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Transnational climate networks

3. Città come attori in un sistema di governance multilivello

3.2. Transnational climate networks

Forme varie di transnational governance nel settore ambientale esistono dagli anni ‘8060, ma sono numericamente aumentate in modo esponenziale, rendendosi progressivamente sempre più indipendenti dall’autorità dei governi nazionali e delle istituzioni intergovernative, a partire dagli anni ‘90, quando sono comparse iniziative transnazionali esplicitamente orientate al problema dei cambiamenti climatici.

Le transnational networks vengono di solito distinte in base alla composizione in quelle costituite principalmente da attori pubblici, quelle ibride e quelle costituite esclusivamente da soggetti privati (Backstrand, 2008, cit.; Andonova et. al.2007; 2009 cit. ). Questa suddivisione in gran parte coincide con una articolazione su base temporale, che porta a identificare tre generazioni successive di transnational climate networks: una prima generazione anni ’90 immediatamente “post Rio”, una seconda generazione anni 2000 “Post Johannesburg”, una terza generazione di poco successiva.

Con particolare riferimento ai network sul clima, il primo tipo di organizzazioni transnazionali è quello che ha determinato la possibilità stessa di declinare in termini locali il problema del cambiamento climatico ancor prima del Protocollo di Kyoto. Sono le reti nate subito prima o subito dopo l’ Earth Summit di Rio de Janeiro nel 1992, che rivendicavano un ruolo chiave per comunità e istituzioni locali nel perseguimento dello sviluppo sostenibile, sostenevano la necessità di rafforzare la capacità endogene di promuovere e perseguire politiche proprie – soprattutto ambientali - attraverso lo scambio di esperienze, conoscenze scientifiche e tecnologie, ed avevano adottato l’impegno alla riduzione delle emissioni in una prospettiva complessiva di sostenibilità

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Secondo una concezione neo-gramsciana dello stato attribuita a Jessop B (citato da Bulkeley, Newell 2010 pag 13)

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Nel Rapporto EEA sulla Global Governance (EEA, 2010), Falkner identifica 4 tipologie di antecedenti della transnational governance attuale – comunque strettamente dipendenti da autorità statali o da organizzazioni intergovernative - che sono: partnership pubblico private attivate su progetti specifici, ad esempio nel settore della gestione idrica o ai fini di investimenti in energie pulite; “private regimes”come i sistemi di gestione ambientale tipo EMAS, o le certificazioni forestali per il commercio di legname; “global supply chain governance”, che coinvolgono i consumatori, come le certificazioni dell’agricoltura biologica; infine gli strumenti con cui le multinazionali si assumono impegni orientati alla “responsabilità sociale d’impresa” (per esempio nel settore della chimica industriale).

urbana. Ne sono un esempio proprio le reti transnazionali di città come Climate alliance, Energie Cités e la campagna Cities for Climate Protection promossa da ICLEI61 , tutte nate tra il 1990 e nel 1993 (cfr par.1.5.3).

Il secondo tipo è quello che corrisponde alle cosiddette partnership inititives Type II, partenariati volontari e multi-stakeholders, promossi a partire dal World Summit on Sustainable Development (WSSD) di Johannesburg del 2002, sono ascrivibili a questa categoria anche le iniziative nell’ambito dei meccanismi flessibili del Protocollo di Kyoto, con particolare riferimento ai progetti generatori di crediti di carbonio, Clean Development Mechanism e Join Implementation (cfr. par. 1.1) .Il crescente interesse dei governi dei paesi industrializzati a sperimentare approcci di governance“soft” a complemento di misure regolative ha ulteriormente sostenuto questo tipo di iniziative ibride, ne era un esempio il Chicago Climate Exchange (CCX)62, un mercato volontario cap-and-trade per lo scambio di crediti di carbonio, che vedeva la partecipazione di imprese private, ONG, università e governi statali e locali, altri esempi sono la Renewable Energy & Energy Efficiency Partnership63 (REEEP), oppure la rete di The climate group che riunisce alcuni tra i governi, i marchi più potenti del mondo, in Asia, Europa e Nord America.64 Il terzo tipo comprende le coalizioni di imprese legate ai nuovi mercati “verdi” quali International Climate Change Partnership (ICCP)65 o World Business Council for Sustainable Development Climate Partnerships (WBCSD)66 che tra le sue aree di interesse ha attivato uno specifico filone di iniziative su energia e clima, ne fanno parte anche tutte le iniziative connesse con il mercato volontario dei crediti di carbonio. Questo tipo di network si basa su un principio di marketing, ovvero garantendo il riconoscimento e la visibilità dell’impegno volontario, nonché sulla ricerca di dispositivi di mercato e soluzioni tecniche che possano anticipare future regolamentazioni (“to prepare for a carbon constraied future”) (Andonova et al., 2009 cit.).

