ora accennato; Ab 3, 2; Ger 17, 11; Sap 2, 3-‐‑5; 2 Cor 5, 6; Ef 5, 15-‐‑6, ecc.)3.
IL PROBLEMA DELLA VISIONE
«Nel mezzo del cammin di nostra vita» veniva interpretato da uno dei più stimolanti commentatori della Commedia del Trecento, il carmelitano Guido da Pisa, come “nel sonno”, sicché l’intera azione del Poema era da lui intesa come una “visio in somniis”: una visione,
3 SILVIO PASQUAZI in una lettura (1988), pubblicata postuma, del I dell’Inferno si sofferma sul citato passo di Abacuc («Domine audivi auditionem tuam et timui Domine opus tuum in medio annorum vivifica illud in medio annorum notum facies cum iratus fueris misericordiae recordaberis»): «Dante partecipa della tensione spiritua-‐‑ le ed escatologica che domina il suo tempo, e già il primo verso del suo poema si colloca in siffatta sfera, verso nel quale la memoria verbale di passi biblici imprime il tono augusto della profezia. […] il riferimento di Abacuc è sostenuto da una serie di analogie o simiglianze. […] si tratta, qui, […] di partecipare “a metà degli anni”, e dunque nel pieno della maturità, alle adorabili imprese di Dio: che per Abacuc consistono nella liberazione di Israele dalla schiavitù babilonese come un tempo dalla schiavitù egizia, e per Dante consistono nella sua missione profetica e per il popolo cristiano nella defini-‐‑ tiva purificazione, e cominciano, appunto, con il ritrovarsi nella selva oscura (oscura sì, ma proprio per questo, luogo privilegiato di epica lotta). E poi non si tratta – prosegue il critico – di una pura coincidenza verbale. Tutto il libro di Abacuc, pur breve, è carico di valori profetici e di promesse escatologiche: del che ben si avvidero l’antica esegesi e con essa di certo anche Dante. È Abacuc che pone in evidenza la ‘émúná come forza vitale superiore alle prove e alle calamità esterne; la ‘émúná che nella traduzione greca dei Settanta fu detta πίίστις, che poi nel Nuovo Testamento è il termine usato per indi-‐‑ care la virtù teologale della Fede. […] Carico di promesse escatologiche, abbiamo detto, è il libro di Abacuc, ma lo è in modo particolare quel terzo capitolo, consistente in un “cantico” nel quale si può ritenere sviluppata la visione soprannaturale concessa al profeta, e che a lui è stato comandato di scrivere e trasmettere: una visione in cui rien-‐‑ trano l’abisso e i cieli, gli astri, la Terra, le nazioni e il populus Dei, e l’esultazione del poeta che il Signore vincitore trascinerà super excelsa, in psalmis canentem. Che tutto questo presenti varie analogie con la Commedia appare evidente. L’inizio del cantico ripete due volte, e dunque sottolinea, in medio annorum: ed è probabile che tale ripeti-‐‑ zione abbia destato interesse più vivo nella memoria fraseologica dantesca. Va infine osservato che l’opus di Dio (opus tuum in medio annorum vivifica, Domine; ‘O Signore, ravviva l’opera tua in mezzo agli anni’) nella preghiera di Abacuc fu inteso dalla esegesi medievale, nonché da San Girolamo e Sant’Agostino, come opera di rinnovamento del mondo, di liberazione dal peccato, opera compiuta dal Cristo: e il vivifica illud fu inteso come implorazione per il compimento totale di quest’opus: per cui in medio annorum Dante non poteva intenderlo se non come indicazione del tempo ultimo, secondo la sua visione escatologica sottesa al Poema. […]». Il primo canto della «Divina Commedia», in PASQUAZI, Dante e altri studi di letteratura italiana, a cura di Gianni Oliva e Giancarlo Rati,
