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Dallo Stato liberale agli studi di Zanobin

Nel documento Le sanzioni amministrative non pecuniarie (pagine 55-64)

Va, a questo punto, richiamato anche ll dibattito culturale liberale della seconda metà dell‟Ottocento; tale cultura privilegia da un lato le libertà politiche, così come garantite nei diversi modelli istituzionali e nelle dichiarazioni costituzionali dei diritti, dall‟altro l‟autonomia individuale, il cui riconoscimento universale affonda le radici nella tradizione romanistica, e poi nella stagione della codificazione civile. Il diritto amministrativo invece è considerato a lungo un diritto suscettibile di minacciare sia le libertà pubbliche, sia l‟autonomia individuale; allo stesso tempo, è concepito come un prodotto tipicamente nazionale, dai caratteri ambigui, incerti e comunque non omogenei, e non necessariamente presente in tutti i paesi.

Soltanto nel Novecento la diffusione dell‟intervento pubblico, il suo operare al servizio dei cittadini, l‟affermazione di amministrazioni internazionali e sovranazionali consentirà di superare questo pregiudizio culturale. Si pone così l‟esigenza del diritto amministrativo di confrontare come si configurano nei diversi ordinamenti i compiti pubblici, le tecniche di organizzazione e di azione 41 . Il diritto amministrativo è, infatti, ritenuto un figlio dello Stato, anzi un prodotto

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Jean Rivero sostiene che “tout impose la comparaison des droits administratifs”. Cfr.J. Rivero, Le droit administratif en droit comparé. Rapport final, in RIDC, vol. 41, n° 4, 1989, p. 916.

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della sua maturità, perché si sviluppa proprio a partire dal XIX secolo42, quando l‟attenzione giuridica venne posta sul potere d‟impero e di coazione, sull‟azione unilaterale dell‟amministrazione pubblica, sul principio di specialità, tutte caratteristiche che differenziano il diritto amministrativo dal diritto privato. L‟esistenza del diritto amministrativo è, infatti, subordinata all‟esistenza nell‟ambito dello Stato di più poteri, tra loro distinti e divisi, uno dei quali è il potere amministrativo43. Fino a quando esisteva soltanto uno Stato assoluto, con tutte le tipologie di potere nelle mani di un principe, il diritto amministrativo non poteva esistere; presupposto per l‟esistenza del diritto amministrativo è, pertanto, uno Stato di diritto, soggetto alle norme giuridiche da esso instaurate, previo superamento della formula del sovrano legibus

solutus44.

È stato anche osservato che il diritto amministrativo nacque come sommatoria di più elementi, tra loro diversi e alcuni risalenti nei secoli, tra i quali vanno menzionati i principi della divisione dei poteri, di legalità dell‟azione amministrativa, di riconoscimento dei diritti pubblici soggettivi, di azionabilità delle situazioni soggettive del cittadino nei

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L'espressione droit administratif e il termine fonctionnaire nascono per la prima volta in Francia per effetto della Rivoluzione francese e si diffondono sotto il Primo impero, quando furono abbattute non solo le istituzioni politiche ma anche quelle amministrative dell'Ancien régime

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La sua genesi è da collegare al principio di divisione tra i poteri dello Stato, ovvero al principio di tripartizione dei poteri elaborato da Montesquieu. Il potere amministrativo, originariamente definito «esecutivo», consiste nell'organizzazione di mezzi e di persone cui è devoluta la funzione di raggiungere gli obiettivi di interesse pubblico definiti dall'ordinamento.

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Sabino Cassese ci indica una vera e propria data di nascita del diritto amministrativo: Bordeaux, Francia, 1872, con quello che sarebbe poi stato conosciuto come Arret Blanco. Una bambina di 5 anni, Agnès Blanco, viene urtata e gravemente ferita da un piccolo vagone, carico di tabacco, condotto da 4 operai dell‟azienda statale dei tabacchi. Il padre della bambina inizia, dinanzi al Tribunale civile della città, una causa per responsabilità contro i 4 operai e contro lo Stato, come civilmente responsabile dell‟imprudenza dei suoi dipendenti. Il Prefetto di Bordeaux declina la competenza del Tribunale e solleva il conflitto, che viene portato al Tribunal des Conflits (organo particolare dell‟ordinamento francese, composto dai Giudici del Consiglio di Stato e dai Giudici della Corte di Cassazione, chiamato a risolvere i conflitti tra Giudici ordinari e Giudici amministrativi; istituito nel 1948, soppresso nel 1851, ristabilito definitivamente nel 1872) il quale, l‟8 febbraio 1873 decide che spetta al Giudice amministrativo e non ai Tribunali ordinari valutare tale responsabilità. Esistono dunque 2 diritti: uno applicabile ai rapporti tra i privati e l‟altro ai rapporti tra amministrazioni pubbliche e i privati; appunto il diritto amministrativo. La decisione verrà considerata per tutto il „900 una pietra angolare del diritto amministrativo, suo fondamento nonché data di nascita convenzionale del diritto amministrativo stesso. Cfr. Sabino Cassese, le basi del diritto amministrativo, Einaudi, Torino, 1989, pag. 19.

