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Dalle politiche settoriali all’affermazione di politiche territoriali

2. L’AFFERMAZIONE DELLA RURALITA’ NEL DIBATTITO ECONOMICO E

2.3. L’influenza della PAC sulla ruralità Europea

2.3.1. Dalle politiche settoriali all’affermazione di politiche territoriali

In aggiunta ai driver di sviluppo richiamati nel paragrafo precedente, ed essenzialmente riconducibili alle principali trasformazioni di carattere socio-economico, le aree rurali hanno tratto enorme vantaggio anche dall’innegabile interesse politico loro dedicato da parte dell’Unione Europea.

Nel corso dei decenni, infatti, l’interesse per le tematiche territoriali è andato rafforzandosi a livello comunitario, anche grazie al varo (ed al suo successivo consolidamento) della politica regionale, alla quale è stata poi affiancata una vera e propria strategia di coesione. All’interno del quadro politico e normativo dell’Unione Europea, infatti, permane la convinzione che proprio la distinzione tra aree urbane e rurali rappresenti uno dei principali elementi caratterizzanti le realtà territoriali a scala continentale.

L’interesse da parte dell’Unione Europea nei confronti delle politiche regionali si è innestato su un pregresso interesse nei confronti del settore agricolo. Storicamente, infatti, l’UE ha sempre dedicato grande attenzione ad esso, tutelandolo con molteplici interventi, anche di natura protezionistica. Si pensi, in proposito, alla Politica Agricola Comune (PAC) che ha caratterizzato fin dai primi decenni l’intervento comunitario. In genere, è sempre risultata prevalente l’idea che l’attività agricola, e insieme ad essa l’intero contesto rurale, necessitassero di un regime incondizionato di sostegno [Anania e Tenuta, 2008; Bertolini e Montanari, 2009].

Nel tempo, tuttavia, l’interesse dell’UE su temi dell’agricoltura, pur mantenendosi elevato, è andato mutando: in particolare, si sono via via affermate politiche meno spiccatamente settoriali e orientate piuttosto a promuovere lo sviluppo rurale in senso lato. Formalmente, la nascita di una vera e propria politica di sviluppo rurale può essere ricondotta all’adozione dell’Atto Unico Europeo (1987). In realtà, già in precedenza era stata avvertita, da parte del legislatore comunitario, l’esigenza di affiancare agli interventi settoriali alcune misure che fossero più direttamente in grado di promuovere lo sviluppo delle aree rurali in Europa. Tra i principali interventi in tal senso si possono ricordare:

- l’emanazione di tre direttive socio-strutturali nel 1972 (direttiva n. 159/72 sull’ammodernamento delle aziende agricole; direttiva n. 160/72 sugli incentivi per l’abbandono dell’attività agricola e il pensionamento; direttiva n. 161/72, sull’informazione socioeconomica e alla qualificazione professionale), a cui si

aggiunge la direttiva sulle zone svantaggiate (direttiva n. 268/75)10. Pur ottenendo scarsi risultati (con l’unica eccezione rappresentata dalla direttiva sulle zone svantaggiate) questi interventi rappresentano il primo vero intervento organico in favore delle strutture agricole (finanziate dal FEOGA sezione Orientamento). Proprio la direttiva 268/75, poi, rappresenta un provvedimento con un preciso oggetto territoriale più che settoriale [Fanfani e Brasili, 2003].

- il varo dei cosiddetti Programmi Integrati Mediterranei (PIM), destinati all’ammodernamento strutturale delle zone mediterranee di Francia, Italia e Grecia11 (1985). Tale intervento ha rappresentato il primo progetto europeo di intervento strutturale integrato destinato ad intervenire sullo sviluppo a livello locale. I PIM rappresentano un antecedente importante per il varo della politica di sviluppo rurale, in quanto prevedono il diretto coinvolgimento degli enti locali e di altri organismi sub-regionali. In tal modo, essi costituiscono il primo tentativo di gestire organicamente un modello di intervento basato su una programmazione di tipo territoriale (con una definizione a livello regionale degli obiettivi). Inoltre, tali programmi pongono anche le basi per l’introduzione (entro la PAC) di strumenti di intervento in grado di tenere conto delle condizioni socio-economiche delle aree rurali, superando così la prevalente logica di tipo settoriale.

