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DALLA DISTANZA-SIGNIFICATO ALLA DISTANZA-EVENTO

2. TOPOLOGIA DELLA DISTANZA

2.4 MATHEMA

2.4.4 DALLA DISTANZA-SIGNIFICATO ALLA DISTANZA-EVENTO

A questo punto il nostro percorso attraverso i vari livelli della distan- za-significato può dirsi concluso. Riassumiamo brevemente i quattro livelli (compreso il livello zero) della distanza-significato:

- Livello Zero: vita eterna (la distanza è colmata nel circolo im- pulso-soddisfazione).

- Primo livello: distanza incolmabile e distanza sacrale (entrambi aspetti aperti dalla distanza della parola).

- Secondo livello: distanza universale e distanza critica (momenti inerenti alla distanza della scrittura e in particolar modo della scrittura alfabetica).

- Terzo livello: distanza nichilistico-relativistica (ricondotta alla di- stanza della scrittura matematica e della rivoluzione copernicana).

Ricordiamoci lo scopo che ci aveva spinto ad intraprendere questo cammino, sorto in occasione dell’incontro con il tema della re- troflessione. All’inizio del secondo capitolo avevamo infatti sentito la necessità di mostrare, viste le considerazioni finali del primo capitolo, un’ulteriore significato della “distanza”, diverso dalla distanza-evento di Genealogia della distanza (la distanza in quanto differenza tra evento e significato).

La pretesa di Sini di descrivere l’esperienza “in generale”, di evidenziare cioè alcune caratteristiche strutturali e universali di ogni esperienza possibile, declinata nelle figure del corpo, dell’evento, della pratica e del segno, era stata messa in discussione dalla tematica, u-

mo appena descritto) e perciò, di per sé, non sono nulla. Si rivela così il nichilismo insito secondo Heidegger fin dall’inizio della storia dell’uomo occidentale, dal mo- mento che anche quegli orizzonti di riferimento ritenuti immutabili dalla metafisica (Terra e Cielo), sono anch’essi relativi, nel senso di relazionali. Terra e Cielo sono ciò che Sini in Da parte a parte. Apologia del relativo chiama «sostanza etica» (cfr. AR, p. 109), di cui annuncia la nichilistica dissoluzione dalla rivoluzione copernicana in poi. In Heidegger tali termini “assoluti” si rivelano essere già dissolti fin dall’inizio, in quanto segni che assumono valore l’uno per l’altro. Peraltro anche Sini sarebbe d’accordo con questo aspetto heideggeriano, ripreso da Vitiello, di un nichilismo presente sin dalle origini della storia dell’uomo occidentale, dal momento che anch’egli pone un’ideale coincidenza tra morte di Dio e venuta dell’uomo, fenomeni collegati che danno luogo a quel progressivo allontanarsi dal livello zero della distanza- significato, il livello della vita eterna lecui tappe sono oggetto del presente capitolo.

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gualmente siniana e largamente sviluppata in tutto il capitolo, della re- troflessione. Con quale legittimità, ci eravamo chiesti, è possibile per noi estendere le figure della distanza-evento descritte a quelle forme di vi- ta del tutto ignare di esse? Come possiamo sostenere l’azione retro- flettente dello stacco, presa nella concreta kinesis interpretante del cor- po in azione, senza tener conto del fatto che già parlare, in riferimento all’esperienza dell’animale o del bambino, come più volte fatto attra- verso gli esempi di Sini, di ‘stacco’, ‘soglia’, ‘evento’ o ‘pratica’, significa at- tribuire loro un’esperienza, un’apertura di mondo che non è la loro, ma la nostra, ovvero quella del filosofo intento a tracciare alcuni caratteri idealmente validi per ogni forma di vita e di sapere?

Questa consapevolezza ci ha indotto a prendere in esame al- cune pratiche, alcuni “significati” concreti, inerenti innanzitutto la no- stra apertura di mondo, il nostro stacco di noi umani. Tali pratiche, ac- comunate dalla distanza tra soggetto e oggetto in quanto loro caratteri- stica comune, vista attraverso vari livelli e configurazioni, sono state osservate come luoghi nei quali accadono determinate esperienze di- verse tra loro, ma tutte accomunate nel rendere possibile per l’uomo disporre di “realtà” come quelle descritte nel primo capitolo.

