MARIA CICALA
I. “GEOGRAFIA” MARIANA NELLA C OMMEDIA
MARIA CICALA
«DONNA È GENTIL NEL CIEL»: ITINERARIO
VERSO MARIA NELLA COMMEDIA
I.
“GEOGRAFIA” MARIANA NELLA C
OMMEDIADare avvio a una riflessione sull’itinerario di Dante a Maria nella Commedia comporta certamente un notevole disagio, dal momen-‐‑
to che molte, ovvero troppe sono le ottiche percorribili e per di più spesso si intersecano insidiosamente. Sembrerebbe certamente oppor-‐‑ tuno – cosa che ho tentato di fare – in prima istanza verificare, quantitativamente e qualitativamente (il «quanto» e il «quale»), e so-‐‑ prattutto con rigore sistematico, per evitare di ripetere genericamente cose ormai note a tutti, la presenza di Maria nella Commedia; ma già questa operazione, in apparenza semplicissima, non lo è poi tanto. Infatti subito si prende atto del particolare rapporto quantità-‐‑qualità, data la polivalenza1 delle singole occorrenze nella Commedia.
1 Boccaccio nelle Esposizioni parla di polisemia, non a torto visto ciò che Dante stesso suggerisce ai suoi lettori nel Convivio e nell’Epistola a Cangrande, dettando la plurivalen-‐‑ za della sua scrittura. Tra gli studi sull’argomento vd. in particolare il capitolo dedicato da VINCENZO PLACELLA a I presupposti biblici dell’esperienza cristiana e poetica di Dante: la
particolare valenza esistenziale e spirituale della tropologia e dell’anagogia, in «Guardando nel suo Figlio…». Saggi di esegesi dantesca, Napoli, Federico & Ardia 1990, pp. 63-‐‑124.
Nell’Esposizione allegorica a Inf. I (GIOVANNI BOCCACCIO, Esposizioni sopra la Comedìa, a
cura di Giorgio Padoan, Milano, Mondadori “Oscar classici” 1994 [1965¹], vol. 1, canto I (II), 18 e sgg.) Boccaccio definisce il «poema» dantesco un «libro poliseno [sic], cioè di più
sensi», in linea con l’Epistola a Cangrande, 20 («polisemos, hoc est plurium sensuum»), che –
suggerisce Padoan (ivi, vol. II, nota 18 al canto I (II), p. 788) – «tiene sotto gli occhi», avendola conosciuta però «priva della parte noncupativa». Dell’Epistola il certaldese omette il «sive anagogicus», annota Padoan (nota 19, ibid.), infatti parla di due sensi: «il primo […] chiamasi “litterale”, […]. Il secondo […] “allegorico” o vero “morale”» (BOCCACCIO, ivi, 18-‐‑19) e propone di conseguenza due tipi di Esposizione: litterale e alle-‐‑
gorica; ma mi sembra che di fatto egli lasci intuire cosa intenda per allegoria (una allegoria trifaria in senso lato), quando nella sua spiegazione, attraverso un esempio («In exitu Israel de Egypto…»), egli definisce il «significato» della «lettera», quindi, nell’ordine:
l’«alligoria», in senso stretto, il «senso morale» e infine il «senso anagogico» (ivi, 19-‐‑20), concludendo (ivi, 21) con una inequivocabile affermazione: «E così come questi sensi
Accade inoltre di avvertire, nel testo dantesco o nei commenti, una presenza della Donna del ciel pure in qualche luogo in cui non è esplicitamente dichiarata, per esempio nel canto I dell’Inferno, che funge da prologo non solo all’intero poema, ma anche alla individua-‐‑ zione della presenza e dell’azione di Maria2.
La Vergine, la Donna gentil del ciel (Inf. II, 94), che «ad aprir l’alto amor volse la chiave» (Purg. X, 43), ha un ruolo determinante nell’avvìo e nell’epilogo del viaggio dantesco, infatti – come annota Fallani3 – è «al centro morale del poema»: la sua mediazione «preve-‐‑ niente» consente al viator di superare le remore iniziali del viaggio, che solo attraverso di Lei può culminare nella visione di Dio.
Eppure questa importante figura femminile non compare solo all’inizio e alla fine del poema, ma è sempre presente, sia pure in mo-‐‑ do diverso, durante tutto il percorso, e quindi dall’Inferno al Purgatorio, dal Purgatorio al Paradiso.
