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3. DEFINIRE LA RURALITA’: LO STATO DELL’ARTE

3.2. Dalla classificazione all’interpretazione della complessità del rurale

3.2.4. Il paradigma della ruralità post-industriale

A far tempo dalla seconda metà degli Novanta, e ancor più con il nuovo millennio, un nuovo scenario di ruralità va emergendo: quello della “ruralità post-industriale”. Rispetto a questo paradigma, le aree rurali sembrano ora caratterizzarsi per una maggiore integrazione fra attività economiche di tipo diverso, dal momento che né l’agricoltura né l’industria prevalgono più (come invece accadeva nei due modelli precedenti). Al tempo stesso, si va osservando una maggiore integrazione tra aspetti naturali (dimensione ecologica, ambiente e paesaggio) e aspetti sociali (capitale sociale e umano). Aumenta pure l’integrazione tra gli stessi territori rurali e i territori urbani, al punto che i confini tendono a sfumare, fino a scomparire del tutto. In questa fase, dunque, l’attenzione nei confronti della ruralità tende ad assumere connotati più marcatamente territoriali, abbandonando almeno in parte la dimensione spiccatamente settoriale. Sono, infatti, mutate in modo profondo le funzioni richieste dalla società richiede al complesso delle aree rurali: le preoccupazioni inerenti alla conservazione e alla tutela dell’ambiente, così come quelle del consumatore per la sicurezza e la qualità alimentare, hanno infatti ormai largamente rimpiazzato quelle relative all’approvvigionamento di derrate alimentari [Sotte, 2008]. L’attenzione alla dimensione territoriale non rappresenta l’unico tratto distintivo del nuovo paradigma di riferimento nell’analisi della ruralità. Negli ultimi anni, le aree rurali sembrano anche caratterizzarsi per un crescente grado di diversità: l’importanza di queste aree, infatti, viene esaltata anche in quanto esse rappresentano una riserva di biodiversità, di paesaggio, di tradizioni, ma anche di capitale umano e sociale [Sotte, 2008; Sotte et al., 2012].

Proprio l’affermazione del paradigma della “ruralità post-industriale” ha reso necessaria una lettura più ampia delle aree rurali, in grado cioè di tenere conto delle diverse accezioni e delle diverse funzionalità che tali aree rivestono. All’interno dell’attuale scenario di riferimento, infatti, per ‘rurale’ si intende sempre più spesso un’area a bassa densità di popolazione; in cui vi è ampia presenza di verde; in cui il sistema produttivo agricolo e forestale (con la sua pluralità di funzioni sociali ed economiche) riveste un ruolo ancora importante, benché non necessariamente centrale; un’area in cui sono presenti anche altre attività produttive basate sulle piccole e medie imprese (manifatturiere ma non solo), che risultino in grado di integrarsi in modo sempre più sostenibile con l’ambiente naturale circostante.

Rispetto a questo paradigma, gli approcci unidimensionali alla definizione di ruralità (orientati soprattutto alla componente agricola) e prevalentemente bipolari

(interamente giocati sulla dicotomia urbano-rurale) non sono più in grado di cogliere a pieno le caratteristiche delle aree rurali [Anania e Tenuta, 2008]. Al contrario, si rendono necessari approcci di natura continua (legati cioè al posizionamento dei territori in questione lungo un continuum tra i due estremi del “molto rurale” e del “molto urbano”) ora approcci più marcatamente multidimensionali. Proprio in contrapposizione alla dicotomia tra aree urbane e aree rurali, gli approcci di natura multidimensionale riconoscono l’esistenza di molteplici modalità entro cui la ruralità (al pari del grado di urbanizzazione) può manifestarsi. Di conseguenza, la corretta lettura delle ruralità può avvenire soltanto qualora si prendano in considerazione in modo congiunto una molteplicità di indicatori economici e sociali, anche molto differenti tra di loro [Anania e Tenuta, 2008].