Possiamo comprendere ora come ciò sia evidente soprattutto a proposito dei primi due livelli della distanza-significato, i livelli della parola e della scrittura. Nessuna ‘kinesis’, o ‘monade’, ‘corpo’, ‘evento’, ‘interpretazione’, ‘abito di risposta’ etc., senza in primo luogo una pa- rola cha faccia emergere tali oggetti, tali esperienze, collocandoli nell’oltre generalizzato dell’universalità linguistica intersoggettiva.

Questi livelli ci hanno dunque mostrato che solo con la parola, e poi in modo ancor più netto con la scrittura, possono propriamente emergere “oggetti” che si stagliano nell’assente per eccellenza, assu- mendo un significato ultrasensibile e separandosi dall’unità dinamica, senza tempo e senza nome, della vita eterna; coloro che ancora abita- no questo “paradiso terrestre” non si imbattono in “cose” che “resta- no” oltre il circolo vitale impulso-soddisfazione. Come nell’esempio dello scimpanzé riportato da Sini, gli oggetti assumono per essi realtà e consistenza solo nell’occasione concreta del loro utilizzo, cessata la quale diventano del tutto indifferenti. Il primo livello della distanza- significato, e cioè la distanza umana del linguaggio, fa accadere, come abbiamo visto, fenomeni del tutto nuovi, «li fa venire al mondo», col- locandoli in una distanza che resta anche oltre il compimento dell’impulso, la soddisfazione del bisogno, la chiusura del circolo del fare. Nominando il “per tutti” del significato universale la parola ren- de assente il presente e rende presente l’assente. Tutto ciò risulta poi enormemente amplificato a partire dal secondo livello della distanza- significato, il livello della scrittura. Attraverso la materializzazione in re delle parole, l’ultrasensibile del significato “prende corpo”. Tale corpo assu- me poi, in virtù delle caratteristiche tecniche della pratica di scrittura alfabetica, un tratto del tutto astratto, asettico e convenzionale, apren- do di conseguenza alla piena visione di “concetti” universali, scollegati dalla concreta occasione della loro azione (nel senso dell’essere “agiti” nella prassi prima che “saputi”).

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Solo ora l’esperienza si arricchisce di “cose” quali sarebbero ‘la casa’, ‘l’orologio’, ‘la giustizia’, ‘il pensiero’, e anche, inevitabilmente, ‘la pratica’, ‘la kinesis’, ‘l’evento’, ‘la soglia’. Ecco perché, osservavamo in precedenza, tutte le varie figure della distanza-evento descritte nel primo capitolo non “ci sono” affatto, secondo Sini, nell’esperienza di chi non ha ancora varcato la soglia del sapere, del linguaggio e della scrittura. La descrizione di queste figure diventa dunque problematica, se non tiene conto dell’azione retrograda operata dalle nostre pratiche sapienti, dai primi due livelli della distanza-significato delineati nel se- condo capitolo.

