L‟evoluzione settecentesca può essere raccolta attorno ai tre principali filoni che vengono a formarsi dopo la metà del secolo. Fino a quell‟epoca infatti, la scienza punitiva non riesce a proporre soluzioni nuove, poiché si impegna soprattutto a riflettere su problemi filosofici quali la legittimazione a imporre pene e i soggetti titolari di tale legittimazione27. La prima delle correnti cui si è fatto cenno è quella utilitaristica, secondo la quale è giusto punire solo quei comportamenti che è utile punire. Altra corrente è quella del diritto penale mite. Questa teoria è in fondo una derivazione della prima, in quanto si parte sempre dal postulato dell‟utilità, per arrivare a considerare inutile punire con particolare severità comportamenti che possono essere puniti in maniera più lieve o con pene di specie diversa. L‟ultima corrente è quella propria di tutto il razionalismo settecentesco, che va sotto il nome di ideologia proporzionalistica. Secondo questa corrente, la pena deve sempre essere commisurata all‟entità del comportamento antigiuridico. E dunque le pene devono essere certe e fisse, essendo prevista una specifica punizione (nel genus, nella species, e nel
quantum) per ogni specifico comportamento antigiuridico.
Queste tre teorie, pur contrastanti e di origini diverse, influenzano tutte il dibattito sul problema della punizione nel secolo diciottesimo, riuscendo a trovare applicazioni sinergiche in tutta l‟Europa continentale, soprattutto in riferimento ai comportamenti meritevoli di pena, ai tipi di pena e a chi possieda la potestà punitiva. L'homo novus dell'Illuminismo ha ripudiato ogni mediazione ecclesiastica; in esso
27
L'uomo Illuminista è un soggetto complesso: è prodotto dai costumi e si costruisce tanto sull'esperienza quanto sulla ragione. Stato e società, autorità, fede, tradizione, sono sottoposte al vaglio delle nuove dottrine, delle nuove “scoperte” del secolo, la Natura e la Ragione. L‟uomo è quindi ora in grado di governare razionalmente sia il dolore, sia il piacere, e inoltre egli è un individuo morale, guidato dalla facoltà del senso morale. Non ci si accontenta più di esercitazioni letterarie, si discute di filosofia e di scienza, di politica e di economia, e se ne discute con un entusiasmo prima sconosciuto, con un fervore quasi religioso, con una mistica fede nella nuove religione del secolo, la religione del progresso. Il bersaglio è la tradizione, il passato, il vecchio regime con i suoi privilegi, la vecchia società con le sue ingiustizie. Cfr. Giovanni De Menasce, Giovanni Leone e Franco Valsecchi, Beccaria e i diritti dell'uomo", Ed. Studium, Roma, 1964, pag. 10.
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libertà e diritto si fondono e si completano a vicenda in quanto derivano dalla natura. La coscienza umana è inalienabile, e rifiuta ogni altra norma, consuetudinaria o imposta; la libertà di ciascuno deve essere, perciò, libertà di tutti: uguaglianza, fraternità legalità rampollano da un'unica fonte che è il contratto sociale, il quale, a sua volta, discende dalla morale comune. La concezione del diritto e, di conseguenza, le misure attuate dallo Stato contro coloro che lo infrangono non potranno, d'ora in poi, che seguire questa parabola ideologica, sempre più coincidente con l'ascesa dei diritti pubblici ed il declino di quelli privati. Il monarca non è più visto come il padrone, ma come il servitore del popolo, al quale è stato affidato il comando perché guidi il popolo al benessere ed alla felicità28.
Prima di passare ad analizzare il celebre pensiero di Beccaria, occorre accennare brevemente agli studi di colui che più di tutti ne segnò la formazione. Si tratta dell‟opera di Montesquieu, il quale, anche se più spesso viene ricordato per i suoi studi sull‟organizzazione dello Stato e sui modelli da adottare, ha lasciato un‟impronta molto profonda pure nell‟ambito penalistico. Se si tralasciano le opere giovanili, nel più celebre Esprit des Lois si vede come Montesquieu esamini differenti problematiche quali il fondamento della potestà punitiva, il rapporto tra comportamento antigiuridico e sanzione, la ragionevolezza della pena e il rapporto tra repressione e grado di libertà dell‟uomo29
. Questi elementi ovviamente giustificano la grande considerazione per Montesquieu all‟interno del movimento penalistico settecentesco. Peraltro, bisogna notare che egli si distingue dalla teoria universalistica dominante, per portare avanti concezioni relativistiche,
28
Ermanno Gallo, Vincenzo Ruggiero, Il carcere in Europa : trattamento e risocializzazione,
recupero e annientamento, modelli pedagogici e architettonici nella "galera europea", Bertani,
Verona, 1983 pag. 69.