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confronti dell‟amministrazione pubblica, per l‟affermazione dei quali la Rivoluzione francese costituì un tassello decisivo. Vi concorsero, tuttavia, anche altri elementi, quali l‟imperatività già degli atti del principe e ora dei provvedimenti amministrativi, la coercibilità che divenne autotutela, il carattere autoritativo che si trasferì dal principe all‟amministrazione, il principio di gerarchia che divenne gerarchia di uffici, la preminenza su ogni altra istanza amministrativa che dal principe passò al governo centrale, il procedimento contenzioso, la garanzia degli impiegati, il carattere meramente derivato dei poteri locali territoriali.

Si è anche fatto rilevare che, benché nella storia dell‟esperienza politica e della cultura il diritto amministrativo sia nato come fatto di autoritarismo, il sistema instaurato dalla Rivoluzione assumeva a principi generali quelli della libertà come diritto e di tutela giurisdizionale di ogni diritto e non poteva poi, nel creare il diritto amministrativo come diritto autoritativo dello Stato, giungere oltre il limite che avrebbe comportato la distruzione dello stesso sistema di libertà per cui si era battuta. Se quindi la normazione amministrativa fu voluta in funzione di dominio, essa però non poteva, nella sua attuazione, divenire strumento di antilibertà e anzi fu necessario rendere omaggio alla libertà, ammettendo, sia pur con molte riserve, la tutela giurisdizionale contro l‟autorità. Del resto, nel momento in cui l‟apparato del nuovo Stato borghese veniva caricato di compiti che si risolvevano in prestazioni ai cittadini, come l‟istruzione, la sanità, le opere pubbliche, esso veniva a costituire rapporti tra amministrazione e cittadini, nei quali il carattere autoritativo dell‟attività amministrativa restava solo come strumento di tecnica giuridica, e non come valore in sé, come dimostrò la continua azione da parte di gruppi borghesi democratici e illuminati, che portò alla progressiva distruzione dei privilegi dello Stato.

Andando avanti nella nostra ricostruzione storica, notiamo che il diciannovesimo secolo vede un arresto del cammino della depenalizzazione e, anzi, un sorprendente proliferare di disposizioni penali, tanto da causare la cosiddetta ipertrofia del diritto penale.

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Questa patologia si è diffusa soprattutto con le grandi codificazioni unitarie della seconda metà dell‟Ottocento, cioè proprio quando venivano proclamate tecniche razionalizzatrici volte alla ricerca di un diritto essenziale, teso a superare il particolarismo giuridico e la conseguente confusione normativa. Si può cogliere la spiegazione di quest‟antinomia se si considera l‟attuazione di una vasta giurisdizionalizzazione, in omaggio al monopolio penale della magistratura, visto come uno dei principi-cardine dello Stato di diritto. Così il giudice criminale si è trovato a conoscere delle infrazioni minori, che prima erano di competenza di organi del potere esecutivo. Inoltre si è assistito ad una proliferazione di reati minori, illeciti di polizia e trasgressioni amministrative che hanno impresso il "marchio d‟origine" alle contravvenzioni nei codici penali europei.

Per quanto riguarda in particolare l‟Italia, il cammino verso la penalizzazione era già in atto nei codici preunitari, anche se con forme diverse tra i differenti Stati preunitari. Alcuni codici, infatti, ricalcavano il modello francese della tripartizione, inserendo direttamente nel codice penale la nuova categoria delle contravvenzioni; queste erano punite con pene di polizia ed affidate alla competenza dei cosiddetti giudici di mandamento. Altri codici invece preferirono ispirarsi ai modelli degli Stati tedeschi meridionali, collocando al di fuori del codice penale gli illeciti di polizia e le infrazioni meramente politiche. La distinzione è però solo apparente: infatti anche l‟applicazione di sanzioni per la violazione di tali disposizioni era del tutto sottratta alla competenza di organi promananti dal potere esecutivo, per essere giurisdizionalizzata.

