Maura Franchi
Per riassumere il senso della forma di vita contemporanea Chri- stoph Türcke ha coniato qualche anno fa l’espressione «società sovreccitata» (erregte Gesellschaft). Volendo, si potrebbe sostituire l’ag- gettivo impiegato dal filosofo tede- sco con un altro semanticamente contiguo: sovrastimolata. L’idea, nella sostanza, non cambia ed è as- sai familiare. Ciascuno di noi è esposto giornalmente a una tale quantità di stimoli che, fosse solo per una banale esigenza di auto- difesa, è inevitabile che la soglia d’attenzione salga continuamente in proporzione.
Trapiantata nella sfera del lavoro intellettuale, questa condizione di
iperstimolazione impone agli stu- diosi una forma altissima e spesso fortuita di selettività. Viene allora da chiedersi quali caratteristiche debba possedere oggi un testo per emergere dal rumore di fondo e diventare una lettura indispensabile.
I destini generali di Guido Mazzoni
rappresenta un valido banco di pro- va per misurare tali requisiti. È dif- ficile, infatti, immaginare un libro di saggistica più appassionante: una opera-mondo lunga poco più di 100 pagine, in cui è distillata una quan- tità di intelligenza sufficiente per un tomo enciclopedico. La risposta al quesito diventa pertanto agevole. Per uscire dall’anonimato un non-
fiction book deve essere densissimo
(non una parola in più, non una parola in meno), essere scritto con uno stile e un senso del ritmo im- peccabili (non a caso Mazzoni è anche poeta) ed essere urgente, de- ve cioè toccare uno o più nervi scoperti della forma di vita del let- tore. In breve, deve essere ideato e realizzato da una persona capace di coniugare la visionarietà e il pro- fetismo di Pasolini con la freddezza analitica e il disincanto di Calvino.
Il successo, soddisfatte queste pre- messe, è garantito. Nel caso in esa- me, il frutto di un simile connubio acrobatico è un reportage sulla no- stra epoca che ha la forza ostensiva delle immagini documentarie. Così, mano a mano che ci si avvicina all’epilogo del libro, l’adesione alla prospettiva dell’autore avviene qua- si inavvertitamente ed è agevolata dal tono misurato, franco e autenti-
! 157 camente esplorativo del suo ragio-
namento.
Di che cosa tratta I destini
generali? Il libro è suddiviso in due
parti. Nella prima (intitolata, pasoli- nianamente, «La mutazione») Maz- zoni dipinge un ritratto della società odierna o, per usare il suo lessico, della Western Way of Life. Questa è descritta come una condizione di disincanto compiuto, resa possibile dalla graduale scomparsa di quella tensione essenziale tra piano mon- dano e piano ideale della esperienza che sta alla base (anche) delle gigantesche mobilitazioni novecen- tesche. Alla fine di tale processo di simultanea profanazione ed evapo- razione, la società dei consumi emerge come l’esito storico prosai- co del terremoto moderno, il cui tratto distintivo è la vittoria non trionfale dell’immanenza assoluta, alla quale corrisponde, dal lato della soggettività, una silente metamor- fosi psichica.
Questa metamorfosi prevede in primo luogo, l’allentamento dei vin- coli intrapsichici, vale a dire, in sostanza, la sostituzione del «Super- Io tradizionale, repressivo e censo- rio, con una nuova forma di Super- Io fondata sulla coazione a godere» (p. 15), e la simultanea decostru- zione di ogni interpretazione sostan- tiva dell’identità personale come un mito razionalista. Sul piano dei le- gami l’effetto dell’opera di dissolu- zione è, se possibile, persino più macroscopico. Di fronte al primato incontrastato della ricerca del godi- mento personale anche i vincoli af-
fettivi, ideali e politico-sociali pas- sano in secondo piano. Pur restando un ingrediente essenziale della vita, essi sono vissuti sempre più dagli individui come beni interscam- biabili, cioè come qualcosa che non richiede l’assunzione di impegni in- condizionati. La famiglia, i gruppi di appartenenza, la nazione, la lealtà verso i monumenti passati o i mi- raggi futuri perdono di consistenza se paragonati all’intensità e alla ri- levanza dei piaceri immediati. L’edonismo finisce così per preva- lere non nella teoria, ma nella pra- tica quotidiana, cioè sull’onda del valore sacrale che fin dall’inizio della modernità è stato attribuito al- la coltivazione degli aspetti più ordinari dell’esistenza.
