L'INTEGRITA' DI UN COMUNE CON PIU' DI 150.000 ABITANTI E DI UNO CON MENO D
3.4 UNA RIFLESSIONE CRITICA SORTA DAL CONFRONTO DEI DUE DIVERSI PROGRAMM
TRIENNALI PER LA TRASPARENZA E
L'INTEGRITA'
Dopo aver preso in considerazione i due Programmi triennali per la trasparenza e l'integrità 2016-2018 del Comune di Livorno e del Comune di Pontedera, possiamo rilevare che entrambi in linea generale rispettano la disciplina dettata sia dal decreto legislativo 33/2013, che dalla legge 190/2012, che dalle Linee Guida
predisposte dalla Autorità nazionale anticorruzione nei precedenti anni.
La normativa viene riassunta per essere portata a conoscenza dei cittadini e spiegare come le Amministrazioni che li governano la mettono realmente in atto.
In particolare, è dato rilievo al coinvolgimento degli organi di indirizzo politico e dell'intera struttura organizzativa dei Comuni, per incrementare la collaborazione da parte di tutti con il Responsabile per la trasparenza, adempiendo agli obblighi di pubblicazione previsti in materia.
Sono spiegate le funzioni del Responsabile stesso, nonché il procedimento di elaborazione, adozione ed attuazione del Programma triennale, ed importanza è data alla fase del monitoraggio e dei controlli.
Inoltre, è accuratamente trattata la modalità di creazione e
aggiornamento della sezione “Amministrazione trasparente” del sito web istituzionale dei due Enti.
predetta analisi.
In primo luogo, come si evince dal Programma triennale del Comune di Pontedera, il pericolo è che tale documento risulti solamente un atto formale, una copia della imposizioni poste dalla disciplina generale e delle direttive emanate da ANAC attraverso pareri e linee guida. Un lavoro svolto come mero adempimento, per sottostare in maniera corretta ai controlli a cui l'Ente è sottoposto, con scarsi riferimenti alla realtà territoriale.
Ovviamente, tale documento serve come primo contatto del cittadino con l'attività della pubblica amministrazione che lo governa, dovendo eventualmente cercare tra i meandri delle sezioni del sito web
istituzionale i dati, le notizie e le informazioni a lui necessarie. A ben pensare, qui si pone anche il problema, non di poco conto, per cui il cittadino che non ha la possibilità o la capacità di accedere alla rete internet, non può neanche sfruttare il suo diritto di conoscenza e informazione rispetto al principio di trasparenza pubblica.
L'innovazione da parte del decreto legislativo 97/2016 di sopprimere il Programma triennale per la trasparenza e far rientrare i contenuti di esso direttamente nel Piano triennale anticorruzione, appare
correttamente introdotta.
In tal modo si verrà ad eliminare un adempimento burocratico molto pesante per le Amministrazioni, soprattutto di piccole dimensioni. Come precedentemente rilevato, infatti, un piccolo comune con a disposizione un minor numero di dipendenti, come ad esempio quello di Pontedera, può incontrare difficoltà ad elaborare un
documento accurato, avendo già i dipendenti occupati con carichi di lavoro ingenti, a cui queste nuove incombenze vanno ad aggiungersi, mentre un Comune più grande come Livorno, può vantare un'ampia collaborazione tra Settori, in cui i più numerosi dipendenti
previsti, ma anche alla eventuale indicazione di difetti, mancanze di trasparenza, e più in generale dei rischi corruttivi.
Inoltre, il problema burocratico deriva dal fatto che la riforma e i conseguenti aggiornamenti dettati da ANAC, vanno ad incrementare sempre più ciò che deve essere reso pubblico dalle Amministrazioni. Ma, anche se l'obiettivo è quello di una sempre maggiore
trasparenza, per cui il cittadino deve prendere visione di tutto ciò che è reso pubblico, così da essere a conoscenza delle varie attività e poter esprimere il proprio giudizio consapevole e segnalare eventuali disfunzioni, può succedere che aumentando sempre più il carico di lavoro per i soggetti competenti, la trasparenza in realtà ne risenta perché viene sacrificata la dettagliata e attenta pubblicazione.
