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Politiche nazionali per il clima

4. Carotaggi nelle politiche climatiche urbane in Italia attraverso il patto dei sindaci

4.4. Politiche nazionali per il clima

Secondo l’inventario nazionale delle emissioni di gas serra del 2010 (Ispra 2010), a fronte di un Kyoto target di -6,5%, si registra un trend crescente fino al 2005, ed un preoccupante +4.7% nel 2008 rispetto al 1990 (da 517 a 541 Mt di CO2)132, l’ultimo rapporto EEA sull’avanzamento delle politiche per il clima finalmente riporta per il 2009 una variazione negativa pari a -4,3% rispetto al 1990 (-9% rispetto al 2008), a prescindere dal fatto che questa variazione non appare in linea di tendenza sufficiente al raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, è chiaramente attribuibile al rallentamento della produzione industriale indotto dalla crisi ed inserisce pertanto l’Italia tra i ritardatari o “possibili inadempienti”, ovvero tra i paesi che devono ulteriormente concentrare gli sforzi per ridurre le proprie emissioni o almeno aumentare il ricorso attualmente previsto all’acquisto di crediti di carbonio sul mercato (EEA2010, EEA2011).

Figura 25 – Tendenze registrate nelle emissioni di gas serra in italia e proiezioni al 2020 (EEA, 2011)

Entro questo quadro appare particolarmente difficile anche il rispetto delle disposizioni previste dal pacchetto clima energia entrato in vigore nel 2009, e peraltro recepito in modo assai polemico dal governo nazionale (Lorenzoni, 2009).

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Dal 1990 al 2998 i il settore con l’incremento più elevato è comunque quello dei trasporti (+20%) seguito dalla produzione di energia (+16%). Rispetto agli altri paesi dell’Europa a 15, dove le emissioni sono diminuite

complessivamente del 6,9%, il maggiore ritardo dell’Italia nell’applicazione delle direttive comunitarie sembra essere nel settore residenziale e dei servizi, dove tra 1990 e 2008 c’è stato un incremento delle emissioni del 10,5%, mentre a livello continentale si è avuto un calo del 13,6%, e in quello dei rifiuti, la cui gestione e trattamento ha visto un crollo della produzione di gas serra del 39% nei paesi dell’Unione ma “solo” del 7,4% in Italia.

BOX – Principali elementi della politica climatica italiana

• Ratifica Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici - con la legge 15 gennaio 1994 n. 65 l’Italia ha ratificato la convenziona quadro impegnandosi, tra le altre cose all’attivazione di un sistema di monitoraggio permanente delle emissioni, l’inventario è redatto annualmente da ISPRA e inviato all’UNFCCC e alla Commissione europea nell’ambito del Greenhouse Gas Monitoring Mechanism.

Anno MtCO2 eq. Variazione % ( 1990)

(Emissioni complessive di CO2 eq escluso il contributo dei serbatoi di carbonio naturali - dati aggiornati al 2010 sulla base dell’ inventario nazionale 2011 -ISPRA, 2011)

1990 519 -

1995 530 2%

2000 552 6%

2005 575 11%

2009 491 -5%

• Ratifica del Protocollo di Kyoto - Con la legge 120 del giugno 2002 l’Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto, impegnandosi a ridurre entro il 2012 le emissioni di gas ad effetto serra del 6,5% rispetto ai livelli del 1990. • Piano nazionale per la riduzione delle emissioni - il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica

(CIPE), con la delibera n. 123 del 19 dicembre 2002, ha approvato il Piano di Azione Nazionale per la riduzione delle emissioni dei gas serra (PAN). la delibera era stata preceduta da due precedenti: un "Programma nazionale per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica“ del 1994, e dalle "Linee guida per le politiche e le misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra” del 1998. Il Piano, sulla base delle emissioni del 1990 e dello scenario tendenziale di crescita stabilisce:

- misure settoriali e intersettoriali e relativi obiettivi di riduzione per il periodo 2008-2012, dividendo tra quelle già deliberate e un pacchetto di possibili misure ulteriori;

- il potenziale massimo di assorbimento di carbonio ottenibile mediante interventi di forestazione e riforestazione e di gestione forestale e dei suoli agricoli,

- acquisizione crediti di emissione attraverso meccanismi flessibili di Kyoto per almeno il 23% delle riduzioni necessarie.

Il PAN viene sottoposto a revisione nel 2007 (Del. CIPE 11/12/2007) che aggiorna le linee guida per le misure nazionali di riduzione delle emissioni climalteranti e rivede i dati sulle emissioni di gas serra nell’anno-base 1990 e le previsioni al 2010.

• Piano Nazionale ETS - La direttiva di istituzione sistema europeo per lo scambio delle quote di CO2 (Direttiva ETS 2003/87/C). è stata recepita con il decreto legislativo 216/2006, con due anni di ritardo rispetto alle disposizioni europee. Il Piano Nazionale di Allocazione (PNA) dei permessi di emissione, che fissa la quantità di CO2 che nel periodo 2008-2012 può essere emessa dagli impianti interessati dalla direttiva. (circa 1000 impianti industriali in Italia, responsabili del 38% delle emissioni nazionali) adottata definitivamente dal MATTM febbraio 2008.