Occorre a questo punto sottolineare un aspetto importante: in questa analisi “retrospettiva” della distanza-significato, avente lo sco- po di puntualizzare in che modo i suoi diversi livelli presi in esame rendano possibile disporre delle “realtà” descritte nel primo capitolo, abbiamo fin ora preso in esame solamente i primi due livelli, quello della parola e della scrittura. Non solo non abbiamo fatto ancora i conti con il terzo livello, ma anche a proposito dei primi due abbiamo sot- tolineato unicamente il ruolo di due momenti interni ad essi, vale a di- re quelli della distanza incolmabile (aperta dalla parola) e della distanza universale (aperta dalla scrittura e in particolar modo dalla scrittura al- fabetica). Che dire invece della distanza sacrale e della distanza critica? Che dire poi della distanza nichilistico-relativistica? Iniziamo dalle prime due: tra le “condizioni” che rendono possibile tutto il discorso elabo- rato nel primo capitolo, possiamo senz’altro includere il passaggio da una visione patico-partecipativa del mondo, dell’esperienza e del sape- re, ad una di carattere critico e distaccato. Il nostro discorso infatti, e con esso ovviamente il pensiero di Sini di cui rappresenta una disami- na, si colloca nell’eredità della tradizione “scientifica” e “filosofica” del pensiero occidentale, vale a dire, più in generale, della “metafisi- ca”. Esso, come abbiamo già osservato, utilizza “concetti universali”, mira a collocarsi in un luogo di osservazione esterno e panoramico, parla “in astratto”, con l’implicita pretesa di descrivere come è fatto il mondo “in sé”, sebbene ciò che dice sia in un certo senso la parados- sale negazione di tale convinzione. Il discorso insomma presuppone la distanza universale, ma anche la distanza critica ad essa strettamente colle- gata, sviluppata innanzitutto nella figura del philo-sophos dell’antica Grecia presentata da Vitiello. Esso infatti non dà per scontata alcuna presunta verità, non si rapporta alla tradizione in modo dogmatica- mente accogliente, ma assume un punto di vista genealogico e fenomenolo- gico, un punto di vista cioè in grado di mettere continuamente in di- scussione i propri contenuti e perfino se stesso, nella misura in cui chiede conto, come abbiamo visto, anche delle proprie condizioni di possibilità.

Il passaggio dalla distanza sacrale alla distanza critica è dunque presupposto fondamentale del nostro discorso circa la distanza- evento tanto quanto lo sviluppo della distanza incolmabile e della distan- za universale aperte dalla parola e dalla scrittura. Del resto i temi, come abbiamo visto, sono strettamente collegati, seppur con alcune sfuma- ture differenti. Distanza universale e distanza critica sono entrambi aspetti inerenti al livello della scrittura, sebbene sia possibile, in alcune situa-

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zioni, scorgere la prima in assenza della seconda. È il caso del sophos di Vitiello, il quale rifiuta la polymathia, il sapere molteplice della tradizio- ne mitica, ricercando l’unità, l’assolutezza e l’universalità del sapere, ma lo fa conservando al tempo stesso molti degli aspetti dogmatici del mito, come ad esempio nei casi emblematici di Parmenide, Eraclito o Pitagora, tutte figure al limite tra l’umano e il divino, la cui parola, spesso trasmessa oscuramente e a pochi iniziati giudicati meritevoli, è vera per definizione e non passibile di critica, è logo assoluto che rimane fuori del dialogo. Tale possibilità si radica forse, come potremmo so- stenere alla luce del cammino analizzato, nell’assenza di un pieno svi- luppo degli effetti della scrittura alfabetica. L’incisione dei significati sul supporto dello scritto rende possibile il passaggio dalla polymathia al sapere unico e universale, ma non ancora a quel livello di distanza critica pienamente evidente solo con la scrittura alfabetica.

Lasciamo da parte quest’ipotesi e concentriamoci invece sull’ultimo livello della distanza-significato, di cui non abbiamo ancora visto il ruolo di “condizione di possibilità” rispetto alle varie figure della distanza-evento.

Il livello della distanza nichilistico-relativistica produce conseguen- ze radicali nelle pratiche di vita e di sapere dell’occidente. Esso mette in discussione l’universalità panoramica del concetto, il predominio dell’eidos, della forma, del Dio/telos aristotelico, assegnando alla parti- colarità di ogni “luogo”, di ogni “dove”, una “responsabilità” prima sconosciuta. Se infatti il pensiero in senso lato metafisico, frutto dell’innovazione alfabetica, fa di ogni particolare un “momento” dell’universale già dato, una differenza empirica collocata nella stabile dimora del tauta aei, dell’oltre concettuale, tutt’altro accade con il pas- saggio, descritto da Vitiello, dalla sostanza all’accidente, al sumbebekos. La scrittura matematica infatti rende ogni punto un “via da tutti gli al- tri”, una X che non è nulla di per sé, ma solo in relazione ad ogni altra X. Ogni punto è dunque accidente nel senso dell’essere ciò che accade, dell’essere evento, luogo a partire da cui accadono coordinate non pree- sistenti alla sua (sua del punto, o, sarebbe meglio dire, accadente in es- so) configurazione relazionale, come alto-basso, sopra-sotto, destra- sinistra, oppure, viste le conseguenze prodotte dall’intrecciarsi di que- sta pratica con le altre innumerevoli pratiche che quotidianamente at- traversano la nostra vita, bene-male, giusto-sbagliato, lecito-illecito, proprio-improprio etc.