29 Montesquieu ritiene, infatti, che “chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti [...]. Perché non si possa abusare del potere occorre che [...] il potere arresti il potere”. Per questo motivo individua i cosiddetti tre poteri, ossia le funzioni principali demandate allo Stato – potere legislativo, esecutivo e giudiziario – che descrive così: “In base
al primo di questi poteri, il principe o il magistrato fa delle leggi per sempre o per qualche tempo, e corregge o abroga quelle esistenti. In base al secondo, fa la pace o la guerra, invia o riceve delle ambascerie, stabilisce la sicurezza, previene le invasioni. In base al terzo, punisce i delitti o giudica le liti dei privati", perché “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”.
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volte all‟individuazione del diritto penale più idoneo alla conservazione di ciascun ordinamento giuridico.
In rapporto alle tre ideologie penalistiche sopra esaminate, si può dire che Montesquieu aderisca soprattutto alla teoria proporzionalistica, utilizzando quella utilitaristica più che altro in funzione giustificatrice (e non critica e riformatrice) e mantenendo le distanze dalla teoria cosiddetta "umanitaria", quella che cioè sosteneva il "diritto mite". Il contributo più importante dato da Montesquieu all‟organizzazione pubblica del sistema punitivo resta comunque quello di aver proposto una razionalizzazione basata su leggi precise e precostituite rispetto al giudizio, prodotte da un organo diverso da quello giudicante30. Peraltro l‟opera dello studioso di Bordeaux fu utilizzata nel susseguirsi dei decenni in modo spesso travisante, tanto da trasmettere l‟opinione di una sua valenza universalistica di cui, a ben guardare, non vi è traccia.
Tralasciando l‟opera di altri noti studiosi quali Voltaire e Morelly, conviene ora concentrarsi sugli studi di Cesare Beccaria, forse il più importante studioso di pena e pubblico potere del diciottesimo secolo. Analizzando la sua opera più importante, Dei delitti e delle pene, si evince come le figure di reato siano quelle che la legge stabilisce, indipendentemente dalla natura del comportamento; peraltro una valida legislazione penale deve necessariamente conformarsi al criterio dell‟utile sociale31
. Il criterio di proporzione tra reato e pena è dunque
30 In Montesquieu si ha l‟espressione più compiuta della concezione della libertà garantita da
leggi: libertà come sicurezza dalla violenza altrui, più che dal potere dello Stato; la libertà come diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono. La legge invocata, quella che assicura la certezza del diritto, è la legislazione: poche leggi, chiare e precostituite al giudizio, mentre consuetudini, precedenti giudiziari, interpretazioni non hanno validità.
31 “Chiunque leggerà questo scritto, accorgerassi che io ho omesso un genere di delitti che ha coperto l’Europa di sangue umano e che ha alzate quelle funeste cataste, ove servivano di alimento alle fiamme i vivi corpi umani, quand’era giocondo spettacolo e grata armonia per la cieca moltitudine l’udire i sordi confusi gemiti dei miseri che uscivano dai vortici di nero fumo, fumo di membra umane, fra lo stridere dell’ossa incarbonite e il friggersi delle viscere ancor palpitanti … Troppo lungo, e fuori del mio soggetto, sarebbe il provare come debba essere necessaria una perfetta uniformità di pensieri in uno Stato, contro l’esempio di molte nazioni … Tutto ciò deve credersi evidentemente provato e conforme ai veri interessi degli uomini, se v’è chi con riconosciuta autorità lo esercita… Una sorgente di errori e d’ingiustizie sono le false idee d’utilità che si formano i legislatori… Falsa idea di utilità è quella… che non ripara ai mali che col distruggere…Queste (le leggi) peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando
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funzionalizzato al criterio di utilità, come si evince dallo stesso testo, dove l‟Autore sostiene che "più forti devono essere gli ostacoli, che
risospingono gli uomini dai delitti a misura che sono contrari al bene
pubblico, ed a misura delle spinte, che li portano ai delitti32. Influenzato
dalle teorie esposte da Jean Jacques Rousseau nel suo “Contratto Sociale” ed ammiratore del pensiero del filosofo inglese John Locke, Beccaria sviluppò le proprie teorie nell‟ambito della concezione individualistica della Società e dello Stato ed usò come argomento contro la pena di morte il concetto di “origine contrattuale dello Stato”.
