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2. TOPOLOGIA DELLA DISTANZA

2.4 MATHEMA

2.4.3 LA RIVOLUZIONE COPERNICANA

Leggiamo ora, attraverso le parole di Sini, la descrizione di questa co- smologia copernicana di cui Nietzsche, secondo Sini, vide molto bene le implicazioni e le conseguenze:

Tutto ciò ci assegna peraltro a una sorta di cosmologia “copernicana”, che infatti è non a caso la nostra. E questo è Nietzsche ad averlo compreso meglio di tutti. Nella Genealogia della morale, 25, egli scrive: “Da Copernico in poi l’uomo rotola dal centro di una X (…). Da Copernico in poi si di- rebbe che l’uomo sia finito su un piano inclinato – ormai va rotolando, sempre più rapidamente, lontano dal punto centrale – dove? Nel nulla? Nel ‘trivellante sentimento del proprio nulla’?” E nella Gaia scienza, III, 125: “Che mai facemmo a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?236.

«Esiste ancora un alto e un basso?» si domanda Nietzsche nell’aforisma riportato da Sini. Abbiamo visto come per Vitiello la de- sostanzializzazione dell’ente porti con sé il precipizio di questi punti di riferimento assoluti, che assumono valore solo in relazione alla po- sizione reciproca dei corpi. Lo “spazio neutro” del mondo all’interno del quale i corpi si collocano “frana” ulteriormente con Copernico, il quale descrive questo spazio come infinito, facendo definitivamente vacillare ogni coordinata assoluta. Tutto questo implica, come abbia- mo visto, la perdita da parte dell’ente di ogni sostanza o ousia, dal mo- mento esso che non è più nulla in sé e per sé, ma solo in relazione a tutti gli altri enti. Come il sole di Copernico è per Nietzsche «via da tutti i soli», ossia non è più nulla “di per sé”, ma è qualcosa solo nel

236 MC, p. 104.

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suo differenziarsi dagli altri, nel suo prender spazio e collocazione ri- spetto a tutti gli altri soli, così per Sini ogni punto, ogni ente, ogni luogo è «via da tutti i luoghi»237.

Possiamo vedere qui lo stesso processo di desostanzializza- zione dell’ente posto in risalto da Vitello attraverso la sua analisi della scrittura matematica. Dire che l’ente è «via da tutti i luoghi» significa infatti affermare che solo la “relazione” con gli altri enti ne determina le caratteristiche, come nell’ordine e nella misura del mondo matema- tico.

Scrittura matematica e rivoluzione copernicana, alla luce del percorso che abbiamo compiuto attraverso le riflessioni di Vitiello e Sini, possono dunque essere viste come luoghi esemplari nei quali ac- cade la perdita di centralità dell’essenza, dell’eidos, della forma, a van- taggio della relativismo e del nichilismo, intesi però il primo come affer- mazione della relazione sulla sostanza, il secondo come conseguente de- sostanzializzazione dell’ente, due aspetti comuni ed intrecciati che ve- diamo indirettamente illustrati in una frase già citata: «Preso in sé e per sé, l’ente non è nulla, tutto ciò che è essendolo in virtù delle sue relazio- ni con gli altri enti»238. Proprio laddove sembra perdere di importanza, desostanzializzandosi, l’ente invece riveste un ruolo e un significato prima sconosciuti.

