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Il passaggio diretto dalla dinamica cerebrale di (4) agli stati mentali di (2) e (1) presenta notevoli somiglianze con il passaggio sopra descritto da (4) stesso a (3), ma rivela anche importanti differenze. La somiglianza fondamentale consiste in ciò: dato che in (1) e (2) la mia percezione del fatto che il semaforo è rosso è uno stato di coscienza e la coscienza stessa è una sorta di auto-monitoraggio che il cervello esegue sulla sua stessa dinamica, come chiarito in precedenza, allora tale stato di coscienza può essere considerato come una ulteriore ridescrizione, parallela a quella offerta da (3), della dinamica cerebrale a cui si riferisce (4).

Più in generale, mentre da un punto di vista metodologico è utile discendere top-down dagli stati mentali di (1) e (2) alla dinamica cere- brale di (4) attraverso gli stati psicologico-funzionali di (3), è invece opportuno notare − volendo chiarire bottom-up le relazioni di imple- mentazione tra gli impegni ontologici degli ordini di discorso interes- sati − che gli stati psicologico-funzionali di (3) e gli stati mentali di (2) e (1) sono i rispettivi oggetti di due ridescrizioni indipendenti della medesima dinamica cerebrale; ridescrizioni che dunque devono essere poste bottom-up non in sequenza, bensì in parallelo.

La prima ridescrizione della dinamica cerebrale (quella offerta da (3)) è formulata dagli psicologi cognitivi nel linguaggio della loro scienza; la seconda (quella offerta da (2) e (1)), che è espressa nel lin- guaggio della folk psychology o in una sua ricostruzione logico-filoso- fica, rispecchia invece il “codice-macchina” (o, se si vuole, il “formato Intenzional-coscienziale”) utilizzato spontaneamente dal cervello al- lorché monitorizza la sua stessa dinamica; un formato ovviamente non costruito consapevolmente a tavolino, bensì depositatosi nei circuiti cerebrali dell’Homo sapiens per selezione naturale nel corso dell’evo- luzione biologica.

Tuttavia, nonostante la somiglianza tra stati mentali e stati psicolo- gico-funzionali nell’essere entrambi ridescrizioni parallele della me-

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desima dinamica cerebrale, gli stati mentali di (1) e (2), in quanto ri- sultato di una codifica cerebrale nel formato Intenzional-coscienziale, differiscono dagli stati psicologico-funzionali di (3) su un punto essen- ziale. Mentre questi ultimi sono stati virtuali completamente imple- mentati dalla dinamica cerebrale, gli stati mentali, soprattutto quando siano degli stati di coscienza, non sono funzionalmente riducibili in modo completo e, di conseguenza, non sono integralmente riducibili neppure alla dinamica cerebrale che implicitamente essi ridescrivono. Non lo sono perché né la dinamica del mio cervello né la sua ridescri- zione in termini psicologico-funzionali corrisponde completamente in termini fenomenologici alle mie esperienze vissute.

Esiste infatti un indubbio e incolmabile gap fenomenologico tra ciò che io introspettivamente provo e ciò che accade nel mio cervello. Ad esempio posso non sapere, quando ho mal di denti, che le fibre C del mio cervello sono attive, ma non posso ignorare il dolore che sto provando! Come spiegare quel gap fenomenologico? Forse con l’esi- stenza di un gap ontologico tra ciò che è fisico e ciò che è mentale? Sembra risorgere qui lo Hard Problem. Come si può risolvere tale problema, allora, senza ricadere nel dualismo cartesiano?

La chiave della soluzione dello Hard Problem in termini naturalisti- co-fisicalistici sta nel considerare la coscienza fenomenica, in quanto distinta dalla dinamica cerebrale che la implementa, non come una sostanza non fisica o una proprietà non fisica, bensì come una moda- lità di presentazione di quella dinamica stessa nel formato Intenzional- coscienziale. Ad esempio, una volta codificato in quel formato (che è fisicamente implementato dalla neuro-modulazione nm1), nm3(d) (in termini psicologico-funzionali rossamente(Vedere)) diviene in (2) un Vedere(Rosso*), mentre nm2(d) (in termini psicologico-funzionali soggettivamente(Vedere)) diviene, sempre in (2), un Vedere(Io*); e questi ultimi due stati di (2) si fondono in (1), mantenendo gli stessi impegni ontologici, nel mio vedere che il semaforo è rosso.