61 ICLEI è un’organizzazione internazionale fondata nel 1990 dall’Unione delle città e dei governi locali (al tempo IULA, oggi UCLG) e dal programma ambientale delle Nazioni Unite (UNEP) per riunire gli enti locali interessati ad attuare politiche di sostenibilità nel tempo è cresciuta, dai 200 aderenti alla conferenza inaugurale oggi rappresenta più di 1200 autorità locali provenienti da 70 paesi , pari a circa 570 milioni di persone. Oggi possiede 14 sedi distaccate in tutto il mondo la sede centrale è a Bonn.

62 Il CCX, è stata la prima e unica piattaforma di scambio volontario dei crediti di carbonio negli Stati Uniti. Il progetto attivato nel 2003, contava con più di 400 partecipanti, tra cui multinazionali e autorità locali, ma si è concluso nel 2010 (https://www.theice.com/ccx.jhtml).

63La REEEP è un'organizzazione non-profit, interessata al mercato delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica, orientata soprattutto ai mercati emergenti ei paesi in via di sviluppo. Tra le sue attività promozione e finanziamento di progetti, assistenza tecnica ai governi, ricerca e promozione di strumenti finanziari e modelli di business, capacity building e comunicazione in collaborazione con università ed enti di ricerca (http://www.reeep.org/)

64The Climate Group è un'organizzazione non-profit internazionale fondata nel 2004 allo scopo di coinvolgere imprese, istituzioni finanziarie e governi sub-nazionali nella ricerca di” soluzioni al cambiamento climatico compatibili con la crescita economica”. La sede centrale è a Londra, ma possiede molte sedi distaccate negli Stati Uniti, Europa, Australia, India, Cina e Hong Kong. Alla fine del 2010 contava su 80 membri, città come Londra, New york, Mumbai, e multinazionali del calibro di Coca Cola, Nike, Dell, istituti finanziari tra cui Goldman Sachs e Deutsche Bank. Le attività di The Climate Group comprendono progetti dimostrativi nel settore energetico,cattura e stoccaggio del carbonio, ICT e mobilità elettrica, oltre all’organizzazione di eventi di comunicazione su larga scala e la produzione di rapporti e documentazione, in collaborazione con istituti di ricerca internazionali. Il suo slogan è “we need nothing short of a revolution, and we need to start at the top”

65“L’ICCP è una coalizione globale di imprese ed associazioni commerciali di diversi settori impegnati nella partecipazione costruttiva e responsabile di un processo politico internazionale in materia di cambiamento climatico globale. L'ICCP riconosce che la continua crescita delle emissioni di gas serra è una preoccupazione importante per tutte le nazioni e che sono in corso sforzi a livello internazionale e da parte dei governi nazionali per sviluppare politiche che affrontino questo problema”. L’IPCC è nata nel 1998 e riunisce 22 imprese, molte delle quali multinazionali. (http://www.iccp.net/)

66Il WBCDS è una organizzazione fondata in realtà nel 1992 che raggruppa gli amministratori delegati di oltre 190 aziende internazionali attive di vari settori, che si dichiarano impegnate su obiettivi di sviluppo sostenibile per la ricerca e la promozione di soluzioni imprenditoriali eco-efficienti innovative e ispirate a principio della responsabilità sociale d’impresa. Il suo programma di lavoro è articolato in 3 sezioni: sector projects: dedicata allo sviluppo di iniziative settoriali volontarie per migliorare la sostenibilità ambientale e sociale dei processi produttivi, systems solutions: dedicata allo sviluppo di sistemi gestionali e infrastrutturali, capacity building dedicata ad attività di divulgazione e comunicazione (http://www.wbcsd.org/home.aspx).