veritiera, avvenuta nel sogno. Nel sonno, ricorda Guido, rifacendosi al Macrobio del Commento al Somnium Scipionis, si danno cinque specie di visioni: «oraculum, visio, somnium, insomnium et fantasma». “Oraculum”, prosegue Guido, seguendo lo stesso Macrobio, è quando nel sonno appare un genitore, o un’altra persona santa e solenne, sia un sacerdote, o un angelo o anche lo stesso Dio, che indichi chiara-‐‑ mente cosa che dovrà accadere o che convenga fare oppure evitare (è il caso della Commedia dantesca, sostiene Guido: c’è la persona solen-‐‑ ne, come Virgilio nella prima Cantica, e santa come Catone e Stazio nella seconda, un ascendente, come Cacciaguida, e un sacerdote, come San Bernardo, angeli e lo stesso Dio, nella terza Cantica); “visio”, aggiunge sempre Guido, è quando ciò che uno vede nel sogno, lo ve-‐‑ de allo stesso modo nella veglia: sogno di essere elevato in cattedra e il giorno dopo vengo eletto vescovo o abate. Insomma, si ha la visio quando ciò che appare in sogno corrisponde alla realtà (anche questo è il caso della Commedia, commenta Guido, in quanto il Poeta ha visto nel sogno esattamente i luoghi nei quali vanno le anime dopo la mor-‐‑ te). “Somnium”, prosegue Guido da Pisa, viene chiamata quella visio-‐‑ ne che viene resa un po’ vaga da figure ambigue e che hanno bisogno di interpretazione per essere capite rettamente. Di questo “somnium” sussistono cinque specie. Su esse non ci soffermeremo per brevità.
Insomma, per Guido, Dante ha visto veramente, sia pure in sogno, ma un sogno mandato da Dio e quindi veritiero, ciò che presenta nel suo Poema. E ciò viene confermato dall’esclusione, per quanto riguar-‐‑ da Dante, degli altri due tipi di sogno elencati da Macrobio: Guido, infatti, afferma che non riguardano la Commedia sia l’“insomnium” (che è un sogno costituito da tracce di esperienze avute da colui che sogna, il giorno prima) sia il “fantasma”, cioè le immagini che occor-‐‑ rono nel dormiveglia, alterazioni della realtà4. Mentre non ci sembra ricevibile l’interpretazione di «nel mezzo del cammin di nostra vita» come “nel sonno”, importante è la interpretazione del racconto della Commedia come resoconto di una visione5.
4 Anche un altro commentatore trecentesco, Benvenuto de’ Rambaldi da Imola, ri-‐‑ tiene che Dante abbia avuto in sogno l’intera visione narrata nel Poema; a proposito di
Par. XXXIII, 58 afferma: «Et hic nota quomodo haec artificiosa comparatio somniantis
propriissime declarat intentionem autoris in isto finali capitulo, quia autor totam suam visionem habuit in somnio, sicut ipse testatus est in primo capitulo totius operis (v. 37), ubi dixit: tempo era dal principio del mattino etc.».
