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DALLA DISTANZA-EVENTO ALLA DISTANZA-SIGNIFICATO

1. GENEALOGIA DELLA DISTANZA

1.1 PRATICA

1.4.4 DALLA DISTANZA-EVENTO ALLA DISTANZA-SIGNIFICATO

Il nostro intento è stato quello di illustrare la tematica, largamente presente nel pensiero di Sini, della differenza tra evento e significato. Tale differenza rappresenta per Sini la “distanza originaria” nella quale si colloca ogni possibile esperienza. Dopo aver indicato tale distanza con l’espressione ‘distanza-evento’, l’abbiamo investita del ruolo di immagine-guida di tutto il capitolo, articolato in base alla necessità di mostrare alcune sue possibili figure/declinazioni. Tali figure, tutte co- originarie tra di loro e rispetto alla distanza-evento, hanno tracciato un percorso che possiamo a questo punto riassumere così: l’evento del significato è per Sini l’evento di una concreta pratica. Tale pratica ac- cade sempre prendendo luogo nell’oscillazione tra continuità e diffe- renza, tra il supporto di pratiche incidentemente presente e l’ora/qui della pratica in atto nella sua emergenza di senso. Questa oscillazione, poi, non è altro che l’accadere dell’evento come soglia, come movi-

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mento, descritta nello specifico come kinesis del corpo in azione (visto come una sorta di “luogo originario” in cui ogni pratica sempre acca- de), il quale traccia e disegna il mondo a partire da sé, essendone per differenza e rimbalzo configurato. Il movimento del corpo in azione, il suo tracciare e disegnare il mondo, ha assunto in seguito le caratteri- stiche dell’interpretazione, termine che però riveste, in senso peirciano, innanzitutto il significato di ‘assunzione di un abito di rispo- sta/corrisposta’, occasionato dai segni offerti dal mondo, segni che sono in tutto e per tutto il mondo che concretamente “c’è”.

Abbiamo visto inoltre come l’accadere dell’attuale interpreta- zione richieda la presenza di una abito interpretativo già attivato. Per interpretare devo aver già interpretato, devo cioè incarnare la figura di «interpretante iscritto», iscritto in primo luogo nell’orizzonte di un «interpretante circoscritto», di cui eredito le abitudini, i comportamen- ti, gli abiti interpretativi. Eredito, ma non replico in maniera identica, altrimenti non vi sarebbe alcuna differenza tra l’aver già interpretato e l’attuale interpretare. L’interpretante circoscritto, ciò che dunque coincide con quanto in precedenza avevamo indicato con il termine ‘supporto’, inteso nel senso di ‘intreccio di pratiche’ (autentico continu- um trascendentale che sorregge l’accadere della prassi), non solo “an- teflette” il senso dell’esperienza attuale, ma viene da questa riconfigu- rato per retroflessione. L’elemento trascendentale della pratica, avevamo infatti detto all’inizio, ritrascrive ogni altra pratica collateralmente pre- sente alla luce della sua apertura di senso. Tra continuità e differenza, tra interpretante circoscritto e interpretante iscritto, tra supporto e fi- gura, tra l’intreccio di pratiche e l’ora/qui della prassi in atto, si stabili- sce un’inarrestabile oscillazione, un non poter sostare su di un termine senza immediatamente “precipitare” nell’altro, situazione esemplifica- ta da Sini attraverso la figura della permanente impermanenza. Figura che, occorre sottolineare, appartiene alla kinesis della soglia, all’evento co- me accadere del significato, della pratica, della “puntualità” del mo- mento presente; evento la cui oscillazione dunque, nel suo “dar luo- go” al significato (l’evento è sempre evento del significato), compie un ritorno sul passato, un contro-movimento che si rivolge a quel continu- um / supporto / intreccio di pratiche / interpretante circoscritto che pure ne aveva preparato il senso, ne aveva preconfigurato l’accadere, ma che ora assume un nuovo significato a partire dall’azione retrogra- da del presente, dell’ora/qui della soglia in atto. In questo modo esso, potremmo dire, non cessa mai di accadere “sempre di nuovo”, a se- conda di come viene retroflessivamente riconfigurato dalla kinesis dell’interpretante iscritto. Forse per questa ragione anch’esso, nota- vamo, viene talvolta indicato da Sini con il termine ‘evento’.

