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Dal senso di ingiustizia alla critica dell’ingiustizia

Nel documento Il pensiero anarchico (pagine 141-144)

Una teoria negativa della giustizia depone la pretesa idealistica di ricondurre ed esaurire il significato dell’esperienza dell’ingiustizia alla mancata applicazione di uno o più principi di giustizia costruiti a livello teorico:

la giustizia non è mai davvero esperita direttamente. Al contrario, noi facciamo esperienza dell’ingiustizia, ed è solo attraverso di essa che ci formiamo un’idea della giustizia26.

24

A. Margalit, The Ethics of Memory, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2004, p. 117.

25

Cfr. A. Honneth, Reificazione, Meltemi, Roma 2007 p. 87.

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In assenza di una teoria che definisca positivamente il concetto di giu- stizia, l’unica bussola in grado di orientare i nostri giudizi quando si tratti di valutare l’ingiustizia di certe relazioni o condizioni sociali è fornita dal senso di ingiustizia associato alla sofferenza socialmente esperita. Come scrive Nancy Fraser:

la strategia di approcciare la giustizia negativamente, attraverso l’ingiustizia, è potente e produttiva. Con buona pace di Platone, noi non abbiamo bisogno di conoscere cosa sia la giustizia per sapere quando qualcosa è sbagliato. Abbiamo piuttosto bisogno di affinare il nostro senso di ingiustizia [...]27.

Ciò significa anzitutto concepire la nozione di ingiustizia a partire dalla

sofferenza indebita: di un malessere, cioè, che potrebbe essere evitato, in

quanto socialmente causato o tollerato da istituzioni o singoli28.

Una volta ricondotta alla sofferenza socialmente esperita, la nozione di ingiustizia rischia però di andare incontro a una duplice deriva. Onde evi- tare una concezione psicologica dell’ingiustizia, che finirebbe per assecon- dare qualunque rivendicazione basata sulla percezione soggettiva della sofferenza, è necessario integrare questa prospettiva con una diagnosi delle asimmetrie di potere situate a monte del malessere socialmente diffuso. A questo proposito, è possibile concepire la giustizia come la negazione pra-

tica delle asimmetrie di potere che generano sofferenza sociale: tale è il

nucleo centrale di una teoria negativa della giustizia. D’altra parte, «la risposta alla domanda di Socrate, “Cos’è la giustizia?”, può solo essere questa: la giustizia è il superamento dell’ingiustizia»29.

Questa ulteriore precisazione, tuttavia, è ancora insufficiente a prevenire il rischio di derive populiste, che rischierebbero di assecondare qualunque sentimento di ingiustizia esperito dai subalterni. Partendo da una diagnosi delle disuguaglianze realmente esistenti – non da un’idea astratta di ugua- glianza come quella che ispira l’artificio rawlsiano della ‘posizione originaria’ – la diagnosi dei sentimenti di ingiustizia socialmente diffusi deve combinarsi con una critica delle giustificazioni connesse alle

asimmetrie di potere presenti in una società. Una questione, quella della

critica, che chiama direttamente in causa attori storici in carne e ossa, che contestano pubblicamente le giustificazioni correlate alle asimmetrie di potere cui sono sottoposti, contribuendo in questo modo a modificare le istituzioni e le annesse norme – in breve, l’ordine normativo – di una 27

Ibidem, p. 50. Cfr. L. Mazzone, Una teoria negativa della giustizia, Mimesis, Milano 2014.

28

Cfr. P. Pharo, L’injustice et le Mal, L’Harmattan, Paris 1996.

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società: «la questione della filosofia politica è la loro questione, ed è dalla loro prospettiva che essa si pone»30.

Una volta focalizzata l’attenzione sulle narrazioni giustificative che ten- tano di legittimare pubblicamente le asimmetrie di potere esistenti, queste ultime possono essere giudicate illegittime in due casi: o perché non forni- scono giustificazioni e, dunque, sono ingiust(ificat)e in quanto tali (I) o perché, pur essendo giustificate pubblicamente dai relativi portavoce, si basano su costruzioni ideologiche o non soddisfano appieno i criteri normativi che pretendono di tutelare (II)31.