Come già ricordato, però, solamente il varo dell’Atto Unico Europeo (AUE) e la riforma dei Fondi Strutturali (1988) hanno sancito le basi (anche giuridiche) per i successivi interventi di sviluppo rurale promossi dell’UE. L’AUE, infatti, riconosce il rafforzamento della coesione economica e sociale (attraverso la riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle regioni) quale una delle principali finalità della Comunità. Ovviamente, la condizione delle aree rurali (oltre che delle isole e delle altre zone svantaggiate) viene tenuta in particolare considerazione. Parallelamente, dopo essere entrato in crisi il modello di intervento di tipo settoriale, si è rafforzata l’esigenza di indirizzare l’azione pubblica verso il “territorio”12

. In questo quadro, la riforma dei Fondi

10. In realtà, il primo documento che aveva sottolineato l’esigenza di arricchire la Politica Agricola Comune con strumenti in grado di accompagnare i grandi mutamenti in atto nel settore agricolo risale al 1968. Il Memorandum sulla riforma dell’agricoltura nella Comunità europea (meglio conosciuto come Piano Mansholt) richiamava infatti la necessità di aumentare l’intensità di capitale in agricoltura e sottolinea l’esigenza di stimolare l’ammodernamento delle strutture aziendali al fine di consentire una progressiva riduzione del sostegno dei prezzi agricoli. In realtà la realizzazione concreta del Piano Mansholt fu molto limitata [De Filippis e Salvatici 1991; De Benedictis, 1990; Fanfani e Brasili, 2003].

11 . L’intervento era destinato a rendere tali regioni in grado di affrontare la maggiore concorrenza determinata dall’ingresso (nel gennaio del 1986) di Spagna e Portogallo all’interno della Comunità Europea. 12. Tale mutamento è anche legato al fatto che, negli stessi anni, si affermano le prime teorizzazioni dei fenomeni di sviluppo endogeno delle aree rurali. Il “paradigma dello sviluppo rurale endogeno” [Van der

Strutturali nel 1988 rappresenta un punto di svolta cruciale nell’evoluzione della moderna politica regionale europea ed in particolare all’interno delle misure di politica di sviluppo rurale. Tale riforma contiene molteplici elementi di novità: oltre all’introduzione della programmazione pluriennale degli interventi, dell’addizionalità degli stessi, del coordinamento dei fondi comunitari, essa prevede anche la concentrazione degli interventi su pochi obiettivi prioritari, alcuni di essi territorialmente definiti. In particolare, rispetto ai 6 obiettivi prioritari definiti dalla riforma del 1988, ben tre di essi hanno come obiettivo il perseguimento di un riequilibrio territoriale:

- l’Obiettivo 1, destinato alle regioni in ritardo di sviluppo; - l’Obiettivo 2, destinato alle zone colpite da declino industriale;

- l’Obiettivo 5b dedicato alla promozione dello sviluppo delle zone rurali.

Nel complesso, ai tre obiettivi con dimensione territoriale sono destinati, per il periodo 1988-1993, quasi i tre quarti del budget complessivo dei fondi strutturali: chiaro è dunque l’orientamento in direzione di una maggiore coesione territoriale all’interno della Comunità [Mantino, 2008; Fanfani e Brasili, 2003].

Più in generale, comunque, la nuova politica strutturale rappresenta una vera e propria opportunità per l'avvio di programmi regionali di sviluppo nonché per l’implementazione di azioni di sviluppo rurale. Le riforme della PAC, attuate nei decenni successivi, accompagneranno tale processo, accentuando progressivamente (pur tra tante difficoltà e resistenze) l’attenzione destinata proprio alla dimensione territoriale delle politiche stesse.