Beccaria sostiene che gli uomini hanno sacrificato una parte della loro libertà, accettando di vivere secondo le regole della comunità in cambio di una maggiore sicurezza e di una maggiore utilità: l‟autorità dello Stato e delle leggi è quindi da considerarsi legittima finché non oltrepassi certi limiti accettati dai governati in nome del bene comune. Citando direttamente Montesquieu, l‟autore ripete come ogni punizione che non derivi dall‟assoluta necessità sia tirannica. Il sovrano ha il diritto di punire ma tale diritto è fondato sull‟esigenza di tutelare la libertà e il benessere pubblici dalle “usurpazioni particolari”: nessun arbitrio deve essere perpetrato poiché nel decidere l‟entità della pena l‟unico criterio da seguire è l‟utile sociale.
Il tentativo di razionalizzazione operato da Beccaria si tramuta in una classificazione dei crimini, imperniata sull‟interesse leso, che pone le basi di quelli che saranno i codici penali illuministi: 1) crimini contro l‟esistenza della società politica; 2) crimini contro i privati; 3) crimini
quella degli assalitori, non scemano gli omicidi, ma li accrescono, perché è maggiore la confidenza nell’assalire i disarmati che gli armati. Queste si chiamano leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti… Quanto il timore è più solitario e domestico tanto è meno pericoloso a chi
ne fa lo strumento della sua felicità; ma quanto è più pubblico ed agita una moltitudine più grande di uomini tanto è più facile che vi sia o l’imprudente, o il disperato, o l’audace accorto che faccia servire gli uomini al suo fine… ed il valore che gl’infelici danno alla propria esistenza si sminuisce a proporzione della miseria che soffrono. Questa è la cagione per cui le offese ne fanno nascere delle nuove, che l’odio è un sentimento più durevole dell’amore… È meglio prevenire i delitti che punirli. Questo è il fine principale d’ogni buona legislazione… Ma i mezzi impiegati fin ora sono per lo più falsi ed opposti al fine proposto… La maggior parte delle leggi non sono che privilegi, cioè un tributo di tutti al comodo di alcuni pochi… Fate (perciò) che gli uomini le temano (le leggi), e temano esse sole. Il timor delle leggi è salutare, ma fatale e fecondo di delitti è quello (il timore) di uomo a uomo”. Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene,
Feltrinelli editore, Milano, 1991, pag. 105 e seguenti.
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contro la pubblica tranquillità. Una simile razionalizzazione porta con sé
l‟adesione alla tendenza depenalizzatrice di molte figure
tradizionalmente classificate come reato. Questo sotto due distinti aspetti: per un verso viene prospettata la depenalizzazione dei comportamenti antigiuridici di cui non è identificabile il bene leso, o comunque non è riconducibile ai beni protetti da una delle categorie sopra elencate; per l‟altro si inizia a teorizzare la depenalizzazione dei fatti antigiuridici che, pur sorretti da un elemento soggettivo volto a colpire uno dei beni tutelati, da un punto di vista oggettivo non si rivelano idonei a consumare l‟intenzione.
In conclusione si può, comunque, dire che l‟aspetto più
importante nei progetti di depenalizzazione di Beccaria sia quello di considerare il diritto penale come accessorio, ovvero come uno strumento residuale al quale far riferimento solo in caso di una incapacità dello Stato a prevenire i comportamenti antigiuridici segnati da una particolare gravità. Beccaria insiste dunque sul ruolo che l‟amministrazione deve avere in chiave preventiva, sia quanto agli sforzi per rendere conoscibile e certo il diritto penale, sia, ancor prima, quanto alla predisposizione di una serie di misure che scongiurino il ricorso alla pena in senso proprio33.
