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L'accesso civico consiste in una specifica tutela, garantita dalla legge ai cittadini contro le amministrazioni che non adempiono

correttamente agli obblighi di trasparenza, per rendere effettiva la possibilità per chiunque di ottenere le informazioni sull'attività amministrativa. Il decreto legislativo 97/2016 riforma in modo radicale l'istituto dell'accesso civico.

La legge sul procedimento amministrativo, legge 241/1990, ex articolo 22, comma 1, disciplina un istituto vicino all'accesso civico, e di questo precursore, se pur differente. Si tratta infatti di accesso ai documenti amministrativi, accesso definito conoscitivo od

informativo, ed anche detto extra-procedimentale, in quanto si realizza a procedimento concluso e mira a soddisfare un'esigenza conoscitiva del contenuto degli atti. Questa tipologia di accesso si differenzia da quella partecipativa, o endo-procedimentale, disciplinata dall'articolo 10 della stessa legge, che si esplica come 9 Garante per la protezione dei dati personali, nota 31 luglio 2015 alla Relazione

modalità di partecipazione del privato, interventore necessario o volontario, al procedimento amministrativo.

L'accesso ai documenti amministrativi rappresenta il diritto di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi, ed è indirizzato alla protezione di un interesse giuridico particolare, differenziato e qualificato. Infatti il Consiglio di Stato ha espresso il suo orientamento interpretativo affermando che « l'interesse che

legittima la richiesta di accesso, oltre ad essere serio e non

emulativo, deve essere personale e concreto, ossia ricollegabile alla persona dell'istante da uno specifico nesso: in sostanza occorre che il richiedente intenda difendere una situazione di cui è portatore, qualificata dall'ordinamento come meritevole di tutela, non essendo sufficiente il generico e indistinto interesse di ogni cittadino alla legalità o al buon andamento della attività amministrativa ».10

Quindi può essere esercitato soltanto dal soggetto portatore di tale interesse e ha ad oggetto atti e documenti individuati. In tal senso è stata ritenuta inammissibile la richiesta di accesso alla

documentazione della pubblica amministrazione che risultasse caratterizzata da una formulazione eccessivamente generalizzata, perché l'eventuale soddisfazione di tale richiesta avrebbe comportato un'opera di ricerca, catalogazione e sistemazione, non rientrante nei doveri posti in capo all'amministrazione, e, di conseguenza, anche un generalizzato controllo su un ramo di essa.11 Dunque, l'accesso ai

documenti amministrativi incontra limiti soggettivi, oggettivi e soprattutto funzionali, data l'espressa inammissibilità di istanze di accesso documentale indirizzate ad un controllo generale dell'operato delle pubbliche amministrazioni ed escludendo la sua configurazione come mezzo di controllo democratico del processo decisionale 10 Consiglio di Stato, sez. VI, 1 febbraio 2007 n. 416

11 Consiglio di Stato, sez. V, n. 4721/2012 e Tar Emilia Romagna – Parma, sez. I, n. 75/2013

dell'amministrazione da parte della società civile.

Nella versione del decreto legislativo 33/2013, l'accesso civico, disciplinato dall'articolo 5, fondava esclusivamente il diritto di qualsiasi persona ad accedere ai siti delle pubbliche amministrazioni, organizzati nella sezione “Amministrazione trasparente”, ed

acquisire tutti i documenti, i dati e le informazioni soggetti a pubblicazione obbligatoria. L'accesso civico discendeva dal riconoscimento del diritto alla conoscibilità diffusa dell'azione amministrativa, che aveva limitati precedenti nel nostro ordinamento. Da un lato esisteva l'accesso agli atti delle istituzioni comunitarie, infatti nell'Unione europea il diritto all'informazione si era affermato a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, in concomitanza con il consolidamento delle istituzioni comunitarie e l'esigenza di

perseguire un processo di democratizzazione di esse, attraverso l'applicazione del principio generale della trasparenza, di cui il diritto di accesso alle informazioni costituisce una componente

fondamentale. Con il Trattato di Amsterdam del 1997, il diritto di accesso aveva trovato un esplicito riconoscimento nell'articolo 255 del Trattato CE, a seguito del quale fu adottato il Regolamento CE 1049/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo all'accesso del pubblico ai documenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione. Infine, nel 2007 il Trattato di Lisbona aveva operato un ulteriore rafforzamento, affermando l'obbligo per le istituzioni europee di assumere le decisioni nel modo più trasparente possibile.