In secondo luogo, l'altra criticità molto rilevante individuata, riguarda l'investimento in formazione e risorse informatiche.
Infatti, la disciplina richiede una periodica formazione da parte delle Amministrazioni per tutti i dipendenti di esse, perché tutti siano costantemente aggiornati su come mettere in atto controlli per la prevenzione della corruzione e per attuare la normativa della
trasparenza in maniera pratica attraverso i vari adempimenti richiesti. Peraltro, proprio per attuare gli obblighi di pubblicazione, cioè la messa online di documenti e informazioni, l'investimento deve essere materialmente fatto anche per le risorse e gli strumenti informatici, in continua evoluzione.
Ma a tutto ciò corrisponde la mancata predisposizione di risorse a livello nazionale da distribuire agli enti territoriali, e soprattutto ai piccoli enti che già sono in maggiori difficoltà, essendo la riforma a “costi invariati”, ossia, non devono esserci nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Cosicché sono gli stessi Enti che con le risorse già a disposizione dovrebbero investirvi.
Nei due Programmi analizzati si dice che è stata messa in atto la formazione dei dipendenti con la partecipazione degli stessi a corsi di aggiornamento e sembra che l'investimento in risorse informatiche ci sia stato, e si vada sempre più verso una modernizzazione delle istituzioni ed anche una semplificazione delle procedure di pubblicazione e creazione di documenti digitali, e di conseguenza riduzione del carico di lavoro dei soggetti competenti.
In conclusione si può dire che l'investimento nelle risorse è
direttamente collegato al problema della troppa burocrazia e potrebbe essere la stessa sua soluzione.
Sarà comunque interessante vedere come le Amministrazioni inseriranno i contenuti del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità nel Piano triennale di prevenzione della corruzione, a partire dal prossimo gennaio.
CONCLUSIONE
A mio avviso, la riforma apportata al decreto legislativo 33/2013, da parte del decreto legislativo 97/2016, come attuazione della legge delega 124/2015 (c.d. Legge Madia), in materia di trasparenza, ha dato una spinta innovativa alla disciplina in vigore fino a quel momento, ma non si è dimostrata la rivoluzione che ci si poteva aspettare.
Indubbiamente, molteplici sono gli aspetti positivi e migliorativi della precedente normativa, almeno sulla carta.
Come ho già descritto nel primo capitolo dell'elaborato, il principale intervento riguarda il passaggio ad un nuovo sistema di accesso civico: non più solamente volto a favorire forme diffuse di controllo da parte dei cittadini sull'operato delle amministrazioni pubbliche e a porsi quale rimedio contro gli inadempimenti degli obblighi di pubblicazione da parte delle stesse, ma vera e propria partecipazione democratica e tutela di diritti.
L'ambito soggettivo di applicazione viene ampliato: “chiunque” davvero può accedere alle informazioni che desidera e dunque non è più giustificabile il rifiuto di un'istanza da parte della pubblica amministrazione, riguardo il mancato collegamento diretto, concreto e personale tra l'atto richiesto e un interesse specifico del richiedente. Inoltre, l'accesso non riguarda più soltanto documenti per cui era precedentemente previsto l'obbligo di pubblicazione, ma anche ulteriori dati, comunque detenuti dagli enti, ed inoltre, l'istanza non deve essere in alcun modo motivata.
Se da una parte, dunque, tali previsioni sono sicuramente positive, dall'altra portano con sé indubbie problematiche.
L'assenza di motivazione, infatti, permette al cittadino la
formulazione di istanze indiscriminate, per cui, nonostante il decreto stabilisca che esse debbano collegarsi al controllo sulle funzioni e sulle spese pubbliche, la pubblica amministrazione ricevente non ha modo di opporsi all'istanza stessa, non potendo riuscire a determinare se essa sia realmente giustificata o meno.