• Sviluppi in attuazione del pacchetto clima energia - La Direttiva del pacchetto clima energia sugli obiettivi nazionali in merito di fonti energetiche rinnovabili (2009/28/CE) è stata recepita con il decreto L.gs 28/2011, al quale è connesso un provvedimento di burden sharing interno che ripartisce gli obblighi su base regionale. Nel corso del 2011 è stato approvato anche il piano nazionale per le fonti rinnovabili

I provvedimenti in materia di politiche climatiche in Italia sono sempre stati focalizzati sulla mitigazione e concentrate nel settore energetico.

Nonostante sul fronte dell’efficienza energetica negli usi finali, l’Italia abbia anticipato forme di incentivazione innovative a livello europeo, quali il sistema dei certificati bianchi e la detrazione fiscale133 oggi si mostra spesso in ritardo con il recepimento delle direttive e l’assunzione degli impegni nazionali.

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L’ osservatorio internazionale German Watch produce annualmente rapporti di valutazione sulle politiche climatiche europee-. Secondo l’edizione 2010 (“Climate change performance index 2010” ) le migliori politiche riconosciute all’Italia sono proprio quelle indirizzate al settore energetico ed in particolare il sistema dei Certificati bianchi e dei Certificati verdi, gli incentivi all’autoproduzione energia elettrica (Conto energia, tariffa omnicomprensiva, regime di scambio sul posto), gli incentivi efficienza energetica settore edilizio, quelli per la sostituzione degli elettrodomestici, e quelli del settore auto (http://www.germanwatch.org/klima/ccpi.htm).

In senso generale secondo molti osservatori – e molti amministratori locali e regionali - la politica italiana in materia di cambiamenti climatici manca di incisività perché ha mai disposto finora una strategia nazionale complessiva capace di elaborare un quadro efficace e coerente di “misure domestiche”. Sin dal 2002, quando fu lanciato il Piano d’azione per la riduzione dei gas serra (PAN) per il periodo 2003-2012 era infatti possibile evidenziare un massiccio ricorso all’acquisto di crediti di emissione attraverso i meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto.

Innanzitutto le politiche italiane su clima ed energia in Italia sono prevalentemente trainate dall’Unione Europea in quanto derivano in modo quasi esclusivo dal recepimento delle direttive comunitarie. “La dipendenza da politiche sovra-nazionali è tuttavia il segnale di un limite fondamentale della politica italiana su queste tematiche ovvero lo scollamento tra gli impegni assunti a livello internazionale e la rilevanza concreta della lotta ai cambiamenti climatici nella definizione ed attuazione delle politiche nazionali” (D’orazio, Paoletti, 2009)

Questa dipendenza ha fatto in modo che le politiche per il clima italiane si interessassero esclusivamente di mitigazione e di energia, e si sviluppassero solo in corrispondenza di obiettivi internazionali vincolanti, questo ha indebolito anche le potenzialità in materia di efficienza energetica, come dimostra lo schema di piano nazionale per l’efficienza energetiche approvato nel luglio 2011 che si limita a confermare gli obiettivi del precedente piano d’azione del 2007, redatto in attuazione della Direttiva 2006/32/CE concernente l’efficienza degli usi finali di energia ed i servizi energetici, che fissava l’obiettivo nazionale della riduzione del 9% dell’energia fornita agli utilizzatori finali entro il 2016.

Questo deficit nella politica climatica è spesso considerato nei termini più generali di una difficoltà a costruire una politica integrata e coerente sul piano energetico, infrastrutturale, industriale, fiscale che sappia costruire sviluppo a lungo termine. L’incapacità di garantire la convergenza delle risorse pubbliche sugli obiettivi di Kyoto e del Pacchetto Clima Energia dell’UE per il raggiungimento dei target prefissati, si manifesta dunque attraverso un generalizzato ritardo rispetto al “climate project europeo”134.

In questo senso l’assenza di una visione strategica integrata dei problemi pare aver generato una dispersione di forze e soprattutto un’inefficiente allocazione delle risorse economiche finalizzate al perseguimento di obiettivi di sostenibilità nei settori energetici. “L’Italia mostra, infatti, una generalizzata inefficacia nell’attuazione delle politiche europee e una bassa concretezza delle misure per l’abbattimento delle emissioni e per l’aumento delle energie rinnovabili” (D’orazio, Paoletti, 2009 cit.).

Il risultato è una politica contraddittoria che stenta a delineare un quadro normativo certo in grado di dare stabilità ai mercati interni mentre i quadri di incentivazione destinati a promuover lo sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica sembrano perennemente esposti al rischio di drastici tagli.