Dall'altro lato, il diritto alla conoscibilità sussisteva già nelle discipline speciali di accesso previste in materia di informazione ambientale e di enti locali.

riteneva che l'autorità pubblica dovesse rendere disponibile l'informazione ambientale detenuta a chiunque ne avesse fatto richiesta, senza dover dichiarare il proprio specifico interesse. Una parte della giurisprudenza aveva sostenuto che in materia di tutela ambientale non solo non fosse necessaria l'indicazione puntuale degli atti richiesti, ma fosse sufficiente una generica richiesta di informazioni sulle condizioni di un determinato contesto. Questo pensiero richiese l'intervento di una diversa parte della

giurisprudenza per limitare la natura estesa del diritto di accesso in materia ambientale ed impedire la paralisi dell'attività

amministrativa, provocata da un abuso nell'esercizio del diritto di accesso stesso. Alcuni giudici avevano sostenuto infatti che l'ambito applicativo del decreto legislativo 195/2005, per quanto esteso, non potesse aprire la strada ad una forma di accesso indiscriminato a tutte le pratiche riguardanti un determinato settore di attività

amministrativa, anche perché non doveva tradursi in uno strumento di controllo sistematico e generalizzato sull'intera attività di un ente pubblico. In questo filone giurisprudenziale si inserì anche una sentenza del Consiglio di Stato del 2014 (Sezione IV, n. 2557/2014), che precisò che tale normativa prevedeva un regime di pubblicità tendenzialmente integrale dell'informativa ambientale, sia per quanto concernente la legittimazione attiva, ampliando il novero dei soggetti legittimati all'accesso in materia, sia per ciò che riguarda il profilo oggettivo, prevedendo una accessibilità più ampia e svincolata rispetto ai presupposti della legge 241/1990. Inoltre, i giudici specificarono che la normativa intendeva soltanto informazioni riguardanti lo stato dell'ambiente (per esempio l'aria) ed i fattori che possono incidere su di esso (sostanze, energie, rumore, emissioni), sulla salute e sulla sicurezza umana, con esclusione quindi di tutti i fatti ed i documenti che non avessero un rilievo ambientale, e che,

infine, l'accesso poteva essere negato nei casi di richieste irragionevoli o espresse in termini eccessivamente generici.

Nel secondo caso, il Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, articolo 10, commi 1 e 2, tratta del diritto di accesso dei cittadini a tutti i provvedimenti dell'amministrazione non classificati come segreti o contenenti dati sensibili, che devono essere

consegnati al richiedente sulla base e con le modalità dettate dalle specifiche norme regolamentari degli enti stessi. Sul punto è stato espresso un interessante parere anche dal Ministero dell'Interno, nel 2014, in risposta ad un quesito di un comune, dicendo che l'articolo 10 del decreto legislativo 267/2000 non era soggetto alle limitazioni della legge 241/1990 sulla dimostrazione di un effettivo interesse alla conoscenza di un provvedimento, perché questa norma dispone che tutti gli atti dell'amministrazione comunale sono pubblici,

rafforzando il diritto alla trasparenza dell'azione amministrativa locale per il cittadino-elettore.

L'accesso civico “versione 2013” si distingueva profondamente dal diritto di accesso regolato dalla legge 241/1990, ed anche l'ANAC attraverso alcune sue “frequently asked questions” (Faq) ha spiegato la differenza fra questi due istituti:

- (Faq 2.1) « Che cosa è l'accesso civico? »

« Secondo quanto previsto dall'art. 5 del d.lgs. n. 33/2013, l'accesso

civico è il diritto di chiunque di richiedere la pubblicazione di documenti, informazioni o dati per i quali sussistono specifici obblighi di trasparenza, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione. Pertanto, l'accesso civico si configura come rimedio alla mancata pubblicazione, obbligatoria per legge, di documenti, informazioni o dati sul sito istituzionale »

completo agli obblighi di pubblicità imposti dal decreto legislativo 33/2013, mentre il diritto di accesso previsto dalla legge 241/1990 fonda la pretesa di ottenere dall'amministrazione pubblica i

