ALEKSANDRA ŽABJEK
DANTE IN SLOVENIA
Parlare agli italiani di Dante può sembrare a qualcuno un tentativo arduo, se non addirittura presuntuoso, da parte di una studiosa di lingua e letteratura slovena. Voglio chiarire subito la mia intenzione: desidero semplicemente illuminare la figura e l’opera del Sommo Poeta da un punto di vista meno conosciuto agli italiani.
Il Divino appartiene ad un’area culturale non slovena; tuttavia, le zone, non essendo chiuse, spesso perdono i confini netti e si intrecciano con le altre culture. Ogni popolo/cultura ha i propri illustri rappresentanti, in parte conosciuti al mondo, date le diversità, non ultime quelle linguistiche, che circolano in uno spazio storico-‐‑ culturale. Possono però essere inseriti in un’altra area. Essi diventano una specie di merce di scambio. Le differenti vicende storiche, politiche, economiche e culturali nel corso del tempo li modificano e trasformano. Un tale gigante è Dante. Si può sostenere che il Dante degli italiani non sia lo stesso Dante per gli stranieri. Non per quanto riguarda la sua grandezza che è indiscutibile – Dante è senz’altro uno dei padri della letteratura mondiale1. Josip Stritar2, un artista sloveno della seconda metà dell’Ottocento, poeta lui stesso, presentò il suo programma estetico dicendo: «Non ho in mente, qui, di parlare di figure così grandi quali Eschilo, Dante, Calderon, Shakespeare e Goethe, essi sono poeti nel senso più nobile della parola – i poeti e i visionari che ci presentano le più grandi verità in forme più belle, dove la poesia e la filosofia, la bellezza e la realtà si uniscono in un insieme meraviglioso, tali giganti però non nascono ogni secolo»3.
1 La letteratura mondiale intesa come il meglio di quello che offrono le singole lette-‐‑ rature nazionali.
2 Kritična pisma/Le lettere critiche, Slovenski glasnik, Klagenfurt 1867-‐‑68.
3 «Na misel mi tu ne pride, da bi govoril o takih velikanskih prikaznih, kakršne so n.pr. Aeschylus, Dante, Calderon, Shakespeare in Goethe; ti so pesniki v najvišjem pomenu – pesniki in preroki, po katerih se najvišje resnice nam naravnost razodevajo v najlepši podobi; v njih se strinjata poezija in filozofija, lepota in resnica v čudovito zvezo; takih velikanov zemlja ne rodi v vsakem stoletju»: JOSIP STRITAR, ZD, VI, Ljubljana, DZS 1955, p. 60. La traduzione dei brani, quando non indicato diversamente,
Dante sloveno, sia come individuo sia come autore, è una figura complessa che si configura tra mito e realtà: passa dall’immagine di un eremita della leggenda della ‘Grotta di Dante’ alla figura di linguista, poeta e guida politica e spirituale di un popolo da seguire. Ben presto però i confini tra il mondo italiano e il mondo sloveno si confondono e il poeta diventa semplicemente il Dante. Per conoscerlo meglio bisogna percorrere più di 600 anni della storia slovena: da un timido provato ingresso dantesco sul territorio sloveno a Isola alla fine del Trecento attraverso le prime due copie della sua Divina Commedia, trascritte da Pietro Campeni di Tropea (tra il 1393 e il 1399) fino all’ultima traduzione completa4 dell’opera più importante, avvenuta nel 1972 grazie al professor Andrej Capuder5. Senza tralasciare chiaramente l’aspetto leggendario, storicamente non fon-‐‑ dato, ma plausibile.
Prima di affrontare Dante, per avvicinare più facilmente la sua figura com’è vissuta e come si presenta tra gli sloveni, intendo entrare brevemente nella parte più occidentale del mondo slavo6. Parliamo di un piccolo territorio di appena 20.000 km2, stretto tra il mondo italiano, tedesco, ungherese e croato che fino al 1991 apparteneva ad «una delle nazioni senza storia» come lo storico inglese A. J. P. Taylor7 chiama le nazioni, create da alcuni scrittori, che apparvero sulla scena storica nel 1848.
Nel II secolo d. C. le tribù slave iniziarono a spostarsi dai monti Urali, dove vivevano, verso l’occidente. I cosiddetti slavi del sud si presentarono nel VI secolo alle porte dei Balcani8. Gli sloveni che giunsero per primi al nord, popolarono un territorio più vasto rispetto
è dell’Autrice.
