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Riflessione sul contributo delle città al riscaldamento globale a partire dai metodi d

1. I cambiamenti climatici come questione urbana

1.3. Città come causa e soluzione

1.3.3. Riflessione sul contributo delle città al riscaldamento globale a partire dai metodi d

Quando si parla di ripartizione delle responsabilità sui cambiamenti climatici e vengono proposti o stabiliti target di riduzione delle emissioni in ambito internazionale, l’unità di riferimento è sempre lo stato e le emissioni contabilizzate sono sempre quelle prodotte all’interno dei confini geografico-amministrativi di quel paese. In questo senso il metodo di allocazione delle responsabilità e degli impegni è definito state- based e production-based.

Il ruolo delle città nella lotta cambiamenti climatici è solitamente argomentato sulla base del fatto che nelle città, in quanto centri di produzione e consumo ad alta intensità di carbonio, ha origine una quota significativa di emissioni di gas a effetto serra, alcune fonti attribuiscono ai contesti urbani fino al 75-80% del totale globale27.

Tuttavia esistono rispetto a questa argomentazione opinioni contrastanti. Satterthwaite (Satterthwaite, 2008; 2010) ad esempio, contesta il procedimento stesso di spazializzazione delle emissioni e criticando le stime più comunemente citate in merito al contributo delle città al riscaldamento globale, arriva a mettere in discussione la validità dei metodi di allocazione delle emissioni production-based, rispetto ai modelli consumption-based, nonché a evidenziare come differenti metodi di allocazione conducano a scelte politiche differenti in campo internazionale che inevitabilmente si trasferiscono a cascata differenti articolazioni delle priorità

Secondo Satterthwaite, l’equivoco ha appunto origine nel fatto che l’allocazione delle emissioni è sempre effettuata su base nazionale, quando in realtà non sono le nazioni -o le città- a generare emissioni climalteranti, bensì le attività umane.

Sostiene questa posizione attraverso una serie di paradossi di questo metodo dunque fa l’esempio dei voli aerei: le emissioni del trasporto appartengono alla località di origine o a quella di destinazione? L’esempio degli stabilimenti industriali: le emissioni derivanti dalla produzione di un bene sono da attribuire a chi lo produce o a chi lo consuma? O ancora, le emissioni dovute alla produzione di energia elettrica, sono da attribuirsi alla località che ospita fisicamente la centrale oppure a chi consuma l’energia prodotta?

Se la prima obiezione è tuttora in corso di dibattito in sede internazionale, la terza nelle metodologie più comunemente usate per effettuare di emissioni alla scala delle singole città è “risolta” attraverso un metodo ibrido: poiché è evidente che la produzione energetica è tendenzialmente concentrata in grandi impianti non necessariamente localizzati entro i confini amministrativi comunali, le emissioni legate agli usi domestici dell’energia sono calcolati sulla base dei consumi finali. Infine, nel mondo globalizzato caratterizzato da sempre maggiori flussi di commercio internazionale, la seconda obiezione ha decisamente senso, e contribuisce a chiarire come le posizioni di paesi che possiedono economie basate sulle esportazioni, non possano che divergere da quelle di molti paesi sviluppati, grandi importatori e consumatori di beni a basso costo e basso valore aggiunto prodotti altrove.

Attraverso questi paradossi Satterthwaite intende sottolineare quanto i meccanismi di allocazione production-based delle emissioni mascherino il rapporto diretto tra emissioni globali e modelli di consumo. Meccanismi di allocazione pro-capite, anziché nazionali, per quanto molto più complessi, includerebbero il contributo al riscaldamento globale incorporato nei prodotti elettronici, nei veicoli, nell’abbigliamento, nei

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Il dato è allineato alla fascia superiore della stima diffusa dall’osservatorio urbano delle Nazioni Unite (UN, 2008) e riportata nei paragrafi precedenti.

prodotti alimentari che il singolo utilizza, consuma e sostituisce ogni giorno, e che normalmente sono trascurati perché fisicamente prodotti fuori dai confini nazionali; in questo modo si evidenzierebbero differenze ancora più marcate tra i paesi.

Figura 8 - Maggiori flussi di emissioni (Mt CO2 /anno) incorporati nel commercio internazionale tra paesi prevalentemente esportatori (scala dei blu) e paesi prevalentemente importatori (scala dei rossi) (da Davis,

Caldeira, 2009)

Applicare un’analisi production-based “pura” ad un ambito urbano inteso entro i suoi confini amministrativi non avrebbe molto senso e comunque il contributo complessivo delle città non risulterebbe superiore al 40%, poiché molte delle principali sorgenti emissive, quali le centrali elettriche, le industrie pesanti,le discariche di rifiuti, di fatto sono situate fuori città28. Tuttavia anche il metodo ibrido comunemente applicato risulta ampiamente “parziale”: a scala urbana sono solitamente considerate solo le emissioni di CO2 derivanti dal consumo locale di combustibili fossili (solo in pochi casi anche il contributo dell’industria locale o del metano prodotto in discarica).