Il diffondersi del paradigma della ruralità post-industriale ha coinciso, almeno in Italia, con una generale ripresa dell’interesse per le analisi sistemiche dell’articolazione territoriale28 [Fanfani, 2005]. In generale, si tende a riconoscere come le tante ruralità presenti, oltre a risultare in prospettiva sempre meno legate al settore agricolo, si caratterizzino per crescenti gradi di differenziazione. Con riferimento al contesto italiano, sia Saraceno [1994] che Basile e Cecchi [2001] hanno con forza sottolineato la debolezza dell’approccio tradizionale nello studio della ruralità. Entrambi i lavori hanno evidenziato le aumentate (e rinnovate) differenziazioni insite all’interno dei territori rurali: in particolare, nuovi “sistemi locali rurali” (con una crescente differenziazione delle attività economiche e una progressiva integrazione con gli altri territori limitrofi) sembrano avere progressivamente affiancato i “sistemi di specializzazione agricola”, nei quali, cioè, l’agricoltura resta l’attività portante di un tessuto economico e sociale tendenzialmente più debole. Per individuare queste nuove differenziazioni in seno alle aree rurali, Basile e Cecchi [2001] fanno riferimento a più indicatori (raccolti a livello di sistemi locali del lavoro29), tra i quali, ad esempio: la densità demografica, la differenziazione nella composizione settoriale delle attività economiche, il peso dell’occupazione agricola sull’occupazione totale. Anche Esposti [2000], seguendo l’approccio proposto da OECD [1994; 1996a; 1996b] fa esplicito riferimento al criterio demografico per classificare i comuni delle Marche: vengono definiti rurali i comuni con densità inferiore a 60 abitanti

28 . Rispetto a questo rinnovato interesse, tuttavia, si assiste ad un progressivo approfondimento della distanza tra i risultati delle analisi qualitative sul tema della ruralità ed i presupposti delle analisi di tipo quantitativo.

29. Come sottolineato da Anania e Tenuta [2008], la scelta dei “sistemi locali del lavoro” quale unità d’analisi principale pone non poche perplessità: tali sistemi, infatti, per loro stessa natura, non rappresentano entità omogenee, ma includono al proprio interno sia comuni urbani, sia comuni rurali.

per km2, urbani quelli con densità superiore a 210 e intermedi tutti gli altri. Tale criterio viene poi incrociato con le dinamiche demografiche ed occupazionali, al fine di individuare 12 diverse tipologie di comuni.

A livello europeo il dibattito relativo alla classificazione delle aree rurali si è fatto più intenso nel corso dell’ultimo decennio. Uno stimolo importante in tal senso, viene proprio dall’Unione Europea, che ha finanziato numerosi progetti mirati proprio a migliorare la lettura dei territori rurali europei. Di conseguenza, molti studi hanno proposto analisi strutturate sulla ruralità, anche con l’obiettivo di migliorare efficacia ed efficienza delle stesse politiche comunitarie30. L’esigenza di migliorare il grado di conoscenza dei territori rurali dell’UE è altresì testimoniato dalla crescente attenzione dedicata all’utilizzo, alla raccolta e all’elaborazione di dati e indicatori relativi alle politiche di sviluppo rurale: nell’ultimo periodo di programmazione è stata rafforzata la procedura di valutazione, attraverso la creazione di un sistema di indicatori (indicatori baseline e output) necessari per interpretare l’impatto delle politiche sui singoli territori.

Proprio con riferimento al contesto comunitario, un’importante rassegna della letteratura sui principali criteri di classificazione e definizione delle tipologie di aree rurali è quella proposta da Copus et al. [2008], in un lavoro svolto per il Joint Research Centre della Commissione Europea. Tale lavoro sottolinea l’importanza degli approcci multidimensionali, già richiamati in precedenza (e di fatto prevalenti nei lavori pubblicati nel corso dell’ultimo decennio), sia ricostruendo le principali metodologie formali adottate in letteratura sia riportando le principali nomenclature di tipologie rurali emerse. In particolare, in quest’ottica, è possibile individuare tre principali tendenze nella letteratura relativa all’individuazione delle tipologie delle aree rurali:

i) la modellistica spaziale/territoriale, che concerne una notevole varietà di modelli (dagli schemi di natura qualitativa e/o concettuale alla definizione di modelli operativi che muovono da informazioni di tipo quantitativo);

ii) la caratterizzazione delle aree rurali, basata su alcune metodologie che mirano a definire in modo prevalentemente dicotomico i territori oggetto d’analisi (la stessa classificazione proposta da OECD [1994; 1996a; 2006] ricade all’interno di questa categoria):

iii) l’analisi di impatto territoriale, dedicata a verificare l’esistenza di una concordanza tra cambiamenti socio economici, incidenza delle politiche

30. Si ricordano, in particolare i progetti del 6° Programma Quadro TERA (Territorial Aspects of Enterprise Development in Remote Rural Areas), SCARLED (Structural Change in Agriculture and Rural Livelihoods). Alla base di entrambi i progetti, vi era un’attenta analisi delle specificità dei territori rurali europei.

settoriali, e obiettivi prefissati. In questo contesto possono aversi sia analisi di tipo descrittivo sia più complessi modelli quantitativi (modelli di Input-Output; analisi costi-benefici).