Se spostiamo l‟attenzione al periodo postunitario, si può dire che il processo di giurisdizionalizzazione viene concluso dall‟art. 2 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, dove si prevede che “Sono

devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si faccia questione d'un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell'autorità amministrativa>>. Per la verità la disposizione

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vennero devolute al giudice ordinario solo le controversie per contravvenzioni in materia finanziaria e di polizia demaniale; le uniche, ormai, di competenza di giudici amministrativi. Rimane il fatto che, con la disposizione citata, si vive in Italia il culmine del processo di penalizzazione. In questo modo viene demandata al diritto penale la prevenzione e la repressione pressoché di tutti i comportamenti antigiuridici.

Nell‟allegato E fu delineato, in estrema sintesi, un assetto della giustizia amministrativa nel quale, tutte le cause per contravvenzioni furono assegnate al giudice ordinario. Rispetto a queste cause, era assegnata al giudice ordinario una giurisdizione che non subiva deroghe per il fatto che la vertenza riguardasse un‟amministrazione: a un sistema nel quale la tutela giurisdizionale contro l‟amministrazione era demandata principalmente a giudici speciali, si sostituiva così un sistema imperniato sul giudice ordinario. La legge precisava espressamente che la competenza del giudice ordinario non poteva subire eccezioni per il fatto che parte in giudizio fosse un‟amministrazione o che fossero coinvolti suoi interessi: nel disegno del legislatore, alla soppressione dei Tribunali del contenzioso amministrativo doveva perciò corrispondere un‟estensione nell‟ambito della giurisdizione ordinaria45. Nello stesso tempo il legislatore volle anche evitare che si riproducesse la situazione precedente, caratterizzata dalla scarsa propensione dei giudici civili ad ammettere la loro competenza quando in gioco fossero atti amministrativi: fu perciò sancito che la giurisdizione del giudice ordinario non avrebbe

45 In realtà, come la dottrina ha da tempo chiarito, la Legge n. 2248/1865, all‟allegato E, nel

momento stesso in cui assicurava tutela al cittadino davanti al giudice ordinario per tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile e politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione, sanciva in ogni altro caso la sottrazione totale a qualsiasi controllo giurisdizionale della sfera della cosiddetta amministrazione pura: in tal modo, anche grazie all‟ampiezza con la quale questa zona franca dell‟amministrazione fu intesa dalla giurisprudenza, in ciò incoraggiata all‟allora giudice dei conflitti, il Consiglio di Stato. La legge del 1865 creava le promesse della legislazione successiva vola a colmare il sempre più grave vuoto di tutela giurisdizionale da essa lasciato aperto con il puro e semplice ignorare tale esigenza negli affari non compresi nell‟articolo 2. La relazione Crispi al disegno di legge 5992/1889 chiarisce infatti che la legge del 1865, allegato E, proclamò l‟unità della giurisdizione, ma nulla avendo sostituito al contenzioso amministrativo che abolì, rimase abbandonata alla potestà amminsitrativa l‟immensa somma di interessi onde lo stato è depositario.

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incontrato eccezioni per il fatto che si discutesse di provvedimenti del potere esecutivo o dell‟autorità amministrativa; si poteva trattare, pertanto, solo di vertenze che non avessero natura penale46.

Una seconda fase di impressionante crescita del diritto penale è da individuare nella trasformazione dello Stato liberale di diritto in Stato sociale47. Questo fenomeno è comprensibile piuttosto agevolmente se si pensa al marcato intervento pubblico dello Stato in campi tradizionalmente riservati all‟autonomia dei privati e alla conseguente cospicua produzione di leggi volte a regolare tale intervento. Lo Stato sociale, e ancor più lo Stato sociale di diritto scelgono il mezzo legislativo per redistribuire la forza economica a favore dei soggetti più deboli. Allo stesso tempo, però, il principio di legalità dell‟azione amministrativa, tipico dello Stato di diritto, postula che i pubblici interventi trovino fondamento in una legge formale. Si arriva così, per usare un‟espressione un po‟ cruda, a identificare lo Stato sociale liberaldemocratico in uno "Stato delle leggi".