D’altra parte un’analisi consumption-based capace di considerare le emissioni connesse a tutto ciò che viene effettivamente consumato entro la città dai suoi abitanti, oltre a comportare anche difficoltà metodologiche quasi irrisolvibili, evidenzierebbe in corrispondenza delle città ricche nei paesi sviluppati, valori di emissioni pro-capite molto più elevati e differenze rispetto a quelle degli abitanti di città povere in paesi in via di sviluppo, molto maggiori se confrontate con quelle che risultano da calcoli production-based, differenze che potrebbero ben stare in un rapporto di 1 a 1000, anziché in un rapporto di 1 a 50. Un’analisi consumption-based spinta ad un estremo livello di dettaglio metterebbe in mostra differenze così significative tra le città da rivelare come poco corretta qualsiasi generalizzazione, oltre probabilmente a evidenziare differenze importanti anche tra gruppi di popolazione all’interno delle stesse città.

Una meccanismo di allocazione che attribuisse ai cittadini dei paesi industrializzati/occidentali le emissioni incorporate nei loro consumi quotidiani, evidenzierebbe un tale sbilanciamento da avere conseguenze su un qualsiasi schema globale di allocazione di responsabilità per la mitigazione.

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Ovviamente il ragionamento di Satterthwaite, mette in tensione soprattutto l’identificazione di ciò che è urbano e chiama direttamente in causa i modelli insediativi e tutto ciò che contribuisce alla definizione di città o di area urbana (Numero assoluto di abitanti? Densità insediativa? Funzioni?) nelle sue diverse declinazioni geografiche (un villaggio africano è città? un sobborgo residenziale statunitense è città?).

Attraverso questo ragionamento Satterthwaite intende soprattutto dimostrare in che misura i driver reali della crescita delle emissioni e del riscaldamento globale siano da rintracciare non tanto spazialmente, quanto in stili di vita e modelli di consumo ad elevata intensità di carbonio29: mostra come il funzionamento delle città non possa essere compreso se non nelle multiple connessioni con persone e luoghi sia vicini che lontani, e ribadisce che non sono le città che producono emissioni di gas serra, bensì le attività di cittadini, imprese e istituzioni le cui emissioni possono essere attribuite alla città sia in quanto prodotte entro i suoi confini, sia in quanto risultanti dai consumi dei suoi abitanti, tuttavia l’unico cambiamento che può invertire il loro trend di crescita, deve avvenire al livello di questi processi di produzione e consumo30.

Infine Satterthwaite, che è soprattutto uno studioso dei contesti in via di sviluppo dell’Africa e dell’Asia, mette in guardia, rispetto all’agenda politica che può derivare nei paesi in via di sviluppo da una concettualizzazione della città come grande emettitore. In città a basso reddito spesso caratterizzate da livelli molto contenuti di consumo di combustibili (ancorché fossili o particolarmente inquinanti), un accento troppo marcato sull’efficienza energetica ed una sovrastima dei co-benefits della mitigazione può, infatti, distogliere l’attenzione da interventi più urgenti quali per esempio quelli nel campo dell’adattamento.

Pur svelando quello che considera uno stratagemma retorico adottato da certe fonti per definire quote di emissioni ascrivibili alle città ed alla popolazione urbana, non intende sottovalutare il contributo che in termini positivi può venire dalle città, in quanto dispositivi insediativi in grado di concentrare gli elementi che contribuiscono ad offrire qualità della vita elevata senza necessariamente richiedere elevati livelli di consumo materiale (e di emissioni). Prende, in particolare, a modello le città europee dove densità e forma degli edifici – almeno in teoria - consentono di minimizzare il fabbisogno di riscaldamento e raffrescamento, dove la disponibilità di trasporto pubblico, la presenza di percorsi ciclabili e pedonali rende non indispensabile l’uso dell’auto privata, dove gli amministratori locali spesso dimostrano livelli di impegno sul tema della riduzione delle emissioni di gas serra superiore rispetto alla classe politica nazionale. Resta il fatto che – in pratica – è molto difficile controllare modelli di comportamento e consumo, specie quando questi stessi alimentano interessi commerciali forti e consolidati.

Nonostante traggano origine da riflessioni maturate in ambiti territoriali caratterizzati da esigenze diverse alcune delle riflessioni di Satterthwaite, saranno riprese più avanti anche nei contesti pienamente sviluppati.

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“It is the growth in the number of consumers and the greenhouse gas implications of their consumption patterns that are driving climate change” (Satterthwaite 2010)

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“The functioning of cities cannot be understood without understanding the multiple connections to other people and places in their surrounds and nearby, and often to “distant elsewheres”. And of course, it is not cities that generate greenhouse gases; greenhouse gas emissions are produced by particular (production and consumption) activities by individuals, enterprises and institutions. These may be allocated to cities on the basis of being produced within city boundaries or on the basis of being generated as a result of city inhabitants’ consumption and waste generation. But it is these producers and consumers that have to change if global greenhouse gas emissions are to fall.”(Satterthwaite 2008)

2.

LA POLITICA AMBIENTALE EUROPEA, LA STRATEGIA DI