L’immagine del mondo che emer- ge da questo processo globale di dissoluzione è strutturalmente am- bigua.
Da un lato, domina nell’espe- rienza delle persone un senso vivido della «precarietà di tutto, l’insen- satezza terminale delle cose» (p. 45). E questo le spinge ad adottare una filosofia del carpe diem, la cui giustificazione ultima è che nulla nella vita ha maggiore consistenza delle gratificazioni personali e che non c’è niente al di là di questo giro di giostra che ci è toccato chissà come in sorte. Il succo di questa diagnosi del presente è che «il con- sumo rappresenta il punto estremo della secolarizzazione moderna» o, altrimenti detto, «il godimento mo- dellato sulla forma-consumo, sul consumo come relazione col mon-
! 158
do, presuppone […] una immanen- za assoluta».
Il rifiuto di ogni forma di tra- scendenza, tuttavia, non viene vis- suto dai soggetti come una rivolta esistenziale o la soluzione del mi- stero dell’esserci. Al contrario, esso si offre semplicemente come un bruto dato di fatto a partire dal qua- le gli individui conferiscono un contenuto specifico al loro navigare a vista. La consapevolezza che non vi è risposta agli enigmi fonda- mentali dell’esistenza li spinge cioè a barcamenarsi, a cercare equilibri precari che non rispondono a una unica logica, ma il cui significato cambia a seconda dell’età ana- grafica, delle energie disponibili, delle vittorie ottenute e delle scon- fitte patite, insomma degli scherzi della sorte (a cominciare dalla lot- teria genetica e famigliare).
Dal punto di vista etico, il prin- cipale effetto di questo raggomi- tolarsi nell’al di qua è la disso- luzione del confine che separa le valutazioni forti dalle valutazioni deboli. Così, anche se non lo giu- stifica in senso proprio, il blando naturalismo che si offre come la visione del mondo più confacente a questo basilare sentimento della ca- ducità di tutto non oppone però neanche resistenza a un atteg- giamento disincantato verso il mon- do che è ben sintetizzato da frasi familiari come «se gli (o mi, ti, vi) fa piacere, perché no?», o il più brutale «chi se ne frega». In questo modo, come aveva già notato Paso- lini, il capitalismo riabilita e si allea
con una corrente profonda della saggezza spicciola di ogni tempo e «sotto la logica del consumo e dello spettacolo emerge, come uno strato fossile coperto da un terreno re- cente, il fondo del vitalismo popo- lare, col suo habitus cinico, disillu- so, nichilistico» (p. 37). Insieme, nuovo spirito del capitalismo e l’immortale rilassato scetticismo del volgo si coalizzano per celebrare quella che nel suo ultimo romanzo Milan Kundera ha definito «la festa dell’insignificanza».
Nella seconda parte (intitolata «L’epoca delle persone medie»), Mazzoni fa leva su questo ritratto della Western Way of Life per attirare l’attenzione del lettore su un caso di studio esemplare. Prenden- do spunto da una visita a Berlino («la vera città allegorica del xx secolo», p. 65), egli mostra al let- tore, anche con l’ausilio di alcune fotografie, l’affastellarsi di simboli e il conflitto implicito tra l’«ethos riflessivo e perbene» (p. 77) del ci- vismo democratico e il regime sim- bolico «ludico, irresponsabile e anarchico» (p. 78) che ha finito per prevalere nell’universo neocapitali- stico, favorendo nelle persone lo sviluppo di quell’atteggiamento blandamente schizofrenico che è perfettamente funzionale alla socie- tà dei consumi.
La naturalezza, persino l’orgoglio, con cui il cittadino consumatore vi- ve la propria scissione psichica ha conseguenze concrete sulle forme della socialità contemporanea. Inco- raggia, tra l’altro, una «forma men-
! 159
tis politeistica, privata, anti-eroica e
attimale» (p. 82); rimpiazza la ri- cerca dell’autodeterminazione con il gusto per «la microanarchia in spazi controllati»; innalza l’adole- scenza a forma umana egemone («gli adolescenti contemporanei stanno ai non-adolescenti come i prototipi stanno alle auto di serie», p. 84); sancisce l’assoluta orizzon- talità, transitorietà, fungibilità e quindi profanità di tutto ciò che è («il nichilismo è la forma in cui l’umanità è sopravvissuta alla pic- cola borghesia», p. 87).