5 Una posizione affine a quella di Guido da Pisa è anche quella di un altro commen-‐‑ tatore trecentesco, l’Ottimo, il quale sostiene che la metà della vita è il sonno. Sulla scia di Guido e dell’Ottimo, altri antichi commentatori, il “falso Boccaccio”, Benvenuto da Imola ora ricordato e Giovanni da Serravalle, pur interpretando il primo verso come
Si dà così inizio alla secolare questione sulla Commedia finzione o resoconto di un’esperienza realmente vissuta, questione che arriva fi-‐‑ no ai nostri giorni e che, anzi, è stata ripresa con vivacità in tempi re-‐‑ centi. Mentre per la tesi della visione si pone anche un altro commen-‐‑ tatore trecentesco, Benvenuto de’ Rambaldi da Imola, prestissimo si presentò anche la tesi opposta, quella dell’assoluta finzione poetica so-‐‑ stenuta da uno dei due figli di Dante che elaborarono un Commenta-‐‑ rio al Poema paterno: Pietro di Dante, il quale affermò che nessuna persona di sano intelletto poteva credere che il Poeta fosse realmente sceso nell’Inferno. Qualche critico moderno spiega questa posizione (reiterata all’interno del Commento) con il timore delle sanzioni eccle-‐‑ siastiche previste per chi si dichiarava visionario, sanzioni estensibili anche ai figli. Per l’autenticità della visione dantesca fu il Foscolo6. Nel
riferentesi all’età del viator, cioè il trentacinquesimo anno (come vedremo subito), classi-‐‑ ficarono il Poema come “visio per somnium”: ANTHONY K. CASSELL, Inferno I. Foreword by Robert Hollander. With a new translation of the canto by Patrick Creagh and Robert Hollander, Philadelphia, University of Pennsylvania Press 1989 (= Lectura Dantis Ame-‐‑ ricana, 1), p. 3. Contro, tra i moderni, Pagliaro e Singleton, tra gli antichi, Filippo Villani, che dà la più impegnativa delle interpretazioni: «Non enim in somniis, sed per venam divini subsurrii, spiritu revelante et aperiente os poete, divinum hoc opus prolatum est». Riportiamo qui l’opinione, contraria all’equazione sonno=metà della vita, di Cri-‐‑ stoforo Landino, il quale, nel Cinquecento, scriveva: «alchuni dicono, che il mezo della vita humana è el sonno, mossi credo dalla sententia d’Aristotele dicendo lui nell’Ethica nessuna differentia essere tra felici, et miseri, nella metà della vita, per che le nocti che sono la metà del tempo c’inducono sonno, et da quello nasce che né bene né male sentir possiamo. Il perchè vogliono questi, che el poeta pongha el mezo della vita per la nocte, et la nocte pel sonno, ad notare che questo poema non sia altro che una visione che gli apparve dormendo per la quale hebbe cognitione delle cose da lui descripte in queste tre comedie. Dicono adunque che lui imita Ioanni evangelista el quale dormendo sopra el pecto di Christo redemptore hebbe visione delle chose celeste, o veramente ponghi la nocte dimostrando lui havere cominciato el suo poema di nocte, nella quale raccoglien-‐‑ dosi l’animo in se medesimo et absolvendosi et liberandosi da ogni cura, meglio inten-‐‑ da. Ma benché tale sententia quadri al poeta, nientedimeno le parole non la dimostrono se non con tanto obscura ambiguità, che non pare degna della elegantia di tanto poeta. Prima perché non seguita che, benché nelle revolutioni del tempo tanto spatio occupin le nocti quanto e dì, per questo dicendo ‘io scripsi di nocte’ s’intenda ‘io scripsi nel me-‐‑ zo della mia età perché et nel principio et nel fine della età humana sono le nocti chome nel
mezo, et similmente e dì».
6 Nel Discorso sul testo della Divina Commedia il Foscolo, dopo essere partito dalla vi-‐‑ sione di S. Paolo rapito al terzo cielo, ed aver accennato a una sorta di inflazione di presunte visioni che si sarebbe verificata nel basso Medioevo, conclude: «CLXV. Così una mitologia nuova usurpava sembianze di verità dalla nuova religione, finché la più poeticamente fantastica, e la più storica insieme e più sacra e più filosofica delle visioni, crebbe nel secolo e nella mente di Dante». UGO FOSCOLO, Studi su Dante. Parte prima (Edizione nazionale delle Opere di Ugo Foscolo, vol. IX), a cura di Giovanni da Pozzo, Firenze, Le Monnier 1979, p. 471. Si veda anche l’importante voce ‘Foscolo’ dell’Enci-‐‑
Novecento il più illustre sostenitore di tale tesi è stato Bruno Nardi. Più recentemente, dicevamo, alcuni studiosi hanno difeso la tesi della visione: si pensi a Rocco Montano7, al Padoan8; il Guidubaldi9 si collo-‐‑ ca a metà strada e, comunque, parla con molta intensità del mistici-‐‑ smo di Dante.
