdictions. Some of the systems are formalized, many consist of essentially informal structures and some are still largely inchoate, but taken together thay cumulate to governance on a global scale.” (Rosenau 2000 citato da Bulkeley, Newell 2010, cit).

In generale i processi politici a scala mondiale, sono sempre più caratterizzati da varie forme di coinvolgimento di soggetti non statali, sempre più numerosi, differenziati e influenti, si tratta di organizzazioni non governative provenienti da settori no profit58, di imprese multinazionali e di organizzazioni scientifiche che partecipano ai processi intergovernativi in qualità di attori “diplomatici” indipendenti (Bulkeley, Newell, 2010 cit.,). Questi soggetti “complessi” prendono indirettamente parte ai trattati internazionali svolgendo attività di lobbying presso i delegati ufficiali, apportando conoscenze scientifiche, tecniche, legali (quindi agiscono come comunità epistemiche secondo l’interpretazione costruttivista dei regimi internazionali); sono in grado di esercitare pressioni “morali” sugli stati amplificando a beneficio dell’opinione pubblica quando accade sui tavoli negoziali attraverso vari canali di comunicazione. L’ampiezza e la rilevanza della partecipazione di questi soggetti varia naturalmente a seconda dei temi, dopo la conferenza di Rio, è sempre molto consistente presso le arene decisionali delle politiche ambientali (esiste ampia letteratura specifica sulla global environmental governance). Quanto questo fenomeno sia accentuato quando si discute di cambiamenti climatici è già stato argomentato (cfr. 1.1.1), basti pensare che alla COP 15 di Copenhagen nel 2009, erano presenti circa 10.500 delegati ufficiali, 13.500 osservatori and 3.000 rappresentanti dei media (secondo fonti UN, riportate in EEA, 2010).

Questi soggetti “complessi” sono spesso definiti transnational network, il termine identifica quelle forme organizzative che oltrepassano i confini nazionali e sviluppano autonomamente iniziative progettuali con obiettivi di interesse sovralocale e sovranazionale mettendo insieme, in modo fluido, ancorché almeno in parte strutturato, soggetti istituzionali, governativi e intergovernativi a più livelli; operatori economici - dalle associazioni di categoria alle imprese multinazionali -, comunità locali, e associazioni (Andonova et al, 2009, Bulkeley, Newell, 2010 cit.).

L’evoluzione della politica climatica è esemplificativa di questo slittamento verso forme di governance multilivello dove trovano appunto spazio climate transnational networks che non sostituiscono le forme più tradizionali della governance multilaterale – gli accordi tra stati- né le relazioni gerarchiche sub-statali – leggi e regolamenti - , ma senz’altro le integrano e le condizionano. Nell’ambito del cambiamento climatico si è infatti progressivamente creato “un continuum non gerarchicamente organizzato che parte da decisioni pubbliche e semi-pubbliche per giungere a iniziative private alla cui base stanno organismi internazionali, stati, mercati, e reti di associazioni e organizzazioni private” (Nespor, 2009). L’architettura della climate governance attuale è stratificata, frammentata, e caratterizzata da grande commistione di autorità pubbliche e private (Backstand, 2008).

Il tema dei cambiamenti climatici, non appartiene più – e forse non è mai appartenuto- in via esclusiva alle agende politiche nazionali o internazionali e oggi le reti transnazionali giocano un ruolo fondamentale dal momento che possono essere considerate politiche climatiche “tutte le misure e tutti i meccanismi intenzionalmente volti a guidare i sistemi sociali verso azioni di prevenzione, mitigazione, adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici” (Jagers, Stripple, 2003).

Per concludere con una sorta di confronto rispetto alle interpretazioni basate sulle teorie dei regimi internazionali, citando nuovamente la ricostruzione di Bulkeley (Bulkeley, Newell 2010, cit.), Secondo l’approccio global governance - nella sua versione arricchita degli strumenti analitici provenienti dalla teoria critica e costruttivista al “dove” della governance climatica apparterrebbero? dunque multipli livelli decisionali e operativi mutuamente interagenti dalle istituzioni internazionali, ai governi nazionali, alle reti transnazionali ai progetti privati. La prospettiva si moltiplica anche rispetto al “chi”, pur continuando a considerare lo stato un attore centrale, questo è concepito non più come soggetto statico unitario, ma

58

Nel 2011 risultano formalmente registrati come gruppi di consultazione presso il Consigli Economico e Sociale delle Nazioni Unite ben 3536 ONG (ECOSOC, 2011).

come “sistema dinamico di selezione strategica”59, entro cui il potere è continuamente negoziato dalle parti sociali. Nel campo delle politiche climatiche in particolare, intervenendo sulla regolazione di cicli di produzione e consumo, i provvedimenti dei governi nazionali sono inevitabilmente oggetto di contrattazione con gli operatori economici.

Nell’approccio della global governance, poiché spesso l’attenzione si concentra su un piano teorico e in particolare sull’evoluzione della distribuzione del potere e dello slittamento dei principi di autorità, il “come” rappresenta un campo di analisi ancora da esplorare in termini concreti; stesso vale per la dimensione del “perché”, che è inevitabilmente connessa agli interessi -dinamicamente intesi- dei soggetti statali e non statali che partecipano alla governance climatica. Nel prossimi capitolo si proverà ad aggiungere elementi di approfondimento in proposito, riprendendo parte di queste riflessioni e mettendo a fuoco il contenuto delle politiche climatiche sviluppate dall’UE e le risposte dei governi locali alle iniziative qualificate come multilivello.