Le forme organizzative della transnational climate governance, presuppongono l’adesione volontaria e, come è ovvio, non dispongono di strumenti coercitivi per assicurare il raggiungimento di target o il rispetto di norme. Tuttavia, molti critici hanno mostrato che, nonostante uno statuto debole, sono in grado di esercitare una effettiva influenza sul comportamento dei propri membri, orientandone l’operato, pur in assenza di un mandato forte, attraverso una combinazione di funzioni: dallo scambio di informazioni e buone pratiche attraverso cui fanno “capacity building”, all’autoregolazione, attraverso l’adesione a standard e protocolli d’azione volontari, fino alla fornitura di servizi di assistenza tecnica, come ad esempio l’uso di software per l’elaborazione dati, protocolli di monitoraggio o strumenti di supporto alle decisioni attraverso cui contribuiscono alla elaborazione ed all’attuazione delle strategie dei singoli soggetti, fino all’attività di lobbying presso le arene politiche internazionali (Backstrand, 2008 cit. ; Andonova et al. 2009 cit.).

Tabella 3 – Tipi e funzioni dei transnational climate networks (da Andonova et al. 2009, pag 60)

Ma a cosa è dovuta la moltiplicazione ed il rafforzamento delle reti transnazionali nell’ambito specifico delle politiche climatiche? Secondo alcuni osservatori la crescita delle reti risponde soprattutto ad un deficit regolativo e attuativo dei regimi multilateriali, in pratica all’inadeguatezza delle istituzioni internazionali e dei governi nazionali nell'elaborare strategie condivise e concrete (Backstrand, 2008 cit.). Altri sottolineano come sia la stessa complessa architettura operativa definita dai trattati internazionali a sollecitare l’affermazione delle partnership, richiedendo approcci intersettoriali e expertise differenziate (Andonova, Levy, 2003 cit.).

In senso più generale, l’emergere della transnational climate governance, conferma i meccanismi generali della global governance, l’enfasi sulla partnership riflette la fiducia nel mercato come forza legittimatrice (Backstrand, 2008, cit.), postulandone l’efficacia e l’efficienza.

Specie nell’ambito dei transnational network ibridi e privati l’enfasi retorica sulla “nuova rivoluzione industriale”, la “clean o green revolution” è fortissima, le multinazionali coinvolte straordinariamente potenti e si mostrano compatte anche quando presenziano agli eventi collaterali del negoziato internazionale. In quest’ottica, il paradigma neoliberista di fondo quanto meno condiziona le opzioni di risposta e la formulazione delle politiche climatiche, privilegiando le soluzioni market-oriented. In base a questi presupposti viene spesso argomentata l’affermazione dell’emission trading scheme rispetto alle proposte di carbon tax un tempo concorrenti (Newell, Paterson, 2009).

Anche senza sposare completamente le posizioni radicali dei climate justice movements che vedono lo sviluppo della carbon economy come una ennesima manifestazione della marketization

della governance ambientale (intesa come un-governance) ai danni delle popolazioni del sud del mondo, è inevitabile constatare che il coinvolgimento di più attori pubblici e privati, con diverse capacità, a più scale, comporta problemi di responsabilità, trasparenza e legittimità (Newell, Patterson, 2009, cit.) e che nonostante il proliferare di iniziative volte al monitoraggio, il benchmarking, la misurazione delle prestazioni, il finanziamento di progetti specifici e il commercio dei crediti di carbonio, è difficile sostenere che il mondo si stia davvero avviando al superamento dal modello di sviluppo che alimenta il cambiamento climatico, poiché, nei fatti,la crescita economicae quella delle emissioni di gas a effetto serra continuano ad essere strettamente allineate (Bulkeley, Newell, 2010, cit.).

3.3.

Città e multilevel governance: l’esperienza dei network municipali