In effetti già nella Vita Nuova, il cosiddetto “libello giovanile” di Dante, vi è il racconto di una drammatica visione nel sogno, quella della morte di Beatrice; e almeno di un’altra si parla in quell’opera, la «mirabile visione» di cui all’ultimo capitolo del “libello” (essa, com’è noto, viene collegata, di solito, a quella della Commedia). E nel Convi-‐‑ vio, in un contesto disteso, pacatamente razionale e non caratterizzato da un’intensa tensione come quello della Vita Nuova10, Dante afferma di aver appreso per “rivelazione” dalla morta Beatrice che ella si trova in Cielo. Una serie di “visioni”, di “rivelazioni”, di cui sarebbe stato protagonista Dante prima della Commedia, dunque.
Come premessa a un’ipotesi sull’esperienza mistica in Dante ri-‐‑ corderemo le posizioni di alcuni studiosi. Il filosofo francese Étienne Gilson sottolineava la straordinaria capacità di concentrazione di Dan-‐‑ te: si pensi, per citare soltanto un esempio, al racconto, all’interno del-‐‑ la Vita Nuova, dell’episodio relativo all’anniversario della morte di Beatrice, quando Dante era intento a disegnare degli angeli e, comple-‐‑ tamente assorto nel pensiero-‐‑contemplazione dell’amata morta, non si accorse della presenza di alcune persone che lo stavano osservando. Il teologo Romano Guardini osservava come gli episodi della Divina Commedia, a cominciare dal primo canto dell’Inferno – con la selva
clopedia dantesca a cura di MARIO SCOTTI (vol. II, pp. 988-‐‑992): «Per il Foscolo il viaggio di Dante nell’oltremondo non è una finzione poetica su cui si struttura il poema, ma una visione vera, come quelle di s. Paolo e dell’Apocalisse».
7 ROCCO MONTANO, Introduzione a Dante. Con scelta di testi commentati da Fernando Gagliuolo, Napoli, Arti Grafiche Conte 1957; ID., Suggerimenti per una Lettura di Dante, Napoli-‐‑Pozzuoli, Arti Grafiche Conte 1956; ID., La poesia di Dante. 1. L’Inferno, Napoli s.n., 1958; ID., La poesia di Dante. 2. Il Purgatorio, Napoli-‐‑Pozzuoli, Arti Grafiche Conte 1959; ID., La poesia di Dante. 3. Il Paradiso, Napoli-‐‑Pozzuoli, Arti Grafiche Conte 1959; su Montano cfr. Letteratura e impegno: il pensiero critico di Rocco Montano, a cura di Francesco Bruni e Paolo Cherchi, Firenze, Olschki 2003.
8 GIORGIO PADOAN, La “Mirabile visione” di Dante e l’epistola a Cangrande, in Dante e
Roma, Atti del convegno di studi, Roma, 8-‐‑9-‐‑10 aprile 1965, Firenze s.n., 1965, pp. 284-‐‑
314. VITTORIO COZZOLI, in Il Dante anagogico. Dalla fenomenologia mistica alla poesia anago-‐‑
gica, Chieti, Solfanelli 1993, è convinto della veridicità della visione dantesca.
9 EGIDIO GUIDUBALDI, Dante europeo, III. Poema sacro come esperienza mistica, Firenze, Olschki 1968.
10 Cfr. PLACELLA, «Guardando nel suo Figlio...». Saggi di esegesi dantesca, Napoli, Fede-‐‑ rico & Ardia 1990, p. 81.
oscura, le tre fiere, l’apparizione di Virgilio – chiedono di essere ri-‐‑ guardati dal punto di vista della visione11.
Anch’io ho sostenuto, in un mio scritto12, una tesi minimale: Dante ha vissuto almeno esperienze mistiche ordinarie. Cosa significa ciò? Cercheremo di mostrarlo.