Nonostante siano tra loro indipendenti, i vari approcci proposti e raccolti da Copus

et al. [2008] appaiono molto legati tra loro. In questa sede preme richiamare proprio quei

lavori che hanno avuto ad oggetto l’individuazione di tipologie spaziali di aree rurali, sulla base dei principali indicatori socio economici ed ambientali e di performance. La maggior parte di questi lavori muove da un’analisi di tipo fattoriale, oppure in componenti principali, con l’obiettivo di ridurre le dimensioni del problema ed eseguire poi, sulla base dei fattori estratti, un’analisi cluster. In riferimento a questi lavori, è possibile distinguere i contributi che hanno ad oggetto lo studio della ruralità in un singolo paese da quelli che ricostruiscono tipologie internazionali di ruralità. Rientrano nel primo gruppo, il lavoro di Auber et al. [2006] sulla Francia; Buesa et al. [2006] sulla Spagna; Kawka [2007] sulla Germania e Lowe e Ward [2009] sul Regno Unito. Alcuni lavori, concettualmente simili, si sono invece dedicati all’analisi di coppie di paesi: Barjak [2001] ha analizzato la ruralità di Germania e Polonia; Psaltopoulos et al. [2006] analizzano le aree rurali di Grecia, Regno Unito e Finlandia.

Altri lavori, invece, propongono analisi comparate dei territori rurali appartenenti a più paesi europei. Terluin et al. [1995], ad esempio, tenta di verificare la validità e consistenza delle aree svantaggiate (less-favoured areas) della UE-12, analizzando la la ricchezza pro-capite e il valore aggiunto netto aziendale in 87 regioni (sulla base dei dati FADN).

Copus [1996] analizza tutte le regioni NUTS 3 della UE-12, comparando i risultati di una metodologia aggregativa e disaggregativa (al fine di evidenziare vantaggi e svantaggi di entrambe le tecniche). Attraverso un’analisi fattoriale condotta su 47 indicatori socio-economici e una successiva analisi cluster partitiva vengono individuate 15 tipologie di aree rurali (su cui approfondire successivi casi di studio).

Ballas et al. [2003] propongono un avanzamento della lettura delle tipologie delle aree rurali europee, con l’obiettivo di dedurre indicazioni di policy (anche nell’ambito della programmazione dei fondi strutturali). In particolare, viene proposta una metodologia di tipo aggregativo (analisi fattoriale e analisi cluster, sia di tipo gerarchico che non gerarchico) su alcuni principali indicatori socio-economici (ad esempio, ricchezza pro- capite, popolazione, occupazione e struttura dell’economia). Gli autori propongono altresì

un indicatore sintetico di perifericità (approssimato dal tempo di viaggio necessario per raggiungere, da ciascun territorio NUTS 3 il più vicino centro urbano di rango internazionale). Tramite queste metodologie vengono individuate 25 tipologie diverse di territori (24 tipologie di rurali più una tipologia che include le aree urbane): l’estrema complessità dei risultati, dunque, vanifica in parte i vantaggi legati alla capacità di sintesi del problema e alla replicabilità del metodo proposto.

Lo studio di Bollman et al. [2005] muove dalle tipologie di territori individuate da OECD, proponendo un’ulteriore partizione delle aree rurali, sulla base di indicatori demografici ed economici. Particolari soglie di riferimento vengono applicate, individuando così 3 categorie (leading, middle, lagging regions) da applicare alla partizione fornita da OECD.

Infine, Vidal et al. [2005] esaminano le caratteristiche spaziali delle aree rurali della UE-12, adottando i principali indicatori disponibili (aspetti demografici, economici, occupazionali, nonché relativi alla struttura fisica ed economica delle aziende agricole). Tale lavoro, condotto al livello di disaggregazione territoriale NUTS 3, propone un’analisi in componenti principali e un’analisi cluster, sulla base delle quali vengono individuate 13 tipologie di aree rurali. Questo contributo ha il pregio di introdurre, per la prima volta, una più diretta attenzione alle variabili legate all’attività agricola e alle caratteristiche strutturali del settore.

3.3. Elementi settoriali, territoriali e geografici per un approccio