Si rende a questo punto necessario un breve riassunto delle varie espressioni incontrate finora, avente l’obiettivo di mostrare co- me ogni figura/declinazione della distanza-evento, essendo ad essa co-originaria, non faccia altro che specificare meglio la distanza tra e- vento e significato, non allontanandosi affatto dal suo luogo trascenden- tale. Tutti i nodi teoretici emersi lungo il percorso attraverso il pensie- ro di Sini, se riletti alla luce della distanza-evento, nostra distanza- guida dall’importante funzione riassuntiva (e non genetico/costitutiva)

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delle altre figure/declinazioni, possono essere schematizzati nel modo seguente112:

 Il significato:

- i soggetti/oggetti concretamente incontrati nelle varie prati- che (prima figura).

- la differenza “incisa” nella pratica presente, come ad esem- pio il bianco del gesso rispetto al nero della lavagna (seconda figura).

- il mondo tracciato dal corpo e il corpo delimitato dal mon- do, nel duplice legame tra auto/altero-biografia e tra antropo/cosmo- morfismo (terza figura).

- l’oggetto/significato prodotto dall’abito di risposta dell’interpretante (quarta figura).

 L’evento come soglia:

- l’apertura di senso trascendentale della pratica, nel suo acca- dere ora/qui (prima figura).

- L’oscillazione tra continuità e differenza (seconda figura). - La kinesis del corpo in azione (terza figura).

- La risposta/corrisposta dell’interpretate iscritto (quarta figu- ra).

 L’evento come continuum113:

- Le pratiche collaterali concorrenti alla messa in opera della pratica principale e rilette alla luce della sua apertura di senso (prima figura).

- La continuità che precede la differenza, vista progressiva- mente come continuum, intreccio di pratiche, supporto (seconda figu- ra).

- La pura esistenza di corpo e mondo, di soggetto e oggetto, in quanto figura retroflessa della loro relazione, del loro incontro (terza figura).

- L’interpretante circoscritto, sempre riconfigurato per retro- flessione dall’interpretante iscritto (quarta figura).

Abbiamo poi fatti i conti, nella parte finale dell’ultimo paragra- fo, con l’immagine siniana della permanente impermanenza. Tale immagi- ne, potremmo ora dire, si riferisce tanto all’evento come continuum quanto all’evento come soglia, mostrando infatti l’inarrestabile dialetti- ca tra continuità e differenza, tra permanenza e impermanenza. Tale dialettica però, attraverso l’analisi del tema dell’unicità dell’evento, è ap-

112 Tra parentesi vengono indicate le figure/declinazioni, corrispondenti ai paragrafi

del presente capitolo, nelle quali si trovano i termini citati.

113 Evento, come abbiamo osservato, è per Sini anche il continuum, dal momento che

esso “non cessa mai di accadere” come figura retroflessa della differenza, del pre- sente, dell’ora/qui della soglia in atto. Ben lungi dall’essere un’immagine immobile ed eterna, il continuum è perciò “fatto accadere” sempre di nuovo, poiché di volta in volta riplasmato alla luce della differenza. Il movimento della retroflessione, fonda- mentale per poter comprendere l’evento come continuum oltre che come soglia, è a- nalizzato nella sezione Ritmo del terzo capitolo.

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parsa inevitabilmente “sbilanciata” dalla parte della differenza, dell’ora/qui della soglia in atto, unico autentico luogo che concreta- mente “c’è”. Pur riconoscendo l’oscillazione tra i due termini, Sini e- videnzia in più parti l’“inaggirabilità” dell’evento come soglia, nel suo incidente accadere.

Questa considerazione ci ha invitato a porre l’attenzione sul tema, detto con Bergson, dell’“azione retrograda del vero”.

Interpretare, per rimanere all’ultima figura/declinazione dell’evento come soglia, implica dunque per Sini retroflettere, ovvero riconfigurare la situazione di partenza, l’origine, a partire dal punto di arrivo, dal concreto operare della soglia in atto, ora e qui, unica e in- declinabile, eppure nel continuo transito della sua permanente im- permanenza.