Tutto il pensiero siniano dell’evento dunque, così come de- scritto nel primo capitolo attraverso l’immagine della distanza-evento, presuppone quel passaggio da sostanza ad accidente analizzato nel terzo livello della distanza-significato, il livello della distanza nichilistico- relativistica. Esso infatti si presenta, possiamo a questo punto osserva- re, come un pensiero che pone in risalto il ruolo svolto dall’azione “sempre di nuovo” riconfigurante dell’ora/qui della soglia in atto. In esso nessun oggetto, nessun significato, nessuna “sostanza” è data in anticipo, è esistente “in sé”, come vorrebbe farci credere l’alfabeto, ma è interna ad una pratica, legata alla circostanza concreta del suo aver luogo, della sua occasione (è appunto accidente, ovvero evento).

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L’evento di ogni pratica diventa perciò il “via da” che riconfigura tutti gli altri a partire da sé.

Se dunque tutte le figure/declinazioni della distanza-evento presuppongono in ugual modo i livelli della distanza incolmabile, della distanza universale e della distanza critica (inerenti alla parola e alla scrittu- ra), esse sono altrettanto impensabili senza l’apertura dell’orizzonte da noi ricondotto alla scrittura matematica e alla rivoluzione copernicana, ovvero quello della distanza nichilistico-relativistica, in grado di fare dell’ora/qui della soglia in atto, dell’evento di un significato, dell’accadere di una pratica, l’occasione in cui accade una verità decen- trata, priva di punti di riferimento assoluti, sempre di nuovo chiamata a tracciare il senso delle sue coordinate spazio-temporali, del suo “donde” e “verso dove”, della sua origine e del suo destino.

Abbiamo dunque chiarito i vari rapporti tra i livelli della di- stanza-significato e le figure della distanza-evento. “Tradotto” in un linguaggio più comune, possiamo dire di aver visto in che modo alcu- ne pratiche tipicamente umane producano specifici “oggetti”, “conte- nuti”, “significati”, “verità” alla luce dei quali poter descrivere, o quantomeno pretendere più o meno legittimamente di farlo, anche l’esperienza di quelle forme di vita ancora al di qua della soglia dell’umano, ancora appartenenti alla vita eterna.

Giunti a questo punto sorge l’inevitabile necessità di confron- tarsi con due ordini di problemi, largamente emersi durante tutto il cammino, ma più volte rimandati ad un trattazione successiva. Innan- zitutto l’ultima questione trattata, quella della retroflessione: concetti e categorie che vengono elaborati all’interno di prassi tipicamente uma- ne vengono idealmente estesi anche a orizzonti di senso del tutto i- gnari di essi. “Effetti di verità” prodotti all’interno dei vari livelli della distanza-significato avanzano la pretesa di estendersi oltre i confini dei rispettivi livelli, nell’intento di descrivere l’esperienza umana tout court243 o addirittura l’esperienza del vivente ancora appartenente alla vita eterna. Nasce perciò l’esigenza di domandarsi con quale “legitti- mità” è possibile per noi retroflettere i nostri contenuti di verità; si tratta di un’operazione sensata e ragionevole? In che modo dobbiamo rapportarci rispetto ad essa?