In altre parole la dinamica cerebrale che implementa la mia perce- zione, quando venga neurologicamente modulata in modo opportuno, assume un formato Intenzional-coscienziale entro il quale compare − nel cervello, ad opera del cervello e per il cervello − una triplice distinzione tra l’attività del vedere, il soggetto vedente e l’oggetto visto; distinzione che è invece assente sia nel formato avverbiale della riduzione funzionale sia nel formato neurologico della implementa-

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zione dinamico-cerebrale di quella percezione. In questo contesto la coscienza fenomenica stessa (simbolizzata in (2) mediante l’operatore avverbiale ‘coscientemente’) differisce dalla coscienza funzionale (simbolizzata in (3) da ‘f-coscientemente’) e dalla sua implementa- zione dinamico-cerebrale (simbolizzata in (4) da ‘nm1’) giustappunto perché nel formato Intenzional-coscienziale proprio di (2) la neu- ro-modulazione che la implementa, una caratteristica in realtà interna al cervello, si presenta come se fosse una “forza” ad esso esterna.12

In altre parole, quando una parte della dinamica cerebrale venga codificata dal cervello nel formato Intenzional-coscienziale per farla confluire nel Global Workspace, i vari modi in cui essa è neurologica- mente modulata sembrano assumere, in quel formato, una consistenza ontologico-spirituale estranea al mondo fisico; consistenza che è in realtà illusoria, per quanto utile e anzi indispensabile essa possa essere nella vita di tutti i giorni.

Secondo questa soluzione dello Hard Problem che chiamerei di eliminativismo moderato tutti gli impegni ontologici di (2) (e quindi di (1)) godono sì di esistenza relativa nel formato Intenzional- coscienziale (e quindi nell’ordine di discorso della folk-psychology), ma alcuni di essi non sono neurologicamente implementabili e per- tanto non godono, neppure indirettamente sotto altra descrizione, di esistenza assoluta. Tali impegni neurologicamente non implemen- tabili devono essere considerati come delle finzioni, ossia come dei ficta dotati di esistenza relativa nel loro ordine di discorso, ma privi di correlati aventi esistenza assoluta nel mondo fisico, l’unico assoluta- mente reale.13

12 In Nannini (2015) ho cercato di mostrare che questo modo di percepire il proprio Io (cosciente di sé e dell’ambiente circostante) come un agente che, essendo distinto dal corpo, è capace di guidarlo alla stregua di un timoniere che guidi la propria nave (secondo il celebre paragone aristotelico) è una illusione dovuta al limitato potere di risoluzione temporale del cervello umano, sebbene tale illusione sia essa stessa un prodotto dell’evoluzione biologica e noi, a livello percettivo ed emotivo, non possiamo liberarcene senza perdere la nostra salute psichica e rendere anormale il nostro comportamento (cfr. in proposito il «dualismo attributivo» di Perconti (2011 75-78)). 13 Un fictum, pur avendo esistenza relativa nel suo ordine di discorso al pari di uno stato virtuale, a differenza di quest’ultimo non è implementabile fisicamente. Ad esempio, Han Solo, in quanto personaggio di Guerre Stellari, è in larga misura una entità virtuale implementata da Harrison Ford. Se Han Solo alza un braccio, è stato Harrison Ford che ha alzato un braccio durante le riprese del film. Ma ciò

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Questa distinzione tra ciò che è virtuale e ciò che è fittizio ha inoltre un’importante conseguenza per quanto concerne i rapporti di causa ed effetto. Infatti, mentre è sensato parlare di cause virtuali, non lo è il credere che i ficta possano avere poteri causali. Lo stato virtuale A può essere causa virtuale dello stato virtuale B se (e solo se) A e B sono implementati rispettivamente dagli stati fisici A’ e B’ e, inoltre, A’ è la causa fisica di B’. Ad esempio, quando affermo che, avendo visto un lupo, ho avuto paura e sono scappato, sto dicendo in realtà che la presenza di un lupo ha eccitato, tramite i miei occhi, certe parti del mio cervello e tale attività cerebrale ha provocato nel mio corpo un movimento di fuga. Viceversa non è sensato credere che le pratiche magiche abbiano un qualche effetto terapeutico; non lo è perché esse, essendo solo dei ficta privi di qualsiasi implementazione fisico-chi- mica, non possono avere alcun effetto sullo stato del corpo umano.

