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I principali driver di crescita delle aree rurali europee

2. L’AFFERMAZIONE DELLA RURALITA’ NEL DIBATTITO ECONOMICO E

2.2. La trasformazioni del mondo rurale: alcuni modelli di sviluppo

2.2.2. I principali driver di crescita delle aree rurali europee

A far tempo dagli anni Settanta e Ottanta, un crescente numero di lavori e studi empirici si è concentrato sulle dinamiche di sviluppo seguite dalle aree rurali. Riprendendo

una visione dello spazio sostanzialmente diversificato, queste analisi si sono concentrate in modo diretto sullo studio del territorio, riconoscendo ad esso una nuova centralità. Fine ultimo di questi lavori era proprio l’individuazione dei principali sentieri di sviluppo locale seguiti dai territori rurali europei, che fossero in qualche modo espressione (diretta o indiretta) delle specificità locali dei singoli territori.

In primo luogo, tutte le ricerche empiriche che si sono interessate delle traiettorie di crescita dei territori rurali hanno evidenziato il progressivo indebolimento del legame tra dimensione rurale e attività agricola. Questo legame, tanto importante fino all’immediato secondo dopoguerra, pur non scomparendo del tutto, è stato fortemente ridimensionato dall’affermazione di attività di diversificazione economica nei contesti rurali del continente europeo [Fanfani, 2009; Sotte, 2008]. Altre tendenze di lungo periodo, che hanno definitivamente segnato l’evoluzione delle aree rurali europee influenzandone positivamente la dinamica, possono essere evidenziate.

Il consolidamento dei sistemi urbani di piccole e medie dimensioni ha avuto un effetto positivo sulle aree rurali. Le città, anche di dimensioni ridotte ma comunque in grado di fornire importanti servizi alla popolazione rurale, possono agire come ‘sub-poli’ all’interno delle aree rurali facendo leva proprio su un maggior grado di interazioni del tipo urbano-rurale [Courtney et al., 2007; Courtney et al., 2008; Davoudi e Stead, 2002]. Al tempo stesso, la presenza e la diffusione di città di medie dimensioni ha modificato profondamente (e positivamente) l’aspetto degli stessi contesti rurali europei. In modo particolare, in tutta l’Unione Europea si è assistito nelle aree rurali ad una crescente diffusione della domanda residenziale, molto spesso accompagnata da crescenti fenomeni di pendolarismo6 [ESPON, 2006a].

Un secondo elemento centrale è rappresentato dalla crescita e dall’irrobustimento dei sistemi di piccole e medie imprese, soprattutto al di fuori delle principali aree metropolitane. Tale fenomeno ha interessato buona parte delle aree rurali che, nel corso degli ultimi decenni, hanno sperimentato elevati tassi di crescita economica e occupazionale. In particolare, la concentrazione di piccole e medie imprese (PMI) appartenenti al medesimo settore produttivo ha dato luogo ad economie di agglomerazione: al di sopra di una determinata massa critica, si sono generati vantaggi competitivi all’interno di una determinata area rurale, ad esempio in termini di presenza locale di lavoratori con adeguate competenze ed esperienza; in termini di diffusione – efficiente e

6 . Come ricordano Bertolini e Montanari [2009] in Europa i centri urbani sono posti a distanze più ravvicinate gli uni dagli altri. Questo è vero soprattutto rispetto agli Stati Uniti oppure al Canada, ove la divisione tra rurale ed urbano appare più marcata [ESPON, 2006a; 2006b].