documenti necessari alla posizione di chi vanti un « interesse diretto,

concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso »12, ex

articolo 22, comma 1, lettera b), della medesima legge n. 241. Occorre, quindi, una posizione giuridica “differenziata”

nell'ordinamento ed un legame tra tale posizione e i documenti. Invece, nel caso dell'accesso civico “vecchia maniera” non si richiedeva alcuna posizione particolare del richiedente, meno che mai occorreva un collegamento tra la sfera di chi chiede l'accesso civico ed i dati da pubblicare, che, infatti, devono essere

obbligatoriamente pubblicati a prescindere dalla situazione giuridica di qualsiasi singolo soggetto. Sostanzialmente, l'accesso civico è un rimedio offerto al pubblico contro l'inadempienza delle pubbliche amministrazioni agli obblighi di pubblicità imposti dalla legge. - (Faq 2.6) L'accesso civico di cui all'art. 5 del d.lgs. 33/2013 e il diritto di accesso agli atti di cui alla legge 241/1990 hanno le medesime funzioni?

« No, si tratta di due istituti diversi. L'accesso civico di cui all'art. 5

del d.lgs. 33/2013 introduce una legittimazione generalizzata a richiedere la pubblicazione di documenti, informazioni o dati per i quali sussiste l'obbligo di pubblicazione da parte delle pubbliche amministrazioni ai sensi della normativa vigente. Secondo quanto previsto dall'art. 3 del d.lgs. 33/2013, tutti i documenti, le

informazioni e i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli. Il

diritto di accesso agli atti di cui alla legge 241/1990, invece, è finalizzato alla protezione di un interesse giuridico particolare, può essere esercitato solo da soggetti portatori di tali interessi e ha per oggetto atti e documenti individuati ».13

Ecco come anche ANAC ha spiegato in modo sintetico e chiaro la differenza tra i due istituti.

Pertanto, per l'esercizio del diritto di accesso è necessaria l'esistenza materiale di un documento già formato e la dimostrazione della sua idoneità ad essere utilizzato per tutelare o difendere la posizione soggettiva del richiedente, mentre nell'accesso civico importa solo la sussistenza di un vincolo di legge per la diffusione dell'informazione. Comunque, in entrambi i casi le amministrazioni non hanno potere discrezionale per decidere se accogliere o meno l'istanza, perché, dopo aver accertato la sussistenza delle condizioni legittimanti, devono dare seguito ad attività, vincolate per legge, di pubblicazione obbligatoria dell'informazione e, del dato di offerta della visione in un caso, ed estrazione di copia nell'altro.

Bisogna aver sempre chiaro, comunque, che si tratta di due istituti diversi che convivono nel nostro ordinamento, e non pensare che l'accesso civico abbia sostituito il diritto di accesso agli atti. Per cui, riassumendo le caratteristiche di ognuno dei due istituti, possiamo concludere che: l'accesso documentale presuppone che il documento non sia sottoposto al dettagliato regime di pubblicazione imposto invece dal decreto trasparenza del 2013, costituisce un accesso caratterizzato dalla pertinenza ad un'attività amministrativa di interesse di un singolo ed azionabile nella sola ipotesi in cui sussista un collegamento diretto, concreto e personale tra l'atto richiesto e un interesse specifico del richiedente (c.d. “need to know”), la sua soddisfazione si realizza con l'esame e l'estrazione di

copia dei documenti.

Diversamente, l'accesso civico ha una funzione integrativa e correttiva della trasparenza che prevede gli obblighi di

pubblicazione, alla richiesta consegue la trasmissione del documento, dell'informazione o del dato al richiedente e la sua pubblicazione sul sito istituzionale dell'ente, garantendo anche la soddisfazione del diritto alla conoscibilità diffusa dell'azione amministrativa (c.d. “right to know”), chiunque ha il potere di controllare

democraticamente la conformità dell'attività dell'amministrazione. Si comprende allora che, con la disciplina del decreto legislativo 33/2013, e l'introduzione dell'accesso civico nel nostro ordinamento, per gli atti compresi negli obblighi di pubblicazione potranno

esercitarsi cumulativamente sia il diritto di accesso “classico” della legge 241/1990, sia il diritto di accesso civico del decreto