Applicando la distinzione tra stato virtuale e fictum alla percezione [coscientemente(Vedere(Io*, [Rosso*])] menzionata in (2), è facile notare anzitutto che Vedere([Rosso*]) presenta due aspetti distinti: da un lato, considerato globalmente, è uno stato virtuale, dato che è fun- zionalmente equivalente a rossamente(Vedere) e quest’ultimo è im- plementato completamente da nm3(d); ma, dall’altro, se si analizza Vedere([Rosso*]) nelle sue due componenti, Vedere e [Rosso*], si nota che Vedere, essendo implementato completamente dalla dinamica cerebrale simbolizzata con ‘d’, è uno stato virtuale, mentre lo stesso non può dirsi del suo contenuto, ossia di [Rosso*]. Infatti [Rosso*], considerato a se stante in quanto oggetto fenomenico ontologicamente distinguibile nell’ordine di discorso della folk-psychology dall’atto del vedere, non è uno stato virtuale; è un fictum privo di implementazione neurologica. Il colore rosso, al pari di tutti gli altri qualia, a rigore non esiste né nella realtà fisica esterna, dove esiste [SD-Rosso] e non [Rosso], né come [Rosso*] nella realtà fisica interna, dove esiste sì la percezione del colore rosso, ma non il colore stesso in quanto oggetto ontologicamente distinto dall’atto mentale del percepirlo.

non vale per la sua astronave, il Millennium Falcon, ed i suoi balzi nell’iperspazio a velocità superluminale. Quell’astronave non esiste ed i balzi nell’iperspazio non sono fisicamente possibili. La loro realtà è stata non implementata, bensì solo simulata durante la lavorazione del film ricorrendo a qualche effetto speciale. Per maggiori dettagli sulla distinzione, entro ogni ordine di discorso, tra illata, abstracta e ficta sia consentito rinviare a Nannini (2007 159-174).

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Riassumendo, sia il fatto che il semaforo emette onde elettroma- gnetiche di una certa lunghezza (ossia [SD-Rosso]) sia il fatto che io vedo che esso è rosso (ossia [Vedere([Io*, Rosso*])]), in quanto stato virtuale implementato neurologicamente, svolgono un ruolo causale nella catena di cause ed effetti che va dallo stimolo distale alla risposta motoria; ma il colore rosso, in quanto mero oggetto fenomenico a rigore inesistente, è invece privo di effetti.

Considerazioni analoghe possono essere fatte riguardo a Io*, l’altra parte del contenuto di [Vedere(Io*, [Rosso*])]. Quando, nel vedere che il semaforo è rosso, divengo consapevole del fatto che sono io a vederlo rosso, con ciò il mio cervello monitorizza e quindi rappresenta a se stesso il suo Self (implementato da nm2) come un Io*. E dunque io, in quanto sono per il mio cervello (e dunque per me) un Io*, sono un fictum al pari di [Rosso*] nel formato Intenzional- coscienziale. Infatti è sì vero che quel mio vedere che il semaforo è rosso è in termini funzionali un soggettivamente(Vedere), ossia è uno stato virtuale implementato da nm2(d); ma questo aspetto della dina- mica cerebrale, quando venga rappresentato dal cervello a se stesso nel formato Intenzional-coscienziale, diviene, in quanto Io*, l’agente di un atto percettivo dotato in apparenza di autonomia ontologica rispetto all’atto stesso. Pertanto è in virtù del formato Intenzional- coscienziale che io mi sento come colui che ha quella percezione e che agisce di conseguenza, allorché premo il pedale del freno; ma in realtà io sono solo una parte del contenuto idealizzato e ingannevole della percezione stessa. Mi sento sì, per riprendere la celebre imma- gine aristotelica, come il timoniere del mio corpo, ma in realtà sono solo il servomeccanismo di un sofisticato timone automatico!14

In conclusione occorre ammettere, per quanto ciò sia lontano dal senso comune, che i qualia non esistono e che io stesso a rigore non esisto. Quando sono sveglio, mi sento esistente ovviamente; ed è questa sensazione che Cartesio sfruttò per concepire il suo celebre ‘Cogito, ergo sum’. Ma si tratta in realtà di una sensazione che il mio cervello ricrea di istante in istante. Quando mi sveglio al mattino, la

14 La sensazione di agency (Wegner 2002) che provo ogni volta che compio un’azione volontaria è tuttavia talmente radicata nella mia normalità psichica che tale sensazione permane anche se mi convinco che è illusoria, un po’ come avviene per molte illusioni ottiche. Su questo sia consentito rinviare a Nannini (2007 152-156).