È noto che uno dei maggiori mistici cristiani, San Juan de la Cruz, dichiarava che le esperienze mistiche straordinarie (tra cui le visioni) non sono necessarie alla salvezza, e richiamava, invece, l'ʹattenzione sull’esperienza mistica ordinaria, alla portata di ogni cristiano. A pro-‐‑ posito di un mistico medievale, Giovanni di Fécamp, Jean Leclercq13 spiegava bene questo concetto affermando che è mistico chi avverte l’operazione della Grazia in sé stesso. Diciamo pure che è mistico chi ha esperienza del divino. Un mistico arabo medievale precedente a Dante, Al Gazali, parlava di una certa corposità, di una tangibilità del divino. Ho sottolineato, in un mio studio, anche come Dante, special-‐‑ mente nel Paradiso, usi espressioni e parole ed esprima situazioni pro-‐‑ prie del linguaggio mistico, con un afflato, un’intensità e una continui-‐‑ tà inconfondibili14.
Non è inverosimile che Dante, oltre all’esperienza di una mistica ordinaria, di cui s’è detto ora, ne abbia avuto una più forte che poi ha raccontato con modi poetici (e secondo il senso parabolico, come ve-‐‑ dremo oltre) nella Commedia. Nell’Epistola a Cangrande si dà una ri-‐‑ sposta netta agli «invidi» che obiettassero che, a causa dell’indegnità dell’autore del Poema, non è possibile ch’egli abbia avuto la visione: la risposta è che Dio riserva i suoi doni a chi vuole e che perfino Nabu-‐‑ codonosor (il quale nel Medio Evo era considerato alla stregua del diavolo)15 ebbe una visione, com’è raccontato nel libro del profeta Da-‐‑ niele.
Nell’Epistola a Cangrande vi è un luogo nel quale sono elencati dieci “modi tractandi” che riguardano la Commedia:
11 ÉTIENNE GILSON, La Mirabil Visione, in ID. Dante et Béatrice. Études dantesques, Parigi, Vrin 1974, pp. 103-‐‑115 (109 sgg.). ROMANO GUARDINI, Studi su Dante, Brescia, Morcelliana 1967, pp. 137-‐‑169 e 370-‐‑372.
12 PLACELLA, Meditazione «considerazione» contemplazione nella Commedia, in «Guar-‐‑
dando nel suo Figlio...», cit., pp. 35-‐‑61. Il saggio costituisce l’ampliamento di una Lectura Dantis pubblicata in séguito nella redazione originaria: PLACELLA, Canto X, in Lectura
Dantis Neapolitana. Paradiso, Napoli, Loffredo 2000, pp. 207-‐‑36.
13 Cfr. PLACELLA, Meditazione…, cit., pp. 45 sgg. 14 Ibid.
15 Cfr. HENRI DE LUBAC, Exégèse médiévale. Les quatre sens de l’Écriture, Parigi, Aubier 1959-‐‑1964. II, 1, p. 225 e II, 2, p. 249, ora anche in traduzione italiana.
Forma sive modus tractandi [scil. della Commedia] est poeticus, fictivus, descriptivus, digressivus, transumptivus, et cum hoc diffinitivus, divisivus, probativus, improbativus, et exemplo-‐‑ rum positivus.
Fu giustamente rilevato dal Curtius che si tratta di due gruppi da cinque: il primo relativo a opere retorico-‐‑poetiche e il secondo a opere filosofiche o teologiche o scientifiche. L’aver elencato le componenti dell’uno e dell’altro gruppo significa che l’autore dell’Epistola inten-‐‑ deva classificare la Commedia sia tra le opere poetico-‐‑retoriche, sia tra quelle filosofico-‐‑teologico-‐‑scientifiche. Nel primo gruppo compare un aggettivo che ha dato luogo a molte discussioni fra i critici: «fictivus». Si è voluto vedere, da parte di alcuni, un’allusione alla “finzione”: la Commedia, secondo l’autore dell’Epistola a Cangrande, poggerebbe su una finzione, cioè il suo senso letterale non sarebbe vero, così come nelle allegorie classiche (allegorie «dei poeti», secondo una denomina-‐‑ zione dello stesso Dante nel Convivio). Ma niente è più rozzo di una simile lettura: “fictivus” è solo uno dei “modi tractandi” riferito alle opere poetiche; ho, inoltre, mostrato che tali “modi tractandi” poetici venivano riferiti, negli accessus ad auctores medievali relativi a libri bi-‐‑ blici anche a questi ultimi: certamente non è possibile immaginare che un commentatore medievale ritenesse che essi costituissero delle “fin-‐‑ zioni”; gli autori di quegli accessus intendevano semplicemente dire, in quei casi, che anche la Bibbia si serve di modi poetici, pur essendo veritiera16.