non costosa – di conoscenza e informazione; in termini di mercati locali efficienti. Questo processo è all’origine, come è noto, del cosiddetto distretto industriale e delle relative economie esterne marshalliane [Marshall, 1890], in grado di renderlo competitivo anche a scala globale [Rosenfeld, 1992]. In Italia, il tema dello sviluppo manifatturiero delle aree rurali è risultato tradizionalmente legato al dibattito sui distretti industriali e sulla rilevanza dei sistemi locali che si basano sulle piccole e medie imprese [Piore et al., 1991; Becattini, 1989; Becattini e Rullani, 1993; Sforzi, 1987; Bellandi, 1996]. Proprio in Italia, tale modello di crescita industriale si è manifestato in modo più diffuso, interessando in particolare le regioni della cosiddetta Terza Italia, nella parte centro-settentrionale del paese [Bagnasco, 1977; 1988]. In particolare, il contributo degli economisti italiani intorno al tema dei sistemi di PMI ha permesso di evidenziare gli effetti locali (e tipicamente endogeni) dello sviluppo e insieme ad essi la rilevanza dell’interazione tra componenti distinte (quella economica, quella sociale e quella culturale) nella definizione dei principali sentieri di sviluppo, anche all’interno delle aree rurali a precedente indirizzo agricolo [Piore e Sabel, 1984; Brusco, 1989; Beccatini, 1998; Saraceno 1994].

Ovviamente, non tutte le aree rurali hanno rappresentato un terreno ugualmente fertile per l’affermazione dei sistemi di imprese di piccole e medie dimensioni. In tal senso, la presenza di spillovers urbani ha giocato un ruolo rilevante: le aree rurali, infatti, hanno tratto grandi vantaggi dalla vicinanza ad una qualche area urbana di maggiori dimensioni, che fosse così in grado sia di fornire, in modo efficiente e a basso costo, servizi finanziari alle imprese, sia di assicurare una maggiore domanda per i beni prodotti. Espresso in questi termini, il vantaggio rurale altro non è che una diversa forma di vantaggio urbano, il quale sarebbe in grado di riflettersi anche sulla periferia più prossima. Sembra, dunque, che sia proprio la contiguità fisica, o comunque il grado di accessibilità dei territori rurali rispetto alle aree urbane, a rappresentare uno dei principali driver di tale sviluppo [Copus e Skuras, 2006a; 2006b].

Queste spiegazioni di carattere più tradizionale, relativamente allo sviluppo delle aree rurali, non sono le uniche ad essere state osservate in letteratura7. Al contrario, anche ad altre tendenze di lungo periodo è stato riconosciuto un impatto notevole sullo sviluppo

7. Esposti e Sotte [1999] ricordano tuttavia come queste spiegazioni appaiono scarsamente micro-fondate, mancando di spiegare quali cause determinano, realmente, il minor costo degli input di produzione o la concentrazione di piccole e medie attività simili o correlate in una medesima area. In realtà, il successo industriale di molte regioni rurali (italiane ma non solo) sarebbe riconducibile ad una lunga serie di pre- condizioni, di tipo sociale oltre che economico, che determinano l’emersione di una lunga serie di vantaggi competitivi locali su cui poi si fonda il processo di sviluppo industriale (almeno nella sua fase più embrionale).

delle aree rurali in Europa. In modo particolare, tra i principali driver di questo sviluppo possono essere ricordati:

i) la progressiva infrastrutturazione del territorio (specialmente nelle regioni rurali e più periferiche del continente Europeo) e soprattutto i miglioramenti nel campo delle telecomunicazioni e dell’ICT. Congiuntamente tali fenomeni hanno reso possibile una riorganizzazione dell’attività produttiva, favorendo l’insorgere di una nuova geografia delle attività economiche, tendenzialmente più disperse sul territorio [Castells, 1996]. In particolare, benché la cosiddetta “morte della distanza” [Cairncross, 1997] non si sia compiutamente manifestata [Disdier e Head, 2003; Rietveld e Vickerman, 2004], è tuttavia indubbio che la diminuzione dei costi di trasporto abbia determinato nuove possibilità di crescita anche per le regioni più periferiche e con maggiori connotati di ruralità, il cui sviluppo in precedenza era stato ostacolato da barriere di natura geografica e infrastrutturale [European Commission, 1997].

