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Tendenze emergenti della politica climatica europea: l’adattamento

2. La politica ambientale europea, la strategia di Lisbona e il clima: evoluzione del climate project

2.3. Politiche europee per l’energia e il clima

2.3.3. Tendenze emergenti della politica climatica europea: l’adattamento

A prescindere dagli sforzi nel campo della mitigazione delle cause, ovvero della riduzione delle emissioni, è ormai consolidata l’idea che alcuni effetti dei cambiamenti climatici non siano più evitabili.

Tali effetti saranno geograficamente differenziati, ed alcune aree più di altre dovranno affrontare significative alterazioni delle temperature medie e del regime delle piogge con l’incremento degli eventi meteorologici estremi quali ondate di calore, siccità e alluvioni.

Sebbene il panorama della pianificazione-programmazione su questi temi appaia ancora discontinuo, diversi paesi in Europa hanno ormai consolidato il proprio impegno specie quelli del nord Europa, tradizionalmente più sensibili ai temi ambientali o più esposti, ma soprattutto i paesi scandinavi, la Gran Bretagna e l’Olanda. Secondo le informazioni riportate dal recente rapporto di PEER - un organismo che riunisce 7 dei più importanti istituti di ricerca europei in campo ambientale - dispongono di un piano nazionale specifico per l’adattamento: Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Lettonia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito (PEER, 2011) 46.

Anche al livello sub-nazionale sono stati fatti molti progressi, a parte le iniziative inglesi a sostegno della predisposizione dei piani di adattamento da parte dei governi locali che sono già stati citati (crf. 1.3.2), può essere interessante menzionare il progetto per il coordinamento dei programmi regionali per

l’adattamento finanziato con fondi del governo federale in Germania

(http://www.klimzug.de/en/index.php). Ha sicuramente contribuito in modo significativo a stimolare la crescita del dibattito su questo tema anche l’esperienza di città all’avanguardia come Copenhagen, Londra, Stoccolma.

Figura 9 – proiezioni al 2100 dell’incremento delle temperature e delle piogge (COM (2007) 354 final),

Anche a livello europeo è maturata dunque la consapevolezza in merito alla necessità di sviluppare con urgenza azioni anche in questo settore. Negli ultimi anni sono molto cresciuti i progetti finalizzati all’approfondimento delle politiche di adattamento e allo scambio di buone pratiche finanziati attraverso i programmi di cooperazione interregionale e di ricerca47 e la CE ha incominciato a mettere a punto una

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Dalle informazioni disponibili sul sito dell’EEA, risulta che ci stiano lavorando anche Austria, Belgio,Estonia, Ungheria, Irlanda, Norvegia e Svizzera (http://www.eea.europa.eu/themes/climate/national-adaptation-strategies)

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A titolo di esempio si ricordano in ambito Interreg III e IV: ASTRA per la redazione di piani adattamento nelle regioni baltiche (http://www.astra-project.org), AMICE per un piano di adattamento transnazionale nel bacino della Mosa (www.amice-project.eu); in ambito FP 6 ed FP7: i progetti CIRCE a favore della ricerca sugli impatti climatici in ambito mediterraneo

strategia attraverso due documenti principali: il libro verde del 2007 “L'adattamento ai cambiamenti climatici in Europa – quali possibilità di intervento per l'UE” (COM (2007) 354 final), e il libro bianco del 2009 “L'adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo” (COM (2009) 147 final). Il primo, in quanto libro verde, ha carattere esclusivamente consultivo, pone delle “domande”, il secondo punta invece a definire degli orientamenti operativi auspicabili.

La necessità dell’intervento tempestivo da parte dell’UE si basa sulle considerazione del Rapporto Stern e nasce, dall’opportunità di ridurre i costi, evitando i danni più onerosi, tuttavia all’UE è riconosciuto soprattutto un compito di coordinamento ed uno sforzo di integrazione dei temi dell’adattamento nelle politiche settoriali, poiché in considerazione della variabilità dei contesti e degli impatti attesi, adattamento richiede soprattutto interventi decentrati a livello nazionale, regionale e locale.

Su scala comunitaria il libro verde delinea quattro “pilastri” della futura azione comunitaria:

1. lo sviluppo di strategie di adattamento e la loro integrazione nelle politiche e nei meccanismi finanziari esistenti

2. l’interazione della politica di adattamento nei rapporti con i paesi non europei

3. il supporto alla ricerca e la considerazione dei risultati della ricerca nell’elaborazione delle politiche 4. il coinvolgimento delle parti sociali e della società civile e degli operatori economici nella messa a

punto delle strategie future.

Secondo gli osservatori il libro bianco nella sua elaborazione definitiva è invece deludente, poiché propone una cornice debole, che identifica punti da sottoporre ad ulteriore discussione piuttosto che linee di indirizzo concrete (Rayner,Jordan, 2009). Il documento infatti si limita a enfatizzare elementi già trattati: in particolare la necessità di sviluppare la base conoscitiva e l’opportunità di “internalizzare” le strategie di adattamento entro le politiche e strumenti di supporto finanziario già esistenti.