Certo il modo in cui prende corpo, direttamente o indirettamente, questa presenza è strettamente condizionato dall’essenza e dalla consistenza delle tre cantiche, perché, come a suo tempo rilevava Pe-‐‑ trocchi4,
ogni celebrazione mariologica, nella Commedia, deve essere ori-‐‑ ginata ed espressa dal particolare momento dell’esperienza ascetico-‐‑mistica che il pellegrino subisce nel corso del suo viag-‐‑ gio nei regni dell’oltretomba
e quindi
un certo tipo di effusione patetica dell’amore verso la Madonna è estraneo alle occasioni (cioè alle varie ‘stazioni’ del viaggio)
“allegorici”, con ciò sia cosa che essi sieno diversi dal senso litterale, o vero istoriale».
2 Basta leggere gli antichi commenti a Inf. I per rendersene subito conto. Molto si-‐‑ gnificativa in tal senso mi sembra l’Esposizione allegorica di Boccaccio a Inf. I, in particolare quando commenta i vv. 8 («ma per trattar quel ben ch’i’ vi trovai») e 101 («…’l veltro»), in questo ultimo caso citando esplicitamente, più di una volta, la Vergine Maria [Esp. I (II), 167-‐‑168]. In effetti anche lo studio della presenza della Vergine nei commenti a Inf. I non andrebbe tralasciata.
3 Nella edizione della Commedia da lui curata, Milano, Classici BEN 1994 (1993¹), nota a Inf. II, 94.
4 GIORGIO PETROCCHI, Gli influssi della spiritualità duecentesca [«Cultura e Scuola», 13-‐‑14 (gennaio-‐‑giugno 1965)¹, pp. 663-‐‑674], in Itinerari danteschi (1969), Milano, Franco Angeli 1994, pp. 34-‐‑40 [40]. Vd. anche: MARIO APOLLONIO, Maria Vergine, vol. III dell’Enciclopedia dantesca, fondata da Giovanni Treccani, Roma, Istituto dell’Enciclo-‐‑ pedia italiana 1971, pp. 835-‐‑839 e PETROCCHI, La «Vergine Madre» di Dante, «Quaderni del centro nazionale di studi cateriniani», 3 (1988), pp. 43-‐‑60.
via via descritte dal canto II dell’Inferno (Donna è gentil nel ciel) all’orazione di S. Bernardo [Par. XXXIII]; ma quando l’occasione lo pretende, Dante non ignora le forme della più ardente e tene-‐‑ ra adorazione religiosa («il nome del bel fior ch’io sempre invoco / e mane e sera»5 [Par. XXIII, 88]).
Ecco la prima ragione per la quale credo sia pienamente
condivisibile la valutazione un po’ severa, ma motivata, espressa
sia da Petrocchi6 che da Apollonio nei confronti di Chimenz7, il qua-‐‑
le «si è pronunciato» sulla «estensione della spiritualità mariana»
di Dante «in senso un po’ limitativo», constatando «nel culto dan-‐‑ tesco di Maria un minor peso delle “note umane e affettuose” ri-‐‑
spetto a quelle che “ne celebrano il merito teologico, la grandezza,
la magnificenza, la regalità, il trionfo”»8.
È infatti opportuno sottolineare che, come a mio avviso ha
ben compreso il Boccaccio, in quella che mi piace definire “lectura
creativa in progress” (penso in particolare alla sua «dolce» Ave
Maria9), tra la Domina dominarum e la Femina feminarum non c’è e
non può esserci frattura10 (stando alla definizione dogmatica di