Sappiamo infatti che nell’universo precopernicano, modellato sulla fisica e sulla metafisica classica, che affondano le loro radici nella filosofia greca di Parmenide, Platone ed Aristotele, l’ente, ossia ciò che prima avevamo chiamato il particolare, l’individuo, assume impor- tanza e valore solo in virtù della sua partecipazione ad un universale già dato. Solo in quanto iscritta nell’ordine cosmico governato da Dio, ogni cosa è, in sé e per sé, quel che è. Ogni sasso tende a cadere verso il basso, raggiungendo il suo luogo naturale, solo perché è nella natura del sasso, del “sasso in sé”, della forma del sasso, di comportarsi così. Tutto l’universo è così orientato verso un telos, un principio immobile ed eterno, presente alla fine come al principio, concepito come causa di ogni possibile kinesis, mutamento, divenire. È proprio questa pre- senza onnipervasiva e assoluta di un universale già dato a causare quella “spaccatura” con il particolare, con il mondo sensibile, con la materia, che abbiamo visto essere la caratteristica di tutto il pensiero filosofico antico da Platone fino ad Aristotele, e che si mostra in mo- do evidente nel predominio della forma del giudizio, dove il sogget- to/individuale necessita inevitabilmente la riconduzione ad un predi- cato/universale per poter essere ciò che è in se e per sé. La grande ric- chezza dell’ente antico rispetto alla “povertà relazionale” dell’ente co- pernicano desostanzializzato, è in realtà una ricchezza circoscritta e limitata, perché condizionata dalla partecipazione dell’ente particolare all’universale della forma, all’ordine del cosmo, al grande “contenitore universale” del divino.

237 MC, p. 107. Il tema del «via da tutti i luoghi» è approfondito e sviluppato nelle

pagine seguenti del testo (pp. 106-111) in riferimento al problema del rapporto con l’origine, tema che affronteremo nel prossimo capitolo.

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La “sostanza” dell’ente è così salvata, ma solo al prezzo della perdita della sua differenza specifica, non a caso esclusa per definizio- ne dalla scienza aristotelica. Con il «via da tutti i luoghi» invece, con la desostanzializzazione dell’ente e il predominio della relazione sulla so- stanza, ogni punto, ogni luogo, perde sì la sua essenza, se con questo termine si intende la sua partecipazione ad una ousia già data, ed è per- ciò, in sé e per sé, nulla, ma viene ora caricato di una “responsabili- tà”239 prima sconosciuta. Venendo infatti a mancare un punto di rife- rimento assoluto, un telos, un Dio come centro dell’universo e conte- nitore universale di tutte le forme, sta all’ente, nella sua differenza specifica, collocarsi ogni volta nel suo “dove”, designando al tempo stesso il luogo degli altri “dove”. L’“alto” e il “basso” che vengono meno come punti di riferimento assoluti in uno spazio e tempo asso- luti, sono nondimeno affermati dalla relazione che i punti stabiliscono tra di loro. Ciò che scompare con la modernità della scrittura matema- tica e della rivoluzione copernicana descritte da Vitiello e Sini, non sono dunque, propriamente, le ousia, le sostanze, i punti di riferimen- to, quanto la loro aprioristica determinazione, che si eclissa a favore della loro continua riconfigurazione relazionale. In ogni luogo, in altre parole, ne va di tutti gli altri luoghi: l’universale tramonta, per lasciare spazio all’azione “sempre di nuovo” riconfiguratrice di senso dell’ora/qui della particolarità.

Come abbiamo visto nel primo capitolo, per Sini «ogni “là”, ogni “prima” e ogni “poi” sono proiezioni retroflesse e anteflesse del- la figura operante della soglia», il che, alla luce di quanto stiamo di- cendo, significa che ogni luogo è un «via da tutti i luoghi» che traccia le distanza dell’“alto” e del “basso”, dandosi così una propria colloca- zione. La soglia, come sappiamo, è in Sini l’evento di una pratica, ossia l’accadere della particolarità di questo punto di vista, di questa prospet- tiva monadologica interpretante che riconfigura tutte le altre a partire dalla sua kinesis. La soglia è il luogo in cui sempre da capo accade “tut- to” il mondo, interamente declinato in una prospettiva. È dunque il particolare, l’ente, l’individuo, preso nell’ora/qui della sua oscillazione, del suo concreto accadere e prendere luogo, a determinare ogni alto e ogni basso, ogni prima e ogni poi. In questo senso, leggevamo in Vi- tiello, nella fisica galileiana, niente è sostanza, ma «tutto è sumbebekos, “accidente”, nel senso letterale della parola; tutto quel che è, è in quanto accade».