4 Ho preso in considerazione la traduzione slovena che circolava in Jugoslavia e non quella fatta da Tine Debeljak in Argentina nel 1965.
5 Non è solo traduttore di Dante, ma anche romanziere egli stesso, due volte prestato alla politica: prima come deputato, Ministro per la cultura e primo Amba-‐‑ sciatore sloveno in Francia, Portogallo e presso l’Unesco e poi di nuovo come Ambasciatore in Italia. La maggior parte del suo tempo lavorativo l’ha trascorsa presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Lubiana come professore di letteratura francese. Il 13 dicembre 2008 ha tenuto la sua conferenza su Dante nell’ambito della nostra iniziativa Lectura Dantis parlando sia della sua traduzione dell’opera che dall’avvicinamento alla filosofia di Kirkegaard.
6 Quasi la metà dell’Europa odierna è abitata da popolazioni slave e quasi il 40% degli europei ha come lingua materna una delle lingue slave.
7 A. J. P TAYLOR, La monarchia asburgica, Milano, Arnoldo Mondadori editore 1985, p. 50.
8 Balkan significa in turco un monte. È un sistema montuoso ai confini tra la Serbia e la Bulgaria che si estende prevalentemente sul territorio di quest’ultima dal fiume Timok al Mar Nero.
al loro territorio odierno, dalle sorgenti del fiume Drava fino al lago Balaton, nell’odierna Ungheria. Vari toponimi ne testimoniano la permanenza. In meno di un secolo gli slavi inondarono una vasta regione penetrando fin sotto le mura di Costantinopoli e di Salonicco, giungendo alle coste del Peloponneso. Essi attraversarono il Danubio nel VII secolo spingendosi fino alle rive del mare Adriatico. Le loro frontiere etniche erano mobili al nord per i continui scontri con i Bavaresi in Carinzia, i Bizantini in Istria e i Longobardi nel Friuli, ma abbastanza stabili al sud. Gli slavi, oltre alla lingua, portarono con sé nella nuova patria anche le vecchie usanze e la religione nonché la loro struttura sociale. Il contatto con le popolazioni preesistenti portò dei cambiamenti. Il primo grande episodio, quando gli sloveni si trovarono faccia a faccia con le nuove prospettive della vita, risale al IX secolo: per volere di Carlo Magno, iniziò sui suoi possedimenti la cristianizzazione. In Slovenia, nonostante una continua cura della chiesa cattolica di inglobare riti pagani per facilitare l’evan-‐‑ gelizzazione, questi riti rimasero vivi fino al XII secolo. Gli sloveni si mostrarono non completamente convinti di poter lasciare dietro le spalle le care vecchie abitudini per abbracciare le nuove, appa-‐‑ rentemente non ancora assimilate. I successori di Carlo Magno, dopo alcune ribellioni nell’VIII e nel IX secolo, capirono di dover annientare la nobiltà per governare con più tranquillità sui territori periferici, popolati dalle tribù slave. Così gli sloveni persero ben presto la propria nobiltà, sia perché inclusa nel ceto feudale tedesco, sia perché ridotta al gruppo dei semplici liberi o addirittura non-‐‑liberi, i cosiddetti kosezi; la nobiltà avrebbe potuto portare un altro tipo di sviluppo linguistico e culturale. Essi rimasero a lungo un semplice popolo di contadini, isolati ed emarginati. La posizione umile non disturbava nessuno. Probabilmente proprio grazie a questa subalternità il popolo riuscì a conservare la propria lingua, l’unico segno di un’identità etnica.
La loro storia potrebbe essere paragonata ad una fiaba, quella del brutto anatroccolo che, all’improvviso, scopre di essere un bel cigno. È la storia di un popolo di contadini, sparsi tra le montagne e i boschi, nelle paludi e lungo i fiumi, mal collegati fra loro, emarginati dagli altri, perfino dal resto del mondo slavo, la cui lingua rimane per secoli imprigionata tra le mura delle case e delle chiese in un ambiente semplice e povero; ma col passare del tempo il popolo scopre lentamente che la sua lingua, così a lungo maltrattata, possiede la dignità di una lingua letteraria.