5 Il verso ha dato il titolo al bel recente contributo di BORTOLO MARTINELLI: «Il nome del bel fior ch’io sempre invoco» (PD 23, 88): Dante e il nome di Maria, «Studi Medievali e Moderni», 1 (2003), Parte I: Temi danteschi. Atti della giornata di studi danteschi in memoria di Silvio Pasquazi, 10 / XII / 2001, a cura di Giorgio Pannunzio, pp. 5-‐‑148 [87-‐‑121]. 6 PETROCCHI (Gli influssi della spiritualità duecentesca, cit., p. 40) scrive che Chimenz, come «tanta parte della critica dantesca», «ha voluto relegare la spiritualità dantesca» entro «limiti eccessivamente angusti», parlando di essa «come scarsamente ricolma d’un sentimento della Divinità in quanto Amore in senso affettivo, ma soltanto come “amor Dei intellectualis”, e cioè nella visione del vero in che queta ogne intelletto, non nel-‐‑ l’atto dell’amore del Creatore verso le creature e viceversa». In questo contesto PE-‐‑ TROCCHI (ibid.), in particolare «per la valutazione che lo spirito di Dante dà ai due ele-‐‑ menti della visione» [«visione sensibile e visione intellettuale», «creazione fantastica d’un mondo celeste» e «visione dell’essenza di Dio spiegata nell’ordine e nella ragione teologica che ad essa sono propri e che adempiono l’appagamento dello spirito dante-‐‑ sco»], rinvia al capitolo di CHARLES S. SINGLETON sulla Sostanza delle cose vedute (in La poesia della Divina Commedia, Bologna, Il Mulino 1999, pp. 87-‐‑113), che richiama e spiega la «fides quaerens visionem», e quindi alla Lettura del Paradiso dantesco, proposta da ANNA MARIA CHIAVACCI LEONARDI (Firenze 1963). 7 SIRO A. CHIMENZ, Dante Alighieri, in Dizionario biografico degli italiani, II, Roma, Isti-‐‑ tuto della Enciclopedia Italiana 1960, pp. 433-‐‑434. 8 Cfr. APOLLONIO, op. cit., pp. 835-‐‑839. 9 «La dolce Ave Maria di grazia plena» recita il v. 1 del delizioso ternario boccacciano [L’AVE MARIA], che oggi si legge nell’edizione Mondadori (“Classici” 1992, poi “Oscar classici” 1999) delle Rime di BOCCACCIO, a cura di Vittore Branca, parte II, 41*. Cfr. infra,
I. 1. 10 Mi sembra interessante ricordare a tal proposito una immagine, mostrata dal catino absidale della chiesa di S. Maria in Monte d’Evio, sul Gargano, nella quale la
Theotòkos11), specialmente nella Commedia. In altri termini, per fare un
Theotòkos ostenta i seni con i quali l’ha nutrito al Cristo Pantocratore. Pantocratore (=
onnipotente) è «un epiteto ellenistico attribuito a varie divinità. Presso i cristiani orien-‐‑ tali, attributo di Cristo “Signore del mondo”», in particolare «in quanto si determina, nell’arte bizantina, nell’omonimo motivo iconografico (il busto di Cristo ieratico e be-‐‑ nedicente)». L’icona del «Pantocrator (l’Onnipotente o Signore dell’Universo) è presente nella maggior parte delle chiese bizantine, al centro della cupola principale». (Sull’ar-‐‑ gomento cfr. MARIA CICALA, La «Theotòkos» nella letteratura umanistico-‐‑rinascimentale. Memoria biblica, tradizione letteraria e sensibilità individuale, in Memoria biblica e letteratura. Atti del Convegno internazionale «All’eterno dal tempo», a cura di Vincenzo Placella, Napo-‐‑
li, Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” 2005, pp. 259-‐‑333 [294-‐‑295]). L’affresco del XIV secolo è singolare – commenta PIETRO AMATO (Arte / Iconografia, in AA.VV.,
Nuovo Dizionario di mariologia, a cura di Stefano de Fiores e Salvatore Meo, Milano, Edi-‐‑
zioni S. Paolo 1986, pp. 124-‐‑139 [132]) – in quanto la madre di Dio «partecipa allo schema
classico della déesis [in greco δέέησις= preghiera, desiderio, bisogno], ma, trascurando gli
accenti teologici, assume i toni di una più umile ed umana intercessione» [cfr. CICALA, ibid.].