In secondo luogo alcune questioni collegate al terzo livello della distanza-significato:

243 Se infatti per quanto riguarda il primo livello della distanza-significato possiamo

pretendere di descrivere, naturalmente in modo ideale e riassuntivo, alcune espe- rienze comuni ad ogni forma di umanità primitiva, lo stesso non può dirsi per la di- stanza universale-critica della scrittura alfabetica o per quella nichilistico-relativistica della matematica e del copernicanesimo, tutte esperienze che assumono valore e si- gnificato diverso a seconda delle culture, della prassi, delle situazioni concrete esa- minate etc. Basti pensare a tutte quelle civiltà che ancora non conoscono l’alfabeto e che dunque non risentono delle sue conseguenze.

Senza poi tener conto del fatto che anche la nostra descrizione della distanza incol- mabile e della distanza sacrale non riesce a collocarsi davvero sulla soglia di queste a- perture di mondo, ma opera a partire da concetti, categorie e procedure d’indagine tipicamente alfabetiche, con tutte le conseguenze, sempre inerenti al tema della re- troflessione e della sua “legittimità”, che tutto questo comporta.

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abbiamo visto come il contenuto di verità prodotto all’interno di tale livello, ovvero il nichilismo-relativismo matemati- co/copernicano, sia strettamente collegato al pensiero siniano delle pratiche e dell’evento, rappresentandone il presupposto. Possiamo di- re, in altre parole, che quello di Sini, al pari del pensiero in senso lato nichilistico-relativistico descritto nel terzo livello della distanza- significato, ha tutta l’aria di essere una forma di “ermeneutica”. En- trambi infatti sembrano denunciare, per così dire, una “crisi di fon- damenti”, attraverso alcuni contenuti che potremmo essere tentati di riassumere attraverso perentorie “sentenze”.

Potremmo infatti sostenere che “ogni cosa è interna ad una pratica”, oppure che “non c’è evento se non come evento del signifi- cato”, o ancora che “non esistono più punti di riferimento assoluti”, o di nuovo che “non ci sono più ‘dove’ o ‘luoghi’ fissi e immutabili, es- sendo ogni dove ‘via da tutti i dove’ e ogni luogo ‘via da tutti i luo- ghi’”. In tutti questi casi però, come abbiamo già avuto modo di nota- re, ci troveremmo intrappolati, al pari del mentitore cretese, in una via senza uscita, in un vicolo cieco causato dal “contraccolpo” di questi contenuti su se stessi. Se ogni cosa è interna ad una pratica, lo è anche il concetto stesso di ‘pratica’; se l’evento è sempre evento del significa- to, allora solamente nell’evento del nostro significato si danno a vedere “cose” come ‘l’evento’ e ‘il significato’; se non esistono più punti di riferimento assoluti, che dire di questo dire stesso, che pretende di es- sere tenuto per vero nel mentre che afferma l’inesistenza di punti di riferimento assoluti, ponendosi così esso stesso, paradossalmente, come punto di riferimento assoluto? Se ogni “luogo” è un “via da tut- ti i luoghi”, che dire di questo luogo da cui parliamo assegnando ogni luogo al suo “via da”, alla sua esplosione multiversa?

Riguardo alla prima domanda, circa la legittimità della retro- flessione, abbiamo già visto come per Sini essa non sia propriamente “evitabile”. Sia il parlare del senso comune, sia quello del dire filosofi- co e genealogico retroflettono il loro punto di vista, come nell’esempio del bambino che inizia a parlare. Nel prossimo capitolo ci occuperemo più a fondo di tale questione, vista anche alla luce della prospettiva di Vitiello. A proposito invece del secondo ordine di do- mande, concernenti il rischio di “paradossalità autocontraddittoria” del dire nichilistico-relativistico, possiamo fin da subito notare che una “soluzione”, se mai è corretto sostenere che ve ne sia propria- mente una, non risiede, a giudizio dei nostri autori, in una dimensione solamente teoretica, ma sconfina in un ambito etico.

Il prossimo capitolo si occuperà di chiarire la posizione di Sini e Vitiello a proposito, non prima di aver ripreso ancora una volta tut- to il cammino, per avere ben chiara la strada da seguire.

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