Se ora applichiamo questa conclusione anche al cammino del presente capitolo, anche alle figure/declinazioni della distanza-evento emerse nei paragrafi trattati, tutte le riflessioni che abbiamo svolto fi- no a qui assumono un nuovo significato e vanno osservate da un’altra angolatura, che ci spinge a formulare i seguenti interrogativi: da quale distanza propriamente parliamo? Quale figura della soglia in atto stiamo attraversando per poter parlare di pratica, corpo, differenza, monade, evento, significato, interpretazione, permanenza e tutto il resto? A partire da quale prospettiva riconfigurante possiamo legittimamente parlare di monadi, occasioni, risposte e corrisposte, operazioni con- crete e originarie, interpretazioni del mondo a partire dai suoi segni e così via? Attraverso la piena esplicazione del movimento di retrofles- sione insito in ogni interpretare tali domande diventano sempre più pregnanti e ci spingono a riconsiderare il senso che può assumere il tentativo di tracciare una “genealogia della distanza”. Genealogia im- plica infatti un lavoro di ricerca dell’origine e il nostro percorso in parte lo è stato, nella misura in cui ha avanzato la pretesa di illustrare come sia possibile per Sini intendere la “distanza originaria” del no- stro esperire, la distanza-evento declinata in figure di volta in volta di- verse. Figure tutte sicuramente efficaci anche nel descrivere la nostra esperienza di mondo (nostra innanzitutto in quanto propria di umani adulti, occidentali e abituati ad avere a che fare con testi di argomento filosofico), ma con l’inevitabile pretesa di estendersi verso una descri- zione dell’esperienza globalmente presa, come potrebbe essere ad e- sempio quella di un bambino, di un animale, o di un uomo della prei- storia. Non a caso esempi aventi come protagonisti proprio queste fi- gure che si collocano al limite, se non del tutto al di là, di ciò che vie- ne propriamente definito come “umano”, sono stati utilizzati più vol- te durante il nostro percorso, con l’implicita pretesa di parlare in un certo senso “con verità” anche della loro esperienza, dal momento che ci sembrava del tutto ovvio e naturale caratterizzare anch’essa, al pari di ogni esperienza possibile, nei termini di pratica, corpo, differenza, segno.

Sappiamo che tutto questo non è per Sini “pacificamente” possibile e proprio l’analisi della retroflessione ce lo ha reso evidente. Con che legittimità infatti parliamo di un’esperienza oltre-umana, o comunque al limite dell’umano, consapevoli che ogni possibile descri-

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zione di essa trae la sua validità e il suo senso dalla retroflessione delle categorie da noi elaborate e indebitamente sovrapposte ad un mondo che non ne sapeva e non ne sa ancora adesso nulla di tutto ciò?

Con quale diritto parliamo di quanto precede il nostro stacco interpretativo, con parole, immagini e significati visibili e comprensi- bili appunto solo per noi, assegnando così ad esso una continuità e un senso visibili solo a partire dalla nostra differenza? In un passo del primo libro della sua enciclopedia Sini riflette sul fatto che dicendo «vedi, il bambino comincia a parlare», in realtà «stiamo propriamente parlando di noi, non di lui»114. Allo stesso modo dovremmo chiederci noi ora: di chi stiamo propriamente parlando quando diciamo ‘soglia’, ‘evento’, ‘pratica’, ‘monade’, ‘kinesis’, ‘corpo’? Quale stacco rende possi- bile riconfigurare l’esperienza in questi termini? In quale soglia in atto ci troviamo effettivamente collocati e che genere di pratiche, dive- nienti e divenute attraverso mobili intrecci e trasformazioni di senso, si sono avvicendate e sovrapposte per poter dire ciò che diciamo?

La situazione appare a prima vista paradossale: da un lato in- fatti abbiamo individuato nel pensiero di Sini il tema della distanza- evento, della distanza come differenza tra evento e significato, guidati dalla convinzione che dietro tale “dialettica” si nasconda la volontà di descrivere gli elementi costitutivo-trascendentali dell’esperienza tout court. Dall’altro il tema della retroflessione ci ha però costretto a met- tere in dubbio tale pretesa di estensione ad ogni forma di esperienza, spingendoci a domandarci che senso abbia descrivere l’apertura di mondo tipica di un bambino o di un animale nei termini di ‘evento’, ‘pratica’ o quant’altro (essendo i soggetti in questione del tutto ignari di queste sottili differenze filosofiche e presi in ben altre impellenti necessità), termini in grado di descrivere, più o meno efficacemente, la nostra esperienza, non la loro.

La paradossalità starebbe dunque in ciò: parliamo di evento e si- gnificato, con la pretesa di fornire in questo modo una descrizione “e- sterna” e “oggettiva” dell’esperienza, senza renderci conto che solo a partire dall’evento del nostro significato (della nostra pratica, della no- stra apertura di mondo, della nostra kinesis interpretante), nostro in- nanzitutto in quanto di noi umani adulti, è possibile disporre di con- cetti quali appunto ‘evento’ e ‘significato’, comprese ovviamente tutte le varie figure/declinazioni (in modo simile avevamo intravisto il pro- blema nel primo paragrafo: anche la ‘pratica’, dicevamo, è, parados- salmente, l’oggetto interno ad un pratica).