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mia impressione di essere lo stesso che si è addormentato la sera prima è basata solo sui ricordi presenti del mio passato. Io proverei la stessa impressione anche se fossi un robot costruito durante la notte e, du- rante la costruzione, fossero stati inseriti artificialmente nei circuiti del mio cervello dei falsi ricordi di una vita mai vissuta.15

Ma − obietteranno forse i cartesiani − se io a rigore non esisto, come posso essere cosciente? A chi il semaforo appare rosso se io sono solo un’illusione? E come può, in generale, apparire qualcosa se non c’è nessuno a cui quel qualcosa possa apparire? Anche se rispondere a questa obiezione non è facile, una risposta c’è, se si prende sul serio l’affermazione di W. James, citata da Edelman (2004 111), che «a pen- sare sono i pensieri stessi». In altre parole la coscienza non presuppone l’autocoscienza. È vero il contrario: l’Io* compare come il contenuto della “rappresentazione” che il cervello dà a sé di quella parte della sua dinamica che costituisce funzionalmente il Global Workspace, quando il risultato della sua attività di auto-monitoraggio, codificato tramite la neuro-modulazione nm1, assume il formato Intenzional-coscienziale. La coscienza fenomenica è dunque il formato nel quale nm2 e nm3, due modi di neuro-modulare la dinamica cerebrale d, si presentano rispettivamente come il soggetto (Io*) e l’oggetto ([Rosso*]) del mio vedere che il semaforo è rosso. Pertanto, se è in quel formato e grazie a quel formato che essi sono dei ficta, non è possibile che quel formato stesso sia un fictum; altrimenti essi sarebbero delle finzioni di una fin- zione e tutto crollerebbe nella irrealtà!

La coscienza dunque, nella ontologia sottesa allo schema (1)-(5) non viene affatto eliminata (contrariamente a quanto di solito si rim- provera agli eliminativisti)!16 A differenza dei qualia e dell’Io* essa

non è affatto un fictum. Al contrario in quanto coscienza cerebrale, ossia nm1, gode di realtà assoluta, mentre, quando sia oggetto di una ridescrizione in termini psicologico-funzionali (‘f-coscientemente’ in (3)) come coscienza funzionale o Intenzional-coscienziali (‘coscien- temente’ in (2)) come coscienza fenomenica, essa è uno stato virtuale implementato da nm1, non un fictum.

15 È questa la fantasia che, com’è noto, si trova alla base del celebre film di fantascienza Blade Runner.

16 Neppure i Churchland, contrariamente a quello che di solito viene loro rimproverato, intendono eliminare la coscienza (Churchland P.M., Churchland P.S. 1996).

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Più precisamente la coscienza fenomenica è quella funzione di se- condo grado dell’attività cerebrale che permette l’attivazione, nel cer- vello, di tutte quelle funzioni di primo grado (come la vista e gli altri sensi, la memoria episodica, il linguaggio ecc.) che sono attivabili, in prima approssimazione, solo quando si è svegli e attenti. La coscienza funzionale è invece la riduzione funzionale della coscienza fenome- nica. Se si paragona l’operatore avverbiale ‘coscientemente’ di (2), che si riferisce alla coscienza fenomenica, ad un file di applicazione con estensione ‘.exe’, allora l’operatore ‘f-coscientemente’ di (3), che si riferisce alla coscienza funzionale, deve essere visto come una ridescrizione della struttura interna del primo file quale essa appare quando, invece di usare il file stesso, lo apriamo e lo leggiamo come se fosse un file di testo avente estensione ‘.doc’. In altre parole la co- scienza fenomenica è uno stato virtuale identificabile con la funzione di imporre agli stati mentali del mio cervello il formato della prima persona, trasformandoli così in stati di coscienza dotati di un conte- nuto (ossia in stati presentati nel formato Intenzional-coscienziale), mentre la coscienza funzionale descrive in terza persona quella fun- zione stessa. Ma in realtà l’unica coscienza veramente reale e opera- tiva è la coscienza cerebrale, ossia nello schema (1)-(5) la neuro-mo- dulazione nm1.