L’autore dell’Epistola non sostiene, dunque, che il racconto del Poema dantesco sia una finzione. Perciò questo luogo dell’Epistola non è in contrasto con l’altro, che pure abbiamo visto, secondo il quale l’autore della Commedia ha potuto avere una visione: insomma, si trat-‐‑ terebbe, secondo l’estensore dell’Epistola, del resoconto di una visione raccontata anche con modi poetici, come spesso fa la stessa Bibbia. Del resto, Dante, nel quarto canto del Paradiso (vv. 27 sgg.), fa dire a Bea-‐‑ trice che le anime che il Pellegrino incontra dislocate nei singoli Cieli in realtà si trovano tutte nell’Empireo e che gli appaiono così per la pedagogia divina la quale vuol mostrare a lui, sensibilmente, i diversi gradi di beatitudine delle anime. Si noti che gli argomenti usati in questo luogo da Beatrice sono sovrapponibili a quelli di cui si serve San Tommaso (Summa theologiae, Prima pars, q. 1 a. 10) a proposito del “sensus parabolicus” che, secondo l’Aquinate, non è altro dal senso
letterale delle Sacre Scritture, sicché quando, ad esempio, il Sacro Testo attribuisce mani e piedi a Dio, intende riferirsi alla potenza di-‐‑ vina (questo è il senso letterale, secondo San Tommaso, cioè quello che veramente intende dire l’autore sacro) e non certo alle mani e ai piedi. Ancora una volta la Sacra Scrittura si serve di espressioni meta-‐‑ foriche, proprio come si fa nello stile poetico; ed è quello che Dante, nel brano del Paradiso cui abbiamo accennato, dichiara di fare, e quello che l’Epistola a Cangrande intende parlando di “modus poeticus, fic-‐‑ tivus” ecc., pur difendendo, nello stesso tempo, la veridicità del mes-‐‑ saggio della Commedia (è vera la visione che l’autore di essa dice di aver avuta)17.
Non è impossibile, dunque, per un cristiano, ipotizzare che l’autore della Commedia abbia avuto un’esperienza mistica forte che poi abbia descritto elaborandola con i modi poetici, “fittivi”, ecc. (dire che per un cristiano ciò non è impossibile non equivale, certo, ad afferma-‐‑ re che l’esperienza narrata sia [assolutamente] vera: del resto, il cattolico sa che, secondo il noto insegnamento di Urbano VIII, i mira-‐‑ coli dei Santi sono oggetto di fede puramente umana: figurarsi le vi-‐‑ sioni di Dante!). Paolo VI, nel Motu proprio Altissimi cantus consacrato per l’appunto a Dante, scrive che nella Divina Commedia l’«ascesa, nel suo anelito di toccare ciò che è più intimo e più alto, diventa epos di grazia celeste, epos di esperienza mistica, di santità nelle modellature
17 Si veda quanto scrive Guido da Pisa a proposito della Commedia: «Rogo te autem, o lector, ut autorem non iudices sive culpes, si tibi videatur quod ipse autor in aliquo loco vel passu contra catholicam fidem agat, quia poetice loquitur et fictive. Et ideo iste liber dicitur Comedia, que est quoddam genus poesie ad quam spectat vera in tegumentis poeticis et propheticis ambagibus nubilare. Unde iste autor, quamvis