trasparenza, mentre, per gli atti che non rientrano tra tali obblighi di pubblicazione, opererà il solo diritto di accesso procedimentale. L'articolo 7, comma 1, della legge delega 124/2015 ha introdotto due ulteriori forme di accesso: alla lettera f) prevede la « definizione (…)

dei diritti dei membri del Parlamento inerenti all'accesso ai documenti amministrativi e alla verifica dell'applicazione delle norme sulla trasparenza amministrativa, nonché dei limiti derivanti dal segreto o dal divieto di divulgazione e dei casi di esclusione a tutela di interessi pubblici e privati », una forma di accesso classica,

legata alle esigenze connesse allo svolgimento dei compiti istituzionali, come quella già riconosciuta ai consiglieri degli enti locali dall'articolo 43, comma 2, del decreto legislativo 267/2000 ed ai consiglieri delle Regioni.

Alla lettera h) si inserisce un diritto di accesso « anche per via

situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni », con esclusione dei casi di segreto

o divieto di divulgazione previsti dall'ordinamento ed è richiesto il rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati. Il nuovo istituto è finalizzato a « favorire forme diffuse di controllo sul

perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche ».

Il legislatore, con questa previsione, ha segnato l'ingresso nel nostro ordinamento di modalità di accesso generalizzato analoghe a quelle previste dal “Freedom of information act” (FOIA) statunitense, letteralmente traducibile in “Atto per la libertà di informazione”, emanato il 4 luglio 1966, che ha ispirato l'adozione in più di novanta Paesi del Mondo di un modello di trasparenza pubblica che

garantisce la conoscibilità di tutti i documenti, gli atti, le

informazioni e i dati detenuti, o comunque in possesso di un soggetto pubblico, con eccezioni chiare e tassative, nell'ambito di più ampie politiche di “Open Government”. Tali politiche ridefiniscono alla base il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadino, spostando l'elemento fondamentale della relazione da un approccio orientato all'erogazione di servizi, in cui il cittadino è solo fruitore, ad uno basato su un processo di collaborazione reale, in cui il cittadino partecipa alle scelte di governo. L'ormai ex Presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama ha spiegato che questo “Open Government” si basa su tre elementi:

1) la trasparenza dell'azione amministrativa: favorisce e promuove la responsabilità fornendo ai cittadini le informazioni sulle attività dell'amministrazione. Un'amministrazione trasparente, ovviamente, è un'amministrazione più controllata e allo stesso tempo più aperta e affidabile;

2) la partecipazione dei cittadini alle scelte della pubblica

amministrazione: aumenta l'efficacia dell'azione amministrativa e migliora la qualità delle decisioni prese, anche grazie all'uso delle nuove tecnologie di comunicazione i cittadini devono essere coinvolti nei processi decisionali e potervi contribuire attivamente; 3) la collaborazione: vede un coinvolgimento diretto dei cittadini nelle attività dell'amministrazione, che non sottende certo una delega di responsabilità dell'amministrazione nei riguardi del cittadino, ma contempla la possibilità di monitorare la qualità del servizio pubblico in tutte le sue fasi di esecuzione.14

La riforma ha subito ricevuto critiche, ben prima della sua definitiva approvazione, soprattutto contro l'introduzione, non efficace quanto sperata, del FOIA, meccanismo inglese nel nome ma italianissimo nei fatti, da parte degli esperti di settore, in particolare le 30 associazioni riunite nel cartello del “Foia4Italy”, ma anche dell'Autorità anticorruzione, dei giudici amministrativi e delle commissioni parlamentari. Le correzioni suggerite, e sperate,

puntavano, ad esempio, a cancellare dal testo definitivo del decreto la previsione del silenzio-rifiuto, tagliare i costi in capo ai cittadini e ridurre le eccezioni agli obblighi di trasparenza. Critiche accolte dalla stessa ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia.15

Il decreto legislativo 97/2016, all'articolo 6 ha innovato quasi del tutto il testo dell'articolo 5 del decreto legislativo 33/2013, 14 B. Obama, Memorandum for the Heads of Executive Departments and

Agencies on Transparency and Open Government, 2009, in

www.whitehouse.gov/the_press_office/TransparencyandOpenGovernment 15 G. Trovati, Riforma Madia, la mappa delle novità, 25 aprile 2016, in

cambiando notevolmente la portata dell'istituto dell'accesso civico, anzi, avvicinandolo molto più al diritto di accesso dell'articolo 22 della legge 241/1990, tanto che si è venuto a creare un vero e proprio nuovo tipo di accesso civico che assorbe ed amplia quello

precedentemente regolato.