La conclusione del libro è una ri- flessione sull’attualità della tesi he- geliana della fine della storia, riletta sullo sfondo di una visione dia- lettica, ancorché priva di sintesi, dello sviluppo storico umano. L’at- mosfera in cui avviene la medi- tazione finale è influenzata dal di- sagio che l’autore ammette di pro- vare verso una forma di vita «senza Dio e senza i suoi surrogati» (p. 88) che, sulla scia di Kojève, evoca in lui l’immagine di una regressione dell’uomo a una condizione astorica di animalità. Paradossalmente, l’af- francamento dalla necessità, reso possibile in Occidente dalla forma di vita capitalistica, si è capovolto in un «“accordo con la Natura o con l’Essere” (Kojève)» (p. 93), in una abdicazione alla lotta universale per il riconoscimento, che sembra ne- gare ciò che vi è di specificamente umano nell’uomo. Tale disagio rimane però sospeso nell’aria, per- ché Mazzoni ammette onestamente di non avere nulla di solido su cui
farlo poggiare: non un’ideologia politica, né un’etica o una filosofia della storia da cui possa scaturire un impulso a trasformare l’insofferen- za in azione o immaginazione poli- tica.
La domanda che rimane senza risposta alla fine del libro è se esi- stano dei torti o delle ragioni nella storia raccontata, se vi sia cioè una posta in gioco veritativa nella dia- gnosi del tempo cui il testo dà voce. Alla fine, dovendo formulare un giudizio sulla condizione umana, a chi bisogna dare retta? A Fabrizio Corona che descrive la vita come un giro di giostra (p. 47)? A quegli «adulti nevrotici e disadattati» (p. 56) che, come Philip Larkin, non riescono a capacitarsi del fatto che sia tutto qui, che l’aria azzurra e profonda «non mostri nulla»? Op- pure al comunismo ascetico di Fortini, secondo il quale «l’impera- tivo che domina la vita dei militanti è lo stesso che attraversa la vita dei santi» (p. 95)? O, al contrario, è banalmente una questione di tempe- ramento: un capriccio del destino che non ammette ulteriori perché?
L’unico difetto del ragionamento di Mazzoni è che non si capisce se interrogativi del genere abbiano di- ritto di cittadinanza nel contesto teorico allestito da I destini gene-
rali. Nel libro, in effetti, non si fa
mai un passo oltre il gesto di mo-
strare come stanno le cose: oltre,
cioè, la presa d’atto della differenza tra ciò che è vivo e ciò che è morto, l’attuale e l’obsoleto, l’autentico e il posticcio, lo stabile e l’evanescente.
! 160
Questa è la conseguenza più tan- gibile dello scetticismo storicistico sposato tacitamente dall’autore in quanto abito mentale dello Zeitdia-
gnostiker. L’attitudine essenzial-
mente ricettiva, che si fa un vanto di non passare mai dal piano della de- scrizione a quello della giustifi- cazione, gli impedisce così di ag- giungere un’opzione al quadro in- terpretativo: la possibilità, cioè, che quello che viene esibito nel testo come un nuovo stadio storico nello sviluppo dell’umanità rappresenti piuttosto l’ennesima oscillazione al- l’interno di una controversia teori- ca, politica e morale sul significato della condizione umana che ha avu- to inizio con la modernità e la cui posta in gioco non può essere neu- tralizzata semplicemente mediante l’assunzione di una postura storici- stica. Tanto più che attorno a questo asse ideale ruotano ancora oggi le lotte per il riconoscimento che animano le società capitalistiche e che non sono solo battaglie per l’au- toaffermazione e l’autorealizzazio- ne individuale, ma sono anche – e non solo residualmente – conflitti morali.
Poiché non fa i conti con questo aspetto della dialettica dell’illumi- nismo, il pathos malinconico ma non sprezzante che domina il libro e suscita l’immedesimazione del let- tore, rischia alla fine di regredire a mera coloritura generazionale. Da questo punto di vista, assume allora un valore quasi allegorico il fatto che, in un libro dalla veste edito- riale impeccabile, l’unico refuso
presente nel testo riguardi il titolo della canzone degli One Direction che – significativamente – non si intitola Live while you’re young, ma
Live while we’re young.
GUIDO MAZZONI,I destini generali, La-
terza, Roma-Bari 2015, pp. 122, € 14