Questo l’argomento su cui si concentra il recente rapporto di valutazione dell’ENEA che evidenzia come allo stato attuale sia prioritario verificare l’efficacia del sistema di incentivazione vigente, valutare nuove forme e tipologie di incentivazione in un’ottica 2020, dando certezza agli investitori sulla futura quantificazione

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Questa interpretazione è emersa chiaramente anche negli interventi alla recente conferenza CGIL sul Clima (“Economia verde, piena occupazione, lavoro dignitoso”, Roma 4/10/2011). L’inefficacia delle misure climatiche è infatti connessa alla mancanza di una politica industriale e di un sufficiente sostegno alla ricerca tecnologica: l’Italia non si mostrerebbe attrezzata per ripensare il proprio sistema produttivo in un’ottica autentica di green economy dal momento che mostra di consumare più che di produrre innovazione e di essere incapace di sostenere le filiere produttive e supportare l’occupazione e il “lavoro di qualità” (intervento di C.Perez). La politica finanziaria e fiscale manca di essere armonizzata come mostra la permanenza di sussidi sproporzionati sulle fonti fossili e le restrizioni per gli enti locali imposte dal patto di stabilità anche sugli investimenti su rinnovabili ed efficienza energetica (intervento di De Santoli). La politica infrastrutturale non è stata in grado di sostenere l’efficienza energetica nel settore dei trasporti, come dimostra la progressiva depressione delle potenzialità del trasporto merci su ferro (intervento di C.Clini) per effetto di una serie di scelte sbagliate nell’ambito della politica delle ferrovie.

degli obiettivi e la durata dell’incentivazione tanto sulle rinnovabili che sull’efficienza energetica (ENEA, 2011).

Probabilmente un esempio significativo dell’assenza di una solida volontà politica su questi temi è la vicenda del fondo rotativo nazionale per Kyoto, già citato (cfr. par.3.4.3). Il fondo annunciato dalla Legge finanziaria nel 2007, prevedeva uno stanziamento di 200 milioni di euro l’anno nel triennio 2008-2010 per prestiti a tasso agevolato da concedersi attraverso procedure selettive a soggetti pubblici e privati per la realizzazione di investimenti destinati a contribuire all’attuazione del protocollo. Alla fine del 2011, ormai a ridosso della scadenza del secondo budget period di Kyoto l’attivazione del fondo, più volte rimandata per la mancanza delle disposizioni attuative, non sembrava destinata a partire facendo supporre che le risorse disponibili fossero state in qualche modo “prosciugate”.

Tuttavia recentemente qualcosa si è mosso perché nel Gennaio 2012 il Ministro dell’Ambiente dell’attuale governo Monti, Corrado Clini, ha rilanciato la proposta che diventerà operativa a partire da marzo 2012, rendendo disponibile l’intero stanziamento di 600 milioni di euro a cittadini, imprese e enti pubblici che potranno presentare alla Cassa Depositi e Prestiti – soggetto gestore del fondo - domanda di accesso a prestiti agevolati per la realizzazione di progetti di varia scala su fonti rinnovabili ed efficienza energetica, l’entità dei contributi è fissata al 70% nel caso dei privati e al 90% nel caso di soggetti pubblici, il tasso di interesse è dello 0,5%, e la durata al massimo di 6 anni.

Un altro punto debole della politica italiana su clima ed energia è sempre stata l’assenza di coordinamento tra governo centrale e governi sub-nazionali, limitata all’accesso, quasi mai esclusivo, a bandi di co- finanziamento emanati dal Ministero dell’Ambiente.

Come si è visto, in assenza di una strategia nazionale complessiva, regioni, province e comuni hanno cominciato a fare da sé, ma con tutte conseguenza immaginabili in termini di disomogeneità territoriali e incertezze sul fronte dei risultati complessivi.

Almeno in materia di risorse energetiche rinnovabili e nei confronti delle Regioni, questo problema sembra essere stato avviato faticosamente a soluzione: è appena passato all’approvazione della Conferenza Stato Regioni (febbraio 2012) lo schema di decreto ministeriale per il cosiddetto “burden sharing regionale” che sulla base dell’attuale livello di produzione energetica, ripartisce a livello regionale lo sforzo per raggiungere l’obiettivo nazionale del 17% al 2020.

Ancora nessuno sviluppo in questo senso tuttavia si registra purtroppo sul piano dell’efficienza energetica o delle riduzioni delle emissioni, nonostante la costante richiesta da parte di molte autorità locali e regionali di un quadro di riferimento e di indirizzo più strutturato.

Tabella 23 – Tabella di sintesi degli obiettivi previsti dal burden sharing regionale in materia di fonti energetiche rinnovabili (dallo schema di decreto ministeriale del novembre 2011)

Come già accennato la dimensione dell’adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici è del tutto assente dalle politiche per il clima in Italia, mentre la maggior parte degli stati europei ci lavora ormai da tempo e perfino alcune regioni abbiano cominciato a muoversi in modo autonomo (Marche).

Nonostante ricerche approfondite compiute dal Centro euro mediterraneo per i Cambiamenti climatici e dall’ISPRA (allora APAT) per la valutazione economica degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia e delle relative misure di adattamento (Carraro, 2008) l’Italia è rimasto uno dei pochi paesi in Europa a non aver predisposto alcuna strategia o piano nazionale di adattamento.

5.

RIFLESSIONI CONCLUSIVE SULLE POLITICHE CLIMATICHE