L’uso di varie lingue che gravitano intorno al mondo sloveno ha giovato e danneggiato nello stesso tempo: una specie di bilinguismo
(tedesco-‐‑sloveno), a volte trilinguismo (tedesco o italiano-‐‑latino-‐‑ sloveno) ha condizionato l’intero sviluppo delle terre slovene, nonché la nascita della lingua letteraria. Il plurilinguismo, inoltre, accom-‐‑ pagna una buona parte della produzione letteraria. L’ambiente gioca un ruolo non marginale giacché contribuisce alla differenziazione della lingua che non è mai del tutto omogenea. Appaiono delle innovazioni che non comprendono più l’intero territorio. Ogni gruppo dialettale è suddiviso in più parti rispetto al luogo in cui è parlato: in Slovenia ce ne sono sette principali che raggruppano i 46 dialetti. L’antico slavo, ormai, è stato sostituito da varie lingue slave, spesso eterogenee. I Monumenta frisingensia9, i più antichi documenti letterari di una lingua slava in caratteri latini, trascrizioni del X-‐‑XI secolo di testi religiosi attribuiti al IX secolo, linguisticamente appartengono all’antico sloveno: i fenomeni linguistici, ivi constatati, corrispondono allo sviluppo storico e dialettale della lingua slovena di oggi.
Tuttavia, per arrivare alla lingua letteraria, gli sloveni dovettero aspettare l’anno 1550 quando Primož Trubar, predicatore protestante, diede alle stampe un abbecedario di otto fogli con l’intento di insegnare al popolo a leggere e a scrivere e un catechismo con l’aggiunta di alcuni inni sacri, delle preghiere e un’omelia. Trattasi di due volumetti, modesti, stampati in caratteri gotici a Tübingen (Germania), che segnano però l’inizio della lingua letteraria slovena. Se il primo ringraziamento va ai protestanti, uno maggiore spetta a France Prešeren, romantico, che grazie al suo minuscolo libro di versi, intitolato semplicemente Poesie10 assicurò allo sloveno, per sempre, il diritto di sopravvivere come lingua letteraria e di cultura. Lo sloveno infatti, venne codificato proprio durante il periodo del Romanticismo con il poeta Prešeren, il teorico e critico letterario Čop e il linguista Kopitar.
Nel giro di soli otto decenni, dal 1847 al 1918, anno in cui morì il maggiore prosatore sloveno, Ivan Cankar, e si chiuse il periodo centrale della Moderna, la letteratura slovena è riuscita a creare, pressoché dal nulla, una solida base per il futuro. Con Cankar riprese anche un serio impegno politico degli scrittori che dovettero sostituirsi ai politici fino agli anni ’80 del secolo scorso. Non va
9 I monumenti di Frisinga/Brižinski spomeniki sono inclusi in un codice manoscritto con 169 fogli di pergamena; vengono conservati nella Biblioteca statale di Monaco di Baviera. Paolo Parovel nella sua prefazione dei testi pubblicati da Mladika/Valecchi, 1994, accosta i 3 esempi della letteratura religiosa slovena ai Placiti Cassinensi con le dovute differenze.
10 Le poesie escono nel dicembre del 1846: Poezije Doktorja Franceta Prešerna, Natisnil Jožef Blaznik, v Ljubljani 1847.
dimenticato che il popolo sloveno non aveva altre guide che i poeti o gli scrittori. Il legame con la politica giunse all’apice in due momenti particolari della storia nel XX secolo: per la prima volta nel 1941 con “il mutismo culturale”11 e, ultimamente negli anni ’80, quando l’intera società slovena si strinse intorno all’Associazione degli scrittori che, in seguito alla proposta di “nuclei programmatici”12, rappresentò una delle protagoniste cruciali della lotta al regime.
Molti scrittori entrarono direttamente nella politica poiché si sentirono chiamati dal popolo a difendere l’unico mezzo della propria diversità etnica, in altre parole la lingua. Solo i giovani letterati, nati negli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso, persero finalmente il doppio ruolo di scrittore o poeta politico che li vincolava da secoli per ridiventare esclusivamente uomini di lettere. Il Prešeren all’inizio dell’Ottocento domandava ancora: «Kam?»13, cento anni più tardi il poeta Oton Župančič voleva sapere: «Veš, poet, svoj dolg?»14 e il narratore Drago Jančar nel 1990 poté chiudere la lunga serie chiedendosi semplicemente: «Kaj naj počne pisatelj v tako zmedenem času?»15.