Nella Commedia né l’uno, né l’altro aspetto si trascura: sono incastonati l’uno nell’altro. 11 Quanto alla definizione di Theotòkos, nel «corso di tutta la storia – scrive JAROSLOW PELIKAN (Maria nei secoli, Roma, Città Nuova ed. 1999, p. 71) – ma special-‐‑ mente nei secoli IV e V, la categoria essenziale della riflessione su Maria è stato il para-‐‑ dosso Vergine e Madre, Madre umana di uno che era Dio, Theotòkos». Definizione conia-‐‑ ta dalla cristianità orientale, il termine è tanto complesso quanto problematico: «non significa solamente “Madre di Dio”, come è stato di solito tradotto nelle lingue occiden-‐‑ tali (Mater Dei in latino e quindi nelle lingue romanze, o Mutter Gottes in tedesco), ma più precisamente e completamente “colei che ha dato la vita a uno che è Dio” (di conse-‐‑ guenza Bogorodica e affini in russo e nelle lingue slave, e, più raramente, ma con mag-‐‑ gior precisione Deipara in latino)». Quando «venit plenitudo temporis [venne la pienezza del tempo] – scriveva S. Paolo Ad Galatas (Gal 4, 4) – misit Deus Filium suum factum ex muliere [Dio mandò il suo Figlio, nato da donna]», parlando di Gesù «come essere piena-‐‑ mente umano», ritengo utile precisare con PELIKAN [ivi, p. 30]. Quello di Paolo (se si tiene conto che «l’epoca di composizione» degli scritti del Nuovo Testamento «non corri-‐‑ sponde all’ordine» nel quale, nella nostra Bibbia, come insieme di libri canonici, essi compaiono) è «il più antico accenno a Maria (anche se indiretto)». (Sull’argomento cfr. CICALA, op. cit., pp. 260-‐‑261). Il titolo di Theotòkos, «genitrice di Dio», attribuito a Maria, è stato legittimato da S. Cirillo e i padri Efesini (il concilio di Efeso è del 431. Sull’arg. cfr., sotto la voce Madre di Dio, la sezione dedicata a Dogma, storia e teologia, curata da SALVATORE MEO, nel Nuovo dizionario di Mariologia, op. cit., pp. 730-‐‑742 [734], ma anche i testi relativi al Concilio di Efeso e Cirillo di Alessandria in MARIA. Testi teologici e spirituali dal I al XX secolo, a cura della Comunità di Bose, Milano, Mondadori “Classici dello
Spirito” 2001, pp. 217-‐‑227). A Efeso ebbe «definizione solenne» per quanto riguarda l’«essenza dottrinale», ma ebbe «formulazione verbale con valore dogmatico espressi-‐‑ vamente dichiarato con il Decreto di Calcedonia» (il Concilio di Calcedonia è del 451). A Efeso e Calcedonia la «preoccupazione» fu quella di «chiarire la legittimità e proprietà della Theotòkos, derivandola principalmente dalla verifica del fatto genetico» (cfr. MEO, op. cit., p. 739). La dottrina cirilliana e quindi dei padri Efesini fu «il più profondo tenta-‐‑ tivo di interpretazione dell’incarnazione del Verbo», con la «presentazione dell’unione, secondo l’ipostasi [= sussistenza e non sostanza o essenza] nel Verbo delle due nature» e con l’affermazione dello «scambio dei due attributi fra le due nature di Cristo». L’«unità» fra di loro avviene «nello stesso utero materno»; il Verbo, in quanto incarnato, «è
esempio concreto, la «dolce» mamma, exemplum di mansuetudine per gli iracondi nella terza cornice del Purgatorio (XV, 85-‐‑93), quella «don-‐‑ na» che preoccupata ritrova e “soavemente” si rivolge al Figlio nel tempio di Gerusalemme tra i dottori
Ivi mi parve in una visïone estatica di sùbito esser tratto, e vedere in un tempio più persone;
e una donna, in su l’entrar, con atto
dolce di madre dicer: «Figliuol mio,
perché hai tu così verso noi fatto? Ecco, dolenti, lo tuo padre e io ti cercavamo». […]
quella donna è la stessa «Augusta» (Par. XXXII, 119), la stessa «Regi-‐‑ na» (Par. passim), la stessa «donna del ciel» (Par. XXIII, 106) del Paradiso (cfr. infra), infatti è colei
che là sù vince, come qua giù vinse
(Par. XXIII, 93)
che vince cioè lo splendore dei beati, come e perché in terra vinse ogni creatura per le virtù eccelse (tra le quali la dolce mitezza) ed è
[…] la faccia che a Cristo più si somiglia […]
(Par. XXXII, 84-‐‑85)
non solo per la «chiarezza» [ivi, vv. 86-‐‑87], quella che l’Ottimo12
nato da una donna», nato da una donna «non nel senso che la sua natura divina abbia avuto inizio dalla sua esistenza nella S. Vergine», ma perché «avendo unita a sé la uma-‐‑ na natura secondo l’ipostasi, è nato da donna». Insomma la Vergine non ha generato un qualsiasi uomo nel quale poi il Verbo di Dio si è inserito, ma «unito nello stesso utero alla natura umana, si dice primogenito secondo la carne, in quanto ha intimamente unito a sé la generazione della sua carne» (cfr. CICALA, op. cit., pp. 314-‐‑315). Tutti gli altri tentativi successivi di riflessione teologica «da S. Agostino a S. Tommaso, da Efeso al Vaticano II, partono dagli argomenti cirilliani e praticamente li ripetono» (cfr. ibid.).
