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IL POTERE CREATIVO DELLA PAROLA

2. TOPOLOGIA DELLA DISTANZA

2.2 MYTHOS

2.2.1 IL POTERE CREATIVO DELLA PAROLA

Iniziamo dal primo dei quattro passaggi, riprendendo il di- scorso dove l’avevamo interrotto. Un esempio utile per comprendere la non coincidenza siniana tra il ‘mare’ come parola, e la “cosa” mare di cui facciamo esperienza oltre e al di là del linguaggio, è sicuramente l’immagine del vetro terso richiamata in precedenza: il linguaggio non è una soglia trasparente che ci consente di vedere il mondo così com’è “in verità”, ma modifica profondamente l’esperienza che quotidiana- mente facciamo. L’incontro col mondo tipico di un animale, ad esem- pio, ma anche di un bambino piccolo, di un infante appunto, di colui che non è ancora dotato di parola, non è caratterizzato affatto dall’esperienza di “cose”. Per quest’ultimo non c’è affatto “la pappa”, “la mamma”, così come per l’animale non c’è “la preda” o “la tana”; entrambi sperimentano un’apertura di mondo caratterizzata da tutt’altre verità, costituita da diversi contenuti, nella quale qualcosa come un “oggetto” (nel senso che noi, “animali parlanti”, siamo abi- tuati ad attribuire a tale nozione) non si presenta. Interpretanti incar- nati dei loro segni, essi hanno a che fare con significati completamente diversi, con abiti di risposta per noi perduti, o difficilmente riattivabili, che poco o nulla hanno in comune con i nostri. Esclusi dal mondo del linguaggio, essi non sono ancora entrati nel regno di quell’“oltre gene- ralizzato” di cui parlavamo in precedenza, ovvero nella dimensione dell’assenza linguistica, dell’assenza che rende assente innanzitutto il presente, elevandolo all’universalità ultrasensibile del concetto. Pro- prio tale universalità costituisce il primo passaggio affinché qualcosa, e cioè un’esperienza che inizi ad avere i caratteri di una cosa, si stagli di fronte a noi67. Solo grazie alla parola ‘mare’ possiamo dunque per Sini esperire “il mare”, e questo non significa che la parola sia dotata del magico potere di far apparire la realtà che essa designa68, ma che solo in virtù della parola l’esperienza assume il tratto “oggettivato”69 che siamo soliti attribuirle quando nomiamo “cose” e siamo così convinti di avere a che fare con “realtà in sé” già costituite anche prima della pratica linguistica. La parola dunque ci inganna, in un certo modo, dal momento che ci induce a pensare che esistano “cose” al di là delle pa- role, ma il fatto che non sia così non significa: “la parola crea il mon- do”, quanto piuttosto: “la parola plasma l’esperienza che facciamo del mondo a sua immagine, attraverso la sua funzione universalizzante e oggettivante”. Vediamo come Sini descrive questo “inganno”, questo “abbaglio” prodotto dalle parole:

Il fatto è che il soggetto, abbagliato dal riflesso dello specchio della parola, crede nelle immagini verbali che gliene derivano. Crede istintivamente nella e-

67 Cfr. E2, p. 111: «D’altra parte è proprio con l’evento dello specchio della parola

che emergono le cose (“cosa” è a sua volta un significato)».

68 Cfr. AS, p. 252: «Il fatto che io dica ecco una rosa non la fa apparire di fronte a me». 69 Sulla funzione oggettivante del linguaggio cfr. AS, p. 247.

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sistenza “assoluta” delle cose significate dalle parole. Vale a dire, prende le cose come “assolute”, cioè “sciolte” dallo specchio delle parole, in virtù del quale le cose appunto emergono e sussistono come cose70.

In base a queste considerazioni di fronte alla domanda che chiedeva cosa ci fosse dietro alle parole, possiamo ora rispondere che per Sini non ci sono affatto le “cose” (che emergono come tali solo in virtù delle specchio della parola), ma, come scrive Sini, «l’intera cate- na e vicenda delle pratiche di vita e di sapere umane»71. Nel testo da cui è tratta questa citazione Sini parla già di “pratiche umane” perché sta mostrando genealogicamente il modificarsi delle parole nel corso del tempo, il loro intrecciarsi con innumerevoli e sempre diverse pra- tiche di vita e di sapere, così da modificare il significato di ciò che sa- rebbe, ad esempio, ‘natura’. Ben lungi dall’essere «una cosa che sta lì di fronte immobile, in attesa di venire scoperta e definita»72, l’oggetto “natura” è in cammino con le pratiche di vita e di sapere che ne modi- ficano via via il senso.

Questa modifica del senso però vale, ed assume anzi il suo a- spetto più originario e radicale, proprio nel momento, per così dire, del passaggio dal silenzio alla parola, dell’emergere della voce (e poi voce significativa, cioè parola) nell’orizzonte dell’esperienza. Scrive Sini:

La voce, però, non si limita ad ordinare l’udibile che proviene. Unico fra tutti i gesti possibili, essa produce fenomeni che non esistevano; il fa venire al mondo. Non è che, vedendo, la vista possa far apparire immagini; essa non può produrre ex novo alcun visibile nel mondo; la voce, invece, produ- ce fenomeni che stanno nel mondo per tutti73.

Seguendo queste riflessioni di Sini non stupisce dunque che molte popolazioni primitive abbiano attribuito (e in molti luoghi della terra continuino a farlo) alla parola il magico potere di far apparire le cose. Affermando che la parola non crea ex novo la realtà, ma la modi- fica attraverso la sua funzione oggettivante, le avevamo negato tale magico potere, ma dobbiamo ora riconsiderare attentamente la que- stione; non si tratta certo di ammettere che se dico «ecco una rosa» la rosa appare, ma in un certo modo anche sì!

L’esperienza delle umanità primordiali di fronte all’evoluzione del gesto vocale fu tale da indurli a tutti gli effetti a vedere “cose” che prima non c’erano («la voce produce fenomeni che non esistevano; li fa venire al mondo»), cose che poterono apparire ai loro occhi in tutto e per tutto “create” dalla parola. Sul potere creativo della parola riflette anche Vitiello, richiamando spesso l’incipit del Vangelo di Giovanni74, il quale pone la parola, il Logos, il Verbo come principio creatore del mondo. La parola è dunque la “frattura originaria”; attraverso la paro- la l’unità indivisa della vita eterna si frantuma nella molteplicità delle

70 E2, p. 112. 71 VB, p. 57. 72 Ibidem. 73 SP, p. 17. 74 Cfr. ad esempio TM, p. 141.

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cose incontrate ora nell’esperienza. La parola dunque «fa dell’Uno mol- ti»75, come scrive Vitiello richiamando il celebre passaggio plotinia- no76, ovvero fa apparire nell’orizzonte dell’esperienza quei “molti” che prima non c’erano, essendo un tutt’uno con il circolo anonimo della vita vivente. Gli oggetti incontrati dal vivente che non ha ancora var- cato la soglia della parola non sono infatti in nessun senso “oggetti”, ossia entità che possano emergere come separate dalle pratiche di vita, direbbe Sini, nelle quali sono inserite. Le cose fanno tutt’uno (l’Uno di Vitiello, l’Uno che la parola rende Molti) con la vita, non sono altro dalla vita, da quella stessa vita che il vivente è.