In quest’ultimo caso, le asimmetrie di potere non sono giuste per il sem- plice fatto di essere pubblicamente giustificate; al contrario, la loro ingiu- stizia può essere diagnosticata proprio grazie all’assurdità o alla parzialità delle relative giustificazioni pubbliche. Tale approccio è interamente fon- dato sull’analisi dei criteri di giustizia interni alle relazioni di potere prese in esame, anziché su qualche criterio o principio di giustizia estrinseco. Occorrerà dunque analizzare criticamente le ‘narrazioni giustificative’ connesse alle asimmetrie di potere esistenti, focalizzando l’attenzione sulla loro coerenza interna come sulla realtà sociale cui pretendono di applicarsi. A seguito di tale esame, le relazioni asimmetriche di potere potranno essere illegittime o perché le annesse giustificazioni non tengono conto del punto di vista di coloro che traggono minori benefici dalla relazione di potere in cui sono coinvolti (II.a); o perché, di fatto, non mantengono la promessa democratica di eguale libertà in nome della quale sono formalmente giusti- ficate (II.b)32

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Al primo caso appartengono le cosiddette forme di ‘dominio semplice’, che non si richiamano alla promessa democratica di eguale libertà: tale omissione le rende democraticamente ingiust(ificat)e33. Le attuali forme di dominio complesso possono invece essere riscontrate là dove non è mantenuta la promessa di eguale libertà formalmente associata alle 30 R. Forst, Critica dei rapporti di giustificazione. Prospettive di una teoria politica critica, Trauben,

Torino 2013, p. 32. In Toleranz im Konflikt Forst osserva come l’autonomia dei soggetti sia diventata la stella polare della modernità a seguito di lotte storiche e di concrete rivendicazioni politiche, che hanno istituzionalizzato il cosiddetto ‘principio fondamentale della ragion pratica’.

31 Ecco perché i criteri normativi adottati da una teoria negativa della giustizia non sono il risultato di

una costruzione teorica, ma rientrano nell’ontologia sociale delle asimmetrie di potere esistenti. A tal proposito, il richiamo alla promessa democratica di eguale libertà non dipende da una malcelata adesione teorica a un qualche principio idealistico di giustizia, ma dalla sua istituzionalizzazione nelle costituzioni delle democrazie occidentali, che almeno formalmente obbligano ogni potere a rispettarla.

32

Riprendo qui le tesi esposte in L. Mazzone, Per una teoria critica del dominio, in Id., Una teoria

negativa della giustizia, cit., pp. 254-262 e in E. Renault, Teoria del riconoscimento e sociologia dell’ingiustizia, “Postfilosofie”, Cacucci, Bari 2006, pp. 51-74.

33

Cfr. L. Mazzone, La critica di fronte alla sofferenza sociale, oggi, “Teoria Politica”, 5, 2015, pp. 287-313.

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asimmetrie di potere esistenti34. A sua volta, tale tradimento può assumere due forme: potrà essere dovuto a contraddizioni pratiche (II.b1) o a veri e propri paradossi (II.b2). Nel primo caso, la promessa di eguale libertà vie- ne tradita quando le asimmetrie di potere formalmente legittimate in suo nome di fatto non riducono se stesse. Benché legittima, ad esempio, la relazione fra un maestro e un allievo può incorrere in contraddizioni pra- tiche, qualora il primo non si dimostri all’altezza della funzione richiesta dal suo ruolo, che consiste nel ridurre l’asimmetria stessa.

Vi sono poi asimmetrie di potere che, pur richiamandosi formalmente alla promessa democratica di eguale libertà, la tradiscono perché non pos-

sono mantenerla. In questo caso, i portavoce delle asimmetrie di potere si

richiamano indirettamente alla promessa democratica attraverso categorie normative inconciliabili con le condizioni materiali che dovrebbero ren- derne possibile la realizzazione, come nel caso dei principi morali ed etici dell’autonomia e dell’auto-realizzazione colonizzati dal new management. Se la promessa democratica venisse mantenuta, verrebbe meno l’asimme- tria stessa che i valori di libertà e uguaglianza sono strumentalmente chia- mati a legittimare35

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Nel documento Il pensiero anarchico (pagine 141-144)