ii) la diffusione, anche in Europa, di un turismo dapprima di massa e poi sempre più attento anche agli aspetti culturali e ambientali dei territori [Roberts e Hall, 2001]. Queste nuove forme di turismo hanno interessato, negli ultimi venti anni, proprio le regioni rurali, le quali, già a fine anni ’90, rappresentavano la destinazione turistica preferita da oltre un quinto dei cittadini Europei, secondo un’indagine Eurobarometro [European Commission, 1998]. Ovviamente, la crescita delle strutture turistiche nelle aree rurali non è avvenuta in modo omogeneo, nei 27 Paesi Membri: essa è risultata molto maggiore in alcuni Paesi Europei, come ad esempio Francia, Austria e Grecia [DG – Agriculture and Rural Development, 2011];

iii) l’affermarsi del concetto di plurifunzionalità degli spazi rurali. In uno scenario internazionale in cui l’attività agricola appare soggetta a forti fluttuazioni dei prezzi delle commodities, sempre più spesso i policy makers (in primis europei) hanno suggerito l’attuazione di nuove strategie in grado di valorizzare non solo la funzione produttiva (ovvero agricola) dei territori, ma anche altre funzioni, come ad esempio quella ambientale, paesaggistica oppure residenziale [Murdoch e Marsden, 1994].

Tutte le dinamiche di lungo periodo sin qui ricordate hanno avuto, pur con modalità e intensità differenti, un’implicazione generalmente positiva sullo sviluppo delle regioni rurali in Europa. La generale rivitalizzazione di questi territori, che ha permesso così

l’emergere di intensi fenomeni di contro-urbanizzazione [Berry, 1976], rappresenta certamente una cifra dell’ultimo quarto del XX secolo. Proprio l’ampiezza di tali fenomeni sembra testimoniare come la ruralità venga oggi considerata in modo del tutto nuovo: scelte consapevoli e non mera costrizione influenzano le dinamiche insediative all’interno delle aree rurali del continente.

Ancora una volta, tuttavia, è bene ricordare come i fenomeni menzionati abbiano avuto in realtà caratteristiche (e soprattutto impatti) molto variegati nelle varie regioni del continente europeo [Kontuly, 1998; Mitchell, 2004]. Anche gli effetti in termini di valorizzazione (non solo economica) delle aree rurali sono apparsi molto variegati. Alcuni studi hanno evidenziato gli effetti positivi in termini di crescita di capitale umano [Stockdale et al.; 2000], aumento dell’occupazione e creazione di nuove imprese [Keeble e Tyler, 1995]. In generale, come già ricordato in precedenza, lo sviluppo di nuove forme di ruralità, dinamiche ed economicamente vitali, è avvenuto con maggiore facilità laddove già esistevano mercati del lavoro particolarmente ampi e diversificati [Fuguitt e Beale, 1996; Vandermotten et al., 2004; 2005; Westlund, 2002; Westlund e Pichler, 2006]. Rispetto a questo paradigma, alcune aree rurali sono state in grado di attrarre manodopera nelle attività manifatturiere8, mentre l’occupazione agricola si contraeva sensibilmente e l’occupazione terziaria cresceva in misura minore [Esposti e Sotte, 1999] . Al contrario, altri studi hanno stigmatizzato l’emergere di tendenze negative, come ad esempio la diffusione della tendenza allo sprawl urbano9 oppure l’affermarsi di fenomeni di peri- urbanizzazione al di fuori delle aree urbane principali, caratterizzati da un eccessivo consumo di suolo.

8. In prevalenza, in settori low-medium tech, e con salari medio-bassi (se confrontati con i livelli medi delle aree urbane).

9. Una definizione di sprawl generalmente condivisa è quella fornita da The Sierra Club [1999] a pagina 1. Lo sprawl è definite come: “low-density development beyond the edge of service and employment, which separates where people live from where they shop, work, recreate and educate – thus requiring cars to move between zones”. Rispetto a questa definizione, altri autori hanno evidenziato la presenza combinata anche di altre caratteristiche, come ad esempio la diffusione di estese aree commerciali, il massiccio ricorso all’automobile, il consumo smodato di suolo [Ewing, 1997; Downs 1998; Garreau 1991; Johnson 2001; Soule, 2006]. La letteratura sullo sprawl è prevalentemente americana, ma il fenomeno interessa, in misura crescente, anche la realtà europea.