Tornando alla fortuna di Dante in Slovenia, la realtà politica, economica e culturale dell’Italia medievale è poco paragonabile alla situazione slovena. Gli esperti tentano di ricostruire la situazione slovena mettendo insieme pezzo per pezzo sia i frammenti letterari o linguistici16 che i pochissimi documenti. Le frequenti supposizioni fungono da parti mancanti. Con il cristianesimo arrivò l’abilità di leggere e di scrivere, legata particolarmente agli strati alti della popolazione, per esempio al clero. Dopo l’anno mille iniziarono a sorgere sul territorio vari monasteri come centri religiosi, economici e culturali (Osoje, Stična, Vetrinj, Kostanjevica, Žiče, Bistra…). I loro priori furono prevalentemente di origine straniera, non slovena, come del resto numerosi monaci, siccome dipendevano da altri centri monastici che si trovavano al di fuori del territorio. Chiaramente il loro ruolo nella cultura slovena perciò è stato minimo. La loro
11 Nel 1941 il Fronte di liberazione sloveno invitò gli uomini di cultura ad esprimere il proprio dissenso politico con il «mutismo culturale».
12 I programmi scolastici dovevano essere uguali per tutta la Jugoslavia: i singoli autori o avvenimenti storici delle diverse etnie avevano uno spazio proporzionale al peso numerico dell’etnia.
13 «Dove?».
14 «Conosci, o poeta, il tuo dovere?».
15 «Che cosa deve fare uno scrittore in tempi così caotici?».
16 La letteratura medievale comprende due tipi: “pismenstvo” – la letteratura religiosa scritta e la letteratura popolare orale che fu in parte trascritta nel Romanticismo.
importanza per lo sviluppo della cultura del popolo è limitata, essi si servirono di un’altra lingua letteraria – il latino o il tedesco – tuttavia fanno da messaggeri tra le varie culture. Il territorio sloveno in quel tempo non conobbe nessuna delle alte forme letterarie tipiche dell’Eu-‐‑ ropa occidentale e in parte centrale perché gli sloveni nel medioevo erano soprattutto contadini17, forse artigiani in città, senza centri religiosi o amministrativi; le loro città furono piccole, di poco interesse per i fiorenti centri di cultura europea. E in questo mondo venne ad inserirsi Dante.
Quando in sloveno si usa il termine ‘popolo’ non si pensa solo ai contadini e agli artigiani, ma anche ai primi operai nei borghi e nelle città, ai servi di corte, ai mercenari, agli artigiani paesani, agli studenti e al basso clero. Questi furono gli strati sloveni che accettarono e divulgarono la letteratura, aperti specialmente alla letteratura popo-‐‑ lare. Alcune categorie, così come studenti, minatori, mercenari o il basso clero, venivano più facilmente a contatto con gli altri paesi, conoscevano altre culture, le approvavano e le trasmettevano al rispettivo popolo. Chi fra loro si avvicinò a Dante? Non disponendo delle università, quei pochi sloveni che intendevano completare i propri studi, si servivano a lungo dei centri di studi tedeschi e italiani (Padova, Bologna, Venezia). Forse furono proprio gli studenti tra i primi possibili portatori o importatori della cultura italiana perché il loro flusso, continuo anche se variabile, non si è mai fermato e perché il loro grado d’istruzione li rendeva idonei all’introduzione dell’opera dantesca. Ugualmente, anche i monasteri con i loro scrivani svolsero un ruolo importante per quanto riguarda la divulgazione dei capolavori artistici, tuttavia le difficili vicende slovene lasciarono poche tracce. Le due edizioni più antiche della Divina Commedia, conservate in Slovenia, risalgono ambedue al Cinquecento – la prima al 152018 e la seconda al 157119 – mentre l’edizione più antica del De vulgari eloquentia con il commento di Trissino, risale al 152920. Nessuno dei tre volumi appartiene ad una biblioteca monastica.
Il Cinquecento, un secolo considerato fiorente per quanto riguarda
17 I contadini, in seguito ad una situazione abbastanza favorevole dal XII al XIV secolo, nel tardo medioevo conobbero la crisi economica, sociale e religiosa che li portò alle ribellioni. In aggiunta, le frequenti guerre dinastiche e i saccheggi turchi accrebbero la crisi generale che gravava sugli strati più deboli della popolazione.
18 La copia di Stagnino da Trino, Venetia, Bern, inv. 2047, è conservata nella Biblioteca nazionale universitaria a Lubiana.
19 La copia di Guglielmo Romillio, Lione, 1571, si trova nella biblioteca della Accademia slovena delle scienze e delle belle arti.
20 Il libro di Tolomeo Ianiculo da Bressa, Vicenza, 1529, è custodito nella Biblioteca nazionale universitaria.
la cultura slovena, in sostanza è anche il secolo di primo maggiore contatto delle terre slovene con Dante: si dispone non soltanto delle prime due copie scritte dei suoi testi; ci è pervenuto anche un codice, il Codice dei predicatori21, risalente alla prima metà del secolo. L’analisi calligrafica stabilisce che il testo fu scritto da più persone colte, esperte in teologia, non estranee alla letteratura, probabilmente di origine italiana. Brevi testi italiani, per lo più in versi, di contenuto religioso: le preghiere in rima, inni, una canzone, sonetti e terzine dedicati a Maria si inseriscono nella parte centrale del codice, scritto in latino.