Rispetto alla ricerca propone l’istituzione entro il 2011 del Clearing House Mechanism48, uno sorta di database degli impatti climatici, della vulnerabilità territoriale a varie scale di dettaglio e delle migliori pratiche di adattamento che dovrebbe riunire più archivi esistenti, nonché essere condiviso ed aperto a aggiornamenti e integrazioni da parte di più soggetti istituzionali. Vale la pena aggiungere chead oggi non sono disponibili sviluppi significativi della piattaforma. È inoltre fatto riferimento alla necessità di ridurre il grado di incertezza delle previsioni sugli impatti dei cambiamenti climatici e sui costi e i benefici delle misure di adattamento attraverso l'elaborazione di metodi, indicatori e modelli a lungo termine, che siano accessibili e disponibili a più scale di dettaglio.

Sul piano dell’integrazione delle politiche esistenti identifica i settori più vulnerabili dei quali è necessario incrementare la resilienza: la sanità, l'agricoltura, gli ecosistemi naturali e le risorse idriche, l’ambiente marino e costiero, le infrastrutture di servizio dei sistemi produttivi come la rete di trasporto e di distribuzione dell’energia, tuttavia tralascia di approfondire le connessioni con la politica agricola comunitaria o la direttiva quadro delle acque, e non fa alcun cenno alla pianificazione territoriale.

(http://www.circeproject.eu/), CLIMSAVE per la predisposizione di metodologie e strumenti di valutazione, vi partecipano anche istituti di ricerca non EU (http://www.climsave.eu/), CIRCLE e CIRCLE2 per il coordinamento della ricerca su impatti e adattamento nell’Europa allargata (http://www.circle-era.eu)

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Il termine 'clearing-house' è originario del settore bancario, dove indica un soggetto/un ente centrale dove sono depositate le informazioni sull'indebitamento tra i vari istituti finanziari. Il concetto è stato già utilizzato nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite per la biodiversità con l’istituzione nel 1994 di un clearing house mechanism (CHM), ovvero di un sistema informativo condiviso tra le autorità nazionali (focal point) dedicata allo scambio di informazioni, alla cooperazione tecnico-scientifica, al networking, al trasferimento di buone pratiche e tecnologie. Nel campo delle scienze naturali esistono altre CHM come quello sulla desertificazione e sulle foreste.

Sul piano del finanziamento delle azioni di adattamento, si limita a rimandare la predisposizione di strumenti finanziari innovativi, a sollecitare lo sviluppo di soluzioni per i settori delle assicurazioni e dei servizi finanziari, a suggerire la possibilità di utilizzare i proventi del nuovo sistema di aste sui permessi introdotto nell’ETS per sovvenzionare interventi di adattamento.

Secondo Rayner49 (Rayner, Jordan, 2009) la debolezza del libro bianco è indice di una “resistenza” alla costruzione di un politica di adattamento coordinata a scala europea che risulta particolarmente evidente rispetto alla sollecitudine mostrata nel campo della mitigazione e che risponde a vari motivi legati sia ad aspetti intrinseci del tema (v.di anche Berkhout, 2005) sia a caratteristiche proprie del policy making comunitario.

La grande variabilità degli impatti possibili su base geografica e l’assenza di modelli previsionali in grado di fornire un quadro attendibile della loro entità è, infatti, sufficiente a collocare l’intervento di adattamento sul livello locale e a giustificare la riluttanza a compiere investimenti onerosi in assenza di conoscenze certe, non si tratta insomma di politiche no-regret almeno sul breve periodo. Inoltre nel campo dell’adattamento, a differenza di quello della mitigazione, i vantaggi del “first mover” sono scarsi. Questa circostanza implica che anche l’interesse dei mercati continui a essere scarso, fatta eccezione forse per il settore assicurativo che specie nel Regno unito sta lavorando da diversi anni.

Se il rifiuto di un approccio “one size fits all” è giustificato e condivisibile, è ugualmente innegabile che molte decisioni locali siano vincolate o incoraggiate per effetto di indirizzi politici o schemi di incentivazione definiti a livello nazionale o sopra nazionale. Questo confermerebbe l’opportunità di un coordinamento a scala comunitaria, che è tuttavia ostacolato dalle tensioni tra istituzioni europee e stati membri in materia di sussidiarietà, in relazione alla suddivisione di responsabilità e competenze. Un ulteriore aspetto è quello della mancanza di sincronicità tra cicli del processo decisionale nei settori più colpiti dagli effetti climatici che in un certo senso costringe a rimandare l’integrazione Rayner cita a questo proposito il percorso di implementazione della direttiva quadro delle acque come una finestra di opportunità mancata per una verifica climatica a scala di bacino idrografico (Rayner cit.). Un’ultima difficoltà nel disporre indirizzi più ambiziosi pertinente i meccanismi di governance europei e connessa alla precedente, è la competizione per l’allocazione delle risorse finanziarie tra le Direzioni Generali della Commissione Europea, nonché l’esposizione al rischio di incoerenza tra politiche settoriali, a partire dal fatto che un’accelerazione sui temi dell’adattamento potrebbe distrarre risorse politiche, gestionali ed economiche dalle politiche di mitigazione, che producono ben altri “benefici addizionali”.