Prima di chiudere l‟analisi della cosiddetta "questione penale" tanto dibattuta nel diciottesimo secolo, non si può non fare un cenno (nell‟ottica che a noi qui interessa) al codice penale austriaco di Giuseppe II, del 1787, detto Josephinisches Strafgesetz oppure
Allgemeines Gesetz über Verbrechen und derselben Bestrafung
33 “Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta. Un ardito impostore, che è sempre un uomo non volgare, ha le adorazioni di un popolo ignorante e le fischiate di un illuminato. Le cognizioni facilitando i paragoni degli oggetti e moltiplicandone i punti di vista, contrappongono molti sentimenti gli uni agli altri, che si modificano vicendevolmente, tanto più facilmente quanto si preveggono negli altri le medesime viste e le medesime resistenze… Chiunque riflette sulle storie…vi troverà più volte una generazione intera sacrificata alla felicità di quelle che le succedono nel luttuoso ma necessario passaggio dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della filosofia… I filosofi acquistano dei bisogni e degli interessi non conosciuti dai volgari…, ed acquistano l’abitudine di amare la verità per se stessa… Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione...”, Ivi pag. 109.
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(Legge generale sui delitti e le loro pene)34. Il codice giuseppino, sotto il profilo strutturale (con evidenti riflessi anche sotto il profilo funzional- sostanziale) si caratterizza come il primo codice penale moderno; esso è diviso in due libri, riguardanti il primo i "delitti criminali" e il secondo i "delitti politici". Per delitti criminali si intendono quelli derivati dall‟antico concetto di lesa maestà e le lesioni della vita e della proprietà; delitti politici sono invece le violazioni delle norme di polizia, di quelle di diligenza nell‟esercizio di professioni pericolose, di quelle a tutela del decoro morale e sociale e dell‟ordine pubblico35
. Il risultato è che il numero di delitti criminali risulta piuttosto ristretto, in linea con la teoria illuministica, già abbozzata da Thomasius, di depenalizzare molti fatti antigiuridici considerati nella tradizione come maleficia36 peccata o
crimina37, ma non necessariamente atti a ledere l‟utile dello Stato38. I
34
Già la madre di Giuseppe II, la sovrana Maria Teresa d'Asburgo, nel 1768 aveva emanato una Constitutio criminalis Theresiana, consolidazione del diritto penale consuetudinario locale e
della normazione imperiale (nel 1532 Carlo V d'Asburgo aveva emanato una Constituio criminalis Carolina valida nei territori del Sacro Romano Impero). L codificazione giuseppina
resterà in vigore fino all'emanazione del Codice penale cosiddetto "universale" del 1803, emanato dal nipote di Giuseppe II, Francesco II d'Asburgo-Lorena (1792-1835).
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Questa bipartizione, che sarà contrastata dalla tripartizione in delitti, crimini e contravvenzioni di origine francese (Codice penale rivoluzionario del 1791), si fonda sulla divisione tra le fattispecie considerate lesive delle eterne leggi naturali secondo la concezione giusnaturalista (i delitti criminali, quale ad esempio l'omicidio), e le fattispecie lesive di prescrizioni contingenti di polizia (i delitti politici, quali ad esempio gli attentati all'ordine pubblico od al buon costume).
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Il delictum (detto anche maleficium) era un atto illecito, fonte di obbligazioni (obligatiònes ex
delicto). Il maleficium era considerato un'offesa arrecata al singolo individuo e legittimava una
reazione individuale, in ciò differenziandosi dal crimen, figura corrispondente all'odierno reato. In epoca classica erano considerati delicta il furtum, l'iniuria, il damnum iniuria datum e la rapina (bona vi rapta). In seguito il pretore accordò l'azione anche per altre figure di illecito, che in epoca postclassica furono fatte rientrare tra i quasi delicta.
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Col nome di crimina nel diritto classico si designano i reati perseguiti dallo Stato, e che sono di competenza delle quaestiones; delicta sarebbero invece gli atti puniti con pena privata; nell'età imperiale soprattutto sorgono i crimina extraordinaria, cioè atti criminosi perseguiti dai magistrati imperiali, non contemplati dalle leggi costitutive delle quaestiones o contemplati in modo diverso. Nel diritto giustinianeo si può dire che tutti i crimina sono extraordinaria. Abbiamo poi i crimina communia e i propria: questi ultimi sono reati speciali di una categoria di persone. Si distinguono ancora i reati in atroci e lievi rispetto al medesimo atto; capitalia o non capitalia a secondo che portino, o no, a una condanna che implichi la morte o la perdita della libertà o della cittadinanza (eximere caput de civitate). Cfr. Enciclopedia Treccani, voce “Reato”, di Edoardo Volterra e Ottorino Vannini.