In questo quadro evolutivo del concetto di sanzione, possiamo vedere che, a seguito del dibattito illuministico, e alla nascita di un sistema di giustizia amministrativa, viene a delinearsi anche il concetto di illecito. Tale concetto, storicamente, aveva il generico significato di violazione di un qualsiasi comando o di un qualsiasi divieto, e tale definizione rifletteva proprio un momento antecedente alla maturazione della differenziazione degli ordinamenti, che come abbiamo visto è conseguita alla ripartizione dei poteri nello Stato moderno. Solo quando gli ordinamenti si sono evoluti al punto tale da consentire una ripartizione di funzioni interna tra i poteri dello Stato, è diventato possibile parlare di illecito in senso più approfondito, ovvero ritraendolo nella peculiare area di interesse, per i fini dalla stessa desumibili.

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Aldo Travi, Lezioni di Giustizia Amministrativa, G. Giappichelli Editore, Torino, 2013, pag. 19 e seguenti.

47 Lo Stato di diritto, locuzione derivata dall'originaria espressione della lingua tedesca Rechtstaat, coniata dalla dottrina giuridica tedesca nel XIX secolo, è quella forma di Stato che assicura la salvaguardia e il rispetto dei diritti e delle libertà dell'uomo, insieme alla garanzia dello stato sociale.

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Le vicende che hanno determinato lo sviluppo e l‟interesse della

scienza giuridica verso l‟illecito amministrativo hanno un‟origine

risalente nel tempo; il cosiddetto diritto penale amministrativo nasce come reazione all‟abuso che, in tempi passati, è stato fatto nell‟impiego dello strumento penale. La fine dell’ancien régime e la conseguente affermazione dello Stato di diritto, accompagnata dalla parallela

affermazione dei principi di divisione dei poteri e di

giurisdizionalizzazione, ha comportato il passaggio di larga parte della potestà sanzionatoria di diritto pubblico dal campo amministrativo a quello penale, considerato quale il mezzo più idoneo a garantire il cittadino contro gli arbitrii. L‟incremento degli illeciti sanzionati a livello criminale ha trovato, poi, terreno fertile nel periodo della rivoluzione industriale nel quale si è assistito ad un sempre maggiore inserimento dell‟autorità statale nella vita e nei rapporti sociali in funzione di tutela degli interessi di volta in volta ritenuti primari.

Nel nostro ordinamento giuridico viene in luce, già nella Costituzione, una nozione differenziata di illecito: un riferimento testuale, con riguardo all‟illecito, si ritrova nell‟articolo 28, ove si menzionano gli atti compiuti in violazione di diritti, ai quali corrisponde una responsabilità secondo le leggi penali, civili ed amministrative. La Carta costituzionale, come è noto, raccoglie in sè l‟esperienza giuridica della elaborazione dottrinale del secolo precedente alla sua emanazione, riflettendo proprio il principio della divisione dei poteri: quindi possiamo in essa cogliere il concetto di un illecito che genera differenti tipi di responsabilità. Questa specificazione ci chiarisce anche la nozione di illecito che, pur conservando un nucleo concettuale unitario e necessariamente minimo, rappresentato dalla definizione generica, tende a scomporsi nelle categorie di illecito che, come abbiamo visto, hanno ora raggiunto piena indipendenza, a differenza di quando, nelle epoche passate, il confine tra rilevanza pubblica e rilevanza privata aveva tratti non sufficientemente differenziati. Come abbiamo visto, anche ciò che ora conosciamo come reato era anticamente visto più come una offesa privata che come un‟offesa alla collettività, quindi non vi era una netta differenza tra illecito pubblico ed

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illecito privato, ed era la stessa persona offesa dal comportamento delittuoso, oppure la sua famiglia, ad assumere il ruolo di punitore oppure di accusatore. Il processo di differenziazione dell‟illecito, per come riconosciuto nella nostra Costituzione, avviene con la maturazione degli ordinamenti e con le nuove codificazioni del Novecento.

Tornando all‟evoluzione storica del concetto di sanzione nell‟ordinamento italiano, possiamo notare che il primo periodo di vita dello Stato unitario si caratterizza per quel fenomeno comunemente chiamato piemontesizzazione; derivati dalla legislazione del Piemonte

erano, infatti, lo schema organizzativo dell‟amministrazione48

, la prassi del lavoro pubblico e i componenti la burocrazia stessa. La nuova amministrazione, così differente da quelle settecentesche, era nata in Piemonte con la legge Cavour del 1853 e rappresentava il modello da estendere a tutto il territorio del nuovo Stato unitario.