Tutto questo ci spinge seriamente a mettere in discussione lo “statuto di verità” del nostro discorso, così come del pensiero di Sini da cui è tratto. Esso sembra infatti “franare” nell’abisso dell’autocontraddittorietà, dell’impossibilità di essere detto senza venir così negato. Il destino di Sini è dunque il medesimo del mentitore cre- tese, intrappolato nelle sue alternative senza uscita? L’ultimo capitolo del presente lavoro si occupa ampiamente di rispondere a simili do- mande, affrontando tutti i nodi paradossali emersi a questo punto e vedendo come essi si intreccino con alcune importanti questioni sol-

114 E1, p. 37.

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levate da Vitiello. Il successivo capitolo, invece, si ferma un passo prima, nell’intenzione di comprendere a fondo tale passo. Esso infatti, raccogliendo l’obiezione di “limitatezza” rivolta al tema della distanza- evento (seguendo cioè fino in fondo le conseguenze nascoste nel fatto che l’ora/qui della soglia in atto retroflette sempre, per Sini, ciò che lo precede alla luce del suo evento di verità), si mette in cerca di quei “luoghi”, di quelle “pratiche”, di quei “significati”, di quelle “aperture di mondo” che rendono per Sini possibile descrivere l’esperienza at- traverso le figure/declinazioni viste sin qui. Non tutti infatti, come abbiamo osservato, possono descrivere l’esperienza nei termini di ‘e- vento’ e di ‘significato’, di ‘kinesis’ e di ‘soglia’, di ‘supporto’ e di ‘prati- ca’. Non lo possono fare innanzitutto gli infanti o gli animali presi ad esempio in casi precedenti, ancora immersi in quella che, riprendendo un’espressione di Sini da lui spesso utilizzata in tal senso, potremmo chiamare ‘vita eterna’. Essi, in primo luogo, non dispongono di un linguaggio per denotare la loro esperienza. Per questo il capitolo suc- cessivo si occupa di indagare in primo luogo l’uomo, animale parlante per eccellenza, attraverso un percorso che tenti di delineare alcune i- deali figure esemplari dell’“umano”, figure nelle quali accadono de- terminate “aperture di mondo” che rendono possibile descrivere l’esperienza nei termini utilizzati fino ad ora.

La figura-guida del percorso sarà ancora una volta quella della distanza. Non più questa volta della ‘distanza-evento’ (che pure va te- nuta sempre presente), ma quella della ‘distanza-significato’. Il presen- te lavoro perciò affronta ora un altro tema: dopo aver mostrato come sia possibile per Sini intendere l’esperienza come accadere della distan- za tra evento e significato, esso si prefigge il compito di indagare quali significati, quali pratiche, quali aperture di mondo si rendano necessa- rie all’uomo per descrivere l’esperienza in questi termini. Per far ciò esso traccia questa volta un continuo confronto tra Sini e Vitiello, confronto che ha soprattutto il compito di evidenziare un aspetto im- portante: le varie pratiche prese in esame, oltre a dimostrare come so- lo a partire da esse sia possibile descrivere l’esperienza come quella distanza originaria tra evento e significato, danno luogo ad un’esperienza anch’essa distanziata. Non si tratta più, questa volta, del- la distanza tra evento e significato115, ma della distanza in quanto carat- teristica specifica del significato proprio di tali pratiche. Possiamo per- ciò anticipare che gli oggetti incontrati in tali pratiche, le differenze incise in esse, il mondo tracciato/disegnato dai grafemi corporei dei loro soggetti, il significato in quanto risultato della risposta/corrisposta dei loro interpretanti iscritti, si manifestino a distanza; non più però soltanto rispetto all’evento, ma rispetto, potremmo dire, al soggetto umano che fa esperienza di tutto ciò, soggetto che dunque sperimen- ta, nel rapportarsi ai suoi oggetti e significati, il senso di un’incolmabile distanza sconosciuta ai viventi che ancora abitano l’orizzonte della vita eterna accennato in precedenza.

115 Nonostante tale distanza, è bene tenerlo presente, continui ad essere presente

anche nel capitolo successivo, silenziosamente operante in ogni livello della distan- za-significato descritto.

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Cosa questo significhi è compito del prossimo capitolo mo- strarlo, attraverso l’articolazione di diversi livelli di questa distanza- significato.

Vedremo in particolar modo come proprio questo far espe- rienza, all’interno delle pratiche analizzate, di oggetti e significati in vario senso “distanziati” rispetto al suo punto di osservazione, con- senta all’essere umano di disporre di alcune peculiari capacità che lo rendono in grado di descrivere l’esperienza, tra gli altri mille possibili modi, anche nei termini siniani mostrati nella varie figure/declinazioni di questo capitolo.

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