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Ad esempio possiamo considerare il dibattito attorno alla depenalizzazione del concubinato: secondo Thomasius, esso non è un delitto, in quanto non viola in alcun modo il diritto naturale; è piuttosto una consuetudine diffusa, che però non contrasta con l‟ordine sociale. L‟Illuminismo moderno ha elaborato un insieme di principi fondamentali a tutt‟oggi validi e inseriti in una prospettiva di razionalità punitiva tendente a bilanciare repressione e garanzia dei diritti
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delitti criminali sono dunque visti come trasgressioni del diritto naturale, mentre quelli politici sono considerati violazioni del diritto arbitrario.
Questa distinzione è già premonitrice di quella che sarà la dicotomia tra diritto comune e diritto amministrativo39. Inoltre questa distinzione porta come conseguenza quella di escludere i delitti colposi (in quanto tradizionalmente estranei al diritto naturale) dai delitti criminali, facendoli diventare illeciti depenalizzati. A questa bipartizione nel campo del diritto sostanziale corrisponde anche una bipartizione sotto il profilo procedurale, soprattutto con un aspetto che assume grande importanza: i delitti politici, infatti, vengono sanzionati con procedimenti svolti in fase istruttoria da autorità politiche40. È questo un chiaro segno dell‟origine di quella che, come vedremo, diventerà la sanzione amministrativa nel senso attuale del termine.
Questa coraggiosa riforma attuata da Giuseppe II d‟Austria è da taluni criticata in quanto si fa risalire ad essa la mancanza di garanzie giurisdizionali per gli autori di illeciti amministrativi e, al tempo stesso, la progressiva inosservanza da parte dei consociati delle regole non sanzionate da pene di diritto criminale: se da un lato questa affermazione è comprensibile, dobbiamo però considerare che, seppur viziata dalla carenza di una struttura amministrativa forte e capace di un controllo penetrante, l‟opera riformatrice di Giuseppe II segnò una tappa importante e positiva alla quale far riferimento ancor oggi.
individuali; l‟ambito dei fatti punibili era reso incerto dalla mancanza di codificazione e dalla persistente confusione tra “crimine” e “peccato”, per cui la giustizia penale fungeva anche da braccio secolare della religione e del potere ecclesiastico. Ancora più fosco era il quadro delle sanzioni punitive, caratterizzato da arbitrio, crudeltà ed esasperata spettacolarità. Il processo infine era dominato da principi del più rigido modello inquisitorio: segretezza, scrittura e pressoché assoluta preponderanza dell‟organo d‟accusa. Cfr. Cento e una voce di filosofia dal
diritto, a cura di Agata C. Amato, Francesco D'agostino, G. Giappichelli Editore, 2013, pag. 58. 39 Norberto Bobbio riconosceva l‟esistenza di una dicotomia tra il diritto pubblico ed
amministrativo da una parte e quello civile, privato dall‟altra: si tratterebbe proprio di una distinzione totale tertium non datur, che secondo il filosofo va di pari passo con la teoria del progresso storico. La concezione privatistica del diritto è quella in cui solo il diritto privato è vero diritto; quella pubblicistica è invece quella in cui soltanto il diritto pubblico sarebbe vero diritto. Cfr. Norberto Bobbio La grande dicotomia, in Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano, 1977, pagg. 145 e 157.
40Un esempio importante riguarda soprattutto le sanzioni per l‟esercizio del meretricio, in quanto
solo le intendenze politiche avevano facoltà di sottoporre a pena una meretrice che avesse esercitato il proprio mestiere con scandalo e disordini. Cfr. Francesco Saverio I. F. Nippel,
Comento sul codice civile generale austriaco con ispeciale riguardo alla pratica, tomo I,
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Già all‟epoca si iniziava a parlare del cosiddetto problema dell‟ipertrofia del diritto penale e dell‟intasamento dei procedimenti giurisdizionali, che assume proporzioni sempre più allarmanti. La sanzione amministrativa, quindi, veniva vista come un metodo sempre più sicuro di intervento legislativo, anche se comunque bisogna affermare che fin da allora l‟organizzazione delle sanzioni amministrative si rivelava confusa, sovradimensionata e incerta.