Avendo perso l’appartenenza sostanziale all’universale già dato della forma, il particolare, l’ente, l’individuo, il punto, si riduce ad acci- dente, ovvero alla circostanza del suo accadere, al suo evento di soglia riconfigurante ogni dove a partire dal “suo” (che diventa tale solo nel- la kinesis del suo prender luogo “via da” tutti gli altri) dove. Nulla è in sé e per sé, come sappiamo, ma ogni cosa è una relazione, ovvero è l’evento/soglia del suo relazionarsi col resto, differenziandosene. Tut-

239 A proposito di questo possibile risvolto “etico”, nel senso comune del termine,

cfr. TM, p. 46 (in riferimento alla morte di Dio in Nietzsche: «Dio è morto, Dio re- sta morto – significa: non c’è alto né basso, né avanti è dietro, né destra né sinistra. Non ci sono altre direzioni che quelle che di volta in volta l’uomo è capace di darsi».

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to questo significa che l’assolutezza dell’universale, la pretesa della metafisica, inaugurata dalla scrittura alfabetica, di incarnare uno sguardo panoramico che sappia collocarsi in un punto di osservazione esterno, assimilabile all’occhio di quel Dio/telos posto alla fine e al principio dell’universo, inizia a vacillare. Se in ogni punto ne va di tut- ti gli altri punti, se ogni luogo è un via

da tutti gli altri luoghi, anche il “luogo” della pratica metafisi- ca, la circostanza concreta del suo evento di soglia diventa per Sini uno dei possibili luoghi in cui accade la verità del mondo. Come abbiamo già visto, l’universale è il particolare della pratica metafisica, con il risulta- to, già ampiamente sviluppato nel primo capitolo, che non esiste una “verità in sé” del mondo e delle cose, ma solo una verità interna alle più diverse pratiche, compresa quella pratica che ha come sua specifi- ca caratteristica quella di produrre una verità che aspira ad essere ester- na ad ogni pratica o punto di vista particolare, ponendosi come uni- versale e assoluta. La verità, in altre parole, accade in prospettiva, nella concreta occasione della monade interpretante, tra cui spicca quella mo- nade un po’ particolare avente la “presunzione” di non essere tale, ma di incarnare un punto di vista superiore a quello delle altre monadi. Leggiamo come Sini descrive tutto questo, attraverso la ripresa del pensiero per eccellenza monadologico, quello di Leibniz, e dell’esempio connesso della “città in sé”:

La città (come l’universo) sussiste solo nella differenza reciproca delle pro- spettive monadiche [...] Infatti anche la cosiddetta città in sé che voi dite è una immaginazione esperita ora e qui in questo dire che si figura una città che sussisterebbe al di fuori di ogni esperienza possibile.

Quello che quindi sostieni – che c’è una città che sussiste in sé, cioè pensata indipendentemente da ogni prospettiva – non è in verità che un’ulteriore prospettiva, nella quale la città ancora si esperisce e si manife- sta240.

Possiamo ulteriormente notare attraverso questa lettura la col- locazione ora e qui, nell’oscillazione cioè dell’evento di soglia che ac- cade, della prospettiva monadica.

Ricapitoliamo ora i vari livelli della distanza-significato che sono emersi durante il capitolo, per comprendere meglio la peculiarità di questa distanza che abbiamo appena analizzato, la distanza della monade, della prospettiva, del «via da tutti i luoghi», a cui dobbiamo ancora dare una precisa configurazione.

Siamo partiti prendendo in esame l’analisi di Sini sulla vox signi- ficativa, responsabile di quel sapere della morte, comunemente ricono- sciuto da Vitiello e Sini come il primo sapere “comunitario” propria- mente umano, a partire dal quale si sono messe in movimento le di- stanza dell’Io e del Noi. Iscritta nella consapevolezza/terrore della morte, la comunità umana abbandona l’Eden della vita eterna senza nome, della distanza immediatamente risolta nel circolo bisogno- soddisfazione (il livello zero della distanza-significato), per entrare nel regno del tempo e della storia, dove grazie al magico potere della pa-

240 AR, p. 66.

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rola compaiono nell’esperienza “oggetti” prima sconosciuti. Si tratta delle “cose”, separate dalla loro immediata fruizione agita e non sapu- ta, e divenute assenti per eccellenza, collocate ad una distanza incolmabi- le rispetto al soggetto.