La legislazione del tempo prevedeva che il potere sanzionatorio della pubblica amministrazione si risolvesse principalmente in tre settori: ambito disciplinare, finanziario e oblazione amministrativa. Il primo tentativo di dare forma organica e sistematica alla complessa materia delle sanzioni del settore amministrativo risale alla monografia

Le sanzioni amministrative, pubblicata a Torino nel 1924, ad opera di

Guido Zanobini, che ha rappresentato fino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, quindi fino all‟emanazione della Legge 689/1981, il fondamentale punto di riferimento in materia. Lo studio dell‟illustre autore inizia definendo in modo preciso la categoria delle sanzioni: la sanzione, ci dice è “una pena in senso tecnico, la cui applicazione

48 In realtà, al momento dell‟unificazione nazionale, il sistema si rivelò poco burocratizzato dal

punto di vista delle funzioni e molto burocratizzato nelle scelte organizzative, basato, come era, sul modello gerarchico-piramidale di derivazione napoleonica, con struttura ministeriale. Nel 1861, al momento della proclamazione del Regno d‟Italia, i Ministeri erano otto; ogni Ministero aveva un‟uniforme scala gerarchica, costituita da, nell‟ordine, direttore generale, capo divisione, capo di sezione, segretario (di diverse classi), applicato (di diverse classi) e volontario. Il volontariato rappresentava un periodo di tirocinio gratuito presso l‟amministrazione, requisito fondamentale per l‟accesso al concorso pubblico. L‟organizzazione del lavoro, invece, si caratterizzava per una eccessiva frammentazione e parcellizzazione delle funzioni amministrative. Cfr. C. Silvestro e S. Bono, Lineamenti di storia dell‟amministrazione italiana, in Diritto&Diritti, ottobre 2001.

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costituisce per l’amministrazione verso la quale corrono i doveri da cui

esse accedono, un diritto soggettivo”, che si caratterizza

essenzialmente per essere irrogata da una pubblica amministrazione nell‟esercizio di una potestà amministrativa. La sanzione amministrativa viene comminata dall‟autorità amministrativa a mezzo di propri provvedimenti, laddove, invece, quella penale, è irrogata dall‟autorità giudiziaria, perché fa capo allo Stato nella sua funzione di giustizia e non riguarda l‟amministrazione. Quanto alle sanzioni penali, al contrario, sebbene siano qualificabili come pene e, dunque, siano sanzioni punitive tipiche, la loro applicazione mai dà luogo ad un diritto soggettivo della pubblica amministrazione, neanche nell‟ipotesi che questa sia il soggetto passivo della infrazione. La comminazione della sanzione penale rappresenta per lo Stato un dovere che bisogna adempiere nell‟esercizio della funzione giurisdizionale.

Tale differenza non è priva di conseguenze: una prima, di carattere prettamente giuridico, va ravvisata nel fatto che i doveri dei cittadini verso l‟amministrazione sanzionati con lo strumento penale, non danno luogo ad altrettanti diritti soggettivi della stessa amministrazione, in virtù del generale principio secondo cui la protezione penalistica è indiretta; al contrario, i doveri sanzionati in via amministrativa danno luogo sempre a diritti soggettivi della amministrazione nei confronti dei privati. Di qui, un‟altra conseguenza, più pratica della precedente, secondo cui la sanzione amministrativa viene applicata dalla relativa autorità per mezzo dei provvedimenti

dotati – come è noto - di esecutorietà e dunque senza l‟intervento del

giudice, nella sua funzione dichiarativa; mentre la sanzione penale fa capo allo Stato, non già all‟amministrazione, per cui viene applicata dalla autorità giudiziari.

Come si evince, però, dal celebre studio di Zanobini, manca ancora una cornice complessiva che raccolga il diritto delle sanzioni di competenza dell‟amministrazione. Lo sforzo di dare al settore una sistemazione organica, assente nella volontà del legislatore, era lasciato ad alcuni importanti tentativi della dottrina che, pressoché

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ignorati all‟epoca (salvo che da qualche coraggiosa sentenza della Cassazione penale), dispiegarono il loro valore negli anni successivi.

Un primo tratto unificatore in tema di sanzioni amministrative pecuniarie venne tracciato in epoca di legislazione di guerra: nel 1917- 1918 si disciplinò con particolare cura la potestà sanzionatoria dell‟Intendente di Finanza, adottandola come modello anche per le sanzioni amministrative non di carattere meramente tributario. Emerse così un carattere differenziale specifico rispetto alle sanzioni pecuniarie

Nel documento Le sanzioni amministrative non pecuniarie (pagine 55-64)