Nel titolo di Theotòkos sono identificabili, a mio avviso, la Donna, Madre di Dio, e la
Femina, che ha generato la carne di Dio; la mulier (donna) alla quale Cristo morente ha
affidato col discepolo prediletto tutta l’Umanità (mulier = madre dell’umanità e in quanto tale la più potente «fontana» di «speranza», vd. Par. XXXIII, 12), ma anche la mamma che
ha nutrito col suo seno il «Verbo» che si era fatto «carne» (Io 1, 14), il Figlio, «nato da don-‐‑
na» (Gal 4, 4); cfr. ibid.
definiva la «virtù» dello «splendore» che
dispone la virtù visiva a poter vedere l’essenza divina, quanto è possibile a creatura vedere per grazia
ma anche perché, secondo il dogma della Theotòkos, ha generato la carne di Dio.
Confrontando filologicamente i versi citati di Purg. XV (85-‐‑93) con la fonte biblica, Lc II, 48, emerge con chiarezza la qualità del ri-‐‑uso dantesco.
Il testo evangelico (materia storica) non è semplicemente parafrasa-‐‑ to, come potrebbe sembrare a una lettura superficiale, in quanto Luca riferisce l’episodio facendo emergere13 lo stupore del ritrovamento e l’angoscia dello smarrimento:
et videntes admirati sunt Et dixit mater eius ad illum fili quid fecisti nobis sic ecce pater tuus et ego dolentes quaerebamus te [Vulg.14]
[Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo» (BG15)]
e il quesito della mater esprime più che un rimprovero un desiderio di sapere.
ta, Pisa 1827-‐‑1829, cit. in nota da Fallani, op. cit., p. 638. Per la lettura degli antichi com-‐‑
menti risultano sempre utilissimi i volumi de La Divina Commedia nella figurazione
artistica e nel secolare commento, a cura di Guido Biagi e altri, Torino, Utet 1924-‐‑1939.
13 Non dico dando risalto perché è noto che nei Vangeli la figura centrale è Cristo e quindi i riferimenti a Maria sono limitati all’essenziale. Dietro lo sviluppo dei Vangeli canonici agisce un «interesse teologico», precisa Mario Erbetta, curatore dell’edizione degli Apocrifi del Nuovo Testamento, vol. I/2, Infanzia e Passione di Cristo. Assunzione di
Maria, Genova, Marietti 1992 (1981¹), p. 4; i Vangeli canonici e la tradizione primitiva
«avevano come unico protagonista la figura del Salvatore», e quindi Maria e Giuseppe «svolgevano un ruolo puramente periferico, ricordati solo per la loro relazione con Cristo», a differenza degli Apocrifi.
14 Cito dalla Biblia sacra, iuxta Vulgatam versionem, adiuvantibus B. Fischer, I. Gri-‐‑ bomont, H.F. D. Sparks, W. Thiele, recensuit et brevi apparatu critico instruxit Robertus Weber, editionem quartam emendatam, cum sociis B. Fischer, H. I. Frede, H. F. D. Sparks, W. Thiele, preparavit Roger Gryson, printed in Germany, Stuttgart, Deutsche Bibelgesellschaft, Vierte, verbesserte Auflage 1994, da ora in poi segnalata con Vulg.
15 Cito dalla Bibbia di Gerusalemme (Bologna, ed. Dehoniane 1980), da ora in poi se-‐‑ gnalata con BG.
Dante (Purg. XV, 85-‐‑93) conserva il senso della domanda, che fe-‐‑ delmente traduce in versi
[…] «Figliuol mio,
perché hai tu così verso noi fatto? Ecco, dolenti, lo tuo padre e io ti cercavamo». […]
non intacca i termini nei quali storicamente l’episodio è stato traman-‐‑ dato dalla Vulgata, però amplifica la dimensione umana, in perfetta coerenza col proprio discorso e il proprio scopo in quel preciso luogo del poema.
Rispettando perfettamente la fonte evangelica, il poeta riesce a far percepire il modo di porgersi della «donna», con «atto / dolce di ma-‐‑ dre» (vv. 87-‐‑88), musicalmente enfatizzando l’aggettivo «dolce»: attraverso l’enjambement lo lega armonicamente al sostantivo «atto» (v. 87), collocandolo in posizione forte, all’inizio del verso successivo (v. 88).
Mi sembra evidente da questo piccolo “assaggio” che «le note umane e affettuose» della mariologia dantesca, non solo non manca-‐‑ no, ma sono strettamente incardinate in quelle che «ne celebrano il merito teologico».