Come sottolineava Vitiello riprendendo Heidegger, si passa dal «com-portarsi con» al «rapportarsi a». Emerge il primo livello della distanza-significato che abbiamo delineato: il mondo, possiamo dire ora, diventa alla luce delle riflessioni dei nostri autori “distante una pa- rola”. Pur distanziato dal mondo attraverso il potere astraente del lin- guaggio di mostrare l’assente per definizione, l’uomo rimane tuttavia, come abbiamo visto attraverso l’analisi di Vitiello sull’unità primordia- le di voce e gesto, phonè kai schema, in stretto legame con le “cose” nominate dalla parola (alla distanza incolmabile si accompagna dunque la distanza sacrale). Non vi è ancora infatti, a questo livello di esperienza, una vera e propria separazione tra segno e significato, tra parola e co- sa, tra uomo e mondo. La voce significativa primordiale è strettamen- te legata alla globalità dell’esperienza che ad essa si accompagna (la postura del corpo, l’emozione provata nel momento del “grido”, l’intonazione “musicale” della voce etc.), esperienza che viene tra- smessa, come ci ha mostrato Sini, attraverso i racconti orali che vivo- no della ripetizione patico-partecipativa della tradizione.

Unità dell’esperienza mitico-sacrale originaria, ignara di suc- cessivi dualismi, e trasmissione fedele e ripetuta di questa esperienza, con la conseguente mancanza di “spirito critico”, fanno dunque per Sini tutt’uno, e rappresentano i principali aspetti della nostra distanza sacrale. Attraverso la scrittura alfabetica e in virtù delle sue caratteristi- che tecniche e strutturali descritte da Sini (duplicazione del mondo su di un “supporto” che svolge il ruolo di “doppio” del mondo in figura; rimozione della sensualità iconica e sonora della parola) si apre per l’uomo la possibilità di accedere ad un secondo livello della distanza- significato, rappresentato dalla figura del philo-sophos tracciata da Vitiel- lo. Sempre esposto al rischio di cadere nella verità divina del sophos o in quella frammentata e potenzialmente violenta del sofista, il filosofo, collocato in un atteggiamento di distanza critica rispetto alla tradizione, abita un luogo/non luogo, un terreno instabile, vivendo il sentimento, descritto da Novalis e ripreso da Vitiello, di «nostalgia di trovarsi do- vunque in casa propria»241. La sua peculiarità consiste nella ricerca dell’universale, dell’eidos, ciò che poté comparire agli occhi dei filosofi che videro la nascita dell’alfabeto e per primi furono influenzati dalle sue straordinarie conseguenze. La rimozione del pathos raffigurativo e sonoro della parola, insieme alla de-contestualizzazione del significato dalla situazione concreta della sua fruizione e trasmissione orale, con- sentì il passaggio dalla polymathia del sapere mitico all’unità, dogmati- camente assunta (dal sophos) o faticosamente ricercata (dal filosofo), della definizione, del ti esti, del concetto.

Questa distanza universale nella quale l’uomo si trova ad esser collocato, nella sua differenza dalla distanza incolmabile aperta dalla pa- rola, è ben espressa da Sini attraverso una frase che abbiamo già ripor-

241 FT, p. 15.

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tato: «l’ultrasensibile del significato prende corpo». Si passa dalla di- stanza della parola orale, che consentiva ancora l’unità tra l’assente per definizione del linguaggio e la globalità dell’esperienza ad esso ac- compagnata, alla distanza della scrittura, e in particolare della scrittura alfabetica, che mostrando la presenza in re del significato attraverso l’utilizzo di segni astratti e convenzionali, privi di ogni capacità iconi- co-raffigurativa, produce le scissioni “occidentali” tra segno e signifi- cato, anima e corpo, sensibile e ultrasensibile, uomo e mondo. Le di- scipline nate direttamente da questo processo, vale a dire filosofia, storia, scienza, morale e altre ancora, si mettono dunque sulle tracce dell’universale, ricercando un punto di vista panoramico e assoluto da cui descrivere oggettivamente lo svolgimento del passato, del presente e del futuro. L’universale diventa il termine di riferimento cui ricon- durre ogni momento particolare; il cosmo aristotelico, culmine e mas- sima sintesi di questo percorso, è orientato verso un Dio/telos, conte- nitore di tutte le forme e luogo primo e ultimo verso cui tende ogni kinesis, atto puro che spiega ogni passaggio dalla potenza all’atto. La pretesa di obiettività dei saperi appena richiamati, insegue il sogno di descrivere la realtà collocandosi dal punto di vista di questo Dio, mo- strando dunque la profonda affinità, evidenziata da Heidegger, tra teologia e ontologia.