I testi contengono le due citazioni dalla Divina Commedia:
– alla fine del sermone De reprobatione malorum appaiono le due terzine dantesche, i versi 34-‐‑39, canto III del Purgatorio, citate a memoria, riportando Dante teologo e filosofo, tralasciando i suoi sentimenti di poeta:
Matto è chi spera che nostra rasione possa comprehender la infinita via che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti humana gente al quia, che se possibile fosse saper tucto, mestier non sarria parturir Maria.
– il secondo passo, i versi 1-‐‑6, canto XXXIII del Paradiso, figura in un altro sermone, Sermo de S. Maria, come conferma della supremazia di Maria su tutto il creato:
Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura nobilitasti si’, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura.
Il protestantesimo vide sfociare gli sforzi di alcuni patrioti sloveni, alla ricerca di una lingua da poter offrire a tutti, in una ricca attività culturale, senza un’apparente familiarità con Dante. La fortuna del poeta, in declino nella stessa Italia, pare non abbia interessato i protestanti sloveni.
21 MILKO KOS studiò il codice, conservato nella Biblioteca nazionale universitaria tra i manoscritti, n° 334; nel 1931 pubblicò le conclusioni della ricerca nel libro Codices
È difficile però credere che Primož Trubar, in cerca di soluzioni linguistiche, non abbia conosciuto almeno il De vulgari eloquentia anche se non ci sono prove. Trubar, formatosi alla corte del vescovo Bonomo a Trieste, ammette di conoscere l’italiano: «Il menzionato vescovo triestino mi ha educato, istruito e condotto sinceramente ad abituarmi alla completa devozione, nella propria corte spiegava a me ed agli altri oltre a Virgilio, anche le parafrasi di Erasmo e le istitutiones di Calvino, in lingua italiana, tedesca e slovena»22. Jože Pogačnik, propenso all’ipotesi, durante il convegno internazionale Dante i slavenski svijet23 osò parlare di una possibile influenza dantesca. Sia Dante che Trubar trattano la diffusa divisione in dialetti delle rispettive lingue mentre cercano di fissare i criteri di una lingua unitaria; «[…] drigači govore z dostimi besedami Kranjci, drigači Korošci, drigači Štajerji inu Dolenci ter Bezjaki, drigači Krašovci inu Istrijani, drigači Krovati»24 diceva Trubar scegliendo il suo volgare vicino a tutti gli sloveni, mentre il “volgare illustre” di Dante va avanti e diventa quella lingua capace di imporsi nelle più alte espressioni d’arte e di cultura.
Fu soltanto all’inizio dell’Ottocento che Prešeren innalzò la lingua slovena a questo livello. I due personaggi poi potevano incontrarsi grazie a Mathias Flacius Illyricus (Matija Vlačić Ilirik)25, teologo protestante, professore a Iena e a Wittemberg, instancabile editore, primo traduttore di Dante in tedesco di cui sono innegabili i rapporti con i protestanti sloveni.
Di nuovo giocò a sfavore degli sloveni la situazione nella quale si trovavano: sparsi per il mondo, senza un potere nazionale centrale come guida e protettore degli interessi nazionali, con la Controriforma alle porte.
Il Seicento e il Settecento non nutrirono particolare interesse né per l’opera né per la figura di Dante. Profondi mutamenti scossero l’Europa: guerre, rivoluzioni, nuove scoperte che ridisegnarono gli orizzonti e i confini. Le guerre napoleoniche diffusero le idee della rivoluzione francese. Nel 1809 Napoleone creò le Province illiriche che per breve tempo, fino al 1813, unirono vasti territori dalla Slovenia al nord alla Repubblica di Ragusa al sud, con sede a Lubiana. Il nuovo
22 BARBARIČ ŠTEFAN, Ideje humanizma v delih slovenskih protestantov, SR, 24 (1976), 4, p. 412.
23 Tenutosi a Dubrovnik dal 26 al 29 ottobre 1981.
24 TOPORIŠIČ JOŽE, Slovenski jezik 2, Maribor, Obzorja 1966, p. 22. «[…] i carniolani dicono molte parole in modo diverso, diversamente le dicono i carinziani, diversamente