Ma questo è un discorso che per il momento vorrei lasciare in so-‐‑ speso, perché ritengo più opportuno cercare di delineare l’estensione della “geografia” mariana nella Commedia, se mi si consente una meta-‐‑ fora dionisottiana.
Nell’Inferno Maria non può apparire direttamente e nemmeno essere esplicitamente nominata, ma agisce, attraverso una catena di mediazione che, a ritroso, da Virgilio rinvia a Beatrice, da Beatrice a Lucia, da Lucia a una Donna gentil, che dimora «nel ciel», e pre-‐‑ corre tempestivamente16 la necessità di soccorso dell’io narrante: Dante personaggio, viator, ma anche l’uomo peccatore .
Oggi l’identificazione della Donna gentil del cielo con la Vergine Maria è per tutti i curatori e commentatori del testo dantesco scon-‐‑ tata, come si evince non solo dalle note al testo (brevissime o estese) dei numerosissimi curatori, ma anche dai vari indici dei nomi, nei quali sotto la voce Vergine Maria automaticamente compare Inf. II, 94 (ed è il primo riferimento segnalato). È una certezza espli-‐‑ citamente dichiarata, e oggi unanimemente riconosciuta, a partire
16 Petrarca nel Secretum, in particolare nel Prohemium, espressione di una “lectura creativa in progress” della Commedia (cfr. infra, nota 23), definisce «tempestivum» l’«auxilium» che la Verità dice di portare a Franciscus «de longiquo».
dal Tommaseo, eppure, andando a rovistare nella “selva” dei com-‐‑ menti più antichi e delle lecturae “creative”, a mio avviso rap-‐‑ presentate dai testi letterari che nei fatti risultano emulazione del testo dantesco (sia pure contaminato), la situazione non si presenta poi così lineare come potrebbe apparire.
Nei commenti anteriori al Tommaseo, come è noto, in particolare in quelli più antichi, prevale una lettura allegorica della Donna gentil, e mi sembra di poter aggiungere che si tratti di una inter-‐‑ pretazione variamente atteggiata, ma per grandi linee riconducibile a tre o quattro possibilità, in un certo senso tra loro connesse17:
– Donna gentil…= «profonda mente della Deità»
vd. Iacopo Alighieri («figurativamente per questa gentil donna la profonda mente della Deità si considera, della quale ogni cosa pro-‐‑ cede»),
ovvero «mens profonda in divinitate», «predestinatio divina» vd. Codice fiorentino della fine del Trecento, il LAUR. 90 sup. 114, contenente chiose che spesso riprendono l’originale commento latino di Iacopo Alighieri [IAC.],
vd. Codice Filippino18, I strato di chiose = A (1360 ca. = anonimo dantista dilettante napoletano, probabile committente del cod.).
Se A del Filippino spesso attinge al LAUR., che ripropone IAC., per la proprietà transitiva mi sembra lecito asserire che questa è la linea interpretativa che fa capo al figlio di Dante, IAC., e che dall’autore ebbe approvazione. [Trecento]
– Donna gentil…= «orazione» del peccatore, ovvero preghiera
vd. l’Anonimo fiorentino del Trecento («per questa donna, com’è detto s’intende l’orazione»);
vd. Boccaccio, Esposizione allegorica a Inf. II («dovemo intendere quella donna gentil essere la santa orazione fatta dal peccatore»). Va detto però che nella Esp. Lett. Boccaccio parla invece della «divina mente» e in quella creativa identifica la Donna gentil del cielo con la Vergine. [Trecento]
17 Dico questo perché in alcuni commenti l’una non esclude l’altra, si intersecano, come spiegazione una dell’altra. Cito i testi dei commentatori dalla La Divina Commedia
nella figurazione artistica e nel secolare commento, a cura di Biagi e altri, cit.
18 Questo codice attesta i modi della esegesi dantesca a Napoli fra Tre e Quattro-‐‑ cento. Oggi si può usufruire della accurata edizione critica a cura di Andrea Mazzucchi (Roma, Salerno Editrice 2002).
– Donna gentil…= grazia «antiveggente», dono di Dio, «gratis data», ovvero grazia «preveniente» (= «operante»)19
vd. Ottimo (contemporaneo di Dante), Guido da Pisa, Benvenuto da Imola, Francesco da Buti (1375-‐‑’78) [Trecento];
vd. Giovanni di Serravalle (1416-‐‑’17: riprende pedissequamente