Vediamo appunto che in epoca remota l‟unica sanzione
conosciuta era quella rappresentata dalla pena, che assolve ad una funzione esclusivamente vendicativa, legittimando la vittima o i suoi familiari ad infliggere al reo una sofferenza della medesima natura di
quella arrecata: “malum propter malum, bonum propter bonum”,
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La prima forma di sanzione comparsa nella società umana è la vendetta, da parte dell'individuo o del gruppo.
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secondo la nota simmetria biblica «occhio per occhio, dente per dente». Per secoli, la vendetta rappresenta un diritto immediatamente azionabile dalla vittima o dai suoi congiunti, tanto nel mondo greco quanto in quello romano della monarchia e della prima Repubblica; lo è ancora nel IV-V sec. d.C. e nel diritto germanico, di cui sono un esempio la faida germanica e la vendetta intergentilizia romana, riservate alle offese inter partes e animate dal principio della vendetta privata.
Restando sempre nell‟ambito del mondo romano, comunque, e spostando l‟attenzione su un discorso propriamente giuridico, notiamo che secondo Marco Tullio Cicerone "licere id dicimus quod legibus,
quod more maiorum institutisque conceditur. Neque enim quod quisque potest, id ei licet", ossia è lecito ciò che è consentito dalle leggi e dai
costumi degli antenati, vale a dire che non tutto ciò che si può fare è lecito14. Questa definizione dimostra che anche nelle antiche civiltà era ben chiara la distinzione tra lecito e non lecito. Del resto il Codice di Hammurabi, una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute, mostra come sia emersa ben presto nella storia della civiltà l'esigenza di disciplinare la reazione contro gli illeciti, sottraendola all'iniziativa privata dei danneggiati (la vendetta) e demandandola a un'autorità, ma anche di limitare, con la predeterminazione in sede legislativa, il potere dell'autorità di decidere se e in che misura applicare la sanzione. Nelle civiltà più antiche l'illecito, in quanto violazione di una norma giuridica, non è ancora ben distinto dalle violazioni delle regole appartenenti ad altri sistemi normativi (religioso, morale ecc.), commistione che è tuttora presente nei diritti di matrice religiosa (si pensi alla Sharia islamica).
Un'altra distinzione che emerge solo in un secondo tempo è quella tra illeciti civili e penali: inizialmente, infatti, il reato era visto più come un'offesa privata che come un'offesa alla collettività; in quest'ottica, non c'era una netta differenza tra reato e illecito civile, come quella che esiste negli ordinamenti attuali, ed era la stessa
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persona offesa dal reato (o il suo gruppo familiare) ad assumere il ruolo di punitore o, bandita la vendetta, quello di accusatore. Nella stessa civiltà romana la distinzione tra illecito civile (delictus) e illecito penale (crimen) si afferma solo in epoca repubblicana e non è così netta come possiamo oggi immaginare (si pensi al furto, delictus, per il quale potevano esistere varie tipologie e che veniva sanzionato con l'obbligo di pagare un multiplo del valore della cosa rubata - secondo i casi il doppio, il triplo o il quadruplo - sanzione questa che unisce funzione risarcitoria e afflittiva15). La nozione di illecito nel diritto romano non ebbe infatti, al di la delle distinzione terminologica tra crimina e delicta, una elaborazione complessiva: come afferma Giuseppe Napolitano, “i legislatori egualmente elaborarono norme specifiche per la repressione di alcuni fatti illeciti, tuttavia mai venne raggiunta l‟autonomia scientifica del profilo penale rispetto all‟insieme del ius”16
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Nel campo del diritto civile, invece, l‟illecito ebbe una elaborazione accuratamente approfondita; l‟illecito venne inteso come fonte di obbligazioni e nasceva, secondo le Istituzioni di Giustiniano, oltre che aut ex contractu aut quasi ex contractu, anche aut ex delicto
aut quasi ex delicto17. Siffatta classificazione ha condizionato la
codificazione civile dell‟Ottocento, ed è stata determinante anche per l‟elaborazione di quella che è oggi la disciplina vigente in materia di obbligazioni18.
Possiamo quindi vedere che, mentre negli ordinamenti più antichi la responsabilità era oggettiva, con l'evoluzione della civiltà si
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Ad esempio Gaio, nelle Institutiones, ci diceva: “Furtorum autem genera Ser. Sulpicius et
Masurius Sabinus IIII esse dixerunt, manifestum et nec manifestum, conceptum et oblatum; Labeo duo, manifestum et nec manifestum; nam conceptum et oblatum species potius actionis esse furto cohaerentes quam genera furtorum; quod sane verius videtur” (Servio Sulpicio e
Masurio Sabino sostennero che esistevano quattro generi di furto: manifesto, non manifesto, scoperto presso l‟autore del delitto e quello trasferito presso un‟altra persona; secondo Labeone ne esistevano solo due: manifesto e non manifesto; infatti quello scoperto e quello trasferito riguardano specie di azione inerenti al furto piuttosto che generi di furto; il che risulta indubbiamente più vero). Gaio Institutiones, libro III, 183.
16 Giuseppe Napolitano, Manuale dell‟illecito amministrativo, Maggioli, pag. 17. 17
Giustiniano, Insitutiones, libro 3, CXXX.
18 Notiamo che l‟articolo 1173 del Codice Civile, rubricato fonti delle obbligazioni, recita “Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico”.
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tende sempre più a collegare la responsabilità alla volontarietà del comportamento (responsabilità colpevole, collegata alla colpa o al dolo). Peraltro negli ordinamenti attuali la responsabilità oggettiva, se tende ad essere superata in ambito penale, ha ancora un ruolo non trascurabile in campo civile, dove, tuttavia, non è tanto espressione di arretratezza quanto, piuttosto, della precisa scelta del legislatore di allocare le conseguenze negative di certe attività sulla base del rischio e non della colpa.