Attraverso le figure della scrittura matematica e della rivoluzione copernicana, così come ci sono state descritte rispettivamente da Vitiello e da Sini, è stato poi possibile ricondurre l’universale, l’oggetto per ec- cellenza della pratica metafisica, alla particolarità del suo evento di so- glia, della circostanza concreta del suo accadere. La sostanza aristote- lica diventa così accidente, nel senso letterale proposto da Vitiello di es- sere ciò che accade, ossia, per Sini, evento. La desostanzializzazione dell’ente e il conseguente avvento del relativismo e del nichilismo (nel significato di questi termini che abbiamo prima descritto), fenomeni iscritti nella natura della “relazionale” della scrittura matematica e por- tati pienamente ad espressione nel cosmo infinito di Copernico, ri- conducono la verità universale prodotta dalla scrittura alfabetica al luogo concreto del suo accadere nella forma del via da tutti gli altri luoghi.

Prima di indicare con un termine adeguato quest’ultimo livello della distanza-significato, è opportuno ribadire un aspetto più volte evidenziato: nell’analisi della nostra seconda distanza-guida, la distan- za-significato, diversamente dalla distanza-evento presa in esame nel primo capitolo, intendiamo sempre riferirci ad una distanza, varia- mente configurata nei vari livelli, che accade tra soggetto e oggetto all’interno della pratica. I diversi livelli della distanza-significato appe- na riassunti vanno perciò visti come ideali pratiche, analizzate con l’obiettivo di mostrare come gli oggetti interni ad esse si pongano in vario modo a distanza rispetto ai rispettivi soggetti. Nel livello zero della distanza-significato, il livello della vita eterna, l’oggetto è distan- ziato dal soggetto solamente nel circolo impulso-soddisfazione, ter- minato il quale la distanza viene abolita, la tensione-verso scompare, per poi riaffiorare in occasione di un nuovo bisogno. Nel primo livello della distanza-significato il soggetto sperimenta la distanza incolmabile

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dell’oggetto, generata dalla pratica di parola (il presente si fa assente), responsabile anche, nelle culture orali primitive, della distanza sacrale posta tra l’uomo e il mondo. Gli “oggetti” (ancora non propriamente tali), cadono nell’orizzonte della ierofania, la manifestazione del sacro. Nel secondo livello della distanza-significato le cose del mondo, reifica- te sul supporto di scrittura, si materializzano in re, collocandosi a di- stanza universale dal soggetto esperente.

La casa prima concretamente incontrata nella particolarità “in situazione” della pratica di vita diventa, in particolar modo con la scrittura alfabetica, ‘La casa’ universale, il concetto. Osservandola dal- la panoramicità di un punto di vista asettico, frutto di una rimozione delle componenti iconiche e sensuali del linguaggio e delle forme di scrittura pre-alfabetiche, il soggetto si pone a distanza critica rispetto ad essa e più in generale rispetto ad ogni esperienza concreta, oltre che ad ogni contenuto di sapere trasmesso dalla tradizione.

La scrittura alfabetica consente dunque un distanziamento cri- tico rispetto ai propri contenuti sconosciuto alle culture precedenti, in grado di portare alla visione dell’eidos, del ti esti, dell’universale, fenome- no destinato a influenzare filosofia, scienza, e più in generale tutta la nostra cultura e tutti i nostri saperi.

Grazie ad essa l’oggetto, una volta reificato, divenuto cosa in sé, universale, (immutabile come direbbe Severino), assume il ruolo di pun- to di riferimento stabile per tutto il sapere. La conoscenza inizia ad essere concepita come un percorso di avvicinamento del soggetto alla