Allo stesso tempo, anche l'oggetto più ampio provoca un'attività per le pubbliche amministrazioni molto gravosa, dal momento in cui non sono previsti limiti quantitativi all'istanza e gli enti si possono trovare di fronte innumerevoli richieste. Inoltre, per fornire dati, notizie o informazioni non oggetto di pubblicazione obbligatoria, il dipendente incaricato deve accedere alle banche dati, reperire quanto richiesto, eventualmente elaborarlo in forma intellegibile e metterlo a
disposizione del richiedente.
Il nuovo sistema di accesso civico è stato presentato in molte occasioni come la riforma definitiva della trasparenza, sul modello del “Freedom Of Information Act” americano, per far diventare finalmente la pubblica amministrazione italiana la sperata “casa di vetro” di Togliatti.
In realtà, il FOIA italiano, ha, a mio avviso, deluso le aspettative. Innanzitutto, l'accesso civico rimane pur sempre un accesso su istanza di parte, mentre negli Stati Uniti d'America è lo Stato che rende tutto pubblico, conoscibile e fruibile gratuitamente dai cittadini. Anche in Italia è stata prevista la generale gratuità
dell'eventuale ricerca del documento non soggetto a pubblicazione obbligatoria, ma può essere previsto un rimborso spese per la sua riproduzione, non standardizzato, e dunque liberamente deciso
dall'amministrazione, il che può essere percepito dall'istante come deterrente.
Inoltre, quello che sembrava essere proposto come accesso civico illimitatamente esteso, e dunque un aumento di trasparenza rispetto alla previgente disciplina, è risultato all'opposto estremamente limitato. Infatti, con l'introduzione dei nuovi articoli 5-bis e 5-ter del decreto legislativo 33/2013, si è stabilito che le amministrazioni pubbliche debbano negare l'accesso nel caso in cui le informazioni riguardino non solo materie connesse alla sicurezza nazionale, alla difesa ed alle questioni militari, ma esclusioni che contrastano col concetto stesso di “Atto per la libertà di informazione”. Nozioni come “conduzione di indagini su reati”, “politica”, “stabilità finanziaria” o “interessi economici e commerciali”, rappresentano categorie così ampie da lasciare un immenso spazio di discrezionalità alle amministrazioni per riuscire eventualmente ad occultare notizie scomode, negando l'accesso alla cittadinanza.
In un contesto storico come l'attuale, caratterizzato da numerosi scandali legati alla gestione delle risorse pubbliche e spesso compiuti da esponenti di primo piano delle amministrazioni locali, sarebbe stato forse utile e importante lanciare un forte segnale, aprendo quanto più possibile la disciplina dell'accesso civico, soprattutto in quelle materie dove si annida più facilmente la corruzione, e su cui dunque i cittadini dovrebbero poter avere maggiore possibilità di valutazione e controllo di chi li governa.
Si è predicata una riforma che desse più controllo in mano ai cittadini e meno discrezionalità e poteri alle amministrazioni, ma secondo la mia opinione, non si è riuscito pienamente a raggiungere tale risultato.
con l'entrata in vigore della legge Madia e, più di recente, con il decreto attuativo del 25 maggio 2016, ha scelto di investire
fortemente nella semplificazione e razionalizzazione della disciplina della trasparenza, ma le buone intenzioni riformatrici hanno portato con sé alcune contraddizioni evidenti.
Una prima contraddizione è data dal fatto che le numerose previsioni di aggiornamento ed ampliamento degli oggetti e delle modalità di pubblicazione, altro non fanno che accrescere gli adempimenti in capo alle pubbliche amministrazioni, quali, ad esempio, il “costante aggiornamento”, che rappresenta un carico di lavoro ingente per gli enti, o la previsione di un ulteriore canale di controllo sulla spesa pubblica, attraverso la sezione “Soldi pubblici” che deve essere presente sui siti web istituzionali, ma che già esiste sotto la gestione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Una seconda, è rappresentata dalla previsione di investimenti in formazione del personale e risorse tecnologiche (hardware e
software) in capo alle amministrazioni, che va collegata di pari passo con la regola per cui tale riforma, e di conseguenza gli adempimenti ed aggiornamenti previsti, deve essere a “costo zero”, ossia senza comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il problema maggiore, come analizzato nell'elaborato, si è posto per gli enti locali di piccole dimensioni, che non hanno personale sufficiente in termini di dimensioni e formazione per adempiere in modo adeguato a tutte le previsioni, ed allo stesso tempo, risorse da investirvi.
