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Roberta Lanfredini Università di Firenze

1. Nannini fenomenologo?

La domanda è ovviamente provocatoria. Perché tutti noi sappiamo che Sandro Nannini non è un fenomenologo; né, forse, ha una spiccata simpatia per la fenomenologia. Esiste quindi una risposta rapida alla domanda «Nannini può dirsi un fenomenologo?» che suona sempli- cemente: no, senz’altro non lo è. Nessuna indulgenza per quelli che Sandro Nannini chiamerebbe «patiti di Zeus» (Nannini 2008). Credo tuttavia esista una risposta un po’ meno rapida e meno semplice. Ed è su questa strada che mi incamminerò, tentando di mostrare una sorta di complementarietà fra la prospettiva di Sandro e quella, apparente- mente antitetica, di un fenomenologo classico. Lo farò a partire dalle considerazioni fortemente critiche di Sandro nei confronti dell’impo- stazione fenomenologica relativa al problema mente-corpo.

Cominciamo dalla più importante. Laddove Husserl scorge una priorità non solo epistemologica ma anche, e soprattutto, ontologica dello stato di coscienza, Sandro, come sappiamo, sostiene la priorità ontologica dello stato cerebrale. A dire il vero, la posizione di Sandro è ancora più forte: se Husserl non è un eliminativista (in questo risiede, ad esempio, la sua differenza rispetto a Berkeley), Sandro è un eli- minativista, sia pure sofisticato. Ovviamente gli eliminativismi a cui stiamo facendo riferimento sono complementari: a base coscienziale

Roberta Lanfredini

il primo, a base fisico-neuronale il secondo. La posizione di Husserl è un delicato equilibrio fra la negazione della cosa in sé e la negazione della tesi (rintracciabile in tutto l’empirismo classico, ad esempio nella nozione “idea”) stando alla quale l’oggetto sarebbe contenuto effettivamente e realmente (nel senso di reell) nel vissuto di coscienza. Per Husserl, fare riferimento a un mondo fuori dal nostro mondo, quindi alla cosa in sé, è una completa assurdità. Parlare di assurdità non comporta tuttavia, in questo caso, la violazione della legge on- tologico materiale secondo la quale due generi che nell’esperienza si fondano reciprocamente risultano separati (come nel caso del colore e dell’estensione), e nemmeno la violazione della legge ontologico formale stando alla quale due specie disgiunte non possono convivere all’interno della stessa singolarità (come nel caso del quadrato e del rotondo). Nel caso della cosa in sé, si assiste infatti alla violazione di una legge ulteriore, se è possibile ancor più fondamentale: la legge secondo cui la nozione di cosa contiene necessariamente il rimando a un vissuto d’esperienza. Se concepiamo i due concetti di oggetto e di vissuto come generi disgiunti legati da un rapporto di fondazione unilaterale,allora possiamo dire che la nozione di cosa in sé rappre- senta quest’ultimo tipo di contro-senso. Si noti: la cosa non contiene necessariamente il vissuto d’esperienza, ma il rimando a un vissuto di esperienza. Rimando, quindi, e non appartenenza: il rosso non con- tiene infatti la sensazione del rosso e viceversa, la sensazione di rosso non contiene il rosso come sua parte costitutiva; ma il rosso contiene necessariamente il rimando alla sensazione di rosso, così come la casa rossa contiene necessariamente il rimando alla percezione della casa rossa o all’immaginazione della casa rossa. Il contro-senso ontolo- gico-materiale (colore senza estensione) e il contro-senso ontologi- co-formale (quadrato-rotondo) fanno riferimento alla legalità che vige fra le parti non-indipendenti della cosa: inclusione nel primo caso (due specie incluse nello stesso genere nel concreto devono essere di- sgiunte) e fondazione nel secondo (colore e estensione sono generi che si fondano reciprocamente). L’espressione ‘cosa in sé’ esprime a sua volta un contro-senso che potremmo definire costitutivo-formale (Lanfredini 2015). Si tratta di un tipo di contro-senso, cioè, che non fa più appello alle parti o proprietà della cosa ma, in senso generale, alla sua costituzione: la cosa in sé è contro-sensa perché si riferisce nello stesso momento a qualcosa che contiene il rimando a una funzione

Quello che eliminativismo neuronale e fenomenologia hanno in comune

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costitutiva e al tempo stesso se ne sottrae. Se a questa aggiungiamo l’osservazione che non è possibile parlare di cosa senza rimandare in modo necessario a un vissuto, diventa comprensibile in che senso non sia assolutamente lecito, per motivi costitutivo-formali, riferirsi coe- rentemente a una cosa in sé, semplicemente perché la cosa in sé non è qualcosa. Afferma Husserl:

Dal punto di vista ‘logico’, l’ipotesi di una realtà fuori di questo mondo è certo possibile, in quanto essa non implica una contraddi- zione formale. Ma se ci interroghiamo sulle condizioni essenziali della sua validità, se ci interroghiamo sul tipo di legittimazione richiesta dal suo senso (…) dovremo riconoscere che una simile realtà deve necessariamente poter essere esperita, e non soltanto da parte di un soggetto concepito come una vuota possibilità logica, ma da parte di un io; questa realtà deve poter essere esperita come un’unità che può essere esibita nelle connessioni d’esperienza di questo io. (…) Riflettendo su tutto questo ci si persuade che la pos- sibilità logico-formale di altre realtà fuori dal mondo, fuori dall’u- nico mondo spazio-temporale, che è fissato dalla nostra esperienza

attuale, è concretamente un’assurdità (Husserl 1913/2002, 118-19).

Con questa posizione Husserl manifesta senz’altro un anti-riduzio- nismo radicale ma, allo stesso tempo, un forse altrettanto radicale an- ti-eliminativismo: il mondo, sia quello fenomenico che quello fisico, non è affatto eliminabile a favore di entità mentali; ma soltanto, per sua stessa costituzione ontica potremmo dire, riconducibile a esse.