Il contenuto dell'accesso civico del decreto legislativo 33/2013 è riportato al comma 1 del nuovo articolo 5: « L'obbligo previsto dalla

normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione ». Per il resto, l'articolo 5 cambia radicalmente

rispetto al suo predecessore, presentando forti innovazioni ed ampliamenti, a partire dalla presenza di 11 commi, contro i 6 del testo previgente.

Il comma 2 fa comprendere la nuova struttura dell'istituto. Innanzitutto, ampliando il diritto di accesso come richiesto nella legge delega 124/2015, stabilisce che i fini a cui il nuovo accesso civico risponde sono: « favorire forme diffuse di controllo sul

perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico ».

Si capisce, quindi, che il legislatore non vuole che l'accesso civico sia soltanto un rimedio contro l'inadempienza delle amministrazioni a pubblicare sui propri siti istituzionali i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria, ma che lo fa divenire uno strumento per favorire vere e proprie forme di controllo pubblico sul modo di agire delle

amministrazioni e su come esse spendono le risorse per perseguire tali attività. Inoltre, nell'ottica di un ampliamento della

partecipazione dei cittadini alle scelte che le istituzioni devono prendere e che ricadono su di essi, si vuole fare dell'accesso civico lo strumento con il quale cittadini e imprese entrano in contatto con le

amministrazioni per fornire critiche, suggerimenti o esprimere il proprio parere su tematiche generali.

Da questo punto di vista l'accesso civico rimane molto differente dal diritto di accesso agli atti dell'articolo 22 della legge 241/1990, il quale è pur sempre un diritto riguardante la sfera giuridica di un singolo individuo, che accede a quegli specifici documenti

amministrativi direttamente collegati ad essa, e che non è finalizzato ad un controllo generico dell'attività amministrativa.

E' bene sottolineare, però, che il nuovo accesso civico non consente istanze per mera curiosità, anche se per le amministrazioni sarà molto difficile negarlo, dato che l'accesso continuerà, come prima, a non richiedere una specifica motivazione. Problema, questo, abbastanza frequente per gli enti locali, quando si trovano di fronte ad istanze che richiedono una enorme quantità di dati, che non siano realmente funzionali al controllo sull'espletamento delle funzioni pubbliche o delle modalità di spesa. Essendo i margini per il diniego legittimo non molto chiari, c'è il rischio che si aprano contenziosi lunghi e complessi.

Per quanto riguarda i soggetti legittimati, mentre nel diritto di

accesso agli atti classico la legittimazione soggettiva spetta soltanto a chi vanta una posizione giuridica differenziata che lo collega ai documenti richiesti, l'articolo 5 parla di “chiunque”, quindi la legittimazione spetta a qualsiasi persona, senza nessuno specifico requisito soggettivo.

La principale differenza tra l'accesso civico “vecchia versione” e l'attuale si evidenzia nell'oggetto della disciplina. Il comma 2 fa riferimento « ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche

amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto ». Come già detto, nel decreto

amministrazioni di rimediare alla mancata pubblicazione obbligatoria di documenti, dati o informazioni. L'oggetto della nuova disciplina mantiene questo contenuto, ma aggiunge anche la possibilità di accedere a dati e documenti ulteriori e diversi da quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria. Dunque si ha un oggetto meno definibile del passato (pubblicazioni obbligatorie), perché può riguardare tutti i dati detenuti dalle amministrazioni pubbliche, venendo a creare, però, un'attività molto più gravosa in capo ad esse. Prima era sufficiente accertare di aver omesso la pubblicazione, effettuarla e comunicare il dato al richiedente; adesso, laddove l'istanza di accesso civico riguardi dati ulteriori, l'amministrazione si troverà di fronte ad una attività simile a quella che si realizza per soddisfare il diritto di accesso dell'articolo 22 della legge 241/1990: accedere alle banche dati, reperire il dato, eventualmente elaborarlo in forma intellegibile e metterlo a disposizione del richiedente, ma non pubblicarlo sul sito. A proposito di questa nuova disciplina dell'accesso civico è

intervenuta la dottrina sottolineando come il nuovo provvedimento