Infatti, l'Autorità Nazionale Anticorruzione, nell'Aggiornamento del Piano Nazionale Anticorruzione 2016 (delibera n. 831/2016), ha osservato la loro difficoltà nell'applicazione della disciplina ed ha previsto modalità semplificate di adempimento, come ad esempio, l'abolizione dal 2017 del Programma triennale per la trasparenza e
l'integrità, i cui contenuti ricadranno direttamente all'interno del Piano triennale di prevenzione della corruzione e dell'illegalità. In conclusione, dunque, il rischio è che si tratti di un altro processo di riforma colmo di buone intenzioni non raggiungibili con i mezzi poi concretamente messi a disposizione nei confronti delle
amministrazioni locali e dalle stesse ai cittadini.
D'altronde, questo processo è ancora tutto in divenire, e certo non valutabile con obiettività in pochi mesi: non ci resta che attendere il prossimo 31 gennaio 2017 per conoscere in che modo le pubbliche amministrazioni trasferiranno i contenuti del Programma triennale per la trasparenza e l'integrità nel Piano triennale di prevenzione della corruzione 2017-2019, e se ancora di più miglioreranno gli adempimenti a cui sono tenuti, nonché se si avrà un'ulteriore spinta da parte del Governo centrale verso una ancor maggiore trasparenza e lotta alla corruzione, soprattutto in vista di un FOIA più
“americano”.
Dopodiché, occorrerà necessariamente attendere ancora qualche anno per vedere se le pur buone intenzioni riusciranno a creare un sistema davvero più trasparente, nel quale il cittadino sia finalmente
partecipe, sia in quanto fruitore di servizi, sia come controllore dei propri amministratori, in particolare dotando di mezzi sufficienti gli enti locali, primi attori di questa riforma.
Da ultimo, ritengo sia doveroso segnalare i recentissimi sviluppi riguardanti la Sentenza numero 251/2016, depositata il 25 novembre 2016, con la quale la Corte Costituzionale ha accolto un ricorso avanzato dalla Regione Veneto nei confronti di tre decreti attuativi della legge Madia. Tale sentenza non ha un rilievo diretto con gli argomenti da me trattati, riguardando altri aspetti della legge, quali la
normativa sulla dirigenza pubblica, quella sulle società partecipate dalla pubblica amministrazione e quella dei servizi pubblici, ma ha statuito un'importante precedente, affermando la necessità che qualora un decreto attuativo riguardi materie di competenza
concorrente sia necessario per la sua adozione l'intesa unanime della Conferenza Stato Regioni e non il semplice parere, che non è idoneo a realizzare un confronto autentico con le autonomie regionali. Da questo punto di vista ritengo che si possa rilevare un simile profilo nel caso in cui fosse proposto ricorso anche avverso il decreto legislativo 97/2016 da me analizzato, per il quale la suddetta
Conferenza si è espressa analogamente con parere e non con intesa. Come ben si evince, potrebbe teoricamente trattarsi di un rischio che andrebbe a travolgere l'intera riforma della trasparenza sin qui analizzata, pur trattandosi, in realtà, solamente di una contestazione di tipo procedurale e non di merito.
Diversamente, si potrebbe auspicare un intervento riparatore, attraverso un decreto integrativo che richieda l'intesa della
Conferenza Unificata, anziché il mero parere. A questo punto non resta che attendere le evoluzioni in materia per poter meglio valutare i possibili effetti.